Flussi D'intensità. Ricchezza dell'essere
di Ilia Binetti

Capitalismo e schizofrenia

"Promuovere un'altra logica, una logica del desiderio reale, che stabilisca il primato della storia sulla struttura; un'altra analisi, svincolata dal simbolismo e dall'interpretazione; e un altro militantismo, in grado di darsi i mezzi per liberarsi da solo dai fantasmi dell'ordine dominante."(F. Guattari, 1972)

Cercare un centro nel caos che sottende l'essere è un salto che identifica una battuta d'arresto rassicurante, sonorità che coglie una stabilità dalla durata incerta, in quanto suscettibile di frantumarsi ad ogni momento. Improvvisamente tutti gli elementi si compattano "la consistenza si stabilisce necessariamente fra elementi eterogenei: ... gli eterogenei che si limitavano a coesistere o a succedersi sono presi ora gli uni negli altri, per il ‹consolidamento› della loro coesistenza e della loro successione."(G. Deleuze - F. Guattari, Sul ritornello. Millepiani, III. Castelvecchi 1997) È come se il caos raggiungesse il suo equilibrio in quel contesto.La dinamicità e la ricchezza insite nella dimensione naturale e di conseguenza umana, spingono Deleuze e Guattari a percorrere profondità remote per far emergere e riconoscere le "ecceità" presenti. Per attuare questo ribaltamento di prospettiva bisogna vivere diversamente lo spazio e il tempo che viviamo, destrutturando ciò che per necessità di ordine e di disciplina costringe ad incasellare e a sequenziare in maniera codificata: allo spazio misurabile, ‹spazio striato›, e al tempo conseguente, sostituire una visione di spazio, ‹spazio liscio›, che non è definito da confini, ma si lascia abitare, attraversare, e un tempo fatto di intensità dinamiche che gli autori chiamano ritornello. Lo ‹spazio liscio› è quello nel quale entriamo, ma per superarlo, per andare oltre, per esprimere qualitativamente il nostro passaggio, un passaggio nomade che si arricchisce nella territorializzazione e si protende verso altre localizzazioni. Deleuze e Guattari delineano, attraverso la descrizione degli spostamenti del popolo migrante questa dimensione: "Il nomade è là, sulla terra ogniqualvolta si forma uno spazio liscio corrosivo che tende ad espandersi in tutte le direzioni. Il nomade abita questi luoghi, resta in questi luoghi e li fa crescere; per questo si può constatare che il nomade forma il deserto non meno di quanto il deserto formi lui. È vettore di deterritorializzazione. La variabilità, la polivocità delle direzioni, è un tratto essenziale degli spazi lisci, del tipo rizoma... Il nomade, lo spazio nomade, è localizzato, non delimitato. Quel che è ad un tempo limitato e limitante è lo spazio striato, il globale relativo; ... e ciò che è limitante ... è quest'insieme in rapporto agli spazi lisci che ‹contiene› di cui frena o impedisce la crescita, e che limita o espelle." La possibilità di cogliere il phylum macchinico è abitare il mondo non in sovrapposizione ma immergendosi in esso, concatenandosi con tutti gli elementi che lo compongono e le melodie che gli sono proprie, in un unico respiro cosmico di cui conserviamo nel nostro interno il senso.""Non si tratta più esattamente di estrarre costanti a partire da variabili, ma di mettere le variabili stesse in stato di variazione continua"."Ma è sempre possibile situarsi al livello di singolarità prolungabili da un phylum all'altro, riunendoli insieme. Al limite, c'è una sola, una stessa discendenza filogenetica, un solo identico phylum macchinico, idealmente continuo: il flusso di materia-movimento, flusso di materia in variazione continua, portatore di singolarità e di tratti di espressione. Questo flusso operatorio ed espressivo è tanto naturale quanto artificiale: è come l'unità dell'uomo e della Natura."Le singolarità si concatenano in maniera creativa attraverso selezioni, organizzazioni e stratificazioni per costituire anche ‹culture› o ‹epoche›. In questo movimento "discontinuità selettive nella continuità ideale della materia-movimento" differenziano il phylum e lo dividono in phyla diversi. Non tener conto delle forze propulsive che tendono fuori, oltre ogni limite, espressioni di un "senso" cosmico che trova la sua unità in un centro remoto che collega tutti i centri relativi, annulla la possibilità di cogliere la vita che si esprime ovunque componendosi, disfacendosi e ricomponendosi, incessantemente, in una visione spazio-temporale che procede per consolidamenti qualitativi e in cui gli elementi stessi in atto danno poi, quindi successivamente, il significato del compattamento. Lo spazio liscio fornisce una visione differente rispetto allo spazio striato che è lo spazio misurabile. "Lo spazio liscio è appunto quello del più piccolo scarto: non presenta omogeneità se non fra punti infinitamente vicini e il raccordo delle vicinanze avviene indipendentemente da ogni via determinata."Il tempo in quanto flusso che consente alle azioni di comporsi, scomporsi e ricomporsi è pertanto un insieme dinamico. Purtroppo oggi viviamo un tempo contratto nell'immediatezza dei momenti. Forma a priori del tempo, secondo i nostri autori, il ritornello, svolge in casi differenti funzioni diverse e fabbrica tempi diversi: al ritornello che concatena un territorio può affiancarsi il ritornello che riguarda funzioni territorializzate come, per esempio, la territorializzazione dei mestieri e dei lavori o la territorializzazione della distribuzione e dei prodotti; è un ritornello anche il passaggio a nuovi concatenamenti, attraverso la deterritorializzazione-riterritorializzazione; oppure la concentrazione di forze all'interno del territorio, o fuori di esso in una deterritorializzazione assoluta che lo rende cosmico fino al "... cosmo come immenso ritornello deterritorializzato."Così come qualsiasi enunciato macchinico,"... il ritornello diventa ad un tempo molecolare e cosmico...". In una sequenza musicale è l'intervallo che si ripete tra una strofa e l'altra, che consente il passaggio da un concatenamento ad un altro, che ne supera uno per aprirne un altro. "La musica molecolarizza la materia sonora, ma diviene capace così di captare forze non sonore, come la Durata, l'Intensità. Rendere la Durata sonora." e ancora "... il suono ci invade, ci spinge, ci trascina, ci attraversa. Abbandona la terra, tanto per farci cadere in un buco nero quanto per aprirci ad un cosmo. ... Estasi e ipnosi. ... Il ritornello è sonoro per eccellenza." "... è un prisma, un cristallo di spazio-tempo. Esso agisce su ciò che lo circonda, suono o luce, per trarne vibrazioni di vario tipo, decomposizioni, proiezioni e trasformazioni. Il ritornello ha inoltre una funzione catalitica: non soltanto aumentare la velocità degli scambi..., ma assicurare interazioni indirette fra elementi privi dell'affinità detta naturale e formare così delle masse organizzate."Il suono, espressione del ritornello, ci permette di ascoltare il silenzio, ascoltare il suono del silenzio: questo ossimoro ci riporta a dimensioni rarefatte dove poter cogliere il semplice, il naturale, il phylum cosmico, offrendo la possibilità di evocare un paesaggio o un personaggio in una esplosione di dinamismo vitale. Nel dispiegarsi di queste figure emergono le spinte creatrici che sono intrinseche e imprevedibili. Spinte che possono apportare elementi utilizzabili all'interno del sistema, o scontri. Lo scontro è in ogni caso dinamismo, è il caos che si insinua e che spinge un po' più in là per la ricomposizione di un centro. In questo movimento, il ritornello si distende e offre lo spazio per il compattamento. Il consolidamento ha in sé già le spinte che lo porteranno oltre, oppure lo faranno sprofondare in un buco nero se non sarà possibile dar voce all'espressività contenuta nel flusso di energia. L'articolazione di un insieme complesso nel mondo vivente non rappresenta una semplice addizione degli elementi in campo "ma costituzione di un nuovo piano come di un plusvalore. Piano ritmico o melodico, plusvalore di passaggio o di ponte...".Il comportamento animale in natura segue lo stesso dinamismo. "Lo Scenopoietes, l'uccello magico. ... Non ha colori vivaci... Ma il suo canto, il suo ritornello, si sente da molto lontano... Canta sul suo bastone da canto, ramo o liana, appena al di sopra della scena che ha preparato, contrassegnata dalle