La condizione dei migranti
di Cristina Tajani e Francesco Samorè

Al crocevia tra "crimini di guerra" e "crimini di pace" si articola la condizione dei migranti. Simbolicamente collocati sotto le mura di quella Fortezza Europa (ma come tacere di quell'altra Fortezza d'oltreoceano…?) che non ha saputo mantenere le sue promesse universalistiche di democrazia, diritti, sviluppo ed è allora costretta a trincerarsi dietro mura legislative, filo spinato e fuoco dalle coste. È una rappresentazione intrisa di suggestioni medioevali: la sciocca e instabile opulenza che si fonda sulla disparità, ha bisogno delle armi per difendersi da se stessa.

E le armi si chiamano negazione per legge dei diritti, o meglio subordinazione totale dell'individuo al ricatto del datore di lavoro o del padrone di casa. E non è necessario immaginarsi gli scantinati umidi in cui lavoravano, per 14 ore al giorno, i duecento bulgari trovati qualche settimana fa in Lombardia (cercavano di pagarsi i contributi per farsi "regolarizzare" dal padrone) per capire quanto sia concreta questa subordinazione. L'istituto, introdotto dalla Bossi-Fini, del "Contratto di Soggiorno" fa si che i compagni di scuola dei nostri figli, immigrati di seconda generazione, al compimento del diciottesimo anno, potranno essere rispediti in paesi che nemmeno conoscono se non troveranno subito un contratto di lavoro o non si iscriveranno immediatamente ad una nostra università; e lo stesso destino attende qualunque immigrato perda il lavoro perché licenziato: sei mesi per trovare un nuovo regolare impiego (nell'Italia del precariato imperante, delle collaborazioni occasionali e del lavoro nero…) e dopo, finito l'ossigeno, l'espulsione. Cosa dire poi della migrante che accudisce il nostro anziano congiunto, quando il congiunto morirà?

Ma la legge, si sa, da sola non basta. Bisogna farla rispettare. Così si spiega quella rete europea di luoghi di detenzione coatta per persone che non hanno commesso alcun reato. Si chiamano C.P.T: Centri di Permanenza Temporanea, (in realtà sono carceri, dato che vi si è condotti forzatamente e si è reclusi per mesi in gabbie piantonate da guardie armate).È allora esagerato parlare di nuovo schiavismo e di violazione di elementari diritti della persona? O forse la nostra dottrina giuridica ha fatto un passo indietro così lungo da confondere la persona col cittadino? Si invera così l'equazione più volte proposta: cittadino-persona, noncittadino - nonpersona, ovvero clandestino. Come ci ricorda in particolare la ricerca sociale francese (citiamo qui Engbersen) la clandestinità diventa, per chi la vive, "la caratteristica sociale dominante, che eclissa tutte le altre proprietà individuali". Succede allora che l'offerta di "clandestini" da parte del sistema legislativo s'incontri perfettamente con la domanda, da parte del sistema delle imprese, di lavoro sempre più precario, sempre più flessibile, sempre più subordinato alle esigenze del profitto, a basso costo e senza vincoli giuridici: il lavoro al nero, o con contratto di soggiorno, dei migranti. L'invenzione del clandestino risponde ad "esigenze" economiche stringenti e corrisponde a quel processo di svuotamento di diritti che investe tutti, autoctoni e immigrati.

Tra i "pilastri" del Forum Sociale Europeo tenutosi a Firenze poche settimane fa, il tema delle migrazioni internazionali e dei diritti dei migranti ha impegnato migliaia (letteralmente) di donne e uomini provenienti da molti paesi europei e di altri continenti, riuniti per coordinare progetti e proposte partendo dalla critica delle politiche "di frontiera" affermatesi in Europa durante gli ultimi dieci anni. Non è stata e non poteva essere una discussione fredda, astratta o accademica. La coppia dolore/speranza l'ha attraversata, cosi come le considerazioni che aprono questo articolo sono il calco della realtà presente, esperita da milioni di persone; la testimonianza di un "crimine di pace" le cui vittime popolano le città d'Europa o si perdono sul fondo delle nostre coste. È abbagliante il paradosso: persone che subiscono una drammatica sottrazione di diritti diventano per legge individui da respingere, escludere, recludere. Dobbiamo sottolineare un elemento di scala, anche allo scopo di identificare almeno uno dei principali moventi di questo crimine la cui arma è la fortezza Europa: la legislazione in materia di migranti di tutti i paesi europei, inquadrata nell'asse stabilito dal trattato di Schengen, è uniforme e mira a consolidarsi attraverso accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei migranti, con l'obiettivo di battere più "efficacemente" le rispettive frontiere. Che questo significhi di fatto negare il diritto alla fuga di profughi di guerra o perseguitati, sembra non interessare (non c'è sostanzialmente differenza su questo tra i paesi governati dalle destre, il centro-sinistra tedesco o il new-labour di Blair), ed il problema è tutt'altro che astratto: i rifugiati, in tempo di guerra permanente, sono 13 milioni (dati ONU), di cui l'80% donne e bambini. La tenaglia della guerra si stringe e miete vittime: in una dinamica simile a quella, accennata sopra, dei diritti del lavoro, la restrizione degli spazi di libertà si è accelerata dopo l'11 settembre. Alessandro Dal Lago (Il Manifesto, 10 marzo 2002) ci ricorda che Amnesty International, Statewatch e altre organizzazioni sono fortemente allarmate dalle misure allo studio da parte del Consiglio d'Europa, i cui obiettivi sono i "contestatori della legittimità dei governi", e gli "immigrati clandestini". Nell'analisi di questa ondata repressiva a tutto campo, non possiamo trascurare le saldature tra xenofobia e modelli estesi di controllo sociale: per esigenze di brevità indichiamo soltanto come sia ormai sistematica, in Italia, la pratica del comizio congiunto tra i neonazisti di Forza Nuova e parlamentari leghisti (un partito, come ben sappiamo, ampiamente rappresentato nell'attuale governo). Questo mentre si moltiplicano le retate e le espulsioni in massa di immigrati in tutte le più grandi città del paese.Come si vede, la portata dei temi con cui oggi si confronta, su scala internazionale, il movimento dei movimenti è vastissima. Firenze ha rappresentato una tappa programmatica rilevante, costruita sulla base di un crescendo di mobilitazioni che hanno visto la maturazione di relazioni alte tra soggetti diversi e la contaminazione delle pratiche di lotta (pensiamo alla questione, fondamentale e largamente assunta da tutte le "anime" del movimento, della disobbedienza alla legge Bossi-Fini).

Soprattutto, Firenze ha incrementato la possibilità di costruire il protagonismo diretto e la partecipazione attiva dei migranti all'elaborazione politica e al conflitto, sia sul terreno dei diritti politici e di cittadinanza (garanzia del diritto d'asilo; meccanismi di regolarizzazione a regime per tutti i sans-papier; costruzione di una cittadinanza inclusiva secondo il principio che è cittadino europeo chiunque nasca sul territorio europeo o vi risieda regolarmente), sia sul fronte dei diritti sociali e del mondo sindacale; e su questo versante sarà determinante la capacità delle organizzazioni sindacali di rinnovarsi e darsi nuovi obiettivi e strumenti di coinvolgimento, proseguendo anche per questa via nel percorso necessario di generalizzazione delle lotte che abbiamo visto dispiegarsi negli ultimi mesi.

gennaio - aprile 2003