L’area di sviluppo industriale
di Francesco Mancini

Un bilancio provvisorio

Scelte adottate
Le ultime notizie riguardanti la zona ASI di Molfetta appaiono tutt’altro che idonee a superare i motivi della opposizione a suo tempo manifestati contro la decisione di istituire un’area di sviluppo industriale nel territorio di Molfetta, assunta dal Consorzio ASI con l’attivo consenso dell’amministrazione comunale, dalla stessa costantemente riaffermato e rivendicato.
Negli anni 1995–1996, per iniziativa della sezione di Molfetta del WWF, vennero approfonditi gli aspetti negativi, soprattutto attinenti alla sfera economica, occupazionale e sociale, oltre che ambientale, che portavano a respingere ogni ipotesi di istituzione di zona industriale.
Le conclusioni del lavoro di approfondimento, svolto nell’occasione con la collaborazione e l’intervento diretto di tecnici del WWF nazionale, furono esposte in conferenza pubblica (supportata da una raccolta di firme tra la popolazione molfettese), con la partecipazione dell’allora sindaco di Molfetta, senza purtroppo sortire l’effetto auspicato di far rientrare la delibera di istituzione della nuova area di sviluppo industriale.
L’analisi effettuata in quella occasione rilevò innanzitutto l’assurdità della creazione di una nuova area di sviluppo industriale, in presenza della perdurante crisi strutturale del settore e della progressiva e pronunciata tendenza allo spopolamento di altre zone industriali, anche molto vicine territorialmente, come quella di Bari-Modugno.
A parte tali considerazioni, peraltro di semplice buon senso, furono sottolineate le difficoltà, per territori pressoché privi di tradizione industriale, di inserirsi con successo in settori ormai largamente maturi, come quello manifatturiero e quello commerciale.
Per tali settori, infatti, le innovazioni e le nuove iniziative hanno per forza di cose più che altro l’effetto di attirare e spostare produzioni e forza lavoro già stabilitesi altrove, anziché accrescerne l’entità in valori assoluti.
Per ciò che riguarda il settore manifatturiero e in genere industriale, a meno che non si sia in grado di creare nuovi prodotti o reperire nuovi mercati, va considerato che la domanda e le preferenze dei consumatori sono ormai consolidate e stabilizzate, cosicché le uniche possibilità di essere concorrenziali vengono da riduzioni dei prezzi, e quindi dei ricavi, a parità di quantità vendute, e nel risparmio di forza lavoro, e quindi della occupazione complessiva, tramite la introduzione di nuove tecnologie.
Critiche e preoccupazioni di ambientalisti e tecnici erano oltretutto motivate dalla notevolissima estensione, in rapporto al territorio comunale, dell’area da destinarsi ad agglomerato industriale.
Nonostante le assicurazioni allora date dal sindaco, in fin dei conti, nei documenti del Comune di Molfetta e del Consorzio ASI l’agglomerato industriale viene ora riferito a una estensione di 433,94 ettari, addirittura superiore a quella inizialmente prevista.
Complessivamente, quindi, sul territorio molfettese le tre aree destinate a insediamenti produttivi assommano a complessivi 511,74 ettari, pari all’8,68% del territorio comunale (5.894 ettari), mentre la zona ASI da sola ne rappresenta il 7,36%.
È il caso di sottolineare che la destinazione a vere e proprie attività produttive riguarda 230,8 ettari, ossia il 45% del totale delle aree interessate e solo il 42,86% dell’agglomerato ASI, per una estensione di 186 ettari.
In altri termini, le attività economiche di nuovo insediamento comunque interesserebbero una parte minoritaria della superficie complessiva destinata a zona industriale, in precedenza utilizzata o utilizzabile per attività produttive di tipo agricolo.
