Passioni mute: i suoni
di Mario Centrone

Il definirsi della condizione molecolare degli individui e delle loro singolarità storiche apre uno spazio di costituzione e di verifica di un nuovo soggetto che non si dispone più in una inerte dimensione omologata, ma si apre a una pluralità dinamica di pulsioni e di desideri che difficilmente è possibile ricondurre a un orizzonte unitario.
Secondo Deleuze e Guattari, questo luogo indeterminato, nucleo aperto di infinite possibilità, viene individuato nel rizoma o tubero, uovo tantrico, centro pulsionale e irrefrenabile di passioni incomposte. I comportamenti sociali si definiscono in modo molecolare e non in forma identitaria; i desideri, le aspirazioni, le pulsioni individuali rivendicano spazi di libertà, inducendo atteggiamenti anarcoidi.
Anche Franco Berardi Bifo ritiene che uno dei meriti del pensiero di Deleuze e Guattari è l’aver posto l’attenzione sul pensiero rizomatico, il sottosuolo, il luogo della trama libidinale, della dimensione desiderante degli individui che la società tende a soffocare e rimuovere. Se il lavoro filosofico di Deleuze produce una decostruzione della ontologia, la schizoanalisi di Guattari ha fatto emergere la natura molecolare dei soggetti non riducibili a unità monolitica. «Deleuze porta una decostruzione dell’ontologia: il rapporto fra Essere e Soggetto che è a fondamento della costruzione metafisica da Platone a Hegel viene da Deleuze smontato pezzo per pezzo nei suoi libri precedenti il ’69, nei suoi studi su Hume, Nietzsche, Bergson, Spinoza, Kant. Ma è Guattari che porta un linguaggio da chimico, da alchimista, da farmacologo, che propone la dimensione del desiderio molecolare». (Franco Berardi Bifo, Oeuf tantrique, in G. Deleuze e F. Guattari, «Droghe e suoni: passioni mute, Millepiani», n. 13, Milano 1998, p. 146).
Il lavoro dei due teorici progressivamente si incrocia in quanto, sostiene Berardi, Deleuze nel suo libro su Nietzsche e la filosofia delinea il passaggio dalla responsabilità alla danza, mentre Guattari prendendo le distanze dall’inconscio freudiano approda all’inconscio dello schizofrenico come elemento di liberazione e di definizione di una nuova soggettività. Ne deriva l’articolazione di una ontologia plurale che si unisce alla ispirazione molecolare: i piani di costituzione dei soggetti vengono moltiplicati, diventano cento, mille (i mille piani), per presentarsi come strategia di accerchiamento ai luoghi della significazione, della conoscenza, del comando sociale. Il filosofo che meglio permette di comprendere questo passaggio è H. Bergson, perché nel suo pensiero vi è una proposizione forte della categoria di divenire. «Il filosofo che meglio ci permette di vedere il punto di intersezione tra Guattari e Deleuze è H. Bergson.
Durata, memoria, slancio vitale sono i concetti centrali del pensiero di H. Bergson secondo la prospettiva deleuziana. Bergson non si limita a delineare una psicologia, ma pone le basi per una ontologia complessa, una ontologia capace di comprendere la molteplicità, il divenire». (F. B. Bifo, op. cit.) L’essere entra nel gioco di specchi infinito e innumerevole del tempo come durata. La coscienza, presentandosi come realtà virtuale, si apre a una molteplicità di significazioni difficilmente riducibile ad una dimensione molare e monolitica; il dualismo proposto da Bergson fra tempo vissuto e tempo spazializzato dissolve i meccanismi di cattura che i saperi positivi molte volte esercitano sulle menti. «La lettura deleuziana di Bergson sottrae il suo pensiero al contesto tardo-romantico e vitalistico nel quale generalmente è inserito. Il concetto bergsoniano di tempo-durata viene ripensato alla luce di una problematica ontologica a partire dalla quale si può fondare l’essere come temporalità e come svolgimento di una intensità nel tempo». (F. B. Bifo, op. cit.)
