Ripartire dal movimento antiglobal
di Cosimo R. Sallustio
(Legambiente Puglia)

Quelle che seguono sono le riflessioni che la Legambiente ha fatto alcuni giorni dopo gli avvenimenti del G8 di Genova. Personalmente, le ritengo premesse indispensabili per una necessaria ripresa della mobilitazione sui temi della globalizzazione.
Le pongo, quindi, come contributo al dibattito di quanti in quei giorni di luglio hanno direttamente o indirettamente contribuito alla mobilitazione non violenta sulle vertenze antiglobalizzazione. Vorrei partire, ricordando brevemente queste vertenze:
• prosecuzione dell’impegno a cancellare tutti i crediti verso i paesi più poveri;
• messa al bando delle armi all’uranio impoverito;
• ratifica, entro il 2002, prima della Conferenza di Johannesburg che si terrà a dieci anni esatti dall’Earth Summit di Rio de Janeiro, del Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni dei gas serra;
• regolamentazione rigorosa dell’immissione nell’ambiente e in commercio degli organismi geneticamente modificati;
• restituzione all’Onu del potere di fissare le regole del commercio mondiale, che sia tolto al WTO, organizzazione priva di ogni legittimità democratica.
L’esperienza della preparazione dei giorni di mobilitazione nell’ambito del Genoa Social Forum in occasione del vertice G8, le giornate di seminari, di incontri, la manifestazione dei migranti, che ha visto la partecipazione di oltre 70 mila persone, la giornata delle piazze tematiche e della disobbedienza civile e il corteo finale con oltre 200 mila presenze, hanno rappresentato la grande scommessa di un movimento che, volendo darsi una forte soggettività, tenesse insieme gran parte delle tante realtà, anche molto differenti tra loro, che si muovono sui temi della globalizzazione, della solidarietà, della cooperazione e di un diverso modello di sviluppo.
Questa scommessa, che anche Legambiente ha voluto sostenere e che è stata accolta da alcune centinaia di migliaia di persone giunte a Genova dal resto d’Italia e dall’estero, da un lato si è scontrata in quei giorni con la presenza di alcune migliaia di delinquenti giunti esclusivamente per esercitare violenza sulla città e su quel movimento, e dunque sull’esito di quella stessa scommessa. Con atti inqualificabili, questi violenti hanno inferto ferite sanguinose alla città, mettendola a ferro e fuoco e scontrandosi con delle forze dell’ordine che, dall’altro lato, hanno operato in modo del tutto irresponsabile e inefficace avendo scelto anch’esse, nei mesi precedenti, una strada mediatica tutta incentrata sulla difesa della zona rossa.
Le forze dell’ordine, dopo aver perso rapidamente il controllo della situazione, hanno contribuito a mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini e della città, in un crescendo culminato con l’azione di sabato notte al centro di accoglienza nella scuola Diaz e alla sede del Genoa Social Forum, dove sono state violate tutte le più elementari garanzie costituzionali, con pestaggi, fermi e arresti. Un morto e 600 feriti oltre a decine di desaparecidos sono il sinistro bilancio di quelle giornate.
È quindi evidente quanto tutto ciò abbia danneggiato la scommessa che stavamo giocando: dal punto di vista della comunicazione quel movimento ha subito un danno quasi irreparabile. Occorrono ora risposte forti e determinate.
In questa situazione, c’è bisogno di un’azione forte e immediata del Parlamento e delle altre istituzioni perché vengano accertate le responsabilità, perché venga fatta chiarezza, anche perché credo possiamo affermare che non si sia trattato di una semplice azione di polizia ma di una azione strategica del Governo nazionale. Si può infatti ipotizzare, dietro tutto ciò, una strategia politica volta a utilizzare le “tute nere” per coinvolgere nelle violenze tutto il movimento con l’effetto di spostare l’attenzione dai temi forti e radicali a quello della violenza.
Dobbiamo respingere una possibile strategia della tensione, in cui azione e reazione ci portino allo svilimento del tanto faticoso lavoro svolto in questi anni per creare consenso intorno alla partecipazione e alla contestazione ai temi della globalizzazione.
In tempi molto rapidi, però, c’è anche l’esigenza politica di aprire un ragionamento serio e determinato sul futuro di quello che è stato il GSF: all’interno di quel movimento la gran parte delle associazioni è stata costretta a passare troppe ore e troppe notti a discutere della scenografia militare (militaresca) delle Tute bianche di Casarini o di pezzi dei Cobas per lo sfondamento della zona rossa, sottraendo energie e tempo alla gestione delle dinamiche di piazza e all’approfondimento dei contenuti della mobilitazione.
Serve quindi un rilancio immediato e a questo stiamo già lavorando, all’insegna di una pratica pacifica, non violenta e di massa non solo nei gesti ma anche nelle parole, respingendo quegli atteggiamenti che finiscono per risuonare con le dinamiche della violenza.
Siamo consapevoli anche del fatto che, se in gran parte delle riunioni del GSF le posizioni di Legambiente, così determinate sul rifiuto della violenza e della militarizzazione, anche verbale e di simbologie, non hanno avuto un ruolo egemone, lo hanno senz’altro avuto nelle manifestazioni dove la stragrande maggioranza di chi è sceso in piazza rifiuta anche l’ipotesi di un corteo blindato e cordonato per motivi di sicurezza e agibilità.
Proprio per questo stiamo anche elaborando una presa di posizione forte, che chiediamo di sottoscrivere alle altre realtà che condividono la necessità del rilancio di un movimento fondato su queste basi, individuando magari la prossima marcia Perugia-Assisi del 14 ottobre prossimo come momento di grande mobilitazione della società civile su questi temi.

settembre - dicembre 2001