1. Le politiche economiche dei governi locali
La fase del nuovo imperialismo è caratterizzata dall’intenso movimento dei flussi finanziari che ci coinvolge e induce una nuova definizione protagonistica della forza lavoro globalizzata, in cerca di una diversa collocazione nella divisione internazionale del lavoro.
Le migrazioni e le tensioni demografiche del Terzo Mondo sono decisamente provocate dalla eccessiva concentrazione delle risorse finanziarie nei paesi sviluppati in cui viviamo. La logica finanziaria che caratterizza la globalizzazione imperiale balcanizza il corpo della forza-lavoro globale nel momento stesso in cui detta le politiche economiche dei governi degli stati-nazione.
Negli ultimi tempi la balcanizzazione del corpo sociale collettivo, prodotta dalla mondializzazione economica, ha ricevuto una risposta strategica antagonista attraverso la rivendicazione dei diritti delle moltitudini avanzata dal popolo di Seattle.
In questo contesto bisogna collocare l’idea di sovranità e la crisi di rappresentanza che sta investendo gli stati nazionali e anche il nostro; sembra ormai un dato acquisito sotto il profilo teorico la stretta dipendenza delle politiche nazionali dalle scelte del FMI e della WTO. Anche le politiche economiche statali non possono prescindere dalle manovre sui tassi di interesse varati dal FMI con conseguenti misure restrittive sul debito pubblico e sulle politiche sociali. In questi anni ne abbiamo subito gli effetti nella vita di tutti i giorni anche nelle nostre città quando abbiamo ricevuto aumenti di imposte o incrementi fiscali.
Se precedentemente il rapporto fra gli stati dei paesi maturi era almeno formalmente dettato da norme di partecipazione plurale con le inevitabili conseguenze sui paesi terzi, nell’epoca post-fordista la stessa sovranità degli stati-nazione viene messa in discussione dalle esigenze del mercato finanziario e dai flussi economici mondiali. La nozione di impero si impone come la più idonea alla investigazione della realtà contemporanea e al rinvenimento di pratiche politiche all'altezza del presente.
2. Vivere nell’impero, vivere l’impero, il ruolo delle singolarità nell’impero
Uno dei fenomeni più evidenti oggi è la crisi di rappresentanza delle formazioni politiche rispetto alle soggettività. Come ha sostenuto L. Ferrari Bravo, «Il pluralismo (politico) è una pallida immagine del proliferare di differenze della moderna moltitudine». Moltitudini da gestire, moltitudini da controllare, moltitudini che vogliono contare, urlare.
La ridefinizione del concetto di territorialità prodotto dalla nuova fabbrica immateriale sta creando un nuovo spazio su cui articolare sia il conflitto sia l’universo della comunicazione; alla nascita di uno nuovo territorio immateriale corrisponde l’articolazione seminativa e politica di un nuovo fronte comunicativo e soggettivo, che si esprime in un nuovo linguaggio.
Se nell’epoca moderna le forme di controllo si sono espresse in strutture concertate che andavano dalla scuola alla famiglia, dall’esercito alle prigioni, alle case di cura e agli ospedali psichiatrici, nella fase post-moderna le forme del controllo assumono una nuova articolazione nelle espressioni del consenso mass-mediatico e nella navigazione telematica. Lo vediamo nelle consuetudini e nei luoghi del nostro abitare, del nostro lavorare, del nostro vivere. Seguendo Foucault si può sostenere che «lo sviluppo della società moderna e il rapporto in essa tra Stato e società, sino all’altezza storica del fordismo, definisce un orizzonte disciplinare per la società nel suo insieme».
3. Disciplinare, controllare, reprimere, ridurre tutti a variabili controllate, ascoltare il Grande Fratello
Questo impianto ha retto fino al permanere della centralità della fabbrica fordista, ma sta saltando in modo irreversibile nella nuova economia mondializzata e nella società dominata dai mass-media. La sovranità dello Stato contemporaneo deve essere intesa come capacità di anticipazione, pianificazione e repressione in grado di tenere in forma la rete complessiva degli ambiti disciplinari di cui si compone il legame sociale. Questa configurazione è trascinata da tempo in una crisi irreversibile perché sta perdendo il suo asse portante, la disciplina di fabbrica di tipo fordista. Ma le forme tradizionali del controllo sociale sono entrate in crisi in presenza della nuova realtà instauratasi: per questo motivo, i G8 tendono a incontrarsi per rimediare alle possibilità eversive che il sistema mostra da ogni parte.
