Carcere: soluzione o problema?
di Romina La Macchia*

Delle nostre prigioni, oggi, forse ci vergognamo. Il XIX secolo era fiero delle sue fortezze, le costruiva ai limiti e talvolta nel cuore delle città. Restava incantato di fronte alla nuova dolcezza che sostituiva i patiboli. Si meravigliava di non più castigare i corpi e di saper ormai correggere le anime. Quei muri, quei catenacci, quelle celle, rappresentavano un'operazione di ortopedia sociale.

La penalità moderna non osa più dire che punisce i delitti: pretende di riadattare i delinquenti.
M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire

Art. 13 È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
Art. 27 Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

COSTITUZIONE ITALIANA

Il carcere non è un argomento che appassiona, che coinvolge, perché non fa parte della vita di tutti i giorni della maggior parte di noi, perché è bene tenerlo nascosto, allontanarlo, addirittura annullarlo, fino a quando è possibile, fino a quando i media non ci rimandano la notizia di una tragedia, di una evasione, di un disordine.

A che serve allora, parlare di prigioni, di detenuti, di come si vive (??!!) in una cella, magari sovraffollata?

Forse a rendere reale e visibile un posto che, al di là della nostra volontà, esiste davvero.

La prigione nasce con l'intento di intervenire sul corpo rinchiudendolo o facendolo lavorare, privando l'individuo di una libertà considerata un diritto ed un bene.

Fin da subito esercita un funzione sociale complessa: da un lato si assume il compito di punire, traducendo concretamente l'idea che l'infrazione ha leso, al di là della vittima, l'intera società, dall'altro si assume il compito di rieducare, riqualificando il criminale come individuo sociale.

Ma che cosa è in realtà un carcere e cosa ci si aspetta dal carcere in termini di funzioni da assolvere?

Oggi in Italia ci sono 205 Istituti Penitenziari, 51 Case Mandamentali, 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari, e 20 Istituti Penali per Minori.

La popolazione adulta dei ristretti è di 55.539 unità (dati aggiornati al 30 settembre 2001) di cui 2.457 donne e 53.082 uomini.

La capienza regolamentare degli istituti italiani è pari a 42.695 ospiti, quella tollerabile può raggiungere le 48.351 unità: il numero dei detenuti supera quindi, di oltre 7.000 unità il numero massimo tollerabile di posti disponibili. Nelle carceri italiane c'è quindi, una densità globale di 129,6 detenuti per 100 posti disponibili.

Nell'arco del 1999, si è registrato un incremento di circa 4.000 unità, mentre da settembre 2000 a settembre 2001 vi è stato un incremento di 1.811 unità. Dal 1983 (punto di apice della detenzione a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta) ad oggi, la popolazione detenuta, in Italia, è cresciuta di circa 13 mila unità. Il tasso di detenzione è quindi, di circa 90 detenuti ogni 100.000 abitanti.

La percentuale di detenuti in carcere per reati gravi (associazione di stampo mafioso, traffico di armi, reati connessi allo sfruttamento della prostituzione, reati finanziari) è del 12,59%, mentre il 34,65% dei nuovi ingressi in carcere è connesso a reati legati alla violazione della legge 309 (per ragioni relative perciò, alla propria condizione di tossicodipendente), mentre 15.582 sono gli stranieri presenti nelle nostre strutture carcerarie.

Nel 1999 si sono tolti la vita 53 detenuti, giovani tra i 25 ed i 35 anni, il più delle volte con imputazioni di lieve entità, tossicodipendenti o immigrati alla prima esperienza carceraria.

Nello stesso anno 920 sono stati i tentativi di suicidio, 6.536 gli atti di autolesionismo, 83 i decessi, 1.812 gli atti di aggressione, 11.039 le manifestazioni di protesta.

La maggior parte dei detenuti ha un'età compresa tra i 18 ed i 35 anni, ha un basso grado di scolarizzazione e non aveva un lavoro prima di entrare in carcere.

Dalla lettura e dall'analisi di questi dati generali è possibile puntare l'attenzione su tre aspetti distinti ma fortemente connessi tra loro:
1) l'aumento dei tassi di carcerizzazione;
2) le caratteristiche e le condizioni di vita della popolazione detenuta;
3) la funzione rieducativa e riabilitativa del carcere.

1) Gli esperti delle politiche penali, ci dicono che è ormai chiaramente in atto, anche in Italia, una pericolosa tendenza, che definiscono "strutturale" nel modo di gestire conflitti e disagio sociale: la ri-carcerizzazione.

Il carcere diventa lo strumento del controllo e dell'esclusione sociale, diventa il garante della "sicurezza sociale", il custode di chi fa paura, attraverso un utilizzo della pena che non riguarda più un ristretto e ben definito numero di persone, ma raggiunge obiettivi di incarcerazione di massa.

Se la società ricorre in maniera sempre più frequente alla "soluzione" carcere è possibile ritenere che l'intera struttura sociale sia in una situazione di estremo disagio: non è in grado di garantire la costruzione di legami sociali forti e significativi, così come non riconosce la comune cittadinanza, spingendo verso condizioni di emarginazione assolutamente intollerabili fasce sempre più ampie e differenti di persone.

In questa prospettiva il carcere dovrà assumersi la funzione, lontana dalla sua natura, di controllore dei processi sociali, mentre la società civile, farà sempre maggiore fatica nell'utilizzare le proprie risorse, per pensare e realizzare percorsi e risposte alternative alla detenzione.

