Chi conquista l'acqua?
La scimmia che ha il randello. La scimmia disarmata muore di sete.
Con questa lezione della preistoria ha inizio il film 2001, Odissea nello spazio.
(Edoardo Galeano, sul Manifesto del 27 luglio 2002).
Chi conquista l'acqua nel 2002?
Sono le scimmie evolute che utilizzano non più il randello
ma la forza del Mercato, dell'Impresa e del Capitale.
Le scimmie disarmate,
che non hanno accesso all'acqua potabile,
sono nel frattempo diventate un miliardo e quattrocento milioni di persone.
1. I cambiamenti negli ultimi venti anni.
Con i cambiamenti intervenuti negli ultimi venti anni, sono divenuti dominanti tre principi fondatori che hanno dato legittimità a tre poteri e, insieme, hanno completamente derubricato il concetto di bene comune pubblico mondiale.
Il primo principio afferma che la società si configura con una serie di transazioni tra gli individui dove ciascuno tenta di soddisfare i propri bisogni: è la cultura dei bisogni. L'obiettivo, riconosciuto legittimo da tutti, è che ogni individuo tenda nelle transazioni ad ottimizzare la sua utilità individuale, minimizzando i costi e massimizzando i benefici. Il mercato ha acquisito il potere di essere il meccanismo di regolazione delle transazioni, poiché fa in modo che queste permettano a ciascun individuo di ottimizzare l'utilità individuale.
Il secondo principio sostiene che la più alta organizzazione che permette l'ottimizzazione dell'utilità individuale, sulla base delle risorse materiali e immateriali disponibili, è l'impresa privata, poiché la sua funzione genetica è appunto l'ottimizzazione del profitto. Più l'impresa è grande, più è potente, maggiori sono le sue risorse finanziarie, più è messa in condizione di utilizzare le risorse naturali e quelle umane nei luoghi in cui esse siano impiegate a costi inferiori. Si è dato potere all'impresa proprio perché ottimizza l'insieme del funzionamento delle transazioni.
Tony Blair afferma, ormai da anni, "my govern is for business". Il governo Berlusconi considera l'Italia alla stregua di un'impresa. Tutti in Europa affermano ormai che anche l'Università debba essere un'impresa, così come dev'esserlo un ospedale.
Il terzo principio, corrispondente a un terzo potere, consiste nell'affermare che il capitale finanziario è l'unico valore che permette di misurare l'ottimizzazione dell'utilità individuale. Ha valore esclusivamente ciò che contribuisce ad aumentare il capitale finanziario. In quest'ottica, il lavoro umano risulta oggi solo un costo per il capitale. Un quarantenne che ha ormai conoscenze obsolete va licenziato. Anche lo Stato, così come ogni sistema fiscale, costituisce un costo e viene considerato un ostacolo per il capitale. L'idea che è legittimo per il capitale tentare di ridurre i costi del lavoro e la fiscalità pubblica ha pervaso ormai l'intera opinione pubblica, tanto che le elezioni negli ultimi quindici anni sono state vinte dai partiti che hanno sistematicamente promesso di ridurre le tasse sul capitale.
Dai tre principi e tre poteri enunciati discendono direttamente due effetti. Il primo è la mercificazione di ogni cosa, materiale o immateriale, determinata dal diritto di proprietà intellettuale dato al capitale (attraverso il brevetto è stato mercificato tutto, geni, semi, eccetera).
La seconda conseguenza è la privatizzazione del potere politico. Esso dovrebbe decidere, in rappresentanza del popolo, l'allocazione delle risorse, materiali e immateriali, in funzione di una politica di redistribuzione della ricchezza prodotta rispetto ai fattori che hanno contribuito alla produttività. Invece, la privatizzazione del potere politico fa sì che siano i soggetti privati ad avere il potere di decidere sull'allocazione delle risorse e sui meccanismi di redistribuzione degli incrementi di produttività.
Entrambe le conseguenze citate portano all'esclusione totale della cultura del bene comune e dei diritti umani e sociali imprescindibili. Bisogna, dunque, andare contro il mercato, contro l'impresa e contro il capitale per riaffermare il concetto di bene comune. 2. L'acqua, bene comune.
