Lame, territorio, area industriale
di Massimiliano Piscitelli (Circolo Legambiente di Molfetta)

Aforismi

L’azione che il territorio può esercitare su una comunità si è sempre esplicata sia in termini di limitazioni che in termini di opportunità. Il “territorio” può imporsi sull’“ambiente” dando origine alla trama territoriale su cui gruppi umani innestano sedi, attività, traffici.
Le società evolute hanno sempre tentato di operare scelte tese a valorizzare le risorse offerte dal territorio e, entro i limiti posti, a trarne possibilità di sviluppo.
In quest’ottica non sarebbe opportuno considerare la componente morfologica disgiunta dagli altri elementi spaziali, naturali e sociali che insieme definiscono l’ambiente di una regione e che offrono ampie oppure limitate opportunità alla vita umana.
Per il nostro territorio caratterizzato prevalentemente da una morfologia costiera e carsica è facile individuare esempi.
Il Pulo, una dolina carsica, è stato il fulcro dei primi insediamenti neolitici.
Le lame, in particolare in prossimità dello sbocco a mare, hanno ospitato i primi insediamenti moderni e sono state la culla di una fertile agricoltura. Pur imponendosi come limite, ostacolo fatto di scarpate, dislivelli difficili da gestire, improvvise e disastrose alluvioni, hanno rappresentato una grande opportunità sia per la ricchezza di vegetazione e per la fertilità dei suoli, sia per le insenature che consentivano un facile e riparato accesso al mare.
Tralasciando il territorio come punto di riferimento primario proviamo a spostare la nostra attenzione sull’attività umana. è facile notare che l’occupazione del territorio da parte degli uomini, e la loro crescente capacità operativa, è sì evento recente, se il nostro parametro cronologico è dato dai tempi geologici, ma certo molto antico se si considerano gli effetti prodotti e li si paragonano ai tempi dell’evoluzione geologica. Basti considerare l’incisività e l’intensità delle trasformazioni apportate agli spazi occupati: alcune strettamente morfologiche, altre relative a flora, fauna, circolazione dell’acqua, qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo. Tutte hanno ripercussioni più o meno forti sulla dinamica dei processi che caratterizzano la regione su cui insistono.
Da un’analisi globale di tutte le attività umane è possibile affermare che l’uomo è ormai diventato un agente modificatore del territorio che supera molti processi naturali in incisività e diffusione della sua azione.
è possibile distinguere almeno due tipologie di atteggiamenti rispetto alla “risorsa territorio”: quello in cui l’operosità umana si inserisce in un ambiente naturale con accorgimenti tesi ad assicurare una lunga durata all’occupazione del territorio (precauzione nella lavorazione dei terreni, rinnovo e manutenzione delle opere di sostegno, attività di difesa e di regolazione delle acque, istituzione di riserve dall’occupazione umana meno intensa e dai processi naturali più liberi e spontanei).
L’altro, quello in cui il calcolo economico e la sollecitazione di bisogni sempre più crescenti innescano un utilizzo indiscriminato del territorio che non tiene assolutamente conto della pressione antropica, dei danni esercitati e dei contraccolpi sulle forze naturali in gioco e sulla capacità di carico degli ecosistemi interessati. Ne consegue, spesso, una rapida e inarrestabile instabilità nei processi naturali e rottura di equilibri ambientali, e l’impossibilità di riconoscere in questi e vincoli e opportunità. 

