Un'esperienza di partecipazione democratica a Molfetta
di Giacomo Lucivero

Tesimonianze - “IL PERCORSO – per restituire la città ai cittadini”

Giacomo Lucivero è professore ordinario di Medicina Interna, direttore del Dipartimento Assistenziale di Medicina Interna, Specialistica e Sociale, nella Seconda Università degli Studi di Napoli. Fu portavoce del Percorso negli anni ’93-’94.

Alla fine del ’92, Molfetta era ancora sconvolta dal tragico evento dell’assassinio del Sindaco Gianni Carnicella, avvenuto il 7 luglio. I cittadini, disorientati da quella tragedia, vedevano la Politica di Palazzo gestita da gruppi contrapposti di consiglieri comunali alla perenne ricerca di nuovi equilibri spartitori, sempre più lontani dalla gente e incapaci di rapportarsi con la comunità cittadina.
A livello nazionale le inchieste giudiziarie dei procuratori milanesi del pool “Mani Pulite” facevano emergere sempre più chiaramente l’intreccio di Tangentopoli fra burocrazie di partito, affaristi, arrampicatori sociali e mondo economico e allungavano lunghe ombre sulla possibilità di risanamento di un sistema economico in cui inflazione, tassi d’interesse bancario e disoccupazione viaggiavano stabilmente su numeri a due cifre.
Gli avvenimenti politici internazionali non fornivano elementi particolarmente incoraggianti. Il crollo del muro di Berlino, la crisi irreversibile del sistema politico ed economico dell’Unione Sovietica e del blocco orientale, la guerra del golfo contro l’Irak, l’esplosione delle guerre balcaniche con la tragedia di Sarajevo e della Bosnia avevano azzerato storici riferimenti ideologici e accresciuto incertezze e timori.
A Molfetta, da alcuni anni, punto di riferimento per alcune componenti cattoliche e gruppi di volontariato era stata l’esperienza pastorale, culturale e sociale che aveva visto come protagonista il Vescovo, Don Tonino Bello: questa esperienza raggiungeva il suo apice con l’incredibile e affascinante viaggio-testimonianza dei pacifisti a Sarajevo nel dicembre di quell’anno e con la scelta di Molfetta da parte di Pax Christi a sede della Marcia per la Pace, il 31 dicembre di quell’anno.
Molti cittadini, impegnati singolarmente a testimoniare nel mondo del lavoro, della cultura, delle professioni, del volontariato una “opposizione diffusa” e l’esigenza di rinnovamento nel modo di pensare e fare politica non riuscivano o non volevano collegarsi alle forze politiche operanti in città perché screditate o ingabbiate in oligarchie burocratiche fortemente strutturate. Avevano anche, in quei mesi, la consapevolezza che la Città fosse incapace, a livello istituzionale, di elaborare un progetto di sviluppo per andare incontro agli interessi della collettività, soprattutto delle fasce più deboli e che non fosse espressione degli interessi dei gruppi economici o politici più forti che avevano occupato almeno nell’ultimo decennio le leve del potere e stabilito in alcuni casi intrecci perversi con alcuni settori dell’amministrazione comunale. Era diffusa una sensazione di estraneità nei confronti delle figure istituzionali e delle stesse istituzioni della Città: questa non apparteneva più ai cittadini ma era vista come un “affare privato” di chi, pur democraticamente eletto, aveva abusato del potere raggiunto per arroccarsi in oligarchie chiuse.