Il bene comune rappresenta l'insieme di quei principi, istituzioni, risorse, modalità che consentono a un gruppo di individui di costituire una comunità, di essere società, di vivere insieme. I beni comuni, quindi, non possono essere se non universali, cioè inerenti alla mondialità della condizione umana. Ad essi appartiene quella che in teoria viene definita necessità radicale, cioè i beni devono esserènecessariamente radicalmentè presenti, altrimenti la loro assenza implica radicalmente l'assenza del vivere insieme.
L'acqua costituisce una radicalità necessaria, così come la possibilità di alimentarsi, l'educazione e la cultura che, in quanto conoscenza, sono bene comune.
I beni comuni mondiali, possedendo questa necessità radicale, non possono essere res privata, sono res publica e non possono essere oggetto di appropriazione nemmeno da parte di uno Stato in quanto soggetto specifico di organizzazione politica della società. L'acqua in Italia non appartiene agli italiani né allo stato italiano, appartiene ad essi solo in quanto aventi diritto all'acqua.
Il vivere insieme si traduce in forme di comunità umane e sociali a diversi livelli e il sorgere delle comunità è legato, oltre che al territorio, ai processi di identità e di cultura (per esempio la comunità dei matematici o dei fisici teorici non ha bisogno di territorialità). Le forme di comunità hanno regole che dipendono dai processi di identificazione e da quelli di rappresentanza. Lo Stato è solo una delle forme di comunità, ma non esiste una forma di regolazione del territorio migliore di altre. È necessario riconoscere l'esistenza delle comunità autoctone dell'Amazzonia, poiché esistono e per questo bisogna garantire l'autonomia delle loro regolazioni a partire dalle loro rappresentanze, dalla loro identità, dalla loro storia, come è saggio e legittimo rivendicare il riconoscimento dell'umanità come soggetto giuridico e politico, poiché l'umanità esiste.
Il primo passo in questo senso è stato compiuto l'11 luglio 2002 con l'istituzione del Tribunale Penale Internazionale ed è necessario ricordare che solo quattro Paesi non l'hanno ratificato, tra cui Israele e Stati Uniti. I Paesi egemoni che diffondono la guerra nel mondo pretendono di non essere giudicati.
3. L'acqua, diritto umano e sociale imprescindibile.
Il concetto di diritto umano e sociale imprescindibile, esteso al bene acqua, sembrava appartenere ormai alla cultura mondiale grazie alle ripetute dichiarazioni di organismi internazionali quali, l'ONU, la FAO, l'OMS, succedutesi a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Negli ultimi venti anni, con il decadimento del concetto di bene comune, è svanito anche quello di diritto.
Al Forum mondiale dell'acqua, svoltosi all'Aja nel 2000, i rappresentanti governativi di 137 Stati hanno adottato unàDichiarazione ministerialè, in cui non si fa alcun riferimento al principio del 'diritto umanò ma si afferma che l'accesso all'acqua per tutti deve essere solo considerato come un 'bisogno vitalè. Inoltre, in coerenza con tale affermazione, hanno sostenuto che per assicurare una gestionèefficacè dell'acqua in tutto il mondo, questa deve essere ormai considerata come un 'bene economicò, il cui valore deve essere determinato sulla base del 'giusto prezzò, fissato dal mercato nell'ambito della libera concorrenza internazionale, secondo il principio del recupero del costo totale.
Sostenere che l'accesso all'acqua è un diritto umano e sociale significa affermare che è responsabilità della collettività assicurare le condizioni necessarie e indispensabili per garantire un tale diritto a tutti. Concretamente, significa che è compito delle autorità pubbliche mobilitare le risorse, principalmente di natura finanziaria, adeguate a rendere effettivo il diritto. La realtà in cui viviamo è ben lontana da queste prospettive sia a livello nazionale (basti pensare che in Italia, sesta potenza economica mondiale, larga parte delle popolazioni del Mezzogiorno non ha accesso all'acqua potabile in quantità sufficiente con regolarità), sia a livello mondiale (un miliardo e quattrocento milioni di persone sono private dell'accesso all'acqua potabile). Malgrado il fatto che la ricchezza del mondo dal 1950 sia quintuplicata, i gruppi dominanti non hanno nessun interesse a riconoscere l'accesso alla risorsa come diritto.
