Nessuno oggi, uomo o donna, può mettersi a pensare, sentire o agire se non partendo dalla propria alienazione[
]. L'alienazione, quale nostro attuale destino, può essere solo il risultato di una oltraggiosa violenza perpetrata da esseri umani contro esseri umani.
R. D. LAING, La politica dell'esperienza (1967)
1. Se aprite la pagina www.radiolacolifata.com.ar vi trovate proiettati nel sito internet di un'emittente radiofonica che trasmette da un importante "Sud del mondo", un Sud che potrebbe essere anche un "Sud Italia", tanti sono gli italiani a cui ha offerto accoglienza.
Radio La Colifata è un'emittente radiofonica argentina che, dall'agosto del 1991, trasmette dalla zona sud di Buenos Aires. È una radio resa speciale dal luogo in cui opera e da coloro che ne curano i programmi: Radio La Colifata trasmette dall'Ospedale Neuropsichiatrico José Borda di Buenos Aires e i suoi conduttori sono le donne e gli uomini in esso ricoverati. Nel gergo dei bassifondi argentini, "La Colifata" significa, infatti, "La Folle". Scorrendo le pagine del sito ci si imbatte in una serie di intensi interventi, a firma di Pedro Lipcovich, relativi alle nuove leggi argentine sulla salute mentale e, se si è un po' sciovinisti, si rimane orgogliosamente stupiti dal vedere richiamata, come punto di riferimento, una legge italiana del 1978: sotto il titolo La Constitución de la Ciudad de Buenos Aires manda "desinstitucionalizar" y "erradicar el castigo" si ricorda, infatti, che En Italia, desde 1978, las internaciones en hospitales psiquiátricos están prohibidas por ley. Quello che in Argentina viene ritenuto ancora oggi, dopo un quarto di secolo, un testo legislativo esemplare, appare in una luce completamente diversa nelle cronache che, di recente, un importante quotidiano romano, come "Il Tempo", ha dedicato al progetto di legge sulla salute mentale, attualmente in discussione in Parlamento. Sulla prima pagina del 1 ottobre 2002, campeggia in grassetto il titolo La "Basaglia" non farà più danni alle famiglie, preceduto da un occhiello che recita Dopo 24 anni si avvia l'iter per rivedere una legge che ha creato infinità di problemi. Allo sconcerto suscitato dal titolo si aggiunge quello prodotto dalle affermazioni della giornalista, che trova "grave - forse non è azzardato dire scandaloso - che in vari paesi, compresa l'Italia, solo il 2,0-2,5% della popolazione adulta, nel corso di un anno, viene trattato da servizi psichiatrici pubblici e privati", mentre, al contrario, trova "rivoluzionaria", nel disegno di legge in questione, "l'integrazione tra servizio psichiatrico e tossicodipendenze". 2. Queste contraddizioni devono essere, a nostro parere, affrontate discutendo la relazione tra il potere e la malattia mentale all'interno di quella combinazione che congiunge la tendenza del sistema produttivo capitalistico ad appropriarsi di ogni "residuo" di soggettività irriducibile alla legge del valore, e l'emersione della "follia", prodotta dalla frantumazione di quel "residuo", cioè dalla distruzione delle potenzialità sociali della persona, e poi oggettivata, nella forma della "malattia mentale", da quell'efficace strumento del potere che è il sapere medico. Le coordinate di questo tentativo di indagine possono essere rinvenute in queste parole di Franco Basaglia: "Il sistema produttivo che è venuto affermandosi si fonda sull'appropriazione della soggettività dell'uomo, quindi sulla riduzione del corpo organico a corpo, e sulla tendenziale identificazione fra corpo sociale e corpo economico. Il corpo sociale non è, infatti, che l'insieme di sistemi - dipendenti dal corpo economico, quindi dal sistema produttivo - che organizzano la massa, ridotta a tanti corpi privi di soggettività. La dialettica uomo/organizzazione si riduce, di fatto, al tentativo di identificare corpo e corpo economico, per facilitare l'assorbimento dell'uno nell'altro. È solo in questa dimensione di graduale espropriazione della soggettività dell'uomo che sarà possibile il suo smistamento nelle istituzioni della produzione e dello sfruttamento, o in quello dell'invalidazione e dell'internamento, riducendo il corpo espropriato a immagine della logica che lo espropria. L'apparato scientifico ha un ruolo cruciale in questa operazione, dato che l'oggettività della ricerca e dell'intervento tecnico sono garantiti dall'oggettualità di ciò che si indaga; esattamente come lo sfruttamento dell'uomo da parte del sistema produttivo è garantito dall'espropriazione della sua forza-lavoro. In medicina, la clinica aveva già attuato questo processo che continuerà nell'oggettivazione che la ragione fa della follia." [F. BASAGLIA, Follia/delirio (1979), in Scritti II (1968-1980) Dall'apertura del manicomio alla nuova legge sull'assistenza psichiatrica, Einaudi, Torino 1982].
