Al secondo Vertice della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, venne finalmente affermata l'evidenza, cioè che la sostenibilità dello sviluppo non era solo quella dovuta a fattori bionaturalistici, ma comprendeva una visione integrata dei rapporti tra gli esseri umani, il loro vivere insieme a livello mondiale e la natura, in modo da tener conto del diritto all'esistenza delle generazioni future. Nasceva così il concetto di "sviluppo sostenibile", uno sviluppo umano integrale che tenesse conto di tutte le dimensioni economiche, sociali ed ambientali della vita di ogni individuo. Si evidenziava l'esigenza di passare da un'economia industriale ad un'economia rigenerativa che si preoccupasse dei bisogni delle persone, con riferimento alle risorse naturali; si chiedeva dunque un cambiamento nei metodi di produzione e negli stili di consumo. Con questi presupposti in quella sede fu approvato un piano di azione noto come "Agenda 21".
Da allora, e per tutti gli anni '90, nel mondo si è andato sempre più affermando il concetto di sostenibilità inteso come volontà di uno sviluppo che consentisse il diritto alla vita a tutti, garantisse l'estinzione della povertà e che avesse per fine l'organizzazione della società umana come democrazia intergenerazionale.
Nonostante tutto questo fermento, gli obiettivi dell'Agenda 21, ad oggi, sono rimasti purtroppo disattesi. La causa fondamentale di questa contraddizione è costituita dal fatto che nel 1995 venne creata l'Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC): gli impegni assunti dagli stati in quella sede sono immediatamente divenuti prioritari rispetto a quelli di Rio, privilegiando le regole del commercio a quelle stabilite negli accordi internazionali per il rispetto dell'ambiente e provocandone, così, un ulteriore deterioramento.
Nel 1997 (a cinque anni da Johannesburg), nel tentativo di arginare per quanto possibile tale processo, almeno dal punto di vista ambientale, fu firmato il Protocollo di Kioto con il quale i paesi firmatari si impegnavano a ridurre del 5% l'emissione dei gas serra, responsabili del surriscaldamento del globo terrestre, entro il 2010. Perché l'impatto ambientale di tale documento fosse rilevante, la sua entrata in vigore venne subordinata alla ratifica dello stesso da parte di un numero di paesi che complessivamente producesse il 55% delle emissioni di anidride carbonica mondiale (l'accordo non fu ratificato dagli Stati uniti, che pure determinano la percentuale massima di emissione nel pianeta, dalla Russia e dal Canada).
Nel marzo del 2002 si è tenuta a Monterrey (Messico) la Conferenza Internazionale sul Finanziamento per lo Sviluppo, dove per la prima volta questioni economiche e finanziarie vennero discusse nell'ambito delle Nazioni Unite. Tali questioni, infatti, sono sempre state discusse in altre sedi: il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale (BM), l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), mai nell'organizzazione che, pur con tutti i suoi limiti, è l'unica istituzione internazionale democratica esistente (nell'Assemblea Generale sono, infatti, rappresentati 189 paesi del mondo con uguale diritto di voto). In quell'occasione si doveva stabilire in che misura la società mondiale, ed in particolare le società dominanti (che rappresentano meno del 20% della popolazione, che, però, posseggono l'86% della ricchezza del mondo e determinano l'88% dei consumi mondiali, controllano il 93% delle spese per la ricerca e sono dotati del 96% delle installazioni di hardware e software) fossero pronte a manifestare la volontà di organizzare il finanziamento dello sviluppo per sradicare la povertà e creare un sistema sostenibile. Il risultato è stato un completo fallimento. I rappresentanti del mondo dominante non hanno trovato accordo né sull'ampiezza, né sulle modalità del finanziamento della politica dello sviluppo che consentisse di raggiungere il pur minimo obiettivo, proclamato in modo trionfale al "Millennium Summit" (New York, settembre 2000) nel quale avevano dichiarato di essere disposti a diminuire della metà il numero della popolazione in estrema povertà entro il 2015.
Se, dunque, a Monterrey non era stato trovato alcun accordo sul finanziamento dello sviluppo, aveva ancora senso la conferenza di Johannesburg? Era necessario continuare ad esercitare la retorica con eventuali dichiarazioni che non avrebbero sortito alcun effetto vista la mancanza di accordo politico e di una visione comune?
Con i suddetti presupposti il vertice di Johannesburg non poteva che essere un fallimento.