La stessa guerra balcanica è stata dettata dalla esigenza della riaffermazione dell’Impero e dalla necessità di sperimentare i nuovi dispositivi strategici messi a punto dai paesi belligeranti. Da una regione di confine come la Puglia l’abbiamo avvertito: la guerra contro l’altro, contro la variabile esogena, contro un elemento di destabilizzazione del mercato è uno degli strumenti in cui si esprime il dominio globale. In questo senso la globalizzazione è l’unica forma in cui un regime produttivo e di controllo post-fordista possa venire in esistenza.
Superare il regime di accumulazione fordista equivale ad andare oltre l’insieme di meccanismi neocorporativi o di logiche di regolazione macroeconomica che si sono espressi nei decenni precedenti in una specifica forma di organizzazione statale. Questo apre uno spazio extra-territoriale nel governo delle risorse e delle energie produttive che direttamente minaccia la legittimità degli stati nazionali e la possibilità di un loro controllo democratico. Qual è infatti il luogo statalmente definito di Internet, della lex mercatoria, delle reti finanziarie e produttive multinazionali? Apre allo stesso tempo uno spazio conflittuale sul piano di una nuova soggettività costituente, il popolo, la multitudo, che rivendica continuamente fino alla rottura la necessità del controllo, della democrazia. Questo è stato Seattle, questo è stato Genova.
4. Dopo l’11 settembre sono tornati i corpi
Corpi trucidati, massacrati, corpi violati. Bisogna rinvenirne le cause; trovare soluzioni politiche, ridare il primato alla politica.
Da ogni parte nel mondo occidentale esiste una prepotente voglia di mercato, la libertà del mercato, il mercato delle libertà; il comando capitalistico su scala mondiale sta sconvolgendo frontiere e territori, interi popoli seguono gli itinerari tracciati dagli agenti del capitale finanziario, mentre i confini delle patrie e delle nazioni sono quotidianamente ridisegnati da accordi internazionali sostanzialmente precari. I due luoghi storico-teorici emersi negli ultimi tempi, la globalizzazione dell’economia mondiale e l’invasivo insediamento delle società multietniche, costituiscono il quadro di riferimento per la comprensione della realtà contemporanea. A questo livello il ruolo delle patrie, inteso come terreno di identità di particolari gruppi etnici, appare fortemente ridimensionato dalle leggi dello scambio globale. Per affrontare il problema è necessario confrontarsi sui seguenti punti: il ruolo dell’industria bellica nelle società mature, il mercato mondiale delle armi e la sua collocazione nei punti caldi del pianeta (Jugoslavia, Medio Oriente, America latina), lo sviluppo delle industrie belliche, la tendenziale ricontrattazione dei prezzi del petrolio da parte dei paesi produttori, il ruolo dell’integralismo islamico nella definizione identitaria dei popoli del Terzo Mondo, le condizioni di dualismo del mercato mondiale che trova nella guerra uno dei livelli di manifestazione del conflitto economico, il liberismo economico come economia di guerra, la dipendenza del Pil dalle industrie belliche.
All’interno degli stati il neoliberismo economico, l’economia di guerra si presentano come assegnazione al lavoro e al controllo sociale, il lavoro è essenzialmente assegnazione al lavoro sia nel settore pubblico che in quello privato. Nel settore pubblico la gerarchia delle mansioni garantisce il corretto funzionamento del sistema; basta per un solo momento considerare i settori della ricerca, della formazione e della salute pubblica. Nel settore privato l’assegnazione al lavoro diventa un fatto costitutivo per la libera disponibilità di disporre della manodopera. Vi è un ulteriore processo evidente nelle società mature costituito dall’intreccio di tre forme di dominio che investono la vita di ciascun individuo: il discorso politico, quello espletato dai politici di professione; il discorso mass-mediatico e tecno-mediatico, rappresentato dalle nuove tecnologie e dai nuovi mezzi di comunicazione (il ruolo di Internet); il discorso accademico nelle università.