Affermare, invece, che l'accesso all'acqua è un bisogno vitale non comporta nessuna responsabilità collettiva. In questo caso, spetta a ciascun individuo darsi i mezzi per soddisfare il bisogno, come succede - si afferma - per tutti gli altri bisogni vitali quali l'alimentazione, la salute, l'alloggio, l'educazione (Riccardo Petrella, Il manifesto dell'acqua, EGA, Torino, 2001).
4. L'acqua, solidale e sostenibile.
Anche se sono due termini usati in campi diversi, nel caso dell'acqua vanno coniugati, partendo dal loro significato etimologico.
Solidale deriva dal latino solidus, 'intero, compatto, massiccio'. In diritto, è modo di essere di un rapporto obbligatorio con più debitori o creditori, caratterizzato dal fatto che la prestazione può essere richiesta a uno solo o adempiuta nei confronti di uno solo, avendo effetto anche per gli altri. Su un piano etico e sociale, è rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega i singoli componenti di una collettività nel sentimento appunto di questa loro appartenenza a una società medesima e nella coscienza dei comuni interessi e delle comuni finalità.
Sostenibile deriva dal latino sustinere (parola formata da sub e tenere), con il significato figurato di mantenere alto, elevato qualcosa, facendo in modo che non scenda, non diminuisca o si attenui. In economia, 'sviluppo sostenibilè è la locuzione con la quale si indica una strategia di sviluppo tecnologico e industriale che tenga conto, nello sfruttamento delle risorse e nelle tecniche di produzione, delle condizioni e delle compatibilità ambientali.
Cosa significa, dunque, fare un uso solidale e sostenibile della risorsa acqua?
La solidarietà implica una distribuzione organica della ricchezza di un paese nell'intento di creare làricchezza comunè in termini di infrastrutture, di beni e di servizi considerati come necessari ed indispensabili al buon funzionamento e allo sviluppo della società. Questa solidarietà ha le sue radici nella visionèmutualisticà dell'avvenire individuale e collettivo. Il principiòmutualistà implica che ciascuno è solidale verso gli altri perché sa che vi è corrispondenza reciproca. Si tratta di una forma di assicurazione collettiva comune (Riccardo Petrella, Il bene comune - elogio della solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia, 1997).
Fare un uso solidale dell'acqua dovrebbe significare un'equa distribuzione - su scala mondiale - della risorsa, ragionevolmente ripartita fra il suo uso primario, che è quello umano, e gli altri utilizzi (industria, agricoltura, etc.). Per realizzare tutto ciò bisogna considerare l'acqua come bene comune, appartenente a tutti gli esseri viventi in egual misura e facilità di accesso: questo significa che l'acqua non può essere trattata come un bene economico, regolata dal sistema del mercato ed in esso inserita come bene commerciabile. Di più, un uso che sia anche sostenibile dovrebbe prevedere la cura del bene, ossia l'attenzione agli sprechi e agli usi iniqui che, a volte, compromettono irrimediabilmente la sua disponibilità futura.
I campi da golf che stanno per essere realizzati in Puglia creeranno sicuramente ricchezza, convogliando in quella regione un certo turismo di élite non stagionale: non sono certamente un esempio di uso sostenibile e solidale della risorsa acqua, in quanto la Puglia, regione assetata per definizione, ha bisogno di quantitativi notevoli di acqua per mantenere i green in perfetta forma. Ciò comporterà sottrazione di acqua in qualche altra zona della regione o addirittura nelle regioni limitrofe (Vito Copertino, Acqua e affari, conflitti e guerre, Le passioni di sinistra, Molfetta, aprile 2002). E già si parla del business delle tre acque - prelevate dai fiumi Vomano, Sangro e Pescara - vendute alla Puglia fin dall'Abruzzo.
Anche l'agricoltura è un altro esempio di come la coniugazione di solidale e sostenibile sia interferita dalle regole economiche del mercato. I cittadini del nord del mondo sono abituati ad avere per tutto l'arco dell'anno i prodotti ortofrutticoli dei quali prima si attendeva l'arrivo insieme alla stagione che cambiava: tutto questo ha abituato chi fa la spesa ad una disponibilità continua e quindi ha indotto una domanda di prodotti alla quale deve far riscontro l'offerta sul mercato. Predomina così il modello di agricoltura intensiva, con un immaginabile dispendio di energia ed acqua, ma soprattutto a detrimento della Terra, che paga lo scotto del largo uso di fertilizzanti e pesticidi con la contaminazione e degradazione del suolo e l'inquinamento delle acque di superficie e delle falde a causa di nitrati, azoto e metalli pesanti.