Le esigenze di un cambio di rotta nella conduzione politica e amministrativa della Città erano state mantenute vive da gruppi attivamente impegnati nel volontariato o da alcune aggregazioni politiche. Questi gruppi, tuttavia non riuscivano ad uscire dai propri confini ideologici, culturali e organizzativi per assumere una dimensione e una valenza cittadina. Il movimento politico “Insieme per la Città”, che vedeva impegnati cattolici progressisti e cittadini di diverse aree politico-culturali orientate a sinistra, dalla fine degli anni ’80 aveva sottoposto le amministrazioni comunali che si erano succedute ad un attento controllo con una puntuale contestazione di atti amministrativi relativi ad investimenti in differenti campi economici e sociali oppure alla realizzazione di costose e improduttive opere pubbliche. L’Osservatorio 7 luglio, nato dopo l’uccisione del Sindaco Carnicella, rivolgeva la sua attività e la sua attenzione all’esame delle problematiche della legalità, degli intrecci politico-affaristici che fiorivano all’ombra dell’amministrazione comunale, dello spaccio della droga e di altri fenomeni di devianza. Il gruppo politico della “Rete”, pur potendo contare su collegamenti nazionali, non riusciva ad aggregare e coinvolgere un numero elevato di cittadini. La locale sezione del PDS aveva pagato la metamorfosi dall’ex PCI con la separazione del gruppo di Rifondazione Comunista, ma anche con forti contrapposizioni interne che avevano portato alla nomina di un commissario esterno. Anche DC e PSI subivano, in città, la crisi nazionale determinata dalla esplosione dello scandalo di Tangentopoli e si frammentavano in gruppi contrapposti impegnati soprattutto nella conservazione di clientele politiche e di brandelli di potere amministrativo. Forza Italia, come nuova formazione politica, era ancora in incubazione a livello nazionale e, di riflesso, anche a livello cittadino.
Pur in questo contesto di notevole disagio, che coinvolgeva molti cittadini, era però presente in città una forte esigenza di rinnovamento che portasse alla sostituzione della classe politica al potere ma anche ad un differente modo di intendere e fare politica, con una reale partecipazione dei cittadini. Il problema fondamentale era quello di individuare le formule, le modalità operative, che permettessero di aggregare in un progetto politico unitario quelle esigenze diffuse di rinnovamento e incanalare la partecipazione dei cittadini nella realizzazione di una progetto condiviso di sviluppo della città.
Nell’aprile del ’93 incominciai a partecipare ad incontri con un gruppo di amici, per valutare la possibilità di elaborare un manifesto o un appello a tutti coloro che auspicavano un rinnovamento della vita politica della Città. A questi incontri, caratterizzati da ampie e prolungate discussioni sui punti e temi più rilevanti da inserire nell’appello alla Città, e dalla difficoltà di giungere ad un elaborato scritto che soddisfacesse pienamente le differenti “anime” culturali dei presenti, partecipavano inizialmente Mimmo Favuzzi, Guglielmo Minervini, Pinuccio Romano, Ignazio de Marco, Lazzaro Gigante, Antonello De Tullio e lo scrivente; dopo breve tempo si aggiunsero anche Vincenzo Valente, Matteo d’Ingeo, Franca Carlucci, Cosmo Sallustio e Antonio Campo. La “scommessa” politica era quella di creare le condizioni per un’aggregazione politica che coinvolgesse attivamente un elevato numero di cittadini desiderosi di un profondo rinnovamento politico-amministrativo, con due obiettivi ben definiti: (1) elaborazione “corale” e partecipata di un programma per la Città; (2) svolgimento di “elezioni primarie” fra i cittadini per scegliere un candidato sindaco da presentare alla città nelle elezioni comunali del ’94 e i componenti di un’eventuale lista unica, a sostegno della candidatura del sindaco. Il lavoro del gruppo portò alla creazione del “logo” dell’auspicato progetto politico – “Percorso – per restituire la città ai cittadini” –, l’elaborazione dell’appello ai cittadini per “Restituire la città ai cittadini”, e di un programma operativo che, attraverso la costituzione di un “Comitato promotore”, portasse poi ad una campagna di adesioni ad un progetto politico, per “aggregare e mobilitare tutte le forze sane e desiderose di un reale rinnovamento della città”.