5. Tre forme di dominio
Queste tre forme del comando agiscono in modo concertato nel controllo delle masse, costituiscono i pilastri della permanenza del sistema. A nessuno sfuggirà che i tre luoghi, forme e poteri della cultura che abbiamo appena identificato (il discorso espressamente politico della classe politica, il discorso mediatico e quello intellettuale, scientifico o accademico) sono più che mai saldati assieme attraverso gli stessi apparati o attraverso apparati indissociabili. A una economia della guerra sul piano internazionale corrisponde una politica del controllo sociale sul piano interno, su quello locale e comunale. Le socialdemocrazie servono a questo e sempre più si ispirano ai canoni del neo-liberalismo. È sempre la stessa solfa e lo stesso ritornello. Al ritmo di un passo cadenzato proclama: Marx è morto, il comunismo è morto, davvero morto, con le sue speranze, il suo discorso, le sue teorie e le sue pratiche, viva il capitalismo, viva il mercato, viva il liberalismo economico e politico.
6. Il marxismo non è morto
Noi riteniamo che il marxismo non è morto; che esso costituisce uno strumento essenziale per l’interpretazione e la trasformazione della realtà; che nella fase contemporanea si sta definendo una nuova internazionale, non regimentata, non gestita dall’alto, non affidata a proclami e documenti programmatici; questa internazionale si sedimenta nella portata strategica della differenza, delle differenze; si esprime nell’urlo silenzioso del profugo su uno scoglio del basso Adriatico come nella critica esercitata da studenti e docenti all’interno dei processi formativi; nel languido sguardo di una delle donne dell’amore nella nebbia di Milano e nel volto mesto degli emigranti del Sud alla ricerca di un lavoro.
La differenza è la ricerca di un nuovo linguaggio, un linguaggio della comunicazione; è la ricerca di una nuova patria non quella acquisita sulla base di annessioni e di trattati, ma la patria dei dannati della terra, dei paria del pianeta, di chi passeggiando solitario in una metropoli non trova un amico e piange silenzioso nella notte.
Di questo pensiero c’è ancora bisogno; riarticolare la penuria e la sofferenza in progetto di cambiamento e trasformazione della realtà. L’economia liberista è un’economia di guerra; come il mercato degli organi, il mercato delle armi aderisce unicamente alla logica del profitto.
La situazione è tanto più grave quando una funzione decisiva viene svolta dall’intervento statale e dal comando imperialistico su scala mondiale.
I gendarmi del pianeta, gli USA stanno svolgendo questa funzione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La fase della Guerra Fredda e i continui conflitti che si sono avuti nei paesi in via di sviluppo mostrano in modo inequivocabile che la vera posta in gioco è il controllo delle materie prime e il controllo politico sulla ricontrattazione del prezzo del petrolio. L’intervento degli americani in Iraq e l’attuale guerra in Afghanistan sono riconducibili a questa logica e saranno destinati ad accentuarsi con il progressivo esaurimento delle scorte.
7. La vera posta in gioco è il controllo del mercato e all'interno di esso delle fonti di energia
In assenza di strategie praticabili con fonti di energia alternative, la dipendenza delle società tecnologiche dal petrolio sembra indicare in modo inequivocabile che lo scacchiere medio-orientale continuerà a esercitare per un lungo periodo un ruolo decisivo negli equilibri economici e strategici del pianeta.
La terza guerra mondiale si sta combattendo in Medio Oriente. La battaglia per la conquista di Gerusalemme è la terza guerra mondiale. La guerra per l’appropriazione di Gerusalemme è oggi la guerra mondiale. Ha luogo dappertutto, è il mondo. In essa si fronteggiano tre diverse ideologie, tre diverse concezioni del mondo (l’ebraismo, l’islamismo e il cristianesimo), anche se l'elemento predominante va ricercato nelle dinamiche economiche, negli assetti geopolitici per la cui comprensione è ancora necessario lo spettro di Marx.
Il problema all’ordine del giorno è una nuova realizzazione delle premesse messianiche contenute nelle religioni, una realizzazione tenacemente terrestre che solo il comunismo può produrre.
8. Il comunismo
Nel dir questo, non pretendiamo che questa escatologia messianica, comune sia alle religioni che alla critica marxista, debba essere semplicemente decostruita.
Se è loro comune, a differenza del contenuto (ma nessuna di loro può accettare, ovviamente, questa epochè del contenuto, mentre qui la riteniamo essenziale al messianico in generale, in quanto pensiero dell’altro e dell’evento a venire), è anche perché la sua struttura formale di promessa le deborda o le precede.
Ebbene, quel che resta irriducibile a ogni decostruzione, è forse una certa esperienza della promessa anticipatrice; è forse addirittura la formalità di un messianismo strutturale, un messianismo senza religione, anzi un messianico senza messianismo, un’idea della giustizia – che teniamo sempre distinta dal diritto e persino dai diritti dell'uomo – e un’idea della democrazia – che teniamo distinta dal suo concetto attuale e dai suoi predicati determinati oggi.
