Civiltà a confronto
di Angelantonio Spagnoletti

Riflessioni

Ricordate? Era appena passato l’11 settembre del 2001 che le vetrine delle librerie si riempirono di libri sull’Islam, su Maometto e sul fondamentalismo, di Corani, di storie delle crociate, di biografie più o meno romanzate di uomini di stato arabi; sulle reti televisive andavano in onda dibattiti ai quali partecipavano saggisti, opinionisti, predicatori, provocatori più o meno prezzolati in cui si discuteva delle ragioni dell’Islam, del rapporto tra quella religione e mondo cristiano, tra Occidente e Oriente, della presenza nella nostra Europa di milioni di musulmani e, fra di loro, dei complici e forse di alcuni degli stessi attentatori.

Con sgomento molti apprendevano in quei giorni che gli albanesi sono nella maggior parte dei casi musulmani e, quindi, aggiungevano un’ ulteriore motivazione al loro epidermico razzismo; molti allora venivano a conoscenza del fatto che nella cristiana Europa vi è già uno stato musulmano (la Bosnia) e che nelle grandi metropoli europee (compresa Roma) sono sorti veri e propri quartieri arabi con moschee, minareti e muezzin. Erano, viceversa, in pochi in quei giorni a fornire elementi di riflessione che andassero al di là della cronaca, che invitassero ad articolare i giudizi, che sottolineassero la complessità del mondo musulmano e la laicità di alcune sue componenti, che ricordassero i secolari rapporti che alcune sue parti intrattenevano con l’Europa e, in particolare, con le sponde settentrionali del Mediterraneo.
Dopo tanto fragore e confusione sembra che il silenzio sia calato non su una vicenda (che la ferita dell’11 settembre non è stata rimarginata e la guerra in Afghanistan è tuttora in corso, le minacce terroristiche vengono periodicamente evocate), ma su una questione che tocca la nostra sensibilità e che ha costituito, anche se preferiamo ignorarlo, tanta parte della nostra storia.
Nei nostri occhi rimangono impresse solo le immagini agghiaccianti dell’atto terroristico contro gli edifici simbolo del potere economico, militare e civile degli Stati Uniti e le altre di folle arabe scalcinate e tumultuanti che manifestano contro l’Occidente.
Il silenzio dei mass media che è rumorosamente sceso (ad esso fa da contrappeso il fragore della guerra tutta laica tra israeliani e palestinesi) non fa altro che consolidare giudizi e pregiudizi, confermare certezze, cullare nelle sicurezze, ridurre gli spazi della riflessione.
Di fronte a situazioni di questo tipo, che favoriscono giudizi sommari o la rimozione del problema, sono altamente apprezzabili quelle iniziative, specie se provenienti dal mondo della scuola, che invitano al confronto, al dibattito e alla riflessione ed è a questo punto che, sulla scia di un mio intervento alla serata organizzata a Molfetta il 25 gennaio del corrente anno dall’Istituto Tecnico Commerciale “ Gaetano Salvemini”, alla quale partecipò anche il vescovo don Luigi Martella, riprendo alcune mie sparse e non organiche riflessioni sul tema del rapporto tra Occidente e Islam all’interno di una cronologia che tocca gli ultimi cinque secoli della nostra storia.
A voler procedere a ritroso, non si può non rilevare che la ripresa del fondamentalismo islamico trova una delle sue motivazioni nel fallimento dei processi di occidentalizzazione forzata alla quale erano stati sottoposti nel secondo dopoguerra alcuni paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale e, quindi, nel venir meno dei particolari modelli di vita che in maniera più o meno palese erano stati per essi proposti. Il riferimento è qui all’Iran, all’Algeria, in parte all’Egitto, realtà ove i modelli di sviluppo e le stesse ideologie proposte facevano esplicito riferimento al capitalismo occidentale o al socialismo di stato dominante nell’Europa orientale. In tali contesti, le specificità locali divenivano il simbolo di un’arretratezza che doveva essere al più presto eliminata nel nome di una modernizzazione che, proveniente da Ovest o da Est, avrebbe portato molti paesi a fuoriuscire da quello che sembrava un lungo Medio evo.
È forse superfluo affermare che una siffatta visione dello sviluppo storico nei paesi musulmani più vicini a noi dal punto di vista geografico era l’eredità dell’Europa colonialista (e di specifiche modalità di intervento delle potenze socialiste nelle guerre di liberazione nazionale) e si basava sull’idea della superiorità dell’Occidente, in termini di sviluppo economico, di configurazione della società, di stile di vita, su quei paesi.