L’appello “Restituire la città ai cittadini” riassumeva il lungo, laborioso lavoro preparatorio dei mesi precedenti: dopo un’analisi della situazione molfettese, con la condanna di “un sistema di potere fondato sulla corruzione, sulle clientele, sul voto di scambio” che aveva fatto scivolare la città “verso livelli mai toccati prima di degrado sociale, di dissesto territoriale e di illegalità diffusa sino ai limiti di pericolose contiguità tra politica e criminalità”, l’appello prendeva in considerazione la presenza in città di una “opposizione sociale, composta da gruppi di base e nuovi movimenti politici, realtà socio-economiche apparentemente marginali, gruppi di volontariato, associazioni eco-pacifiste, di giovani e di donne, operatori sociali e animatori culturali, responsabili e gruppi della comunità ecclesiale……., da professionisti, intellettuali, piccoli e medi imprenditori, che hanno fatto con competenza e onestà il proprio lavoro senza scendere a compromessi con il potere e anche da tanta gente che ha sofferto sulla propria pelle i guasti e le ingiustizie del sistema”. Tutto ciò costituiva un “grande potenziale di intelligenza, professionalità, passione, ansia di giustizia” ed era espressione di una “politica diffusa” da aggregare e valorizzare per il rinnovamento della Città. Era giunto il “momento delle scelte” perché “la città ha bisogno di cittadini onesti, competenti, responsabili e soprattutto credibili perché non compromessi con il vecchio sistema; di persone che hanno saputo concretamente testimoniare con il loro impegno politico, sociale, culturale o professionale la loro adesione ai valori fondamentali della democrazia, della solidarietà, della legalità, della difesa dell’ambiente, della pace e della dignità della persona”. L’obiettivo finale doveva essere quello di “riconsegnare la città nelle mani dei cittadini e trasformare il Comune in una casa di vetro” per “ripristinare la legalità, ristrutturare e riorganizzare la macchina amministrativa, progettare una città solidale, bella e vivibile”. Questo ambizioso progetto, per realizzarsi, doveva riuscire a determinare “uno straordinario risveglio delle coscienze, un nuovo protagonismo dei cittadini per costruire una fase di radicale rinnovamento della nuova vita politica e sociale”, contrapposta “alle logiche dei partiti e dei comitati d’affari”. Punto nodale del progetto era la creazione iniziale di un Comitato Promotore: esso doveva essere composto da “cittadini che, partendo da culture ed esperienze diverse” intendevano “percorrere una strada comune….. e costituire l’alternativa vincente dei cittadini liberi alle elezioni amministrative”. L’appello fu perciò inizialmente sottoposto, in forma riservata, a cittadini che potevano condividerne i principi ispiratori: credere “nella politica come sevizio gratuito al bene comune”, non essere “mai stati padrini, né clienti” e desideravano “dalla marginalità in cui erano stati costretti”; essersi “riconosciuti nei valori di fondo di alcuni partiti, ma averli visti sempre sviliti da personaggi che con quei valori nulla avevano da spartire”. L’adesione all’appello e la partecipazione al comitato promotore del progetto politico avveniva a titolo personale e non “in rappresentanza di sigle o forze politiche tradizionali”. L’adesione doveva comportare un’attiva partecipazione ai gruppi di lavoro sui temi da sviluppare per l’elaborazione del programma per la Città nonché alle iniziative di promozione del progetto politico.
Il 10 ottobre del ’93 presso l’Aula Magna del Centro Sociale “don Tonino Bello” (il Vescovo di Molfetta era deceduto nel mese di Aprile) era convocata l’Assemblea del Comitato Promotore, composta da circa 160 cittadini che avevano sottoscritto l’appello per “restituire la città ai cittadini”. Nella relazione introduttiva Guglielmo Minervini presentava il progetto per “restituire la città ai cittadini” dando risposte a cinque domande e con una considerazione finale: (1) Chi siamo? Un’aggregazione forte di intelligenze, di soggetti e di culture. (2) Quali idee abbiamo in comune? Una certa idea della democrazia e della città. (3) Quali dubbi abbiamo in comune? Perplessità sulla crisi della città, sull’identità del movimento a causa dell’eterogeneità dei linguaggi e delle culture, sul metodo, con fiducia tuttavia sulla possibilità di un’elaborazione collettiva e dello sviluppo di una democrazia sostanziale. (4) Cosa non faremo in comune? Non un partito, né un nuovo movimento; né avremo la pretesa di avere le risposte pronte per ogni problema. (5) Cosa faremo in comune? Un dialogo-confronto con la città, attraverso l’organizzazione di gruppi di lavoro, per sviluppare un programma, una sintesi politica delle proposte nate dal basso, partecipate e confrontate, la scelta di un sindaco che esprima una rottura radicale col sistema al potere. Nelle considerazioni finali Minervini riportava due citazioni: la prima di Salvemini, tratta dall’intervento al Congresso del Partito Socialista del 1908 (“Sotto il peso delle avversità i più forti d’ingegno e i più onesti abbandonano la lotta e si ritirano a vita privata. Oppure si dedicano alla scienza, simili a quei fari isolati nella notte, che guidano i lontani e lasciano nell’oscurità le terre vicine. Oppure, esclusi dalla politica pratica, sciupano il loro ingegno nel costruire astrazioni sociologiche più o meno astratte, prive di ogni contatto con la realtà. I meno forti, cioè i più, a poco a poco si lasciano digerire dall’ambiente e moltiplicano con l’opera loro le cause del male”), la seconda di Don Tonino Bello (“Coraggio nel paradosso, rifiuto delle banalità, estro nel sostenere linee perdenti e anticonformiste, audacia nell’andare contro-corrente quando si intuisce la verità”).