L’essere, come intensità e vibrazione, si definisce nella coscienza che si colloca al centro di questo nuovo universo; universo non decifrabile secondo la logica classificatoria del tardo positivismo. La moltiplicazione dei piani di costituzione corrisponde alla diversificazione delle diverse modalità intenzionali degli individui rispetto alla vita e alla storia e definisce pertanto il quadro teorico in cui si colloca la creazione di un corpo senza organi. «La moltiplicazione infinita di proiezioni ontologiche è il retroterra filosofico della nozione del corpo senza organi, che però presuppone anche il lavoro di molecolarizzazione dello psichismo, del linguaggio, della socialità». (F. B. Bifo, op. cit.). Il lavoro dello psichiatra francese tende a decomporre i tessuti connettivi dei gruppi sociali per ritrovare possibilità di trasformazione delle menti assoggettate. Il corpo senza organi è simile a un uovo, potenza germinativa in via di formazione, nucleo di intensità potenziali che si completeranno in un organismo.
«Corpo senza organi è la condizione di possibilità desiderante, uno stato confusionale della materia in cui gli stati successivi possibili sono contenuti in maniera indifferenziata». (F. B. Bifo, op. cit.). La sostanza del desiderio, della trama libidinale, è contenuta in una materia indifferenziata, non ancora definita, che è dunque l’uovo tantrico. L’uovo appare come un nucleo concentrato di materia che ansima, respira, diviene.
La coscienza ha la stessa sostanza dell’uovo perché è un divenire, una possibilità di divenire. Carattere della coscienza è il diventare altro da sé, tensione continua verso l’infinito; questo carattere non assume per i due intellettuali francesi una valenza spirituale, ma resta articolazione della materia, all’interno della materia stessa.
Il virus è l’elemento che più rappresenta la situazione instabile della materialità nel suo processo di costituzione, come virale è il passaggio dall’inorganico all’organico, dall’organico alla noosfera. «Il continuum biosfera-noosfera è un continuum che non si può definire né bios, né noos perché l’inorganico prolifera nell’organico, l’organico prolifera nel noetico, ed il noetico a sua volta circola proliferando nell’organico e l’organico nell’inorganico». (F. B. Bifo, op. cit.).
La macchina è una immagine idonea a rappresentare questa universale connessione dei singoli elementi, dei pezzi, nel funzionamento del tutto; anche i corpi sono costituiti di elementi a-significanti se vengono considerati separati, ma destinati alla significazione una volta definiti in un organismo unitario. Il corpo senza organi, il corpo desiderante è un organismo unificato dal desiderio.
«Il corpo senza organi è il campo di immanenza del desiderio, sul quale fluiscono pure intensità, libere, prefisiche, previtali singolarità, cioé punti singolari. Il corpo senza organi produce e distribuisce intensità». (F. B. Bifo, op. cit.).
Il corpo senza organi non si può definire perché l’indeterminatezza costituisce una delle sue specificità; definire un corpo senza organi vuol dire consegnarlo alla limitazione di una definizione, laddove esso è uno spazio aperto, finestra sul mondo non perfettamente circoscrivibile. Fra le monadi di questo universo e il cosmo concepito come unità si crea una situazione empatica che solo la musica e i suoni riescono a esprimere. «Il cosmo è un Uovo-mondo, un embrione cosmico le cui zone, gradienti, intensità e linee di potenziale scarto corrispondono alla traccia delle catene di macchine desideranti. Le linee rappresentano le macchine desideranti e i punti vaganti rappresentano i soggetti nomadi». (F. B. Bifo, op. cit.).
I soggetti nomadi si affidano ai suoni, alla musica, alla danza per vivere il nomadismo, per evitare i meccanismi di cattura.
Anche nel mondo musicale esistono forti elementi di omologazione e di produzione seriale; non c’è bisogno di distinguere fra musica colta e dance music, musica elettronica e musica prodotta con gli strumenti tradizionali.
Il panorama musicale presenta elementi di ripetizione e di inquadramento congruenti alle società opulente in cui viene prodotto.