foglie tagliate e rovesciate che contrastano con la terra. Mentre canta, scopre la radice gialla di alcune piume sotto il becco: si rende visibile nello stesso tempo in cui si rende sonoro. Il suo canto forma un motivo complesso e vario, tessuto con le sue proprie note e con quelle di altri uccelli che imita negli intervalli. Si forma dunque un consolidato che ‹consiste› in suoni specifici, suoni di altre specie, tinta delle foglie, colore della gola: l'enunciato macchinico o il concatenamento d'enunciazione dello Scenopoietes."Allo stesso modo e con maggiore complessità le relazioni interpersonali hanno bisogno di dipanarsi ed esprimersi attraverso tutta la poliedricità dei comportamenti e la messa in gioco di articolazioni corrispondenti a "stati" differenti. Ognuno di noi condivide parte di sé con altri, parte con altri ancora, relativamente all'interscambio. Gli elementi in gioco e altri ancora, si concatenano. Prendiamo in considerazione la comunicazione "umana" che si instaura attraverso Internet. Lo spazio striato ci avvolge, settorializzando l'espressività del nostro flusso vitale, falsando la libertà di relazioni attraverso codici che appartengono ad un meccanismo strutturato per il funzionamento di un controllo senza barriere. Dove maggiormente si ha l'impressione di viaggiare liberi, la dipendenza è totale. La necessità del contatto senza limiti col mondo, ci sradica dal concatenamento in maniera innaturale. Si instaura all'istante una comunicazione che lega due realtà soggettive, in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, si inserisce prepotentemente in un contesto, irrompe rumorosamente nel flusso vitale e si impone, in una situazione di totale esproprio del proprio essere: in un tempo che non si distende passiamo indifferentemente in situazioni varie e distanti tra loro il cui unico punto di contatto siamo noi, ma noi fuori dal mondo. Viviamo allora in una dimensione lontana da quella descritta dai nostri autori per i quali "... il phylum macchinico è la materialità, naturale o artificiale, e le due cose insieme, la materia in movimento, in flusso, in variazione, in quanto portatrice di singolarità e di tratti d'espressione. ... Questa materia-flusso può soltanto essere seguita."La multiforme capacità espressiva della varietà di manifestazioni individuali incastonate in un contesto sociale è resa inespressiva dalla forza di omogeneizzazione dell'apparato di potere. L'organizzazione dello Stato che struttura la vita attraverso le azioni e le funzioni che danno per effetto il lavoro e la produzione, ingloba le forze creatrici, innovative o comunque "altre" per utilizzarle a proprio vantaggio, impedendo loro di esprimersi. La rigidità di un apparato, per forza di cose, coglie solo ciò che è funzionale al suo esistere, lasciando fuori gli elementi destabilizzanti o fagocitandoli per renderli inoffensivi. Ma all'interno della dimensione strutturata, costantemente, spinte creatrici pretendono di esprimersi e la forza che posseggono, per necessità, lotta contro la struttura definita dello Stato."Il problema si pone nel momento in cui lo Stato, contro cui si rivolgono queste forze portatrici di spazi lisci, le inserisce in uno spazio striato fornendo il supporto per la guerra, rendendole oggetto di guerra, piegate ai fini del potere. Il problema della guerra è sottomesso allora ai rapporti che si instaurano fra la macchina da guerra e lo Stato in quanto apparato. Macchine da guerra si costituiscono contro gli apparati che si appropriano della macchina e che fanno della guerra il loro problema e il loro oggetto: esse fan valere delle connessioni, di fronte alla grande congiunzione degli apparati di cattura o di dominio."La macchina da guerra rappresenta ciò che non è incasellabile, paragonabile a popoli nomadi che non creano barriere nel loro spostamento ma attraversano lo "spazio liscio", creando buchi i quali non alterano il paesaggio ma lo occupano momentaneamente, respirando il soffio delle forze naturali che in un flusso ininterrotto sottendono l'azione. La macchina da guerra è la forza propulsiva che consente l'emergere di nuove forze le quali però non