Eppure, le espressioni più alte della cultura europea, sin dal XVIII secolo, avevano elaborato le idee di relativismo culturale e di tolleranza che consentono una comprensione del diverso in una chiave che non è quella della superiorità (si pensi alle Lettere persiane di Montesquieu); eppure l’Europa è il continente che dovrebbe essere meglio e più vaccinato dai conflitti di religione, i cui devastanti effetti hanno, almeno fino alla metà del Seicento, rappresentato un elemento di divisione e prodotto lutti, rovine e fanatismi.
In realtà, lo sappiamo tutti, i paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo o quelli balcanici hanno conosciuto per lungo tempo prima la minaccia araba, poi quella turca. La nostra stessa regione ha conosciuto nel IX secolo un emirato arabo a Bari e tra XV e XVII secolo è stata oggetto di devastanti scorrerie da parte di flotte turche o dei pirati barbareschi.
La violenza degli scontri che allora si producevano, a guardare le cose dal punto di vista occidentale, veniva giustificata da motivazioni di ordine religioso (la difesa del mondo cristiano contro l’Islam) che, tuttavia, a mala pena nascondevano scelte, obiettivi, comportamenti dettati dalla ragion di stato.
La stessa conquista e saccheggio di Otranto del 1480, che tanto ha fatto scrivere sul martirio dei suoi abitanti e sulla innata crudeltà dei turchi, avvenne con la connivenza di Venezia alla quale premeva indebolire il re aragonese Ferrante; nel corso delle guerre che opposero Francesco I di Francia all’imperatore Carlo V (l’uno il re cristianissimo, l’altro il re cattolico) il primo si alleò con i turchi e il secondo con i persiani, e si potrebbe ancora continuare con altri esempi.
L’idea di crociata che sembrava animare gli spiriti dei sovrani cattolici d’Europa era, in realtà, un paravento ideologico che serviva a centralizzare le funzioni dello stato, a mobilitare risorse umane, materiali e finanziarie da destinare alla guerra, a integrare aristocrazie riottose (scaricandole sui teatri di guerra) all’interno degli eserciti e degli apparati governativi.
I conflitti, aspri, violenti, distruttivi, che opposero alcune potenze europee ai turchi non ebbero certamente motivazioni religiose e Venezia, che secondo una tradizionale immagine sarebbe il baluardo orientale della cristianità preferì sempre giungere ad un accordo con i turchi e riconoscere le loro conquiste in cambio del mantenimento delle proprie posizioni commerciali in Oriente.
Il pragmatismo caratterizzava l’azione degli uomini di stato veneziani i quali, in più occasioni, dovettero frenare l’attività quasi piratesca delle galere dei cavalieri di Malta che mettevano in pericolo la sicurezza dei traffici.
Per concludere queste brevi note, l’Europa ha una lunga consuetudine di rapporti con i paesi islamici, ha avuto con essi relazioni pacifiche o contro di essi ha combattuto, le popolazioni rivierasche hanno vissuto importanti momenti della loro storia nel timore o nella speranza dell’arrivo del turco (nel 1799 l’armata della Santa Fede del cardinale Ruffo in marcia verso Napoli per riportare sul trono Ferdinando IV di Borbone comprendeva un contingente di soldati turchi sbarcati nel Salento), a volte hanno visto nel sultano turco colui che, a differenza, dei sovrani occidentali, esercitava una giustizia giusta e operava sulla base di incontestati criteri di equità.
Anche questa, ovviamente, come l’idea di crociata era una forzatura ideologica, ma che ha un indubbio interesse in quanto consente di capire quale fosse la percezione che allora si aveva del “nemico”.
Oggi altre forzature ci vengono imposte, l’idea della superiorità del mondo occidentale non viene più supportata dagli eserciti coloniali, ma si muove lungo i più subdoli scenari della globalizzazione. L’omologazione che si tentava nel secondo dopoguerra oggi sembra avere più probabilità di successo, ma produce un’enorme distruzione di risorse e in ampie fasce delle popolazioni asiatiche e africane di fede islamica una serie di reazioni che vanno dalla riscoperta e valorizzazione delle tradizioni originarie alla demonizzazione dell’Occidente e, in alcuni casi, al terrorismo.

Spettatori di vicende che ci appaiono troppo ampie, a volte lontane e a volte vicine a noi, o inconsapevoli protagonisti di una ridefinizione dei rapporti di potenza in atto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, a noi spetta continuare ad usare la ragione e fare nostre con forza le grandi idee di libertà, pace, democrazia, rispetto e comprensione del diverso che la cultura europea ha elaborato a partire dal settecentesco Secolo dei Lumi.

maggio - agosto 2002