Questo approccio "sociologico" ci appare ancora più convincente dal momento che, definito con malcelato disprezzo come "paradigma sociologistico", subisce durissime critiche proprio da chi si appresta a legiferare oggi intorno ai temi della salute mentale. A questo proposito, è significativo l'incipit della Relazione introduttiva alla presentazione del progetto di legge n. 174 del 30 maggio 2001 ("Norme per la prevenzione e la cura delle malattie mentali. Per migliorare l'assistenza delle persone affette da malattia mentale". Il 10 luglio 2002, dopo la discussione generale, il testo rielaborato è stato ripresentato alla XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati e costituirà il testo di riferimento per i lavori del Comitato Ristretto e della stessa Commissione, per diventare poi materiale di discussione parlamentare.) La relatrice, l'On. Maria Burani Procaccini, eletta nelle liste di Forza Italia, così si rivolge alla Commissione Affari Sociali della Camera: "Solo recentemente, con il venire meno di alcune contrapposizioni ideologiche e grazie alla disponibilità di dati relativi alla valutazione dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi psichiatrici, abbiamo potuto osservare gli esiti della riforma dell'assistenza psichiatrica del 1978 con modalità pragmatiche e con quella oggettività scientifica, impedita da rigide teorie sociogenetiche delle malattie mentali. I dati a nostra disposizione hanno evidenziato i limiti del "paradigma psicologistico" e quelli, ancor più netti, del "paradigma sociologistico". Cosicché la maggioranza degli psichiatri condivide oggi l'affermazione che, senza sottovalutare gli aspetti psicologici e sociali, è necessario recuperare una dimensione biologica e medica della malattia mentale". L'attacco ai "limiti netti del paradigma sociologistico" e la contestuale celebrazione del "pragmatismo" e dell'"oggettività scientifica" segnalano la tendenza dell'ordine sociale ad occultare la propria responsabilità nella produzione di disagio e infelicità, coadiuvato, in questo, dal desiderio dell'"espertocrazia" di riappropriarsi della gestione biologico/medica della malattia mentale. Gli obiettivi del potere si saldano, ancora una volta, con la passività sociale e il conservatorismo degli "esperti". Non è, infatti, un caso che ritorni, in forma variamente articolata, il contenuto dell'articolo 1 della legge n. 36 del 14 febbraio 1904 ("Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati"): "Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi". La pericolosità sociale del malato, cancellata dalla legge 180 del 13.05.1978 ("Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori"), ricompare nel già citato Progetto di legge n. 174 allorché si definiscono gli obiettivi delle Strutture Residenziali con Assistenza Continuata (SRA): "In ogni regione devono essere organizzate almeno tre SRA per accogliere i malati più gravi, pericolosi per sé e per gli altri o che rifiutino l'inserimento in comunità aperte" [art.2, comma 3b]; allorché si definiscono le modalità del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO): "Il TSO di urgenza [
] deve essere effettuato solo se esistano alterazioni psichiche tali da arrecare danno o pregiudizio al malato o a terzi. [
] Il TSO è effettuato di regola da personale sanitario e nel massimo rispetto delle relazioni sociali e della personalità del malato. Solo in caso di evidente pericolosità può essere richiesto l'intervento della forza pubblica" [art.3, commi 2a e 7]; allorché si tratta dell'inserimento coatto in strutture protette: "Il malato di mente ha diritto al rispetto della propria personalità. La sua situazione di abbandono non costituisce motivo di un inserimento coatto in una struttura protetta, a meno che il proseguimento della sua vita abituale non comporti un serio pericolo per la sua salute o per le sue capacità intellettive o il malato stesso non costituisca pericolo per altri.[