Esiti certi “acquisiti”
L’attuazione del piano ASI ha comportato la completa distruzione di risorse naturali e alimentari, per il fatto di aver reso sterili e improduttivi i suoli agricoli individuati, in precedenza sede di attività produttive agricole e fonte di occupazione, in parte considerati fra i più fertili dell’agro molfettese e oggetto di investimenti in opere di bonifica e irrigazione.
Confondendo l’effetto con la causa, si è detto che in alcuni casi si trattava di terreni ormai in via di degrado o di desertificazione, sorvolando sulla circostanza che proprio la prevista destinazione ad area industriale aveva determinato il progressivo abbandono e la cessazione degli investimenti migliorativi da parte degli operatori del settore agricolo.
Resta il fatto inoppugnabile che questo genere di destinazione priva per sempre le attuali e le future generazioni di risorse frutto di millenni di sacrifici e fatiche.
Peraltro, la distruzione definitiva di risorse naturali e alimentari irriproducibili, a fronte di vantaggi, sicuramente provvisori e verosimilmente illusori, dovrebbe essere vissuta, almeno in ambienti che si ritengono progressisti, come una sorta di peccato mortale contro l’umanità, buona parte della quale vive – e muore – di stenti, per l’indisponibilità di quelle stesse risorse che altrove vengono tranquillamente e avventatamente sprecate.
È il caso di sottolineare, infatti, quanto questo genere di decisioni contrasti con lo sbandieramento, nelle grandi occasioni pubbliche, di alti ideali di pacifismo, ecologismo, lotta alla fame e alla miseria, a livello planetario o cosmico.
Né può considerarsi fuori luogo un riferimento all’esigenza di salvaguardare, insieme al terreno agricolo, anche la diversità biologica, risultato di milioni di anni di evoluzione, eredità prodotta dalla natura, che non si può ricreare artificialmente in laboratorio, per cui, una volta distrutta, non può essere ricostituita e va persa per sempre.
In altre parole, decisioni così importanti e gravi nella vita di una comunità possono giustificarsi solo in presenza di vantaggi concreti, rilevanti, duraturi e, soprattutto, certi, tali, cioè, da costituire una contropartita adeguatamente sostanziosa per la collettività.
Per dirla chiaramente, in questo tipo di iniziative di così rilevanti dimensioni non si può escludere che il vero fattore determinante sia proprio il consistente volume di capitali stanziati allo scopo, che si traducono in flussi finanziari e, quindi, in ricavi e profitti per le imprese e gli altri soggetti interessati allo svolgimento delle attività (studi, progettazioni, infrastrutturazione, formazione, informatizzazione, ecc.) connesse all’installazione dell’area industriale.
Per la verità, né su questo aspetto né in rapporto ai livelli occupazionali, traspaiono, dalla lettura dei documenti elaborati a cura o per iniziativa dell’Amministrazione comunale, elementi certi o rassicuranti o, comunque, idonei a indurre ottimismo.
Le localizzazioni di piccole e medie imprese previste nella zona ASI, per una occupazione complessiva stimata da circa 500 a circa 1.000 unità, riguardano infatti in massima parte trasferimenti di attività, più che nuove iniziative produttive.
Se si trattasse solo di questo, quindi, l’insufficienza delle motivazioni a fronte del danno – o scempio – al territorio sarebbe fin troppo evidente.
Il vero impulso alle attività produttive e all’occupazione dovrebbe o sarebbe dovuto invece scaturire dai due progetti di insediamento di maggior spessore delineati per l’area di sviluppo industriale di Molfetta:
– la realizzazione di edifici e strutture da adibire a centro commerciale, per una stima occupazionale di 500 unità;
– la realizzazione di un parco tematico terziario-distributivo, per l’industria manifatturiera dei prodotti a marchio, con annesse funzioni per il tempo libero e l’intrattenimento, per il quale viene (o forse veniva) stimata una occupazione pari a 550 unità.
