Nazareth 2002
di Alessandra Lanzillotti

L'occupazione della Palestina, il terrorismo in Israele, due nomi per una sola terra, due nomi che incidono lo spazio a fuoco, spazio dove dominano intolleranza e pregiudizio…Ma la Palestina non esiste, lembo di terra che il mondo vuole vedere solo come simbolo di chi resiste alla logica delle super-potenze, di chi ancora non accetta che le partite si giochino in quei palazzi di vetro così lontani dalla terra rossa di Israele.

La Palestina, all'inizio della seconda Intifada, aveva ancora i colori e gli odori del Suk, le parole levate al cielo, la gioia dei corpi abituati alla danza, alla vita, nonostante le ruspe e i check-point…L'orgoglio di un popolo non si spegne come le candele dopo lo Shabbatth… Il grido di benvenuto dei giovani palestinesi: " Welcome in Palestine" testimoniava per noi l'orgoglio di un popolo per la propria terra, la necessità di difendere le proprie radici, con una volontà e una determinazione che ci pareva "esotica", tanto lontana dalle nostre battaglie politiche piene di rassegnazione, anche ora di fronte ad una guerra sempre più imminente, per noi una leggenda che si tramanda di generazione in generazione, ma a cui si pensa con amarezza impotente.La verità è che Israele è una terra congelata, un'isola verde in cui a volte piomba la notte e la follia suicida, mentre ad Haifa, Tel Aviv, Nazareth, non c'è altro che silenzio, non i boati delle bombe, non il passaggio dei carri armati, ma spettrale vuoto di coscienze, impassibile rassegnazione di un popolo stanco: non solo i Palestinesi o gli Israeliani, ma tutti, tutte le minoranze, tutti gli arabi con il diritto di cittadinanza, che stanchi vogliono chiudere i negozi, andare via perché nessuno si cura della loro sicurezza; perché la polizia è nella città solo per gli Ebrei e per le bombe, non per loro, perché i mercati sono vuoti e i gatti mangiano gli avanzi per terra; perché la vita è solo il lavoro nelle fabbriche israeliane e il sonno per riprendere le forze; perché a Nazareth non si può costruire la moschea di fronte alla chiesa della Natività e la gente ha steso i tappeti e recintato lo spazio per la preghiera, accontentandosi di questo, perché la legge non concederà mai altro, perché i Palestinesi che muoiono a Gaza o in Cisgiordania, sono lontani dagli Arabo-Israeliani anni luce, non pochi chilometri, e nessuno vuole più parlare…In Palestina le distanze sono enormi,quelle ideologiche, quelle della pace e quelle della guerra, pochi sanno. Pochi vogliono sapere, perché bisogna pur vivere, e allora l'unica soluzione é cancellare la realtà, ed è facile perché ad Haifa si va sulla spiaggia, dove la sabbia è pulita e ci sono i locali, la musica e ti sembra di essere in un posto di mare come un altro: c'è il bagnino, gli aquiloni, solo ogni tanto passa qualche elicottero militare a squarciare una verità che è facile, molto facile non vedere, non sentire…continuando a ridere. Qui i ragazzi israeliani sono giovani e hanno diritto ad una vita normale, ad una casa col giardino, ad una macchina…Certo che ne hanno diritto, ma la casa, l'acqua e soprattutto la libertà sono un diritto per tutti gli uomini e non si può non riflettere su come la gente a Ramallha, a Nablus, Hebron e nei campi profughi, muoia di fame, sola, dove la tragedia è che si è costretti a uccidere e a uccidersi per rompere il muro della indifferenza quotidiana, pur essendo ancora giovani per morire.Parlando con gli israeliani, ragazzi che hanno potuto viaggiare, che conoscono perfettamente l'inglese per comunicare "universalmente"con il mondo, ti accorgi che spesso non vogliono sapere niente, la gente non conosce la situazione reale, quasi deve essere informata da noi su quello che accade nei Territori…E perché voler sapere quando la tua vita scorre apparentemente tranquilla? Quando c'è acqua abbastanza per innaffiare il giardino?Quando hai i soldi per sederti ai tavolini di un bar e illuderti anche per poco di poter vivere come un qualsiasi ragazzo occidentale? Due mondi, quello arabo e quello ebraico che non si toccano mai,: due gabbie, una con dentro le rovine di città e villaggi rasi al suolo, l'altra fatta di ville immerse nel verde, in cui a dispetto della sicurezza israeliana, la gente si sente minacciata e dove la politica gestisce a suo piacere la paura, per costruire un esercito sempre più forte e mura sempre più alte…Perché gli Ebrei sono dei perseguitati, e la terra di Israele è circondata da un mondo ostile e minaccioso che ha i tratti dell'uomo arabo, tanto simili a quello ebreo che spesso stenti a riconoscerli.

Dopo questo viaggio non ho trovato risposte, ho solo trovato nuovi interrogativi, e mi ritrovo a riflettere su come questo dolore, venga sempre più strumentalizzato non solo dagli israeliani, ma cosa ben più grave da noi europei, che promuoviamo progetti e scambi interculturali per giovani promettenti, soldi spesi per incrementare parole, sempre le stesse, solo interessi, i nostri o i loro, ma senza sporcarci le mani, senza guardare davvero.

Anche questa è una sconfitta, la nostra, sull'altro fronte appare quella più triste di una guerra in cui è difficile mantenere viva la speranza.

gennaio - aprile 2003