]" [art. 4, comma 4]. Questo concetto di pericolosità non viene eliminato dalla rielaborazione del progetto di legge 174, che nel testo del relatore, risalente al 10.07.2002, così recita: "La persona affetta da disturbi mentali ha diritto al rispetto della propria personalità. L'eventuale condizione di abbandono non costituisce motivo di un inserimento coatto in una struttura protetta, a meno che il proseguimento della sua esistenza abituale non comporti un serio pericolo per la sua salute o per le sue capacità intellettive o a meno che i comportamenti della medesima persona affetta da disturbi mentali non costituiscano rischio per sé o per altri.[
]" [art. 8, comma 3]. Sostituendo con il termine "rischio" il termine "pericolo", il sistema normativo spera di occultare la famigerata dichiarazione di "pericolosità sociale dell'individuo malato", ciò che tuttavia difficilmente gli riuscirà di nascondere è l'intenzione di scaricare sul singolo il peso dell'ordine sociale che è chiamato a custodire. 3. Sulla combinazione delle azioni giudiziaria, psichiatrica e politica insisteva, subito dopo l'entrata in vigore in Italia della legge 180, Basaglia nell'intervento Legge e psichiatria. Per un'analisi delle normative in campo psichiatrico. Impegnato a dimostrare come la "visibilità della follia" si sia data storicamente all'interno dei processi di inclusione/esclusione dal mercato del lavoro, Basaglia offriva, preliminarmente, una importante indicazione di metodo: la storia delle definizioni della follia e delle classificazioni della follia, offerte dalla scienza psichiatrica e dalle istituzioni psichiatriche, deve essere studiata in relazione alla storia delle trasformazioni sociali avviate dallo sviluppo dell'industrialismo, allorché nelle periferie dei grandi centri industriali viene concentrata la forza-lavoro necessaria alla nuova organizzazione produttiva. In queste riserve periferiche si offre allo sguardo l'ambivalenza di un'area di ricchezza e di miseria: "Si polarizza intorno ai luoghi della produzione un'ampia e composita area sociale che costituisce, al tempo stesso, la ricchezza di una nazione (in quanto riserva di forza-lavoro) e la sua miseria, in quanto miseria delle condizioni in cui essa vive. In quest'area sociale, che identifica e contiene tutti coloro che altro non sono che lavoro sul mercato, si ritagliano, variabili in ampiezza, le fasce di coloro che sono inclusi nel mondo produttivo e di quanti la variabile rigidità dei criteri di selezione tende ad escludere." [F. BASAGLIA, Legge e psichiatria. Per un'analisi delle normative in campo psichiatrico, in Scritti II, cit., p. 445] L'esclusione dall'ordine produttivo della società se, da un lato, coincide con l'esclusione dal suo ordine razionale, dall'altro, non può smarcarsi dalla onnipervasiva capacità di controllo di questo. La razionalità reticolare dell'ordine sociale non può permettersi di lasciar cadere dalle sue maglie l'improduttività della follia. Tocca allora al sapere scientifico costruire la categoria di "malattia" necessaria ad offrire sistemazione razionale alla follia, mentre tocca all'istituzione manicomiale il compito di ordinarla e contenerla. La responsabilità delle "scienze umane" è così descritta nelle pagine di Basaglia: "Nel composito mondo della miseria va così definendosi la sua area produttiva e perciò stessa "razionale", "sana". All'opposto è situato tutto ciò che, in quanto improduttivo, è invalidato a priori e rientra in quell'area sociale in cui le scienze umane scoprono, classificano e separano la devianza e la malattia e via via le devianze e le malattie". Sarà, poi, il sapere medico, tutto concentrato sulla gestione della malattia, a spostare l'attenzione sull'opposizione sano/malato, occultando quella originaria situata sul confine della produttività/improduttività. Per Basaglia, tuttavia, alla scienza medica non riesce del tutto questa strategia di occultamento della contraddizione primaria da cui ha origine la malattia, tanto che deve cercarsi un completamento nella sanzione giuridica: "[