hanno come oggetto la guerra in quanto tale. È vero che "... lo Stato non si appropria di questa dimensione della macchina da guerra senza sottometterla a regole civili e metriche destinate a limitare strettamente, controllare, localizzare la scienza nomade e vietarle di sviluppare le sue conseguenze attraverso il campo sociale." È vero anche che lo Stato, però, non può annientare il "senso" che si ricompone e si esprime nuovamente, senza preavviso, in un processo non consequenziale che stabilisce legami con altre spinte anche esterne e ricompatta, si consolida, crea la ‹consistenza›, passa ad altro per collocarsi altrove, ‹territorializzandosi› in un altro concatenamento. Pertanto, sia la storia che la scienza devono confrontarsi con un'articolazione dinamica e pulsante nella quale la staticità venga bandita perché non rappresenta che un istante di un continuum. "Bisognerebbe opporre due tipi di scienze o di procedimenti scientifici: uno che consiste nel ‹riprodurre›, l'altro che consiste nel ‹seguire›." "Nel campo d'interazione delle due scienze, le scienze girovaghe si limitano ad inventare problemi, la cui soluzione rimanderebbe a tutto un insieme di attività collettive e non scientifiche, ma la cui soluzione scientifica dipende invece dalla scienza regale e dal modo in cui essa ha trasformato il problema facendolo entrare nel suo apparato teorematico e nella sua organizzazione del lavoro."Riconoscere allora la valenza della macchina da guerra, come macchina desiderante, significa rendere ‹possibile› il reale e recuperare il senso della storia. Non si tratta di aggiungere ma di lasciar essere, prima di interpretare. Bisogna immaginare la guerra come idea, eleggere la macchina da guerra a possibilità della storia di essere, a possibilità del desiderio di farsi realtà, desiderio che è sempre rivoluzionario in quanto, essendo macchina espressiva, si scontra con le ‹molarità› rassicuranti del potere."La guerriglia, la guerra di minoranza, la guerra popolare e rivoluzionaria, sono conformi all'essenza perché prendono la guerra come un oggetto tanto più necessario in quanto è soltanto ‹supplementare›: non possono fare la guerra se non a condizione di creare nello stesso tempo qualcosa d'altro, al limite nuovi rapporti sociali non organici."Anche un movimento artistico, scientifico, "ideologico", potenzialmente è una macchina da guerra, espressione di linee di fuga creatrici, contenenti tutta la ricchezza insita in una consistenza che conserva e salvaguarda il rapporto con un phylum. Questa macchina desiderante nella quale si intersecano serie trasversali, espressioni di intensità e di flussi, altro non è che la storia che si esprime nel suo primato sulla struttura. Così Deleuze e Guattari: "Quel che appare evidente è che le bande come le organizzazioni mondiali implicano una forma irriducibile allo Stato, e che tale forma d'esteriorità si presenta necessariamente come quella di una macchina da guerra, polimorfa e diffusa. ... La forma-Stato, come forma d'interiorità, tende a riprodursi, identica a sé attraverso le sue variazioni, ... sempre rivolta verso il pubblico riconoscimento... Ma la forma d'esteriorità fa si che la macchina da guerra non esista al di fuori delle sue proprie metamorfosi; essa esiste in un'innovazione industriale come in un'invenzione tecnologica, in un circuito commerciale, in una creazione religiosa, in tutti quei flussi e quelle correnti che non si lasciano appropriare dagli Stati se non secondariamente. Non è in termini d'indipendenza, ma di coesistenza e di concorrenza, in un campo perpetuo d'interazione, che bisogna pensare l'esteriorità e l'interiorità, le macchine da guerra a metamorfosi e gli apparati di Stato identitari... Un medesimo campo circoscrive la sua interiorità negli Stati, ma descrive la sua esteriorità in ciò che sfugge agli Stati o insorge contro di essi."

Pensare il reale nella sua produttività molecolare e macchinica, cioè un reale senza significati e interpretazioni, luogo dove poter ricominciare a pensare, significa allora, recuperare una dimensione in cui la storia e la natura risultino finalmente coestensivi.

gennaio - aprile 2003