Diversa è la situazione al sud del mondo: questa agricoltura non solidale e non sostenibile ha messo in crisi la produzione dei beni alimentari di base come riso e grano a favore di produzioni 'di lusso'. Prima conseguenza di ciò è che la fame nel mondo è aumentata invece di diminuire e si sviluppa una sorta di sudditanza dei paesi poveri verso quelli ricchi. I paesi più poveri sono stati in certo modo obbligati a privilegiare la produzione di beni per l'esportazione verso i mercati del nord e ad importare dai paesi ricchi i beni alimentari di cui hanno bisogno. In questo modo sono stati sopraffatti dalle regole del mercato: i prezzi dei beni importati sono aumentati in misura maggiore che non quelli esportati, con conseguente trasferimento di ricchezza dal Sud al Nord (Riccardo Petrella, Il manifesto dell'acqua, EGA, Torino, 2001). Il contraltare della sostenibilità è la privatizzazione.
5. Il Manifesto per un Contratto Mondiale dell'Acqua.
I concetti di bene comune, di diritto umano e sociale imprescindibile rappresentato dall'acqua, di un uso solidale e sostenibile della risorsa, costituiscono i principi fondanti del Manifesto per un Contratto Mondiale dell'Acqua, le cui idee-chiave sono quattro:
· fonte insostituibile di vita, l'acqua deve essere considerata un bene comune patrimoniale dell'umanità e degli altri organismi viventi;
· l'accesso all'acqua, potabile in particolare, è un diritto umano e sociale imprescindibile che deve essere garantito a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla razza, l'età, il sesso, la classe, il reddito, la nazionalità, la religione, la disponibilità locale d'acqua dolce;
· la copertura finanziaria dei costi necessari per garantire l'accesso effettivo di tutti gli esseri umani all'acqua, nella qualità e quantità sufficienti alla vita, deve essere a carico della collettività - che fissa le regole - normalmente via la fiscalità e altre fonti di reddito pubblico e lo stesso vale per la gestione dei servizi d'acqua (pompaggio, distribuzione, trattamento, riuso e smaltimento);
· la gestione della proprietà e dei servizi è una questione di democrazia, è fondamentalmente un affare dei cittadini e non (solo) dei distributori e dei consumatori. Fra le varie azioni ed iniziative messe in campo dai sostenitori ed aderenti al Manifesto (i Comitati nazionali e locali), vi sono due appuntamenti mondiali di rilevante importanza. Il primo, che sta tenendosi mentre scriviamo, a Johannesburg dal 26/08 al 04/09, è costituito dal Vertice delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, il cosiddettòRio + 10'. Disilluse le speranze innescate dal Vertice di Rio de Janeiro di 10 anni fa, compreso il concetto dìsviluppo sostenibilè (termine talmente abusato negli ultimi anni, da essersi svuotato di ogni significato), non ci si aspetta molto da questo appuntamento. Il Comitato Italiano ed Internazionale per un Contratto Mondiale sull'Acqua sarà, però, presente con l'obiettivo di farsi promotore di un 'Trattato internazionale' che affermi che l'acqua è un bene insostituibile, comune a tutti gli abitanti della Terra, e nessuno può appropriarsene.
Il secondo appuntamento sarà il 'Terzo forum mondiale dell'acqua', che si terrà nel marzo 2003 a Kyoto, dove si cercherà di ottenere la trasformazione del 'Forum mondiale dell'acqua' in 'Parlamento mondiale dell'acqua', o altra analoga istituzione, allo scopo di procedere ad una reale democratizzazione delle istituzioni internazionali e mondiali, incaricate di definire e di gestire la politica 'mondiale' dell'acqua. E va anche ricordato che l'anno 2003, proclamato dall'ONU 'Anno internazionale dell'acqua', vedrà molteplici manifestazioni culturali e di sensibilizzazione sul tema.
6. La situazione in Basilicata-Puglia.
Pur essendo grave la situazione connessa all'acqua in Italia, con frequenti alluvioni al nord e prolungate siccità al sud, i finanziamenti previsti dai piani del Governo nel decennio per le reti idriche (Delibera Cipe 21/12/01) non sono altro che una quota marginale (3%) rispetto alle già scarse risorse destinate al Mezzogiorno.