] il concetto di "pericolosità sociale" - proprio del campo giuridico - viene giustificato e razionalizzato dentro le categorie mediche, o meglio il modello medico è costretto nella necessità della sanzione giuridica". Questo completamento/costrizione nella necessità della sanzione giuridica è molto più di un semplice escamotage studiato dalla psichiatria per garantirsi il riconoscimento di una propria funzione sociale; la definizione normativa, infatti, offre al sapere psichiatrico addirittura il suo oggetto di analisi. In un reciproco rimando, la psichiatria adotta la definizione di malattia costruita dall'apparato giudiziario: "[...] il concetto di pericolosità sociale rappresenta così, al tempo stesso, la ragione della sanzione giuridica e la grande "categoria diagnostica" da cui si ritagliano e si differenziano successivamente le altre". Tutto quello che può mettere in pericolo l'equilibrio della organizzazione sociale viene riconosciuto dalla psichiatria come "malato" e, in quanto tale, è destinato ad essere asportato onde evitare rischiose forme di diffusione: "Salute e guarigione sono perciò, nella psichiatria, la salute e la guarigione del corpo sociale: il singolo corpo malato diventa puro germe, luogo di infezione, veicolo di contagio, che va riconosciuto, selezionato e sterilizzato nel vuoto sociale del manicomio". La combinazione di sanzione e separazione suggella in modo inequivocabile la relazione della psichiatria con la giustizia. Basaglia elenca così i tre snodi essenziali di una struttura di azione nella quale è possibile riconoscere sia l'operato del tecnico dell'apparato giudiziario, che di quello dell'apparato psichiatrico: (1) riconoscimento della pericolosità sociale (giustizia) - riconoscimento della malattia (psichiatria); (2) sanzione (giustizia) - contenzione (psichiatria); (3) restrizione della libertà personale (giustizia) - internamento (psichiatria). A questo riguardo è di particolare interesse il ruolo attribuito al Ministero dell'Interno nella legislazione italiana. Nell'articolo 8 della legge n. 36 del 14 febbraio1904, dedicato a Vigilanza sui manicomi e sugli alienati, emerge in modo evidente il ruolo giocato dal Ministero dell'Interno. I primi tre commi di questo articolo recitano: "La vigilanza sui manicomi pubblici e privati e sugli alienati curati in casa privata è affidata al Ministro dell'Interno ed ai Prefetti. Essa è esercitata in ogni provincia da una commissione composta del Prefetto, che la presiede, del medico provinciale e di un medico alienista nominato dal Ministro dell'Interno. Il Ministro deve disporre ispezioni periodiche". Al Regolamento sui manicomi e sugli alienati, promulgato con Regio Decreto del 16 agosto1909 al fine di disciplinare l'applicazione della legge del 1904, toccava poi dettagliare i compiti del Ministero dell'Interno negli articoli 12, 25, 83, 85, 89, 92. In modo particolare, l'art. 89 offre una efficace idea del sistema di controllo attivato dall'apparato governativo: "I Prefetti, sentita la Commissione di vigilanza, di cui all'art. 8 della legge, debbono inviare ogni anno al Ministero dell'Interno, non più tardi del mese di febbraio, una relazione generale sul servizio dei manicomi e degli Istituti, [
] nonché sul servizio di cura degli alienati in casa privata". Anche la legge-stralcio n.431 del 18 marzo1968 contempla, sebbene limitatamente a questioni di finanziamenti statali, un ruolo importante per il Ministero dell'Interno. Nell'art.5, infatti, si può leggere: "Il Ministro per la Sanità, con propri decreti, di concerto con il Ministro per l'Interno limitatamente ai centri o servizi di igiene mentale e agli ospedali psichiatrici dipendenti dalle province, autorizzerà annualmente per ciascuna provincia o altro ente pubblico da cui dipendano ospedali psichiatrici il numero delle nuove unità di personale da assumere e le relative spese.[