Dopo il dibattito, l’assemblea del Comitato Promotore discuteva e approvava le regole organizzative del Percorso ed eleggeva il Comitato di Coordinamento e il Comitato dei Garanti. Iniziava così un’avventura politica che avrebbe inciso profondamente sulla vita della città negli anni successivi.
La domenica seguente, 18 ottobre, era organizzata la presentazione pubblica del Percorso, in cui si ribadiva e precisava che il Percorso era un progetto politico al quale potevano aderire tutti i cittadini che, a titolo individuale condividevano lo spirito e i contenuti del documento-appello “Restituire la città ai cittadini”. A tutte le componenti cittadine si rivolgeva l’invito ad una piena assunzione di responsabilità e alla partecipazione attiva per rompere gli schemi della vecchia politica cittadina e operare per un radicale rinnovamento della classe politica. Poiché il Percorso non si proponeva come un nuovo partito, né un nuovo movimento, ma come luogo di aggregazione per l’elaborazione comune di un progetto politico, ai partecipanti non si richiedeva di rinunciare alle proprie convinzioni politiche o all’iscrizione a partiti o movimenti. Si sottolineava però che nel Percorso non ci sarebbe stato posto per “padrini politici, né per i loro clienti”, responsabili del degrado della vita politica molfettese. Punto fondamentale di quest’iniziativa politica era la convinzione che la città era ricca di intelligenze e capacità inespresse, se non boicottate dall’arroganza del vecchio ceto politico: a queste forze veniva chiesto di dimostrare la propria presenza con una convinta partecipazione democratica. L’esperienza maturata nelle lunghe discussioni fra gli estensori dell’appello permetteva di sottolineare che le differenze culturali e di esperienze potevano costituire una ricchezza da valorizzare per portare alla creazione di una tenda programmatica comune in grado di accogliere istanze condivise. Nel Percorso, nessuna componente poteva avere pretese di egemonia ideologica: cattolici, militanti di partiti o movimenti, cani sciolti della società potevano confrontarsi e soprattutto collaborare, senza pregiudizi ideologici, condizionamenti burocratici o ruoli predefiniti. La diversità delle provenienze e dei linguaggi doveva rappresentare la principale ricchezza del Percorso per poter meglio dialogare e rapportarsi con le differenti componenti cittadine. Facendo riferimento alla nuova legge per l’elezione dei Sindaci, il Percorso si proponeva come obiettivi (1) l’elaborazione di un programma politico-amministrativo per la Città e (2) la scelta, con il sistema delle elezioni primarie, del candidato Sindaco da sottoporre, insieme alla sua squadra di assessori, al consenso elettorale.
Il giorno dopo sulla Gazzetta del Mezzogiorno compariva un articolo del corrispondente locale Sergio Annese che titolava “Un Percorso nuovo per la città” – costituito gruppo politico formato da 200 persone – chiesto l’immediato scioglimento del Consiglio. L’articolo si concludeva sottolineando che “si tratta di un percorso nuovo, importante per la Città e per i riflessi che genererà inevitabilmente nel sistema politico molfettese, sempre che il richiamo alla partecipazione non nasconda o non diventi solo operazione di marketing politico”.
La nascita del Percorso suscitava in città da un lato notevoli aspettative dall’altro attacchi da parte di politici locali sia di centro-destra che di sinistra: i commenti spaziavano dalle accuse di velleitarismo a quelle di giacobinismo, in riferimento alle modalità con cui il progetto politico si era sviluppato e aveva reclutato i componenti del Comitato Promotore.