Attila Faravelli propone uno stretto parallelismo fra il mondo di plastica, nonché lo sguardo vitreo della Barbie, e buona parte della musica commerciale contemporanea. «Soltanto la miopia degli specialisti impedisce di scorgere il nesso strettissimo che intercorre tra l’attuale produzione musicale di consumo e buona parte della musica colta contemporanea. Barbie e iper-determinismo seriale, Back-street boys ed Alea, glam e musica stocastica, dietro maschere diversissime ribolle una identica pulsione sterminatrice nei confronti di ogni forma di alterità. Che si offra al pubblico ciò che vuole o che ci si sottragga a tutti, a essere rimosso è pur sempre l’Altro». (Attila Faravelli, Metamorfosi musicali, in G. Deleuze e F. Guattari, «Droghe e suoni: passioni mute, Millepiani», n. 13, Milano 1998, p. 124)
I soggetti sono catturati dai prodotti che invadono la sfera delle scelte vissute in modo partecipato e soggettivo; non si riesce a intuire che nella logica del mercato sono gli oggetti a determinare le scelte individuali. Si assiste a un proliferare di nuovi brani che invece ripropongono sempre lo stesso ritmo, si potrebbe dire lo stesso marchio.
«Siamo invasi da scacchiere sonore che tuttavia non si limitano a stabilire le regole del gioco, quanto piuttosto ci impongono le mosse dalla prima all’ultima: piena evidenza di ‘ganci’ iper-orecchiabili, tanto più necessari melodicamente quanto meno in grado di aprirsi a differenti possibilità di lettura». (A. Faravelli, op. cit.).
La stessa monotonia, ripetizione, serialità, soffocamento della immaginazione attraversa i brani di Madonna o delle Spice Girls. «Nelle ragazze speziate (Spice) si canta solamente la nuova etica narcisista, solo ripetizione, senza differenza. E nessun nomadismo nel look mutante di Madonna». (A. Faravelli, op. cit.).
L’onnipervasività del messaggio sonoro produce un orrore del silenzio e una ripetizione ossessiva simile al fumo delle sigarette. L’illusione fornita ai soggetti è che la musica sia stata composta per ciascuno in modo individuale, anche se viene a crearsi una inquietante comunità virtuale in cui tutti insieme separatamente ascoltano nello stesso tempo il medesimo gruppo, la medesima cantante (One world-one music). Il progetto nascosto è la creazione di gusti omologati che si articolano in modo concertato nell’acquisto dei prodotti musicali. Sotto l’apparenza del decentramento si scopre un accentramento falsamente plurale che tende a sterminare il particolare e tutto ciò che sfugge alla condivisione universale. Sul piano delle immagini i video, che accompagnano le musiche, presentano un essere androgino, esangue che distrugge le specificità dei singoli e delle razze. Si tratta di esseri mutanti che non mutano nulla. «Guardate M. Jackson è un mutante solitario, precursore di un meticciamento perfetto perché universale, la nuova razza in qualche modo derivante dalle razze. I ragazzi di oggi non hanno remore riguardo a una società di meticciato: è il loro universo e Michael Jackson prefigura ciò che immaginano come avvenire ideale. Michael si è rifatto il viso, acconciati i capelli, schiarita la pelle, in breve si è minuziosamente costruito: questo ne fa un ragazzo innocente e puro, l’androgino artificiale della favola che, meglio di Cristo, può regnare sul mondo e riconciliarlo, perché è meglio di un bambino-dio, un bambino protesi, un embrione di tutte le forme sognate di mutazione che ci libereranno dalla razza e dal sesso». (J. Baudrillard, La sparizione dell’arte, Milano 1988, p. 46) Lo stesso processo di dominio dell’artificio, del perfezionismo formale e tecnologico sta invadendo la musica colta. Adorno aveva avvertito i rischi della involuzione formale, dei tecnicismi di maniera e dell’irrigidimento dei canoni espressivi che avevano fatto seguito alla rivoluzione culturale avanzata dalla musica dodecafonica di Vienna. «L’adozione della tecnica dodecafonica, al limite di una radicale incomunicabilità, era tuttavia espressione di una angoscia irriducibile rispetto ai sistemi linguistici consolidati dalla tradizione borghese. L’artista denunciava la mercificazione, la reificazione della propria soggettività scomparendo dietro meccanismi astratti». (A. Faravelli, op. cit.). Dopo la scuola musicale di Vienna si assiste a un uso esasperato del tecnicismo fine a se stesso; l’aspetto di denuncia rispetto alla musica e ai valori borghesi si perde nella ricerca del virtuosismo. La musica di avanguardia si indirizza alla creazione di composizioni seriali, che esprimono la ripetizione ossessiva del quotidiano, ma tutto si riduce all’enfasi rivolta alla sperimentazione formale, sostenuta dall’inserimento di nuovi accordi strumentali. «L’Altro è rimosso in un eccesso di mediazione e di analisi: il puro gioco cui Adorno si riferisce consta appunto nel rispecchiamento narcisistico che si esprime in una fruizione finalizzata esclusivamente al riconoscimento di strutture, idee, tecniche e strategie compositive». (A. Faravelli, op. cit.).