Il progetto di programma integrato per creare maggiori opportunità insediative per le attività produttive localizzate nel territorio di Molfetta, elaborato a cura dell’Ufficio Tecnico Comunale, ha a suo tempo previsto investimenti per infrastrutture, insediamento e formazione per complessivi 41.907.740.000 mld di lire, con copertura per 21.088.340.000 mld di lire a carico della Regione Puglia e per 20.819.400.000 mld di lire tramite finanziamento privato.
I destinatari della succitata somma complessiva venivano indicati nei soggetti e per le motivazioni e gli importi in lire di seguito riportati:
• Comune di Molfetta, urbanizzazione:
5.500.000.000
• Tecnopolis Scrl, costruzione centro servizi:
500.000.000
• Società Consortile Città Impresa, progetto per l’insediamento:
9.557.838.000
• Società Consortile Puglia, progetto per l’insediamento:
25.869.902.000
• Università degli Studi di Bari, progetto per la formazione:

480.000.000
TOTALE:
41.907.740.000

Prospettive incerte e inconvenienti
Per ciò che riguarda i due progetti di maggiori dimensioni, si rileva che le attività del Comune di Molfetta e del Consorzio ASI sono fino a tutto l’anno 2000 state pressoché esclusivamente finalizzate all’individuazione degli operatori e al reperimento dei finanziamenti necessari alla realizzazione dei progetti per infrastrutture, insediamenti e formazione.
Al Consiglio Comunale di Molfetta, infatti, sono stati sottoposti progetti e un protocollo d’intesa riguardanti esclusivamente tale fase.
Stando alle risultanze documentali, sarebbero ancora da individuare i soggetti che effettivamente andrebbero a svolgere nei siti prescelti le attività economiche prefigurate e manca, quindi, qualunque impegno circa l’entità e il tipo di occupazione, oltre che sulle modalità di assunzione.
La documentazione fornita ai consiglieri comunali agli inizi del 2000, dando per scontata l’occupazione prevista, tendeva soprattutto a mettere in luce i reali e presunti vantaggi per i consumatori e il territorio.
I possibili inconvenienti venivano minimizzati e individuati pressoché esclusivamente nelle difficoltà che dall’impianto dei due maggiori insediamenti potrebbero derivare per le strutture commerciali di dimensioni intermedie, quali i supermercati, mentre non si intravedevano problemi per i piccoli commercianti e le piccole imprese in generale.
In particolare, si affermava che un Parco Tematico del Terziario permetterebbe alle industrie manifatturiere nazionali e internazionali dei prodotti di alta gamma con buon contenuto di marca di distribuire gli stock invenduti di fine stagione, senza contrapposizione con la rete distributiva tradizionale.
Al riguardo, resta misterioso il motivo per cui la rete commerciale tradizionale non dovrebbe ricevere danno dalla maxistruttura in progetto, dal momento che la stessa andrebbe a sottrarre parte cospicua del potere d’acquisto disponibile per consumi riguardanti l’abbigliamento, la gioielleria, gli articoli per la casa, il tempo libero, ecc.
È il caso di sottolineare a questo proposito che inchieste di settore hanno evidenziato come buona parte degli operatori della rete comunale della piccola distribuzione sia già in difficoltà, sicché perdite di quote di fatturato anche non rilevanti rischiano di dare il classico colpo di grazia ai piccoli commercianti e ai settori produttivi ad essi collegati, con le pesanti conseguenze sociali facilmente immaginabili.
Né sembrano condivisibili le tesi di quanti ritengono che comunque non sia il caso di opporsi all’insediamento di maxistrutture commerciali nel territorio comunale, dal momento che probabilmente verrebbero localizzate in comuni vicini, causando comunque danno alle imprese locali.
A tale riguardo, è da opinare che:
– da un lato, l’esiguità del territorio comunale rende in ogni caso preferibile la collocazione al di fuori di esso di insediamenti del tipo in argomento;
– per le stesse ragioni, d’altro lato, semmai la via da seguire è quella di associarsi ai comuni vicini nella azione di contrasto e opposizione alle iniziative ritenute dannose.