Le tre ideologie che si scontrano a Gerusalemme contengono diverse premesse messianiche e diverse concezioni del mondo; pensare alla egemonia di una nei confronti delle altre vuol dire riproporre le condizioni di dualismo che sono alla base delle tensioni attuali. Anche la scelta liberale e cristiana di una Europa o di un Occidente ricco e opulento a cui tutti gli altri paesi devono adeguarsi risulta impraticabile; l’Occidente è ricco perché molte delle contraddizioni che lo investono sono scaricate nei paesi terzi. Lo vediamo soprattutto nelle nostre città: l’Occidente diventa meta degli emigranti dal Terzo Mondo perché molti lavori non vengono più svolti dall’uomo occidentale, l’Occidente controlla il Terzo Mondo attraverso le politiche neo-coloniali e l’insediamento diretto delle industrie nei paesi in via di sviluppo.
9. L’Occidente è, esiste in quanto negazione dell’identità paritaria dell’Oriente
L’integralismo che si esprime nelle forme radicali dell’Islam e in un certo sionismo è la manifestazione di questo scontro permanente.
Pensare di fondare gli equilibri mondiali sulla centralità dell’Occidente e della nuova Europa unita vuol dire riproporre la politica della Santa Alleanza.
La fine della Storia è essenzialmente un’escatologia cristiana. Essa concorda con il discorso attuale del Papa sulla comunità europea: destinata a divenire uno Stato o sovra-Stato cristiano, questa comunità sarebbe dunque ancora una specie di Santa Alleanza. È vero, è duro da accettare per gli uomini bianchi, per gli europei, per noi uomini europei, ma la democrazia a venire passa attraverso il riconoscimento e la legittimazione storica delle altre etnie. L’epoca dei nazionalismi deve finire; nella patria mondo, nella democrazia a venire deve esistere il rispetto per le molteplici razze e religioni esistenti sul pianeta.
La politica di rapina operata nei confronti della natura e delle popolazioni più deboli può produrre solo nuove contraddizioni e fra esse l’esistenza permanente del terrorismo.
10. Certamente esiste un scarto fra realizzazione e progetto, ma esso attiene alla natura escatologica del marxismo
L’idea, se ce n’è ancora una, della democrazia a venire, anche al di là dell’idea regolatrice nella sua forma classica, la sua idea come evento di un'ingiunzione garantita che comanda di far venire quel che non si presenterà mai nella forma della presenza piena, è l’apertura dello scarto tra una promessa infinita e le forme determinate, necessarie, ma necessariamente inadeguate, di ciò che deve commisurarsi a una tale promessa (sempre intenibile, almeno in quanto chiama al rispetto infinito della singolarità e dell’alterità infinita dell’altro, e allo stesso modo al rispetto dell’uguaglianza contabile, calcolabile e soggettuale tra le singolarità anonime).
Si tratta di un pensiero e di una pratica totale che sconvolge radicalmente abitudini, paradigmi, modi di comportamento fino a questo momento emersi nell’Occidente capitalistico: gestirsi come capitale del mondo tenendo presente l’a-capitale, farsi carico delle condizioni di penuria che quando diventano esasperate producono tragedia e terrore. Certamente può sembrare comodo stando seduti in una biblioteca parigina ridefinire i confini del mondo, ma rimuovere ogni tentazione retorica vuol dire introdurre nelle pratiche, nei discorsi, nelle istituzioni, accademie e università i modi di pensare della differanza, delle differenze, una politica di attesa dell’arrivante.
Attesa senza orizzonte d’attesa, attesa di ciò che non si attende ancora o di ciò che non si attende più, ospitalità senza riserve, saluto di benvenuto anticipatamente accordato alla sorpresa assoluta dell’arrivante, al quale non si chiederà alcuna contropartita né di impegnarsi secondo i contratti domestici di alcuna potenza di accoglienza, giusta apertura che rinuncia a ogni diritto di proprietà, a ogni diritto in generale, apertura messianica a ciò che viene, cioè all’evento che non si potrebbe attendere come tale, né dunque riconoscere anticipatamente, all’evento come l’estraneo stesso, a colei o colui per cui si deve lasciare un posto vuoto, sempre, in memoria della speranza – ed è questo il luogo della spettralità.