Grandissima importanza il Governo ha dato, invece, alla questione della privatizzazione, legiferando sul tema, addirittura con due articoli della Finanziaria, che è una legge a validità annuale ed invece si trova a promulgare decisioni non annuali. L'art. 25, in particolare, sancisce la cessione a titolo gratuito delle quote azionarie di AQP - l'Acquedotto Pugliese - da parte del Ministero del Tesoro alle regioni Puglia (circa l'88%) e Basilicata (circa il 12%), in base al solo principio della quantità di popolazione. L'art. 35, inoltre, impone alle regioni la messa sul mercato delle quote azionarie (Daniela Curto, Vincenzo Masi, 'Carta almanaccò, 8/14 agosto 2002). Questi fatti provano che la cessione a privati viene considerata la panacea di tutti i mali per l'acqua al Sud, dimenticando che l'emergenza idrica dipende da fattori di natura tecnica, che impongono grandi investimenti, ma anche politica: non solo la scelta, programmazione e gestione del bene acqua, quanto anche il governo del territorio (Vito Copertino, 'Principi guida per la tutela del paesaggiò, Convegno nazionale su "Abusi d'Italia. Proteggiamo il paesaggio", Roma, 2000), e dunque una politica consapevole, non clientelare, in grado di determinare un vero sviluppo sostenibile. Esaminando, ad esempio, i modi di gestire le emergenze idriche nel Mezzogiorno, già dal 1990, in occasione di una crisi simile a quella di questi ultimi anni, risultò che le risorse disponibili negli invasi - ed anche in quelli lucani/pugliesi - non venivano utilizzate salvaguardando le riserve necessarie al rispetto dei vincoli posti dalla regolazione pluriennale, con cui molte di quelle opere erano state progettate e costruite. Oggi la situazione non è cambiata e, per governare una crisi idrica, si continua a fare ricorso a rimedi, quali la riduzione degli orari di erogazione dell'acqua potabile, quando ormai le riserve sono state pressochè esaurite da precedenti utilizzazioni a volte non indispensabili e da sprechi evitabili. Oggi, nonostante l'introduzione della legge Galli nel panorama legislativo italiano, sembra che il tempo non sia trascorso e si continua a bruciare, sul finire dell'estate, tutte le disponibilità residue, ad esempio nell'invaso di Monte Cotugno sul Sinni, nella speranza che il successivo riempimento invernale le ricostituisca. Così gli invasi, nella primavera di quest'anno, erano pressochè vuoti (Antonio Castorani, 'La gestione dei sistemi acquedottisticì, Giornata di studio in onore di Lucio Taglialatela, Napoli, 2002).
Un'altra questione, della quale si parla da anni senza avviare mai alcun rimedio, è la necessità di ridurre le perdite che si verificano nell'intero ciclo acquedottistico che inizia alla captazione e termina al contatore di ciascuna utenza: una questione annosa che richiederebbe approfondimenti concreti perché i rimedi risultino efficaci, almeno per l'abbattimento delle perdite fino al valore ritenuto fisiologico. E invece si continua a sostenere che esse dipendono dalla qualità del gestore, quando risulta ad esempio che le perdite attuali dell'intero sistema idrico potabile pugliese sono superiori al 50% del volume originariamente immesso in rete, pur essendo rimasto il gestore, l'Acquedotto Pugliese, unico per quasi l'intero territorio, fin da quando l'acquedotto è stato costruito ed è entrato in esercizio, con una tradizione elevata di conduzione tecnica e professionalità gestionale (Vito Copertino, 'La.T.I.B.I. Laboratorio di tecnologie informative per la pianificazione dei bacini idrograficì, Università della Basilicata e Joint Research Centre di Ispra, 1997).
La politica governativa, oggi, ha appagato il governatore pugliese Fitto. Sono addirittura apparsi in Puglia dei manifesti il cui testo annunciava "Il vecchio governo di centro-sinistra ce l'aveva scippato. Grazie all'impegno di Berlusconi e di Fitto, il centro-destra ce lo ha ridato. L'acquedotto torna ad essere dei pugliesi": dimostrazione di una grande conquista, come se l'acqua e le reti idriche possano avere dei padroni. Ma anche il governatore lucano Bubbico, oltre a non prendere in considerazione la possibilità di confrontarsi con la popolazione su un tema così importante, ha pochi tentennamenti nella sua marcia verso la privatizzazione.