] Con decreto del Ministro per la Sanità, di concerto con i Ministri per l'Interno e per il Tesoro, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, saranno stabiliti, sentite le organizzazioni sindacali di categoria per i miglioramenti dei medici, gli stipendi tipo per ciascuna categoria di personale e le voci e le misure delle indennità [
]" Nell'art. 3 della stessa legge si prescrive, tra l'altro, di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza la dimissione di persone affette da disturbi psichici ricoverate di autorità. Nella legge n.180 del 1978, il Ministero dell'Interno viene citato soltanto come destinatario di informative relative a trattamenti sanitari obbligatori disposti dai sindaci per cittadini stranieri o apolidi. Nell'art. 3 ("Procedimento relativo agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale") si legge: "Il provvedimento [
] con il quale il Sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizione di degenza ospedaliera, corredato dalla proposta medica motivata [
] e dalla convalida [
], deve essere notificato, entro 48 ore dal ricovero, tramite messo comunale, al Giudice Tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune. Il Giudice Tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al Sindaco. In caso di mancata convalida il sindaco dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera. [
] Se il provvedimento di cui al primo comma del presente articolo è adottato nei confronti di cittadini stranieri o di apolidi, ne va data comunicazione al Ministero dell'Interno e al consolato competente, tramite il Prefetto [
]". Basaglia aveva insistito su questo passaggio della legge, poiché vedeva nel nuovo ruolo giocato, relativamente al TSO, dal Sindaco, cioè dall'autorità locale responsabile a livello politico e amministrativo, un modo per far sì che il problema della difesa della società dalla malattia mentale diventasse una questione di "responsabilità politica nell'organizzazione dei servizi e non più fondamento della ghettizzazione dei malati". Nelle proposte di legge attualmente in discussione la figura del Sindaco, nella sua funzione di autorità sanitaria locale, esce di scena e il TSO diviene competenza del medico. È importante notare come in relazione al TSO disposto da personale sanitario rientrino in gioco la questione della pericolosità e le competenze dell'apparato repressivo. Il comma 7 dell'art. 3 della proposta di legge n. 174 (30 maggio 2001) recita: "Il TSO è effettuato di regola da personale sanitario e nel massimo rispetto delle relazioni sociali e della personalità del malato. Solo in caso di evidente pericolosità può essere richiesto l'intervento della forza pubblica". Questa disposizione viene così rielaborata nel testo del 10 luglio 2002, al comma 7 dell'art. 7: "Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) è disposto da un medico del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) e con convalida di un medico specialista in psichiatria ed è sottoposto, entro 24 ore, alla valutazione della Commissione di cui al comma 13. È eseguito dalle Forze dell'Ordine [
]". Alle Forze dell'Ordine ci si richiama anche nel comma 4 dello stesso articolo, relativo ai TSO di urgenza: "Il trattamento sanitario obbligatorio d'urgenza (TSOU) può essere richiesto da un medico, nei confronti di soggetti che presentino evidenti disturbi comportamentali e tali da far supporre l'esistenza di alterazioni psichiche. Deve essere convalidato da uno psichiatra esercente la professione, in relazione alla presenza di alterazioni psichiche che richiedano urgenti interventi terapeutici e, qualora gli stessi non siano accettati dalla persona affetta da disturbi mentali, è