Devolution come Evolution
di Pasko Simone

Ma proprio nella misura in cui non si è disposti ad accettare che certe scelte di fondo si operino sulla nostra testa, bisogna dire che il Mezzogiorno d'Italia è oggi nel mondo uno dei luoghi in cui, sia pure in forme meno vistose e clamorose che nel Vietnam, nell'America latina e nei ghetti neri delle metropoli americane, si gioca il destino di un certo tipo di democrazia e vengono messi decisamente alla prova i valori che la società borghese ha ereditato dall'Illuminismo e che l'evoluzione capitalistica ha largamente contraddetto e negato.
Michele Abbate, L'alternativa meridionale, 1968

Non so se l'onorevole leghista Umberto Bossi, entrato, di certo superando il suo viscerale disgusto per "Roma ladrona", a far parte del parlamento italiano rimanendo, nel contempo, membro autorevole di un sedicente parlamento padano (quel che si dice "avere due piedi in una scarpa"), non so, dicevo, se la sua conoscenza della lingua inglese sia migliore di quella del Cavalier Berlusconi, rivelatasi molto carente in più di una occasione nel corso delle sue picaresche imprese da incaricato degli affari esteri ad interim e ad libitum.

Noi che l'inglese lo mastichiamo da una vita e che, a differenza dei due, abbiamo letto in originale l'opera omnia del massimo esponente di quell'idioma, il drammaturgo William Shakespeare, sappiamo della "devolution" qualcosa di più di ciò che su di essa si sbandiera in giro.

Il termine "devolution", che corrisponde all'italiano moderno "devoluzione", dal significato piuttosto oscuro per la maggior parte dei comuni mortali, viene dal tardo latino "devolutio" che nel gergo politico ha finito per indicare non un semplice passaggio di poteri, ma una vera e propria alienazione degli stessi a favore di qualcun altro. La devolution, quindi, è sì un delegare ad altri, ma è anche un alienare, un perdere, un rinunciare. L'accezione politico-giuridica del termine inglese "devolution" corrisponde, infatti, a quella scientifico-biologica che indica il perfetto contrario di "evolution" (ital. = evoluzione) e che pertanto significa semplicemente: "involuzione".

Il processo proprio della devolutione leghista è quindi una vera e propria involuzione sociale e politica che va inquadrata in un passaggio di poteri da un soggetto giuridico ad un altro soggetto giuridico a seguito di una "degradazione" progressiva del normale processo evolutivo.

Si tratta di prendere atto, in Italia come altrove, ma in Italia più che altrove, che l'ideologia separatista della Lega Nord, nonché dei conseguenti sussulti razzisti della cosiddetta "etnia padana", non è che l'esito definitivo di una separazione ormai incancrenitasi fino alla corruzione totale del nostro tessuto connettivo, quella separazione storico-sociale che ha voluto sempre mantenere le distanze tra i "Due paesi", quello dell'Italia del Nord da quello dell'Italia del Sud. Nonostante i tentativi di unificazione, prima con le lotte unitarie risorgimentali, poi con le due gestioni, ambedue fallimentari, del Fascismo prima per vent'anni e della Democrazia Cristiana poi per cinquant'anni. In quanto alla Resistenza, che è stato fatto storico di tragica grandezza nella più che opaca vicenda della intera cronistoria italiana, nonostante lo spirito cooperativo e solidale che animava allora i combattenti per la libertà, presa come essa fu tra due fuochi, la paura del comunismo fomentata da parte delle potenze imperialiste occidentali e i residui mentali reazionari della maggioranza silenziosa che Pasolini definiva "clerico-fascista", fallì nel suo compito di rinnovamento dei cuori e delle menti italiane, così come più tardi fallirà la protesta ideale e utopica del '68: un Paese migliore non sarà possibile d'allora in poi!

Ciò che finirà per rendere l'Italia unita e omogenea dalle Alpi alla Sicilia saranno alcuni peculiari aspetti caratterizzanti complessivamente il suo "imprinting" (tanto per restare in termini biologici), e cioè: l'arroganza del potere e la sudditanza degli elettori, la pratica della raccomandazione e il maneggio mafioso, la mancanza di un orgoglio comunitario, la corruzione (questa sì, veramente unitaria!) e la perdita progressiva e profonda di un'etica comportamentale che spiega la corruzione mentale che si manifesta a tutti i livelli dei rapporti umani. Chi come noi ha lavorato per diversi anni nel Nord di Bossi e di Albertini, chi come noi ama l'Italia tutta e non ha mai fatto questioni di differenza, ha toccato con mano le difficoltà di un lavoratore del Sud in Veneto o in Lombardia; sa cosa vuol dire per loro (i "padani") trovarsi di fronte nell'ufficio postale un funzionario il cui idioma rivela, in modo smaccato e inequivocabile, la sua origine sicula o in una scuola pubblica un insegnante di italiano calabrese o pugliese che insegna la lingua nazionale ai rampolli del lombardo-veneto. Più che eloquente il loro disagio di fronte a un emigrato semianalfebeta dal punto di vista linguistico. Drammatico il disagio dell'emigrato meridionale nel vedersi trattato quasi da negro. Ma negli anni sessanta e settanta Bossi non c'era ancora e la cosa veniva sopportata per spirito di pace, oggi, mi dicono, il problema si è fatto più acuto e quel senso di rifiuto del meridionale (impiegato, insegnante, dirigente, un po' meno per l'operaio che usa le braccia più che la lingua), che covava sotto la cenere, è venuto alla luce, con tutto il suo portato di violenza e negatività, tipico dei rigurgiti xenofobi e di una mascherata visione fascista del mondo.