La regione Basilicata, con legge regionale 21/2002, ha promosso la costituzione di una società per azioni a totale capitale pubblico denominatàAcqua SpA', per la gestione della captazione e grande adduzione delle acque e degli invasi lucani, aperta alla partecipazione di altre regioni ma non ad altri soggetti pubblici (enti locali, comunità montane, province, etc.). È stata costituita, inoltre, un'altra società, a prevalente capitale pubblico locale, denominatàAcquedotto Lucano SpA', che gestirà il 'Servizio Idrico Integratò dei Comuni soci. Questa società, finalizzata ad adempiere il dettato dell'art. 35 della Finanziaria, prevede entro due anni una partecipazione di soggetti privati al capitale sociale per almeno il 40%.
Che cosa significhi che la regione Basilicata abbia fatto ricorso alla Corte Costituzionale, insieme ad altre quattro regioni italiane, sostenendo l'incostituzionalità dell'art. 35 (modifica al titolo V° della Costituzione), vista la celerità nell'applicazione di tale articolo, resta un mistero. Tutte queste operazioni sono finalizzate a costituire làdotè della regione Basilicata, cenerentola della privatizzazione di AQP? La democrazia partecipata è nelle dichiarazioni di principio di alcuni partiti politici: alle popolazioni non è dato conoscere il destino della risorsa idrica. Tutto ciò avviene mentre a livello internazionale si verificano avvenimenti che dovrebbero far riflettere sull'utilità della privatizzazione della gestione delle risorse idriche. Le azioni della Vivendi, inizialmente solo grande società di servizi idrici, poi, multinazionale anche delle telecomunicazioni (Vivendi-Universal), a causa di un'eccessiva esposizione finanziaria e del conseguente falso in bilancio, hanno avuto una caduta verticale in Borsa. L'amministratore delegato Jean Marie Messier, per porre rimedio alla debacle finanziaria, ha deciso di cedere l'unico settore in attivo della multinazionale, quello idrico. Aveva individuato l'acquirente nel finanziere australiano Murdoch. Questa decisione ha generato, però, grave preoccupazione in Francia sia tra la popolazione che nell'ambiente politico: non si desidera affatto che la gestione delle reti idriche francesi possa finire nelle mani di un signore che vive in Australia e che non ha alcun contatto con la società francese, le sue problematiche e con il suo territorio. In breve: Jean Marie Messier non è più l'amministratore delegato e Vivendi-Environment non è stata ceduta.
Alla luce di questi accadimenti, perché al Sud dovremmo essere lieti che l'AQP debba essere ceduto a società quotate in Borsa, che nulla hanno a che vedere con le esigenze e la politica di sviluppo di questo territorio? É a conoscenza di tutti che le multinazionali che gestiscono le S.p.A. hanno un unico grande obiettivo: la remunerazione del capitale investito, per cui, le azioni che non producono un certo interesse (attualmente almeno 12%), vengono cedute.
La vicenda della privatizzazione di AQP costituirà un precedente per quanto riguarda le grandi privatizzazioni in Italia (è l'acquedotto più grande d'Europa, terzo nel mondo).
L'art. 35 della Finanziaria impone, entro il 31 dicembre, la trasformazione in S.p.A. di tutti i consorzi pubblici, le aziende speciali e le aziende speciali di carattere municipale. Si sta già dando attuazione a questo processo attraverso le convocazioni delle assemblee consortili di questi organismi o dei vari consigli, senza aspettare la promulgazione del Regolamento attuativo dell'art. 35, che doveva essere approvato dal Consiglio dei Ministri entro il 30 giugno.
La privatizzazione prosegue senza un minimo di discussione nei consigli comunali dei paesi interessati. L'art. 35, infatti, contiene anche un passaggio in cui si afferma che la delibera di trasformazione delle aziende speciali, laddove siano consortili, non devono neanche essere soggette all'approvazione del consiglio comunale. É sufficiente che deliberi l'assemblea dei soci, cioè i Sindaci dei comuni afferenti al consorzio. Può accadere, dunque, che l'azienda consortile sia trasformata in S.p.A. anche in assenza di uno dei Sindaci, il quale verrebbe a conoscenza della trasformazione, insieme con i consiglieri comunali (che dovrebbero essere i rappresentanti del popolo), solo al momento della consegna della bolletta dell'acqua. Questa è la prima dimostrazione della violenza del processo di privatizzazione.
