Lo spreco delle risorse: lavoro,acqua e sanità
di
Francesco Mancini

La cattiva gestione delle risorse idriche, la crisi della sanità, l'attacco ai diritti dei lavoratori sono i temi su cui maggiormente si soffermano i diversi interventi contenuti in questo numero.
La gravità, la complessità e l'apparente mancanza di soluzioni per questi problemi giustificano ampiamente tale scelta, come pure i dubbi, lo scetticismo e le preoccupazioni della gente comune e degli addetti ai lavori.
Le perplessità riguardano, in special modo, l'individuazione delle cause reali della particolare virulenza con cui tali fenomeni si presentano nell'età contemporanea, nonostante il possesso di tutte le conoscenze scientifiche e tecniche e dei mezzi materiali, finanziari ed istituzionali atti ad eliminarli per sempre dalla faccia della terra.
È superfluo sottolineare che la gravità con cui i summenzionati ed altri analoghi problemi si presentano nei paesi occidentali è letteralmente nulla rispetto alle dimensioni che assumono nel sud del mondo.
È stato, ad esempio, sottolineato, in occasione del recente Summit sulla Terra di Johannesburg, che sono 1,1 miliardi le persone nel mondo che non hanno accesso all'acqua potabile e che ogni anno nel Terzo Mondo muoiono tra i 10.000 e i 20.000 bambini per malattie causate dall'impurità dell'acqua.
È degno di nota che nella citata occasione i poveri del mondo abbiano chiesto non aiuti, ma l'instaurazione di una effettiva libertà di commercio e l'abbattimento delle barriere tariffarie che Europa, Stati Uniti e Giappone hanno eretto per impedire l'accesso nei loro mercati dei prodotti agricoli del Terzo Mondo.
Al riguardo, l'organizzazione non governativa britannica Oxfam ha calcolato che, se i paesi in via di sviluppo potessero aumentare per tali vie le loro esportazioni dell'1%, 128 milioni di persone uscirebbero da condizioni di povertà assoluta; in particolare, il beneficio annuo per l'Africa sarebbe di 70 miliardi di dollari: cinque volte la somma che lo stesso continente riceve come aiuti allo sviluppo.
Insomma, una volta di più, semmai ve ne fosse stato bisogno, si è dimostrato quanto falsi e in malafede siano i richiami dei sedicenti liberisti alla libertà di iniziativa, alla concorrenza, alla sovranità del mercato e simili altri miti o idoli dell'ideologia dell'Occidente.
Su scala planetaria come a livello a globale, la motivazione addotta per la mancata soluzione dei problemi è l'insufficienza ed inadeguatezza delle risorse disponibili.
È, invece, di comune osservazione quanto ingenti siano le risorse sprecate, distrutte, sottoutilizzate, impiegate in attività dannose, in massima parte o nella totalità regolarmente autorizzate dai governi occidentali, come la produzione ed il commercio di armi, che vanno fra l'altro a soddisfare la domanda di stati, che gli stessi governi venditori definiscono pericolosi o "canaglia", come l'Iran, la Libia, l'Irak e simili.
Del resto, la disponibilità e la mancanza di risorse non sono cose che si verificano per caso o per volontà divina o per volere del mercato, ma sono la conseguenza di decisioni a livello di governi e istituzioni finanziarie nazionali e internazionali, pubbliche e private, sulla formazione e la destinazione di flussi e circuiti finanziari, che non hanno in alcun conto i bisogni e le aspettative della gente comune, ma solo il profitto, specie quello monopolistico.
Questi organismi si vanno sempre più chiaramente rivelando strutturalmente inadeguati o, meglio, non interessati e non compatibili con la salvaguardia ed il progresso dei livelli di benessere, di civiltà e, perfino, con la sopravvivenza della vita sulla terra.
È sufficiente, a questo riguardo, considerare le posizioni dell'establishment politico-affaristico-militare USA in materia di mutazioni climatiche, inquinamento, perforazioni petrolifere in Alaska e abbattimento delle foreste nordamericane, oltre che, naturalmente, di basi militari, scudi stellari e spese per armamenti.
È comprensibile e, comunque, inevitabile che le discussioni e gli approfondimenti ripercorrano le vicende, gli errori, le delusioni, i tradimenti, le polemiche, le recriminazioni sulle ragioni delle sconfitte e degli arretramenti su quella che è stata la lotta per la conquista dei diritti, il progresso nelle condizioni dei lavoratori e dei cittadini e la difesa dell'ambiente.
È però di comune evidenza che i temi della salute, della gestione della risorsa acqua e dei diritti dei lavoratori e dei pensionati, al di là delle divisioni e contrapposizioni ideologiche, riguardano tutti.
Soprattutto essi investono sempre più chiaramente gli stessi fondamenti civili e democratici della nostra società e le sue possibilità di sopravvivenza.
Il problema dell'acqua ed il flagello della desertificazione sono stati analizzati e tecnicamente risolti, esistono le attrezzature e le risorse umane per eliminarli; cionondimeno permangono gli elementi di disaccordo e di apparente inconciliabilità degli interessi delle diverse comunità coinvolte.
È legittimo il dubbio che tali difficoltà riguardino, in realtà, conflitti all'interno del potere politico, affaristico e finanziario e, ancor più verosimilmente, l'esistenza di un contrasto d'interesse fra questo potere e le stesse collettività gestite.
Anche la difesa dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e, in generale, dei loro diritti è questione che, oltre a riguardare i diretti interessati, costituisce una battaglia di civiltà.
Infatti, non è concepibile, in un paese civile e democratico, fondato sul lavoro e sull'eguaglianza dei diritti e delle opportunità dei cittadini, che una categoria debole, quale quella dei giovani in cerca di prima occupazione, possa essere discriminata addirittura in forza di una legge dello stato.
È grottesco e inammissibile che la precarietà del rapporto di lavoro, il ricatto dell'occupazione, la sudditanza personale nei confronti del datore di lavoro, la cancellazione di diritti elementari garantiti dalla costituzione, l'instaurazione di condizioni per massimizzare lo sfruttamento e minimizzare la remunerazione dei nuovi entrati nel mondo del lavoro, vengano impunemente gabellati come misure per incrementare l'occupazione giovanile.
Si può non essere d'accordo ed avversare anche duramente le posizioni della CGIL, ma ciò non inficia minimamente l'evidente necessità di schierarsi al suo fianco nella lotta contro quelli che sono in realtà i suoi nemici mortali, in difesa della democrazia, del pluralismo e della libertà.
La campagna di uno dei giornali di famiglia del capo del governo contro la stessa organizzazione sindacale non lascia al riguardo alcuno spazio all'immaginazione.
Il fatto che vengano denunciati come motivi di scandalo le proprietà, le fonti di reddito ed i privilegi di cui gode la CGIL - ed in particolare quelli e proprio nella fase attuale - sta chiaramente ad indicare che viene vista come una insopportabile anomalia la stessa esistenza di una voce dissenziente così rilevante e, oltretutto, economicamente autonoma.

settembre - dicembre 2002