Nella prima assemblea degli aderenti, tenutasi il 14 novembre, veniva presentata l’organizzazione del Percorso insieme ai primi elementi “programmatici” che incominciavano ad emergere dai gruppi di lavoro. Il numero di aderenti si era già raddoppiato rispetto ai componenti del Comitato Promotore.
Nei mesi successivi l’attività del Percorso si sviluppava intensamente attraverso la pubblicazione di un foglio di informazione (che portava il logo Percorso – per restituire la città ai cittadini) per gli aderenti e per la città e la periodica convocazione di assemblee che saranno caratterizzate da una crescente e appassionata partecipazione. Il Comitato di Coordinamento, con la collaborazione dei responsabili dei gruppi di lavoro metteva in cantiere una serie di incontri con le varie componenti economiche, culturali e sociali della città per favorire e stimolare una più ampia partecipazione al progetto che andava prendendo corpo. Un momento importante di confronto sarà costituito dall’assemblea del 19 dicembre, in cui il Coordinamento, riferendosi anche ai risultati elettorali del 5 dicembre che avevano portato all’elezione di Sindaci progressisti in importanti città italiane, organizzava una tavola rotonda sul tema “5 dicembre ’93: l’entusiasmante umiltà dell’impegno comune”. E a Molfetta?”. All’incontro erano invitati esponenti di aree culturali e politiche che, fino ad allora, erano rimaste estranee al Percorso. Gli interventi preordinati di Giuseppe Cannizzaro, uno degli animatori di Carta 93, di Marino Centrone di Rifondazione Comunista, del socialista Tommaso Minervini e del liberale Bonifacio Pansini, contribuivano ad arricchire il Percorso di ulteriori riflessioni e apporti culturali e politici e permettevano di avviare un discorso comune che avrebbe portato, in seguito, a forme concrete di collaborazione programmatica e politica.
La successiva assemblea del Percorso, del 23 gennaio del ’94, si svolgeva, in conseguenza dell’aumentato numero degli aderenti, presso il teatro “Don Bosco” della parrocchia San Giuseppe. All’incontro partecipano l’amministrativista Dott. Nicola Calvani che relazionava sulla nuova legge per l’elezione del Sindaco e due Sindaci progressisti eletti nelle elezioni del precedente 5 dicembre, Aldo Bulzoni e Giannicola Sinisi. La crescente partecipazione assembleare faceva intuire che la proposta politica del Percorso stava facendo breccia in Città e raccoglieva fra i cittadini un consenso sempre più ampio. I contributi di esperienza di Bulzoni, che a Caserta era riuscito ad incidere sul potere monolitico della DC locale e di Sinisi, che con un mix di forze politiche e società civile era riuscito a far accettare dalla città di Andria un programma di rinnovamento, erano sicuramente di buon auspicio per quanto si stava verificando anche a Molfetta. Il Sindaco Bulzoni, tuttavia, concludeva il suo intervento sottolineando che la vera sfida incominciava dopo la vittoria ed era quella di riuscire a conservare il livello di partecipazione dei cittadini raggiunto nella fase programmatica pre-elettorale. Sinisi, d’altro canto, sottolineava le difficoltà che, nell’amministrazione, venivano poste dalla burocrazia e il rischio che vecchie e consolidate cattive abitudini potessero soffocare la speranza del cambiamento.