Un'altra violenza, molto esplicita, è contenuta nella bozza del Regolamento di attuazione dell'art. 35 della Finanziaria che deve essere ancora emanato. Non solo la disciplina dell'affidamento diretto sembrerebbe abbreviare il periodo transitorio (dai 3 e 5 anni si passerà ai 2 anni che potranno essere aumentati di 1, con la privatizzazione del 40%, e di 2, con la privatizzazione fino al 51%), ma, soprattutto, si tenderebbe all'obbligatorietà della privatizzazione. Si cita, infatti, espressamente, che il rappresentante dell'Autorità d'Ambito che non procedesse alla privatizzazione, debba essere imputato ai sensi dell'art. 328 del Codice Penale (omissione di atti di ufficio).
Anche la circolare ministeriale, emanata nel novembre scorso dal ministro Matteoli, che ammoniva i comuni a non procedere assolutamente alla gestione "in house", come previsto dalla sentenza dell'Unione Europea, era pervasa da violenza. Affermava, infatti, che gli amministratori che avessero ignorato la circolare, continuando a fare ricorso all'affidamento diretto per il servizio idrico integrato, sia nei confronti di una società interamente pubblica che partecipata, non si sarebbero potuti ritenere esenti dal dover reintegrare il danno arrecato all'Italia, sia sotto il profilo dell'immagine internazionale, che dei costi necessari. Mai toni tanto minacciosi erano stati contenuti da una Circolare ministeriale apparsa su una Gazzetta Ufficiale.
La violenza più grande, tuttavia, è sicuramente costituita dal fatto che questo processo di privatizzazione si realizzi con l'assoluta inconsapevolezza dei cittadini.
Tutta questa violenza non fa altro che dimostrare l'accanimento derivante dalla urgenza con cui il Governo persegue questo processo; è cosciente che, se si risvegliasse l'opinione pubblica, le cose potrebbero andare in un modo diverso.
7. La proposta del Comitato Italiano per un Contratto Mondiale dell'Acqua.
Molti sono, ormai, i comuni che aderiscono al Manifesto dell'Acqua , tra cui citiamo, oltre ai più di cento comuni lombardi che hanno firmato un referendum abrogativo contro la legge di attuazione della 36/94 della regione Lombardia, il comune di Grottammare e la provincia di Ferrara che addirittura sono entrati a far parte del Comitato Italiano dell'Acqua.
Poiché nei prossimi mesi, in Italia, si decideranno le sorti della gestione delle risorse idriche ed essendo emersa chiaramente la necessità di affrontare questo complesso tema a partire da un forte coinvolgimento del territorio e delle amministrazioni locali, il Comitato italiano propone a tutti gli Enti Locali di aderire formalmente alla Carta dell'Acqua, cioè alla dichiarazione di intenti rispetto ai principi del Manifesto dell'Acqua.
Perché ciò avvenga è necessario che si mobiliti la popolazione tutta, per dibattere un tema tanto scottante e per informare i consiglieri comunali che essi stessi possono portare in discussione in consiglio comunale la Carta dell'Acqua.
Vademecum per agire a favore della
Carta dell'Acqua
di Daniela Curto e Vincenzo Masi (Comitato italiano per un Contratto Mondiale sull'Acqua)
Argomentazioni per ritardare la privatizzazione.
La prima argomentazione per prendere tempo per quanto riguarda la privatizzazione è costituita proprio dalla mancanza del Regolamento attuativo dell'art. 35 della Finanziaria.
La seconda è che, poiché l'art. 35 è oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale, potrebbe essere modificato o annullato.
Argomentazioni contro chi auspica la privatizzazione.
Alcuni amministratori affermano o paventano:
· l'ineluttabilità del processo di privatizzazione dal punto di vista normativo (come, per esempio, l'impossibilità a opporsi a una norma di carattere comunitario).
Non esiste ancora alcuna norma che vincoli questo processo di passaggio da una gestione pubblica a una privata, come non esiste alcuna norma che imponga la messa sul mercato dell'acqua.
Alcuni amministratori si sono avvalsi di queste false argomentazioni affermando che la privatizzazione era obbligatoria e che comunque stava per essere promulgata la legge e tutto ciò anche prima che fosse emanato l'art. 35 della Finanziaria: è una mistificazione.