L’arrivante è un popolo a venire; l’arrivante è una condizione di scarto che coinvolge uomini d'Oriente e d’Occidente, lo scarto esistente fra realtà e progetto. Quella dell’arrivante è una promessa escatologica perché l’arrivante è un dio dalla pelle nera. Vi sono dieci punti decisivi su cui sono chiamati a pronunciarsi gli uomini del nuovo millennio.
11. Il nuovo millennio
– La disoccupazione
– Il problema degli homeless e dei sans papier
– La guerra economica dei paesi europei fra loro e
dell’Europa con gli USA e il Giappone
– Le contraddizioni del neoliberismo economico
– Il problema del debito estero dei paesi in via di sviluppo
– L’industria e il commercio delle armi
– Le armi atomiche
– Le guerre inter-etniche
– La mafia e il commercio della droga
– La subordinazione del diritto internazionale alla logica
del comando imperialista e i limiti operativi degli
organismi internazionali.
12. La Nuova Internazionale
La Nuova Internazionale deve in primo luogo denunciare a chiare lettere la subordinazione degli organismi internazionali ad alcuni stati-nazione: sono gli stati guida del mondo occidentale che determinano gli equilibri militari e politici dell’intero pianeta. Non si può negare che nel momento in cui certuni osano neo-evangelizzare, in nome dell’ideale di una democrazia liberale finalmente pervenuta a se stessa come all’ideale della storia umana, bisogna proprio gridare che mai, nella storia della terra e dell’umanità, la violenza, l’ineguaglianza, l’esclusione, la miseria, e dunque l’oppressione economica, hanno coinvolto tanti esseri umani.
La Nuova Internazionale non si costruisce sulla base di statuti, ma è un pensiero e una prassi critica operante in tutte le situazioni di disagio prodotte dalla esistenza e legittimazione degli stati nazione. Quel che qui si chiama con il nome di Nuova Internazionale rinvia all’amicizia e a una alleanza senza istituzione tra coloro che, anche se ormai non credono più o non hanno mai creduto alla Internazionale socialista-marxista, alla dittatura del proletariato, al ruolo messianico escatologico dell’unione universale dei proletari di tutto il mondo, continuano a ispirarsi almeno a uno degli spiriti di Marx e del marxismo, per allearsi in modo nuovo, concreto, reale. Questa alleanza non prende più la forma del partito o della Internazionale operaia, ma quella di una sorta di controcongiura, nella critica (teorica e pratica) dello stato del diritto internazionale, dei concetti di stato e di nazione; per rinnovare questa critica e soprattutto per radicalizzarla.
Intendiamoci, la decostruzione deve coinvolgere anche gli apparati dei marxismi realizzati che si sono rivelati devastanti per la crescita e l’affermazione dei movimenti di massa. Intendiamo riferirci alla dittatura del proletariato, al ruolo del partito unico, alle involuzioni totalitarie del potere sovietico. In questo senso la decostruzione si raccorda al concetto di critica radicale e all’evento di una promessa.
Questa critica appartiene al movimento di una esperienza aperta all’avvenire assoluto di ciò che viene, cioè di una esperienza necessariamente indeterminata, astratta, desertica, libera, esposta, dedita alla sua attesa dell’altro e dell’evento. Nella sua pura formalità, nell’indeterminazione che richiede, le si può trovare ancora una affinità essenziale con un certo spirito messianico.
Si tratta di un progetto aperto senza adesioni a forme di dogmatismo di cui gli uomini del prossimo secolo sono eredi. La principale eredità di Marx è una lotta incondizionata contro l’ingiustizia e l’ineguaglianza sociale, contro le gerarchie, le forme di controllo; esse pervadono l’intero corpo sociale, sono presenti negli apparati e nelle istituzioni, alimentano un disagio permanente e sono la principale causa del male oscuro. Dovunque, dal centro alla periferia dell’impero!
Si possono impostare tanti discorsi di carattere neo-evangelico sulla crisi definitiva del marxismo, ma non si può proporre una vera strategia della trasformazione se non si affronta preliminarmente il problema del mercato mondiale e delle forme di dipendenza che questo induce su stati, patrie e nazioni.
è vero, bisogna scrivere di nuovo, riscrivere la funzione dello stato; ridefinire il suo ruolo rispetto al campo delle libertà individuali, non dimenticando la stretta dipendenza che patrie e nazioni hanno rispetto alle forze economiche, il mandato e il vicariato che svolgono rispetto al capitale finanziario internazionale, il progressivo esaurimento della propria autonomia rispetto ai gendarmi del pianeta.