eseguito da personale delle Forze dell'Ordine". È importante ricordare, a questo proposito, che il disegno di legge prevede che il TSOU possa essere richiesto sia "per patologie fisiche che il malato rifiuta di curare o per soggetti anziani ultrasessantenni" (comma 5 art. 7), che "per soggetti in stato di intossicazione da alcool o droghe" (comma 6 art. 7). Il richiamo alle Forze dell'Ordine dimostra, ancora una volta, che la questione della follia è nella sua essenza un "affare di polizia", cioè una questione relativa alla sorveglianza degli individui indisponibili ad integrarsi nelle norme della produzione. E la polizia, come magistralmente argomentato dall'opera di Michel Foucault, appare in Europa alla metà del secolo XVII negli stessi anni in cui ha luogo l'internamento della marginalità. In Francia, addirittura, è con uno stesso editto che, nel 1650, vengono istituiti i luoghi di internamento e i luogotenenti di polizia. 4. La tendenza a presentarla come "la legge che ordina la chiusura dei manicomi" ha finito con l'occultare il vero punto di forza della "legge 180", che riguardava, di certo, l'attacco all'istituzione manicomiale e alla psichiatria di stampo positivistico da cui essa discendeva, ma lo faceva in quanto portatrici di una logica dell'emarginazione di classe. In uno dei suoi ultimi interventi Basaglia insiste proprio su questa funzione demistificante: "[
] una cosa è dire che un servizio rinchiude cinquanta persone "malate" e altra cosa è dire che rinchiude cinquanta persone diseredate, che devono stare dentro un servizio che non dà alcuna risposta ai loro problemi [
], perché è la società che, di fronte al problema della miseria, non dà altra risposta se non il controllo e l'emarginazione di queste persone, non in quanto povere, ma in quanto "pazze"". [F. BASAGLIA, Conversazione sulla Legge 180, in Scritti II, cit.]. Smascherare la funzione di controllo sociale dell'istituzione psichiatrica significava fare esplodere una contraddizione che il potere avrebbe potuto superare soltanto progettando qualcosa di alternativo, dal momento che essa avrebbe portato l'opinione pubblica ad una significativa presa di coscienza. Questa decisiva operazione politica veniva provocatoriamente presentata, con una espressione derivata dal lessico della medicina, come una attività di "prevenzione": "Prevenzione è innanzitutto presa di coscienza. Il problema è che la gente capisca quali sono i propri bisogni e comprenda l'alienazione in cui vive. Nel momento in cui noi facciamo emergere delle contraddizioni, nella pratica sociale, noi contribuiamo a promuovere un processo di presa di coscienza." Seguendo queste argomentazioni dobbiamo chiederci che cosa è cambiato nei processi sociali, se il progetto di legge oggi in discussione in Parlamento prevede, all'art. 17, l'abrogazione degli art. 34, 35 e 64 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978, cioè degli articoli in cui la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale recepiva in massima parte le disposizioni della legge 180. Dobbiamo chiederci che cosa è cambiato nella società civile, se le attività di "prevenzione" contemplate dallo stesso progetto di legge sono lontanissime dal prefigurare la "presa di coscienza" di basagliana memoria, per diventare espressione di una dura ideologia della difesa sociale, che punta ad un controllo dei soggetti fin dalla più tenera età: "I Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) hanno l'obbligo di collaborare con le istituzioni scolastiche per compiti di prevenzione delle malattie mentali e di informazione in favore del corpo insegnante. [art. 3, comma 5]. Per l'individuazione precoce delle situazioni di rischio psicopatologico e dei disturbi psichici, il ministro della salute, con proprio decreto, stabilisce le modalità di realizzazione di specifici programmi atti alla diffusione di appropriati e soddisfacenti