· il privato è in grado di far funzionare meglio il servizio.
Se ciò venisse affermato da un amministratore pubblico, sarebbe molto grave considerato che se un amministratore ritiene di non poter assolvere alla sua funzione, dovrebbe avere l'onestà intellettuale di non ricoprire cariche amministrative pubbliche.
· di non possedere gli strumenti per effettuare la gestione, cosa che, invece, non manca ai privati.
Questa è un'altra mistificazione perché, a seguito della legge 81 del '93 e della 127, la Bassanini, i sindaci possono essere considerati dei veri e propri "podestà" in quanto hanno facoltà di assumere consulenti, acquisire competenze, know-how, management, per far sì che le aziende pubbliche funzionino meglio.
· occorrerebbero investimenti ingenti per risanare la rete idrica e che la finanza pubblica non è in grado di sostenerli.
A costoro bisogna rispondere che il privato non interviene certamente per far beneficenza, per cui se investe lo fa sulla base di piani finanziari che prevedono il recupero del capitale remunerato, con profitto e utili.
· tutto sommato viene privatizzata solo la gestione della risorsa idrica ma il bene acqua resta demaniale e la proprietà, la programmazione e la gestione delle reti rimane pubblica.
Ancora una volta siamo in presenza di una mistificazione, poiché a dare in appalto e controllare per 30 anni, così come previsto dalla legge Galli, la gestione della risorsa idrica a una multinazionale sono gli Ambiti Territoriali Ottimali - i cosiddetti ATO - i quali molto spesso non possono permettersi di assumere nemmeno un ingegnere, essendo solo dei consorzi tra comuni. Le multinazionali, invece, annoverano tra le strutture imponenti studi legali che hanno il compito di studiare i contratti di gestione per trovare eventuali lacune che consentano di ottenere il massimo del profitto.
D'altro canto, coloro che gestiscono un'amministrazione comunale sanno bene che molto spesso è più facile gestire in economia i servizi piuttosto che realizzare un capitolato di appalto e sostenere una gara corretta, per garantire il rispetto di tutte le esigenze pubbliche. Tali difficoltà dei comuni si ripresentano immancabilmente nell'ATO.
· la tariffa è stabilita dall'ATO.
Ciò è vero perché previsto dalla legge 36/94; ma basta sfogliare i quotidiani per rendersi conto della presenza di articoli i cui titoli affermano, come è accaduto sul Sole 24 Ore, "È sempre più allarmante la situazione del sistema idrico italiano, afflitto da problemi gestionali che richiedono riforme urgenti". Dalla lettura appare, poi, che le riforme urgenti sono quelle sui vincoli del sistema tariffario.
La manovra è così concepita: inizialmente è stata promulgato l'art. 35 della Finanziaria, con cui si obbliga a privatizzare e, dopo un lasso di tempo, per esempio un anno, si dà la possibilità di avvalersi di tariffe altre rispetto a quelle stabilite, giustificando l'operazione con i forti investimenti che le multinazionali dovranno sostenere.
Non esistono assolutamente, dunque, garanzie, per cui queste asserzioni vanno respinte.
· data la gravità dei problemi nella gestione idrica in Italia, la priorità è quella di avvalersi immediatamente di ingenti investimenti per dare efficienza alle gestioni, per cui un pò di privato non guasta.
Come è accaduto in Argentina, i processi di liberalizzazione favoriscono le multinazionali che, oltre a non dare garanzie per quanto riguarda l'efficacia della gestione dei servizi, non hanno alcun interesse a portare l'acqua o a gestirla in modo efficiente in una piccola frazione che costituisce una diseconomia. L'economicità realizzata dal privato spesso non si basa sul know-how, oggi ancora reperibile sul mercato (ma quando sarà esclusivo patrimonio delle imprese, esistendo il diritto di proprietà intellettuale, non sarà più reperibile), ma si basa su una serie di operazioni di distruzione dei diritti di quanti operano nel settore. Le società operano una drastica riduzione del personale, non per esubero, ma perché costringono il personale rimasto a lavorare in condizione di sfruttamento (esempio ne sono le limitazioni all'art. 18, i contratti dei co.co.co., il lavoro interinale che consentono sfruttamento e ricatto e, solo per questo, determinano condizioni di maggior economicità). |
settembre - dicembre 2002 |