Mentre continuava l’attività dei gruppi tematici per la stesura della bozza di programma e gli incontri con gruppi di operatori economici, associazioni di categoria e culturali della città, si avviava all’interno del Percorso anche la discussione sui criteri da seguire per la scelta del candidato sindaco, sulla preparazione delle liste di candidati al consiglio comunale, e sulla posizione del Percorso in occasione delle imminenti elezioni politiche nazionali. Questi temi erano all’ordine del giorno nell’Assemblea del 27 febbraio: veniva presentata e discussa la bozza di programma del Percorso. Essa riprendeva i concetti ispiratori dell’appello iniziale, sottolineava l’esigenza di “far nascere la speranza dalla crisi del vecchio regime” e di passare “dall’opposizione sociale alla politica diffusa”. Nel documento si ribadiva l’esigenza di ritornare alla città, impedire uno sviluppo selvaggio che aggravasse i rapporti fra centro e periferia, portare a compimento il piano regolatore generale, recuperare aree per servizi pubblici, operare per il recupero del centro storico, garantire i servizi ai quartieri periferici, rompere il patto fra politici, costruttori e proprietari fondiari che avevano reso sempre grave il problema della casa a Molfetta. Lo sviluppo delle risorse doveva partire da un’attenta analisi del territorio, dalle realtà produttive dell’agricoltura, della marineria e della pesca, delle imprese artigiane e commerciali. L’identità culturale da riscoprire e valorizzare necessitava di uno scatto d’orgoglio e di fantasia, partendo dalla constatazione che la città già possedeva i requisiti per divenire un punto di riferimento culturale nell’elaborazione delle tematiche della tolleranza e della pace, per lo sviluppo della convivenza e della solidarietà e per aiutare la nostra collettività, l’Italia e l’Europa a vincere lo spettro della violenza e dell’intolleranza. Evitare lo sperpero del denaro pubblico in progetti faraonici di opere pubbliche di limitata utilità e riducendo onerose consulenze professionali era presupposto, insieme ad una riorganizzazione dell’Ufficio Tributi, per una razionalizzazione della spesa pubblica e un rigoroso recupero delle entrate correnti e tributarie. Il Comune doveva diventare una “casa di vetro” per garantire correttezza e trasparenza di tutti gli atti amministrativi.
La Bozza di programma veniva sottoposta all’attenzione degli aderenti e dei cittadini, con l’impegno a recepire utili suggerimenti e integrazioni; si avviava anche un ampio confronto con forze politiche e sociali, partiti e movimenti (in particolare PDS, Rifondazione Comunista, PSI, Cristiano Sociali, Rete, Verdi e Vero Repubblicanesimo), associazioni, circoli culturali, categorie professionali in previsione di un Forum pubblico con le forze politiche e sociali.
Si avviava anche il meccanismo delle elezioni primarie per la scelta del candidato sindaco, attraverso segnalazioni di candidature, anche di non aderenti al Percorso; le elezioni primarie si sarebbero svolte nel contesto di una Festa della Democrazia, assemblea pubblica con momenti di animazione artistica e musicale.Veniva anche decisa la formazione di una lista “Percorso” per l’elezione di consiglieri comunali che non comprendesse aderenti al Percorso, contemporaneamente iscritti a forze politiche che presentavano proprie liste a sostegno del candidato-sindaco del Percorso. In previsione delle elezioni politiche che si sarebbero tenute il 27 e 28 marzo l’assemblea degli aderenti pur esprimendo “delusione e sconcerto per i metodi lottizzatori e verticistici adottati dal tavolo incaricato di definire le candidature dello schieramento progressista nei collegi pugliesi di Camera e Senato”, deliberava che “il Percorso sta con i Progressisti”.
Essendo state definite le date (12 e 26 giugno 1994) delle elezioni comunali a Molfetta, insieme alle Elezioni Europee, il Percorso organizzava per la domenica del 17 aprile, le elezioni primarie per la scelta del candidato Sindaco, nell’ambito di una Festa della Democrazia, in Piazza Municipio. Dalla rosa dei candidati la maggioranza delle preferenze andava a Guglielmo Minervini come candidato sindaco del “Percorso – per restituire la città ai cittadini”. Minervini avrebbe organizzato il comitato promotore elettorale e avrebbe portato a compimento, d’intesa con le forze politiche che si sarebbero schierate a sostegno della sua candidatura, la stesura del programma elettorale con l’elaborazione del “Libretto Verde” per “Restituire la città ai cittadini – Un programma per Molfetta”. Il Percorso non sospendeva la sua attività: organizzava una propria lista di candidati al consiglio comunale e con i suoi aderenti avrebbe fornito un considerevole apporto organizzativo al candidato Sindaco durante la campagna elettorale.
Il 26 giugno, al secondo turno, Guglielmo Minervini era eletto Sindaco di Molfetta. La scommessa politica del “Percorso”, ufficialmente nata il 10 ottobre dell’anno precedente si rivelava vincente e trovava un’entusiastica conclusione nel corteo spontaneo di cittadini che si snodava per le strade della città dopo la conferma della vittoria elettorale.

maggio - agosto 2002