2) La ri-carcerizzazione inevitabilmente porta al sovraffollamento degli istituti, e quindi di conseguenza, ad un continuo venir meno di ulteriori spazi, che non siano la proria cella, che il detenuto può utilizzare durante la sua giornata, spazi generalmente destinati alla socializzazione ed alle attività culturali.

La ristrettezza ulteriore dello spazio a propria disposizione, o il doverlo condividere con un numero sempre maggiore di altri detenuti è un elemento che incide notevolmente sulla qualità della vita in carcere. Una vita che si divide tra la propria cella, nella quale il detenuto mangia, si lava, dorme, studia, scrive, cucina, guarda la televisione, fa esercizio fisico, disegna, ed il passeggio che è uno spazio a cielo aperto, chiuso sui lati da grate e/o muri di cemento in cui per 4 ore al giorno, i detenuti camminano, socializzano, giocano a carte.

Coloro che partecipano anche alle attività culturali, scolastiche e formative, hanno a disposizione alcuni cameroni che fungono a seconda della necessità, da classi per lo svolgimento delle attività didattiche, da spazi per la socializzazione o luoghi alternativi ai passeggi durante i giorni di freddo intenso o di pioggia.

Nonostante tutto ciò, è ancora possibile trovare Istituti con celle da 16 persone, nelle quali è praticamente impossibile pensare di poter fare altro se non guardare la televisione rimanendo sdraiati sul proprio letto.

E certo non si può pensare che la soluzione possa essere quella di costruire nuove strutture, perché si correrebbe il rischio di far aumentare ulteriormente il numero dei detenuti.

Le carceri sono dunque affollate e lo sono soprattutto da tossicodipendenti ed emarginati, provenienti da contesti di vita poveri e privi di ogni senso di appartenenza civile, da stranieri, la cui massiccia presenza negli istituti di pena è segno che si sta affrontando il fenomeno immigratorio attraverso le misure dell'internamento e dell'incarcerazione e da persone con problemi psicologici e/o psichiatrici, per le quali non esistono risposte esterne attrezzate per la loro accoglienza.

Il carcere viene sempre più spesso utilizzato come contenitore per gestire la marginalità di categorie socialmente precarie e disagiate che in carcere non ci dovrebbero neppure arrivare.

3) L'istituzione carceraria ha il compito di utilizzare la pena detentiva come momento per la rieducazione ed il trattamento, attivando percorsi di inserimento e reinserimento sociale, che devono permettere al detenuto di acquisire strumenti e di sviluppare capacità anche professionali con cui reintegrarsi nella collettività di cui è parte integrante.

La funzione trattamentale del carcere si manifesta in tutte quelle attività culturali e ricreative, formative e lavorative che devono coinvolgere l'intera popolazione detenuta e consentire a ciascun detenuto di costruirsi il proprio percorso rieducativo.

Nelle condizioni precedentemente descritte, però, risulta difficile che ciò si possa realizzare.

La promozione di queste attività per i detenuti diventa perciò, l'ambito in cui maggiormente si realizza l'interazione tra l'istituzione carcere e la comunità esterna, sia per le finalità ultime di queste attività, che per il fatto che molte di esse sono promosse, organizzate e realizzate con l'apporto di operatori volontari.

Scontare la propria pena in maniera produttiva e costruttiva, non significa sottrarsi ad essa, ma renderla utile.

Il carcere è dunque lo strumento tipico della pena privativa della libertà. È il luogo della separazione, della opacità e della uniformità. Ma è anche il luogo in cui colori, odori e rumori sembrano essere diversi, ma si rivelano con il tempo, familiari.

È il luogo delle mille contraddizioni, in cui si avvicendano e si intrecciano storie di vita, allegrie e tristezze. È il luogo in cui far comunicare la sicurezza e il trattamento, in cui deve avvenire la riconciliazione tra la società civile e colui che è sottoposto alla pena.

Non deve essere il luogo dell'ozio e del vuoto, ma deve essere vivo, non il luogo dell'isolamento e della negazione della socialità, ma quello che vuole ricostruirla.

All'interno del carcere si può esprimere la ricchezza del territorio, ed il territorio e il mondo esterno devono sempre esserci e guardare ciò che accade in quel luogo.

Il carcere è il luogo in cui il detenuto può recuperare un'immagine di sé, imparare a confrontarla con gli altri e non avvilirla per sempre dall'esperienza della reclusione.

Questa forse è la funzione della pena: suscitare la volontà di vivere, e di vivere moralmente, di trovare canali di dialogo con l'esterno, attraverso cui esserci nuovamente.

TESTI DI RIFERIMENTO:
ASSOCIAZIONE ANTIGONE, Il carcere trasparente. Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, Castelvecchi, Roma 2000.
M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi.
Atti del Seminario "Carcere e dipendenze", organizzato dal C.N.C.A. (Coordinamento Nazionale Comunità d'Accoglienza) a Roma il 6-7 aprile 2001

* Romina La Macchia (sociologa) è membro della Associazione O.n.l.u.s. C.L.A.D. - Centro Lotta Al Disagio di Terlizzi che da oltre 15 anni si occupa in questo territorio di problematiche legate al disagio (tossicodipendenza, carcere, minori) promovendo l'integrazione, il dialogo ed il confronto con le istituzioni e l'intera società civile.
All'interno del C.L.A.D. interno è attivo un gruppo di 15 operatori volontari che si occupano, all'interno della Casa Circondariale di Trani, di Sostegno Scolastico per la scuola media superiore e di attività laboratoriali, rivolte ad alcuni detenuti della Sezione di Alta Sicurezza.

gennaio - aprile 2003