Il 15 dicembre 2000, dopo una lunga e travagliata gestazione durata 15 anni, la giunta regionale approva il Putt/p (Piano Urbanistico Territoriale Tematico / Paesaggio). Forte l’insoddisfazione delle associazioni ambientaliste (Legambiente, Wwf e Italia Nostra), delle associazioni e degli ordini professionali (Ain, Abap, Sigea, Dottori agronomi e forestali, Biologi). “Un piano in cui manca un approccio multidisciplinare e multiculturale da cui possano emergere gli elementi fondamentali di stabilità ecologica, geologica, paesaggistica e sociale del territorio regionale”. è il “voto” unanime espresso in una serie di osservazioni congiunte presentata alla commissione che lavorava per la redazione del piano. 
Troppe le perplessità persino sulla legittimità del Putt: una regione commissariata perché incapace di dotarsi entro i termini di legge di un piano paesistico, avrebbe titolo per redigere e approvare il piano estromettendo il commissario nominato dal Ministero dell’Ambiente (il sovrintendente ai beni artistici e architettonici)? è solo uno dei quesiti che pone Legambiente al Tar Puglia subito dopo l’approvazione del piano.
Intanto il piano diventa operativo e ogni Comune è tenuto ad adeguare i piani urbanistici generali alle prescrizioni del piano regionale: integrare gli elenchi, censire e perimetrare, dopo attenta e completa ricognizione del territorio, le emergenze e le bellezze paesaggistiche, ambientali e storiche.
A Molfetta il Capo settore territorio, l’ing. Parisi, con l’arch. Petruzzella e l’ing. Losito, collaboratori esterni, avviano la perimetrazione degli ambiti territoriali.
Territori costruiti, ambiti territoriali estesi, ambiti distinti componenti il sistema delle aree omogenee per l’assetto geologico, geomorfologico e idrogeologico, il sistema delle aree omogenee per i caratteri della stratificazione storica e dell’organizzazione insediativa, il sistema delle aree omogenee per la copertura botanico vegetazionale e colturale e del contesto faunistico. Sono numerosi e complessi gli elaborati prodotti in risposta al Putt regionale. Ma con quale esito?
Promuovere la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse territoriali, tutelarne l’identità storica e culturale, salvaguardare la qualità del sistema paesistico, delle sue componenti ambientali e il suo uso sociale, nell’ambito dello sviluppo durevole e sostenibile. Questi gli obiettivi imprescindibili che qualsiasi piano paesistico dovrebbe porsi e che ogni amministratore dovrebbe raggiungere verificando la compatibilità delle trasformazioni proposte e delineando la tipologia di quelle necessarie a ricostruire il valore autentico dell’assetto paesistico-ambientale e storico-culturale del territorio.
Non è difficile intuire, dunque, la necessità di uno studio complessivo del sistema da cui far emergere, senza forzature, identità morfologica, ambientale, storica e culturale del paesaggio, sistemicamente inteso.
E veniamo al primo grande limite del piano regionale e delle sue possibili applicazioni.
L’articolo 1.03 comma 6, infatti, prescrive: “Le norme contenute nel Piano non trovano applicazione all’interno dei territori disciplinati dai Piani delle Aree di Sviluppo Industriale”. Nel nostro caso questo significa obliterare più di 400 ettari del nostro già esiguo territorio. Una soluzione di continuità, un’entità a sé stante, avulsa e in completa disarmonia con il contesto, con la sua storia. Quasi che fosse una “tabula rasa” su cui localizzare attività in maniera uniforme e omogenea. Su quel territorio invece la morfologia, la storia, le tradizioni hanno lasciato un’impronta decisa e marcata che si vuole cancellare per sempre frammentando l’armonia originaria. E non importa che a subirne le conseguenze siano gli equilibri naturali, la biodiversità, con alti costi sia per la conservare le forme progettate sia per porre rimedio ai danni causati.
Scomparirà per sempre ogni traccia del nostro passato: antiche torri, cisterne e abbeveratoi, edicole votive, opere interamente a secco di ingegneria idraulica (soglie e traverse), due importanti lame, uliveti antichissimi, pregiati e tra i più produttivi. Dimentichiamoli, tutto sta per essere raso al suolo.

Altro grande limite è rappresentato dal metodo utilizzato per adeguare il piano regolatore della città alle prescrizioni del Putt/p. La mancanza di uno studio, l’assenza di conoscenze organiche e integrate hanno prodotto perimetrazioni parziali, carenti, quasi improvvisate.
Un esempio per tutti: la perimetrazione delle aree di pertinenza e delle aree annesse nel sistema delle aree omogenee per l’assetto geologico, geomorfologico e idrogeologico. 
L’unico dato utilizzato è stato lo studio condotto dal Politecnico di Bari sulle lame. Uno studio prettamente idrologico e non morfologico–paesaggistico, che, tra l’altro, analizza solo tre delle numerose lame che attraversano il territorio.
Analizzando solo il fattore di rischio idraulico legato alla lama e non il suo valore paesaggistico nel suo insieme morfologico e naturalistico si valuta con leggerezza e superficialità un sistema molto più complesso e delicato. In sede di perimetrazione le aree di rispetto sono state ridimensionate per difetto, senza alcuna consapevolezza paesaggistica. 
Per di più le perimetrazioni relative agli altri sistemi di lame sono risultate molto più carenti, approssimative, discutibili e poco chiare.
Complessivamente, è la mancanza di un piano di ricognizione generale sul campo a non consentire di poter esprimere una pianificazione di interventi per la valorizzazione e la salvaguardia o il recupero delle peculiarità territoriali considerate ancora solo un grande vincolo da vincere in nome di facili “illusionismi neo-industriali”. 
“L’aspetto più complicato della soluzione di un problema consiste nel risolvere i problemi creati dalla soluzione”. Quest’aforisma non è solo l’arguta invenzione retorica di un esperto americano di marketing, ma la prova che i modelli economici ad oggi vincenti nel panorama del mondo occidentale corrono, si affannano e si trascinano a risolvere i danni e le emergenze provocate dal loro stesso esistere.

maggio - agosto 2002