A noi meridionali, di nascita e/o di cuore, noi che amiamo il mare Mediterraneo e le grandi civiltà greco-latine, noi che amiamo tutte le donne e tutti gli uomini della terra, noi che amiamo tutti i cibi e non rifiutiamo alcuna pietanza che sia espressione di una qualsiasi cultura, noi insomma che conosciamo non solo la libertà, di cui essi si riempiono la bocca, ma anche la solidarietà umana, sentimento perduto di cui ormai si ricorda soltanto la chiesa cattolica quando ad esso si richiama attraverso la flebile voce domenicale del suo massimo rappresentante, noi, dicevamo, potremmo per un attimo pensare ad una sorta di "devolution" tutta meridionale. Senza costituire alcuna Lega separatista, non con l'egoistica autarchia dei padani ma con un intelligente spirito di autonomia, mi piace pensare che anche noi si potrebbe far pagare un pedaggio ad ogni settentrionale che viene quaggiù d'estate a godersi il nostro sole, a bagnarsi nel nostro mare pulito. Se la Regione Puglia si dibatte in difficoltà economiche, ecco un modo efficace per sopperire alle magre entrate dei pugliesi, ben tartassati eppur privi di servizi: far pagare ad ogni settentrionale una salata tassa giornaliera di soggiorno per tutti i giorni di vacanza trascorsa al mare nel Salento o sul Gargano. Si tratta, in fondo, solo di controllare la residenza d'origine dei visitatori. Non vogliono alcuni di loro controllare le impronte digitali degli extracomunitari? A noi ci basterà controllare la loro carta d'identità. Non hanno pensato diversi di loro a far pagare un pedaggio per le città d'arte? Non vogliono far pagare un salato tributo a chi si reca a Venezia o a chi vuol visitare un centro storico del Nord? Perché allora non fare la stessa cosa noialtri? Far pagare cioè, magari al casello autostradale, una tassa supplementare al lombardo o al veneto che intende ritemprarsi al sole e al mare delle nostre città? Insomma, forse, la miglior risposta da dare ai nordici devoluzionisti è in quell'adagio antico che recita: "A mali estremi, estremi rinedi".

Ma il nostro discorso potrebbe ulteriormente allargarsi. Perché non estendere i vantaggi di tale idea a tutto il Meridione e pensare ad un ideale confine che parta al disopra di Napoli e che finisca nel mare al di sotto di Pescara (diciamo dal Garigliano al Sangro) e che unisca in mutuo soccorso le regioni meridionali in una sola grande area cooperante al fine di annullare ogni divario economico nei confronti del più ricco Centro-Nord? (Qualcosa del genere - risulta dai piani segreti di questo strano Paese - volevano fare gli alleati anglo-americani, separando il nord comunista dal sud democristiano se mai avessero vinto i partigiani, sostenuti dallo spirito unitario di quel "vento del nord" che si è poi tramutato in scurrile vociare leghista). Ne trarrebbe sicuro vantaggio tutto il turismo del Sud nonché la produzione agroalimentare in crisi, facendo pagare i nostri prodotti tipici ai cari visitatori del nord a prezzi ben più alti rispetto a quelli che si praticano normalmente. Ho letto da qualche parte che Bossi esalta in pubblico la polenta ma che in segreto è un gran divoratore di pizza napoletana; ebbene, ai leghisti la pizza la si dovrebbe vendere il triplo del prezzo che pagano i nostri ragazzi in pizzeria. Solo sfruttando al massimo le nostre risorse naturali e culturali, i nostri prodotti locali, apprezzati a livello mondiale, l'olio d'oliva, i vini genuini, la cucina mediterranea e poi i centri storici, le cattedrali romaniche, lo stile barocco, le strutture agro-turistiche, le mirabili coste e i mari puliti, si potrà pensare di sviluppare l'istruzione pubblica del Sud per la popolazione del Sud, l'assistenza sanitaria del Sud per i malati del Sud, i servizi pubblici del Sud per i cittadini del Sud. In conclusione, niente di più di quel che chiedono al nord: che ognuno si gestisca le cose proprie a proprio vantaggio e che i soldi del Sud restino nelle banche del Sud e non vadano a finire in quelle del nord.

La "devoluzione", intesa nello spirito separatista leghista, potrebbe anche non corrispondere a quello che noi giustamente vediamo dietro questo processo negativo, e cioè una vera e propria "demolizione" dello Stato tradizionale. Ma, se si sarà capaci di valorizzare se stessi, nella diversità riconosciuta e consapevole di sè, anche il cittadino meridionale sarà invogliato a ritrovare l'orgoglio della propria cultura, prendendo coscienza delle trasformazioni in atto, per cui il fare produttivo deve oggi collegarsi strettamente al sapere astratto e più che le appartenenze ideali contano ormai le identità particolari, più che la convivenza solidale prevale, purtroppo, la competizione imprenditoriale. Il mondo peggiora ed è tempo di svegliarsi e la "devolution" non è altro che un campanello d'allarme. D'altronde la nostra capitale è Napoli, più che Roma o Milano. Napoli ha dato a questo paese disunito il massimo di cultura moderna alternativa da tutti riconosciuta geniale: il dialetto napoletano recitato, cantato, drammatizzato da geni artistici di fama internazionale del calibro di Antonio De Curtis (in arte Totò), Roberto Murolo, Eduardo De Filippo.

Senza complessi di inferiorità, la nostra personale "devoluzione" potrebbe risultare per il meridione l'occasione di una risposta finalmente risolutiva della vessata "questione meridionale", senza per questo cadere nella "involuzione" mentale delle genti cosiddette "padane". Con la consapevolezza dei secoli di emarginazione alle nostre spalle, questa potrebbe essere non più la terra del rimorso, della emigrazione e dello sfruttamento continuo, ma una comunità di cittadini consapevoli del loro essere meridionali d'Europa.

gennaio - aprile 2003