Del resto, per ciò che concerne l’ipotesi di apertura di un ipermercato nella zona ASI tra Molfetta e Bisceglie, sono stati chiaramente esplicitati forti timori, nel senso sopra richiamato, da parte del Consiglio Comunale di Bisceglie, che, con delibera del 19 luglio 1999, trasmessa alla Regione Puglia ed al Comune di Molfetta, ha ribadito la propria piena contrarietà a tale iniziativa e invitato:
– il Consiglio e la Giunta della Regione Puglia ad adottare tutti gli atti utili a confermare il divieto di concessione di nulla osta per l’apertura di ipermercati;
– il Sindaco e il Consiglio Comunale di Molfetta a non approvare alcun atto autorizzativo in tal senso, esprimendosi contro l’apertura di un ipermercato nella zona ASI di Molfetta;
– la Commissione Edilizia del Comune di Molfetta a valutare attentamente, sotto il profilo tecnico-normativo, la richiesta di autorizzazione relativa alla costruzione della struttura.
La contrarietà all’insediamento di mega-realtà commerciali veniva ricollegata dal Consiglio Comunale di Bisceglie alle inevitabili gravi ripercussioni sulle migliaia di attività commerciali e artigianali, che rappresentano la spina dorsale dell’economia locale.
Lo stesso organo amministrativo ha ritenuto che la decisione del Commissario ad acta, che il 22 gennaio 2000 ha concesso il nulla osta, fosse in contrasto con il disposto delle Legge Regionale 4/98 e con le direttive emanate dalla Giunta e dal Consiglio della Regione Puglia, rammentando la posizione contraria alla decisione commissariale assunta dall’Assessore Regionale al Lavoro e alla Formazione Professionale e dalla Confcommercio.
Appaiono peraltro rimarchevoli le evidenti forti analogie delle due maxistrutture, progettate nella stessa ottica di associare l’aspetto produttivo-commerciale a quello ludico, sportivo e di intrattenimento.
Per esempio, in entrambi i casi è prevista la realizzazione di una megastruttura cinematografica multisala, indice quantomeno di un certo livello di approssimazione e pressappochismo nella fase di progettazione.
Più in generale, almeno dalla documentazione messa a disposizione dei consiglieri comunali di Molfetta, non risulta affatto che da parte del Consorzio ASI e dei Comuni associati sia stata a suo tempo svolta una preliminare attività di approfondimento delle problematiche del territorio e di elaborazione di un progetto complessivo, che definisse chiaramente gli obiettivi, in base ai quali fare proposte al mondo imprenditoriale e scegliere le imprese più adatte, cui attribuire compiti e assegnare suoli per l’insediamento.
Inoltre, non risultano stabilite condizioni da rispettarsi da parte delle imprese per ciò che concerne le garanzie per l’occupazione e per l’ambiente.
Successivamente da una pubblicazione dell’agosto 2000 a cura dell’Assessorato alla Trasparenza del Comune di Molfetta sono stati forniti alcuni aggiornamenti sulla situazione della Zona ASI, in particolare con riguardo a due progetti di infrastrutturazione in corso di realizzazione:
– opere di urbanizzazione primaria (strade, fognatura nera, acquedotto potabile, fognatura pluviale, rete telematica, pubblica illuminazione, gas metano);
– realizzazione di un centro servizi.
Per ciò che concerne gli insediamenti di imprese nella zona di cui trattasi, ne vengono indicati 8 in costruzione e 69 in programmazione.
Che cosa in concreto possa significare l’espressione “in programmazione” nel pittoresco gergo dei redattori del bollettino ciascuno lo può verificare nell’aspetto di sconfortante desolazione che caratterizza attualmente la zona ASI.
Il bollettino non si sofferma affatto sull’aspetto occupazionale; non riporta, cioè, né il numero degli occupati né le modalità di assunzione, né, tanto meno, precisa se si tratta di occupazione aggiuntiva o di mero trasferimento di imprese – e di lavoratori – già operanti altrove.
