Cronache dello sprofondo
IER L’ALTRO
Il padre di Yasser era solito sostare nei pressi dell’Intercontinental in attesa di improbabili clienti. Ne avevamo fatto il nostro autista perché era palestinese e per via della gamba: sul sedile posteriore dell’auto, infatti, era coricata una rigida protesi in legno che allacciava con delle cinghie al moncherino della coscia così da poter guidare. Profugo da Chatila, non aveva fatto in tempo a sistemarsi nella nuova terra che era dovuto partire per la guerra con l’Iran. Al ritorno, con una gamba in meno, lo stato gli aveva assegnato una dignitosa villetta ed il lavoro di tassista. Il padre di Yasser era felice: l’unico grande sogno era quello di poter tornare un giorno nella sua patria liberata…
Yasser era un bimbo vispo ed allegro. I neri occhi gli brillavano di intelligente curiosità mentre mi accompagnava nelle strade di Kerballa indicandomi di volta in volta la moschea, una bancarella della frutta, un mendicante. Conosceva la formazione della nazionale italiana che recitava a memoria. Baggio, Maldini, Albertini… Poi mi parlava in arabo ed io gli rispondevo in dialetto… Pareva ci capissimo perché subito scoppiavamo a ridere tra gli sguardi sospettosi dei passanti. Regalai il mio marsupio pieno di caramelle Rossana e di medicine per il mal di pancia a Yasser. Ricordo ancora il sorriso riconoscente della madre… Sapeva bene che tanti coetanei di suo figlio non erano stati così fortunati e a decine di migliaia continuano a spegnersi negli squallidi ospedali vuoti di tutto, morti per la mancanza di quelle stesse medicine che l’ottusa arroganza dei Signori del mondo ha voluto negare ad un popolo innocente…
Un giorno, nella caligine del tramonto, uscii per andare al telefono pubblico. Le acque del Tigri scintillavano d’oro specchiando maestosi bastioni. Lungo le rive era il frenetico affacendarsi del giorno che muore; vecchi sulle porte delle botteghe giocavano a back-gammon, il muezzin chiamava alla preghiera, un sarto terminava il lavoro, si lavavano i tappeti e gli uccelli della sera stridevano tra le palme cariche di datteri.
Nell’asettico edificio c’era poca gente e tanti poliziotti: controllavano la destinazione delle chiamate, dividevano le donne dagli uomini, manifestavano, insomma, la presenza del Regime.
Massud mi spiegò come fare per chiamare l’estero. Veniva dallo Yemen e studiava medicina. Mi domandai come dovesse essere la vita di uno yemenita fuorisede a Baghdad, ma pensai che il senso di libertà che si prova quando si è fuori di casa è il medesimo a tutte le latitudini. Massud era felice di poter parlare con me in inglese: mi raccontò di San’a e della casa in cui era nato, dei fratelli e del cortile con gli alberi da frutta, dell’esistenza quotidiana e dei suoi amici all’Università: palestinesi, russi, iraniani, africani… mi parlò dell’eccitazione che gli dava essere per la prima volta al cospetto di un occidentale, italiano per di più! Mi confidò infine la sua tristezza: il suo paese diviso…
IERI
La linea di demarcazione taglia in due la città. Da una parte e dall’altra trincee, camminamenti, garitte e guardie armate. Una finestrella tra i sacchi di sabbia per vedere il soldato turco che fuma col mitra sulle gambe. Di qui bandiere blu e bianche e un piccolo mausoleo con le foto di chi è morto per la libertà – e non sono nemmeno pochi – di là la mezza luna, un esile minareto che svetta tra fili spinati e il canto che chiamano preghiera della sera, dolce e lontano e di qua negozietti e vetrine che rispecchiano i volti dei turisti ignoranti. Di là il silenzio, le erbacce che assediano gli antichi palazzi e i gatti nel mezzo, padroni della terra di nessuno, sfiorata dalle camionette blu dell’ONU. Spazio incontaminato di tempo sospeso; strada maestra dei sogni irriverenti che sfuggono alla illogica realtà dei cuori divisi… Ah se al mondo ci fossero più terre di nessuno!
OGGI
I drive a japanese car e cerco di tuffarmi nel piacere del non sapere. Sfuggo volentieri da news di venti di guerra. Dopo tremila anni. Dopo mille anni. Dopo un secolo. Dopo trent’anni la Civiltà Occidentale non è ancora riuscita a trovare un modo diverso dalla guerra per guarire i suoi cancri. Uomini di fede parlano di necessarietà: Dio è con Noi. Allah è con Noi. GOTT MIT UNS. Socialisti interventisti, Cuba da affamare, l’Iraq da bombardare. Il Kosovo di D’Alema. La storia, Maestra di vita, non insegna più niente ai Cattivi Scolari.
Ed io cerco semplicemente di non essere oggi un uomo dell’Ovest: mi vedo viaggiatore romantico e crepuscolare attraversare montagne e sorrisi sconosciuti per finire nel blu intenso del Mediterraneo – padre/madre di ogni possibile rinascita. Voglio interrogare personalmente gli austeri busti nei musei per sapere come è stato possibile che dalla culla della civiltà si sia giunti alla sua tomba!
Vado e per un po’ dimentico da dove vengo. Non ho mete prefissate e mi fermo dove il cuore dice. Incontro vecchi che parlano italiano e con loro confondo il mio essere abitante della Terra col ricordo di mio padre guerriero in un paese lontano. Col profumo delle rose e del mare, con gli odori colorati e gli sguardi ancestrali, col mio essere nel mondo fratello di ogni possibile essere vivente e che anche lui lo sia per me…
DOMANI |
gennaio - aprile 2002 |