Le mosche nella testa
di Francesca Cosi

Apro gli occhi e la prima cosa è il male alla testa, cioè, non è proprio male, è come se dentro ci fossero tante mosche che ronzano, e i rumori intorno mi arrivano attraverso il ronzio, e le voci degli altri pazzi e degli infermieri sono perse in mezzo a questo sciame di mosche che ho nella testa, e quasi non riesco a sentirli, nemmeno se urlano forte, e allora io glielo dico alle mosche di fare piano, sennò mi assordano, ma quelle niente, continuano a ronzare come d'estate in campagna, e invece qui fa freddo e siamo in manicomio.

La seconda cosa dopo le mosche è che sono distesa e il soffitto è bianco, anzi è giallino con delle macchie di umidità, e l'intonaco fa le bolle e si stacca a pezzi, e io lo guardo questo soffitto che mi cade sulla testa un po' per volta, e vorrei che cadesse subito tutto insieme, così magari ammazzerebbe le mosche e loro la smetterebbero di fare rumore nella mia testa.La terza cosa è che non posso muovere la mano, io glielo dico di muoversi, ma lei non si muove, magari sono paralizzata, penso, e provo ad alzare la testa, mi fa tanto male ma ci riesco, e allora forse no, non sono paralizzata, e appena alzo la testa vedo le cinghie, ci sono queste cinghie intorno ai polsi e io mi sforzo, ma loro non si vogliono aprire, ci provo, ma niente, stanno lì chiuse con quelle fibbie grandi e io non le posso aprire, perché le mani non le posso muovere, e allora lo dico all'infermiere, ma lui fa la faccia cattiva e dice che la prossima volta imparo, io, la prossima volta, a stare buona quando mi danno le medicine, che loro lo fanno per il mio bene, dice, ma poi le mosche nella mia testa ronzano più forte di lui e io non lo sento più.Anche la mia mamma lo faceva per il mio bene di tenermi chiusa in casa, e diceva che io non dovevo nascere, che ero venuta per sbaglio, sennò lei a quest'ora faceva la bella vita, la mia mamma, mica stava dietro a me che non capivo niente, perché era bella, la mia mamma, aveva tanti uomini intorno e portava delle gonne lunghe a fiori colorati e anch'io me le volevo mettere, le sue gonne, ma lei niente, non me le dava, e non mi portava nemmeno fuori, stavo sempre chiusa in casa e vestita male, e se volevo uscire mi diceva che non potevo, perché ero pazza e la gente non mi doveva vedere, diceva.Poi i dottori le hanno detto di portarmi qui, che tanto sono pazza e non posso stare fuori con la gente normale, non posso mica lavorare e avere dei bambini, se sono pazza, e allora sto sempre qua dentro, e nessuno mi fa uscire, all'inizio glielo chiedevo, ma loro dicevano che non si può, perché sono pazza, dicevano, poi ho smesso di chiederglielo, che tanto non serve a niente.E anche gli altri pazzi vogliono uscire, come me, però quasi nessuno ce la fa, solo uno c'è riuscito: quando nessuno lo guardava, è andato in bagno, ha preso una corda, l'ha attaccata a una trave, ci ha fatto un nodo e ci ha messo la testa dentro, almeno così non sentiva più le mosche che ronzavano.Ma qui non ci sono corde, e nemmeno coltelli: per mangiare abbiamo solo cucchiai di plastica, sennò possiamo far male a qualcuno, dicono gli infermieri, e allora per guardarci meglio ci fanno mangiare in una stanza tutti insieme, e dopo mangiato restiamo lì tutti insieme, per tutto il giorno, anche se io a volte vorrei stare per conto mio, mi piacerebbe stare sul letto a fare un disegno, ma niente, dicono che non si può, che non possono lasciarmi sola perché chissà cosa potrei combinare se rimanessi sola.Tanto sono sempre sola, nella mia testa, con le mosche che ronzano, sono sola, e nessuno mi sta a sentire quando dico che le medicine mi fanno male, o che voglio la mia mamma, o che devo andare in bagno, nessuno: io non conto niente, dicono, perché sono pazza, e devo stare zitta e non dare fastidio a nessuno.Me lo dicevano anche gli infermieri, di stare zitta, una volta che sono venuti nel mio letto e mi hanno alzato la camicia da notte, e io dicevo ma che fate? chiedevo, mentre le mosche ronzavano, poi uno mi ha messo una mano sulla bocca e l'altro mi è salito addosso e non so che cosa ha fatto, però mi faceva male dentro e si muoveva su e giù sopra di me e ogni volta che si muoveva io sentivo male e urlavo, ma l'altro mi teneva la mano sulla bocca e si arrabbiava e mi diceva di stare zitta, e io piangevo, ma non è servito a niente, perché hanno continuato così per un sacco di tempo, e le mosche nella mia testa volavano più veloci e sbattevano più forte contro le pareti.Iio allora l'ho detto a un altro infermiere, uno che mi tratta bene e non mi picchia mai, ma lui ha detto di stare zitta, che è meglio per me se non dico niente, che se lo dico tanto nessuno mi crede, perché sono pazza.Anche il dottore lo dice che sono pazza, cioè, lui lo dice in un modo difficile perché è uno che ha studiato, è un uomo giovane con gli occhiali, che mi ha fatto un sacco di domande, mi ha chiesto se mi trovo bene qui, e io gli ho detto di no, che ogni tanto vorrei uscire a vedere che cosa c'è fuori e che non voglio più medicine perché mi fanno venire le mosche nella testa, allora lui si è messo a ridere e subito dopo ha cominciato a ridere anche l'infermiere, ma non è mica tanto divertente avere le mosche nella testa, gli ho detto, e allora hanno riso ancora più forte.

Poi l'infermiere è venuto a farmi la puntura e io gli ho detto che non la volevo la sua puntura, che mi faceva entrare le mosche in testa, lui ha detto che era per il mio bene, e che qui non c'è nessuna mosca, e infatti queste mosche non si vedono mica, si sentono ronzare forte dentro la testa, gli ho risposto, però lui non mi stava più a sentire, all'improvviso ha fatto la faccia cattiva e mi ha detto ora basta con queste mosche, ti faccio la puntura come ha detto il dottore, allora io ho provato a scappare, ma le gambe non mi reggevano tanto bene, e poi lui ha chiamato gli altri infermieri che sono corsi subito e mi hanno presa, e io ho iniziato a strillare e a piangere, e ho tirato anche una botta a qualcuno, poi non mi ricordo più cos'è successo, ma ora sono qui legata al letto con le mosche nella testa che ronzano forte forte e non vogliono smettere.

gennaio - aprile 2003