Pur essendo, negli ultimi dieci anni, notevolmente migliorate la capacità di comprensione dei cambiamenti globali e del ruolo dell'intervento umano, grazie agli avanzamenti tecnologici (utilizzo di satelliti molto sofisticati come ENVISAT dell'ESA e supercomputer come il giapponese Earth simulator Centre) e grazie ai progressi di discipline di frontiera come le scienze del cambiamento globale, la biologia della conservazione, l'economia ecologica, l'ecologia del paesaggio, la risposta politica che si è avuta a Johannesburg è stata totalmente inadeguata. Per la prima volta un vertice si chiude senza una convenzione o un trattato. È stato redatto solo un retorico "documento politico" finale con 152 impegni assunti la cui maggior parte è costituita da impegni precedenti non realizzati.
Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan aveva tentato di essere esplicito: non si era più a Rio ma, dopo dieci anni, questo doveva essere il vertice della messa in pratica. Non lanciare nuovi concetti e principi, ma realizzare l'Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile.
Johannesburg ha dimostrato, invece, che i potenti rifiutano gli accordi internazionali. Attraverso gli ambasciatori americani, le regole dettate da Bush, che da tempo aveva deciso di snobbare la conferenza, sono state svelate sin dai primi giorni: nessun nuovo accordo internazionale vincolante, diluire gli impegni presi a Rio, perorare soltanto accordi volontari con le imprese e soprattutto imporre il libero commercio, come unico motore dello sviluppo sostenibile per chi nel mercato globale vive, per gli esclusi nessuna considerazione.
L'Unione europea ha subito manifestato un pericoloso avvicinamento alle posizioni americane sulle questioni del commercio e della finanza rinunciando a chiarire il legame controverso tra accordi ambientali internazionali (più di trecento ormai firmati e in parte ratificati dagli stati negli ultimi decenni) e regole del commercio in via di definizione all'Organizzazione Mondiale del Commercio. L'Ue è riuscita a strappare all'unilateralismo americano soltanto la conferma degli accordi sul commercio di Doha e di quelli sulla finanza per lo sviluppo di Monterrey: uno status quo che non concede nulla alle richieste dei paesi del sud del mondo e che l'Ue ha provato a spacciare come "patto globale" per la lotta alla povertà e lo sviluppo sostenibile. L'impressione che si ricava è che i "potenti" del mondo abbiano vinto un'ennesima battaglia contro la povertà e contro l'affermazione dei diritti.
Johannesburg ha,inoltre, riaffermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la delegittimazione totale dell'ONU, ridotta al rango di intermediario commerciale degli interessi dei privati che oramai a questo tipo di vertici sono la componente più accreditata e potente. In pratica, quello che doveva essere uno strumento politico e di indirizzo per tutti gli stati presenti, si è rivelato essere soltanto la copertura politica a livello mondiale degli interessi delle multinazionali.
Si è consolidata l'alleanza fra pubblico e privato, cioè fra stati ed imprese, sulla possibilità di dare risposte ed accesso ai diritti umani, sancendo la definitiva delega al mercato ed escludendo la società civile. Come dettato dagli Stati uniti, e' stato così avviato il processo di scardinamento delle regole e delle principali Convenzioni internazionali che finora costituivano il solo baluardo nei confronti dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato. La proposta di De-tax del governo italiano si inserisce in questo quadro complessivo e la solidarietà ritorna ad essere elemosina (conservatorismo compassionevole) mentre la politica manifesta la propria incapacità.
In conclusione, la dichiarazione politica ha subito pesanti tagli su questioni sostanziali. Dei 69 articoli contenuti nella prima versione, ne sono rimasti solo 32, essendo stato eliminato ogni riferimento al Protocollo di Kyoto e ridotti gli obblighi alla responsabilità sociale e alla trasparenza delle imprese multinazionali. Nel Piano d'azione sono enunciate solo grandi mistificazioni sulla lotta alla povertà e sull'obiettivo del dimezzamento al 2015 delle persone senza accesso all'acqua potabile (1,4 miliardi).
Infine viene riconfermato genericamente l'impegno degli stati verso il perseguimento degli intenti del Millennium Summit stabilendo obiettivi piuttosto banali su salute, diritti umani, clima, energia, fondo di solidarietà, biodiversità, principio precauzionale, sostanze chimiche, ambiente marino, finanza, commercio.