Il sindacato confederale alla “prova” del movimento antiglobalizzazione
Da Seattle a Genova: un’onda lunga è giunta fino a noi, nei giorni in cui si è tenuto il vertice dei potenti del G8 a Genova.
Nel novembre del ’99, la prima grande novità. Per le strade della città americana, nei cortei antiWTO sfilarono insieme ambientalisti e sindacati americani, da sempre non vicinissimi per cultura e prassi politiche. Ebbene, il 21 luglio di quest’anno, nel capoluogo ligure, almeno 10.000 tute blu della FIOM-CGIL hanno partecipato al corteo dei 300.000 manifestanti. È stata una tappa importante per l’incontro di soggetti pur differenti all’interno del “movimento dei movimenti”, che ha avuto un prologo non meno significativo nello sciopero del 6 luglio, proclamato dalla FIOM per dire no alla piattaforma di Federmeccanica e all’intesa preliminare al ribasso, raggiunta separatamente con FIM e UILM; prologo significativo, perché nelle varie piazze d’Italia, ai comizi di chiusura delle manifestazioni dei metalmeccanici, che hanno scioperato in 200.000, come non accadeva da tempo, sono intervenuti i portavoce locali del Genoa Social Forum.
Lo sciopero, indetto dalla FIOM e molto ben riuscito, e l’adesione di quest’organizzazione al GSF rappresentano ulteriori e decisi segnali di disgelo di quella coltre che negli ultimi vent’anni ha ibernato movimenti sociali e ancor più la classica soggettività operaia. Nel gelo, tutti, o quasi, avevano creduto alla morte della classe operaia, annunciata dal vangelo neoliberista, alla fine della Storia, alla fine ideologica delle ideologie.
Ed ecco, invece, che è tornata in scena e in piazza la figura dell’operaio. E che non sia affatto arrendevole, né sulla difensiva, lo dimostrano le mobilitazioni di luglio e non solo, dalla vittoria alla Zanussi nel referendum job-call all’organizzazione delle proteste ai call-centers: mobilitazioni che mirano non solo a un aumento salariale sacrosanto ma anche alla difesa del diritto alla contrattazione collettiva; che reclamano non solo la redistribuzione della ricchezza ma pongono anche questioni come il controllo dei ritmi di lavoro, di tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro; che esigono nuovi diritti contro la flessibilità e la conseguente precarizzazione selvaggia (vedi i reiterati attacchi all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori).
Sciopero dei metalmeccanici e adesione della FIOM al GSF hanno inevitabilmente aggiunto elementi nuovi, di discontinuità al quadro dei rapporti sindacali, alla fase preparatoria del 14º Congresso della CGIL, che si terrà a metà febbraio del 2002, ma soprattutto hanno rappresentato una cesura rispetto al quadro ideologico della concertazione e delle compatibilità neoliberiste, tanto care anche alla sinistra moderata di governo negli ultimi anni. Tra l’altro un quadro non più funzionale alla Confindustria, che già si prepara a esigere prebende grazie al nuovo governo di destra.
Una stagione di autolesionismo sindacale confederale si è oggettivamente chiusa e una nuova fase va aprendosi.
I vertici sindacali confederali dovrebbero prenderne atto, pena ulteriori brucianti sconfitte sia sindacali che politiche. La rottura operata dalla FIOM e la crescita del movimento antiglobalizzazione hanno prodotto una crepa di non poco conto nell’involucro concertativo e schiudono una via diversa al maggiore sindacato italiano, il quale, nonostante i ripetuti inviti, si è rifiutato di aderire al GSF, benché vi fossero sia la CUT brasiliana, tra l’altro promotrice del Forum Sociale di Porto Alegre, sia l’AFL-CIO americana.
Perseverare nella difesa della linea concertativa e ostinarsi nel collateralismo ai Democratici di Sinistra e alle loro vicende interne precongressuali, che pure vanno seguite ma da prospettive diverse, significherebbe abbandonare definitivamente sia qualsiasi idea di conflittualità sociale e sindacale sia il valore dell’autonomia del sindacato. Ma soprattutto rischiare l’isolamento dalla società e dai movimenti.
Al contrario, la scelta della FIOM ha prodotto l’inizio di un’interlocuzione importante con il movimento no-global dalle varie anime, alle quali l’incontro con chi vive la contraddizione capitale-lavoro e ne ha coscienza non può che aiutare a fare un ulteriore salto di qualità. Reciprocamente il mondo del lavoro può e deve arricchirsi di sensibilità altre, che aiutino a superare ritardi prassico-teorici ovvero retaggi industrialistici novecenteschi.
La questione dei rapporti tra nuova soggettività operaia e no-global, e relative prospettive, è fondamentale nella costruzione di un movimento di lotta che sia anche forza materiale capace di proporre non solo obiettivi a breve/medio termine ma anche un’alternativa strategica di società.
Sul piano teorico, l’apporto del sindacato, che oggi comunque sconta notevoli ritardi di analisi e di proposta, consisterebbe nell’evidenziare le nuove modalità di sfruttamento del lavoro e la centralità di questo, interconnesso allo sfruttamento ambientale e “genetico”. Le battaglie in difesa dell’ambiente e anti-OGM sembrano essere più radicate nella coscienza del popolo di Seattle, ma non altrettanto può dirsi, specie nei punti alti della crescita capitalistica, delle questioni del lavoro, della sua dignità, della sua importanza al fine di delineare un’altra idea di progresso opposta a quella basata sullo sfruttamento capitalistico. È in direzione di un nuovo internazionalismo che il sindacato deve cominciare a muoversi, sentendosi a pieno titolo soggetto promotore, al pari di altri, di esperienze e percorsi alternativi come quello di Porto Alegre, percorsi operanti costantemente sia a livello globale che locale.
Sul piano immediatamente pratico, al sindacato tocca evitare l’isolamento dalla società e dai movimenti, aggregando soggetti contigui e adiacenti su obiettivi precisi. L’adeguamento automatico dei salari all’inflazione reale e non a quella programmata come prescrive la logica concertativa; la battaglia per le 35 ore e l’introduzione dello SMIC, che è il salario minimo inter-categoriale; maggiori “rigidità” a tutela dei lavoratori anziché maggiore “flessibilità” a favore delle imprese; un salario sociale minimo garantito; la difesa della tutela pensionistica; una nuova e più democratica legge sulla rappresentanza sindacale: sono alcuni degli spunti per una piattaforma rivendicativa degna di tal nome, idealmente e materialmente allargata e intrecciata ad altri soggetti e ad altre mobilitazioni.
In tal senso, qualcosa sembra da tempo muoversi, visto che alcuni dei punti succitati sono elementi centrali, condivisi dall’area della sinistra interna della CGIL, dal nome “LavoroSocietà-Cambiare rotta”, che intende dare battaglia al prossimo congresso con un documento alternativo.
Allo stato attuale, si registra una positiva prosecuzione dell’interlocuzione fra tute blu e no-global, specie a livello locale. Né può trascurarsi, inoltre, la partecipazione della CGIL a varie manifestazioni nelle piazze del paese, all’indomani delle giornate di Genova, per protestare contro il governo e la gestione dell’ordine pubblico.
Senza dubbio fra rinnovi contrattuali, vertici e controvertici internazionali nonché congressi sindacali e di partiti della sinistra, si preannuncia un’intensa stagione politica, che misurerà da un lato le possibilità e la credibilità del nuovo antagonismo del meticciato globale e dall’altro costringerà gli attori della sfera politica a prendere posizione senza alcuna ambiguità nei confronti di questo nuovo soggetto globale, plurale. |
settembre - dicembre 2001 |