interventi presso le scuole, ad iniziare da quelle materne. I programmi devono prevedere procedure di screening e preparazione degli insegnanti. [art. 15]". Poco consolati dall'ambiguità dell'art.15, che non chiarisce compiutamente se lo screening riguarderà gli studenti o gli insegnanti o entrambi, crediamo che, senza nulla toglierle, sarebbe troppo riduttivo attribuire soltanto alla volontà di una maggioranza parlamentare la responsabilità di un mutamento di prospettiva così radicale. Dobbiamo, allora, chiederci cosa è cambiato in quei movimenti che "dal basso", negli anni Settanta, si erano impegnati ad incidere sulla gestione statale dei servizi e, contemporaneamente, sull'impegno per una fruizione diretta dei diritti di cittadinanza, al di fuori della logica della delega. Si tratta di capire cosa è cambiato, nell'ultimo ventennio, nelle relazioni di potere se il sempre maggiore consenso per la bio-psichiatria trova riscontro anche nelle parole del discorso di presentazione dell'attuale progetto di legge, allorché la Burani Procaccini sostiene che: "[
] la maggioranza degli psichiatri condivide oggi l'affermazione che, senza sottovalutare gli aspetti psicologici e sociali, è necessario recuperare una dimensione biologica e medica della malattia mentale. [
] Solo recentemente la dimensione biologica e medica delle malattie mentali è sta rivalutata e con essa anche il corretto uso degli psicofarmaci, perniciosamente demonizzati in passato". La propaganda biopsichiatrica che emerge in questo recupero della dimensione biologica della malattia mentale e dell'efficacia degli psicofarmaci, naturalmente con il codicillo relativo al loro "uso corretto", non può essere semplicemente letta come la conseguenza della prevalenza di una lobby medico-farmaceutica sulla decisione politica, in gioco è, invece, una questione di civiltà, o meglio in gioco sono "due progetti alternativi di società". La medicalizzazione crescente delle attività mentali ha concentrato una quantità enorme di potere nelle mani dei tecnici (bio-medici) ai quali è stato sempre di più affidato "l'arbitrato su ciò che è logico o illogico nelle menti altrui"; mentre i soggetti comuni, e ciò vale in modo particolare per gli 'svantaggiati', sono stati privati del "diritto alla ricerca di forme di consenso (o dissenso) su nuove possibilità e regole di coesistenza tra diverse-diversi" [cfr. F. DI PAOLA, L'istituzione del male mentale. Critica dei fondamenti scientifici della psichiatria biologica, manifestolibri, Roma 2000]. Con nuove parole e con nuove analisi, ancora una volta torniamo a Basaglia che riteneva il problema della nuova psichiatria come un problema politico, la cui soluzione, o quanto meno la sua comprensione in quanto problema, è affidata ad una "società matura [
], che superata la fase schizo-paranoidea della proiezione del male all'esterno - ammetta e ricerchi nel suo stesso seno le origini di tale male. Il che significa una società disposta a porre in discussione le proprie strutture, il mito del benessere ed il fine supremo della produttività" [F. BASAGLIA, Esclusione, programmazione e integrazione, in Scritti I (1953-1968) Dalla psichiatria fenomenologia all'esperienza di Gorizia, Einaudi, Torino 1981]. Proprio a partire dai meccanismi della produttività occorre chiedersi che cosa sta accadendo ad una società come quella italiana, che, guardando all'impianto della proposta di legge avanzata dalla maggioranza politica oggi al governo, si sarebbe tentati di descrivere in piena fase schizo-paranoidea, tanto è portata a proiettare all'esterno i mali che ha covato nel suo seno. Una risposta la offriva lo stesso Basaglia, quando spiegava la fine dell'atteggiamento assistenziale di stampo caritativo con la transizione del paese verso una economia industriale consapevole di dover allestire un nuovo sistema di controllo su tutta l'area dell'emarginazione