Le ultime notizie circa gli insediamenti di maggiori dimensioni a più riprese prospettati e sbandierati sono piuttosto scoraggianti..
Il Parco Tematico dell’Alta Moda potrà realizzarsi allorquando la Regione Puglia rilascerà l’apposita licenza commerciale; quest’ultima ritarda a essere rilasciata – pare – per le forti resistenze esercitate a tutela di altri interessi.
Per ciò che concerne l’ipermercato, con la vittoria dell’Ipercoop nel ricorso presentato al Consiglio di Stato forse si chiude per sempre la possibilità di un tale insediamento.
Sembrerebbe, infatti, che il progetto e il ricorso della Ipercoop, più che alla istituzione di una nuova maxistruttura commerciale nel territorio di Molfetta, fossero finalizzati a impedire che la realizzasse la concorrenza, perché ciò avrebbe arrecato danno alle attività analoghe impiantate dalla stessa società ricorrente in altre aree della provincia.
La ventilata ipotesi di un insediamento dell’Aprilia, non essendosi avute più notizie, sembra da ritenersi caduta definitivamente nel dimenticatoio.

Conclusioni
Come noto, a Molfetta esisteva già una zona artigianale di base, approvata con delibera del 1977, che prevedeva, se tutta occupata, 1.200 occupati.
Per Molfetta, si riteneva sufficiente, e non solo a parere del WWF, un’altra zona artigianale per altri 1.200 addetti.
La Zona ASI prevede, se tutta occupata, nientemeno che 15.000/16.000 addetti, equivalenti a circa il 25% dell’intera popolazione di Molfetta, compresi i vecchi e i bambini.
Allo stato dei fatti, pare il caso di ammettere che forse il WWF e i firmatari della petizione avessero qualche ragione di ritenere strampalata la decisione del Consorzio ASI e del Comune di Molfetta di istituire l’area di sviluppo industriale.
Per la verità, non si può dire che almeno ad alcuni degli esponenti dell’amministrazione comunale, compreso il suo capo, mancassero le doti per comprendere la fondatezza delle critiche e i modi di tutelare realmente gli interessi della collettività.
L’allora Assessore alle Risorse, per esempio, espresse chiaramente scetticismo e pessimismo sulla possibilità che aziende esterne all’ambito locale venissero a insediarsi nella Zona ASI di Molfetta.
Inoltre, i membri dell’amministrazione, in ogni occasione pubblica, assicurarono che i suoli sarebbero stati infrastrutturati gradualmente, man mano che fossero state presentate le domande di insediamento e sempre contro garanzia dell’effettivo impianto di attività produttive e dei livelli occupazionali e nel rispetto della salute e dell’ambiente.
I fatti dimostrano quanto valessero quelle promesse.
In realtà, per decisioni del tipo in argomento, più che le regole del buon senso, della professionalità e della competenza tendono a prevalere motivazioni connesse alle esigenze dei politici e dei carrozzoni del sottogoverno.
Da un lato, si ha interesse a cavalcare le speranze o illusioni dei giovani e dei disoccupati in cerca di lavoro; d’altro lato, si mettono in circolo capitali pubblici, che si traducono per qualcuno in potere, affari e profitti.
In superficie, tutto ciò si presenta con le sembianze dell’imprevidenza, di una sorta di gioco d’azzardo con le risorse della collettività e della sottovalutazione delle medesime.
Risorse pubbliche e naturali vengono pressoché regalate, tramite la concessione di contributi a fondo perduto e l’assegnazione di suoli a prezzi fortemente contenuti.
Ovviamente solo degli sprovveduti possono pensare che queste cose possano bastare di per sé a creare o suscitare imprenditorialità e iniziative produttive, se già non esistono.
E infatti è da ritenere che nessun politico o manager pubblico lo pensi veramente.

gennaio - aprile 2002