Nonostante il rumore, c’è troppo silenzio
di Pasqua De Candia

“Ci è arrivata proprio ora questa triste notizia. Purtroppo non ce l’ha fatta. Mohammed, nove anni, è morto in seguito a un incidente. Domani ci saranno i funerali…”
Vi state chiedendo chi è Mohammed?
Non preoccupatevi, non sentirete mai parlare di lui ai nostri tg, non vedrete mai interrompere i nostri grandi programmi televisivi per darne notizia della morte, dell’incidente.
È figlio di nessuno, o perlomeno, dato che la biologia ha le sue regole, è figlio di nessuno degno di nota, o meglio avrebbe potuto esserlo, ma il destino ha deciso diversamente!
È nato in Afghanistan Mohammed, è uno dei tanti, era uno dei tanti.
Era un bambino “fortunato” perché il padre, avendo perso un braccio per colpa di una mina mentre lavorava nei campi, gli aveva insegnato a essere attento, a diffidare di qualsiasi cosa trovasse per terra, a stare attento ai propri passi.
Questi accorgimenti furono la sua fortuna quel giorno quando, mentre giocava fuori – perché nonostante tutto giocava Mohammed – vide qualcosa lì, per terra, un bel giochino, una bambola di pezza, di quelle a cui un bambino occidentale non dedicherebbe molta attenzione.
Fu fortunato Mohammed perché, nonostante la sua curiosità, la sua grande voglia di giocare a nove anni, ricordando le parole del padre, non prese quella bambola, non la toccò, corse via dal papà per raccontargli, per dirgli quanto era stato bravo e ubbidiente, per dirgli che la bambola era ancora lì, e lui da suo padre salvo.
Fu fortunato Mohammed in quel momento, solo che correndo per tornare a casa non si accorse del pericolo, di quella cosa che, solo calpestandola, gli ha portato via la vita.
Mohammed non c’è più e qualcuno potrebbe pensare che sia stato comunque davvero fortunato, perché gli sarebbe potuto succedere altro, sarebbe potuto morire di stenti, o per colpa della guerra che nel suo paese, come di solito accade, colpisce più di tutti, chi meno sa, meno comprende, meno possiede.
Mohammed, nove anni, era, anzi è, uno dei tanti, uno di cui si sentirà poco parlare, una storia tra tante a cui la poca fantasia o l’inesperienza di colei che scrive, ha dato un nome, forse poco originale, ma pur sempre una vita, pur sempre un bambino fra i tanti, una delle cinquecento vittime reali di cui ogni settimana sono responsabili le mine anti-uomo.
Le vostre coscienze stanno cominciando a scuotersi? Beh, potete fare di più!
Sono tra i dieci e i quindici milioni le mine anti-uomo presenti nel territorio afghano e – sapete – hanno anche varie forme, da giocattoli a semplici oggetti di uso comune, e hanno anche varia origine e nazionalità.
“Mohammed aveva nove anni, e lui quel giocattolo non l’ha preso, ma, evidentemente il suo destino era segnato”.
È questo ciò che dobbiamo pensare, è questo che le nostre coscienze devono udire per tranquillizzarsi guardando le immagini di guerra, la tragedia di quelli che con i talebani non c’entrano assolutamtente nulla?
È il 2 ottobre, il ministro della difesa americano Rumsfeld assicura, dopo poche ore dall’inizio dei bombardamenti, che la preparazione dell’operazione di guerra è stata scientifica. «Non c’è nessun rischio per i civili bisognosi di aiuti umanitari (…) Il nostro obiettivo non sono gli abitanti dell’Afghanistan», e annuncia in diretta che «dalle basi militari sono partiti anche due aerei che scaricheranno aiuti umanitari (cibo, medicine, vestiti e coperte) per la popolazione».
Già… quello che poi si è verificato – che Emergency ha denunciato – è che questa gente affamata e disperata ha subito devastanti mutilazioni correndo per accaparrarsi un po’ di cibo, correndo su quel terreno infestato, correndo e calpestando quelle maledette mine anti-uomo. Non ne ha tenuto conto il ministro americano, lo ha dimenticato?
«Sarà una guerra diversa», dice sempre il ministro americano. Già, lo stiamo vedendo.
Credo fermamente, voglio crederlo, che a nessuno piaccia la guerra, ma quello che continuo a chiedermi guardando quelle immagini al telegiornale è: «bisognava arrivare a tanto? Bisognava arrivare a eventi così eclatanti come la distruzione delle Twin Towers con le loro migliaia di vittime per far sì che “qualcosa” – perché io questa non riesco a chiamarla giustizia! – si mettesse in moto?».
La politica cos’è? Semplicemente una partita a Risiko in cui sposti queste o quelle pedine, fai alleanze, indifferentemente a seconda dei tuoi bisogni e interessi senza pensare alle conseguenze?
Dove la coscienza? Dove la morale? Dove i “valori” in tutto questo?
Sono al cinema, sto guardando immagini che mi colpiscono: Viaggio a Kandahar.
Sono circondata per la maggior parte da adulti (di cui alcuni credo insegnanti). Devo davvero sentir dire: «ah! Però carino il ricamo di quel burqa… carino il tessuto, e il colore poi… che bella quella campana che ogni tanto rintocca… – e poi – poverini…».
Continuiamo a dire che nessuno è per la guerra, che nessuno è con il terrorismo… eppure la gente continua a morire.
Purtroppo non ho risposte, ma solo domande che invadono la mente.
Come stanno le vostre coscienze?
Nonostante il rumore, qui intorno c’è ancora troppo silenzio.

gennaio - aprile 2002