che sarebbe stata prodotta. La territorializzazione dei servizi, anche se si configurava come un superamento dell'assistenzialismo concentrazionario del manicomio, trovava, per Basaglia, la sua ragione nella possibilità di allestire una procedura di controllo gestibile attraverso le forme di decentramento assistenziale richieste proprio dal tendenziale decentramento del capitale. Si trattava, in fin dei conti, di una sofisticata sostituzione del "controllo diretto" con una "ideologia del controllo", destinata a risultare efficace quanto, ad esempio, la istituzionalizzazione della tortura, che funziona, al di là di una sua applicazione concreta, in quanto costituisce una minaccia incombente sulla vita di tutti i membri di una società. Il boom economico e l'esigenza di gestire efficacemente i problemi di un paese industrializzato costringevano la classe dominante italiana a costruire una "ideologia dominante" strutturata su di una scienza e una tecnica nuove. Basaglia si rendeva conto che in quella fase storica si aprivano importanti possibilità di riforma dei servizi, ma era altrettanto ben consapevole del fatto che esse avrebbero potuto sfociare in due direzioni opposte: una conservatrice, volta a riproporre in nuove forme assistenzialistiche le mistificazioni della psichiatria, l'altra progressista, incardinata sull'inserimento della psichiatria all'interno della riforma della sanità. La promulgazione delle leggi 180 e 833 del 1978 sanciva la prevalenza della linea progressista. Sulla base di queste valutazioni di Basaglia è possibile sostenere che quanto accade oggi non è da ritenere un evento radicalmente nuovo, ma consiste semplicemente nel riflusso su se stesse delle energie convogliate lungo la linea progressista dalle lotte sociali dei movimenti di base dei decenni '60/'70. Questo riflusso, spiegabile con l'esaurimento di quelle spinte propulsive, determina una ripartenza inerziale delle stesse, ormai ritornate al punto di origine della biforcazione, in direzione delle prospettive conservatrici. In questo nuovo cammino, quelle energie vengono sostenute dalle esigenze che la classe al potere manifestava già prima della promulgazione della legge 180, ma che allora erano contrastate da lotte sociali di cui oggi si è perduta la memoria. Esigenze che Basaglia acutamente descriveva ricorrendo alle tendenze dell'organizzazione sociale al controllo della marginalità improduttiva: "La classe al potere può anche tollerare i cambiamenti, purché questi vengano riassorbiti, risistemati, razionalizzati. Ciò che non può tollerare è la confusione, in questo caso la mancanza di confini tra miseria e povertà, il venir meno della specificità. Ciò spiega come sia diffusa oggi l'esigenza di produrre riflessioni, studi e teorie che ripropongono il problema della follia nella sua specificità [
]" [F. BASAGLIA, Conversazione sulla legge 180, cit.]. Oggi sono proprio questi gli studi a cui la Burani Procaccini si richiama nel presentare il suo progetto di legge: "Il progresso culturale e scientifico ha poi messo in crisi visioni anacronistiche e ascientifiche, che spingerebbero la psichiatria nella zona grigia delle helping profession. [
] Il "farsi navigatori per mari sconosciuti", come sostenevano i fautori di una psichiatria basata su un approccio spontaneistico ai disturbi mentali, frustrato dalla realtà della cronicità e della sua difficile gestione, deve oggi lasciare il posto ad un approccio che ricorra a linee guida precodificate secondo il modello medico-scientifico". A tutto questo ci piace replicare con le parole con cui Antonin Artaud apriva, alla metà degli Anni Venti, la sua lettera ai primari dei manicomi: "Signori, le leggi, il costume vi concedono il diritto di misurare lo spirito. Questa giurisdizione sovrana, temibile, è con il vostro intelletto che la esercitate. Lasciateci ridere". LASCIATECI RIDERE! |
gennaio - aprile 2003 |