Anche il ricorso a esperienze musicali che provengono da culture extra-europee viene reso funzionale alla creazione di idiomi che restano parzialmente non correlati. La musica sembra essere attraversata dagli stessi fenomeni implosivi che caratterizzano la condizione post-moderna. Dove rinvenire, si chiede Attila Faravelli, i luoghi della alternativa autentica, i luoghi della differenza?
Alcuni di essi possono essere ricercati nel mondo del jazz, nel popolo del blues, nel blues, nel ritmo sincopato, nel tam-tam ritmato che immediatamente rimanda a tutti i movimenti di liberazione che nel corso del Novecento hanno accompagnato il definirsi di un nuovo soggetto collettivo. Noi proponiamo di seguire questo percorso perché siamo convinti che a una certa musica corrispondono nel mondo americano la letteratura, le aspirazioni e i comportamenti della Beat Generation; quei comportamenti trasgressivi, che diventarono in seguito un patrimonio collettivo, furono anticipati con forza da un gruppo di intellettuali isolati, le cui vite finirono in alcuni casi in modo tragico; l’urlo lanciato negli scritti e nelle composizioni letterarie venne ripreso dai ritmi spezzati dei brani jazz. Faravelli mette in evidenza un’altra specificità della musica jazz, l’apertura della comunicazione e l’apertura all’Altro, che è invece irrimediabilmente bloccata in altre esperienze musicali. L’assenza del testo, l’inutilità dello spartito si presentano come un orizzonte di possibilità sconosciuto alla musica tradizionale.
«Accantonando misticismi vari, è ovvio che se non c’è uno spartito a coordinare i musicisti, essi dovranno necessariamente ascoltarsi a vicenda, dialogare l’uno con l’altro, supplire l’assenza di una unità centrale di riferimento costituendo una rete mobile di relazioni e di corrispondenze reciproche; improvvisare significa fare rizoma, calarsi entro una immanenza in cui la partitura, da luogo depositario di una verità musicale e strutturale superiore diviene semplice pretesto». (A. Faravelli, op. cit.).
Fare rizoma, farsi musica, diventare musica, dialogare, inventare, fare arrivare l’altro, l’arrivante, quel mitico be-bop, il ritmo della vita. «Mia madre non ha messo al mondo un musicista di jazz, ma un essere umano. Questo è ciò che suono musica umana». (A. Faravelli, op. cit.).
Secondo Faravelli il jazz produce una forma di deregionalizzazione creativa, il dissiparsi di un centro normativo di codici e comportamenti che favoriscono l’emergere di potenzialità nascoste nell’anima del compositore e dello strumentista. In molti casi le due figure si fondono per dare spazio a quel ritmo incontrollato che si presenta come il segreto pulsare dell’universo.
«Decisi di chiamare la mia musica suono organizzato e di qualificarmi non come musicista ma come operatore di ritmi, frequenze e intensità. Il mio scopo è sempre stato la liberazione del suono e la massima apertura alla musica dell’intero universo sonoro». (E. Varèse, Il suono organizzato, Unicopli, Milano 1985) Allontanare la musica dal soggetto che la esegue, vuol dire riarticolarla in suono universale, suono cosmico, udibile, eseguibile; l’esecutore o interprete deve scomparire per rendere quel suono la potenziale voce di tutti.
«L’interprete scomparirà come avvenne in letteratura per il cantastorie dopo l’invenzione della stampa». (E. Varèse, op. cit.).
In questo senso la melodia cede il passo alla percussione, la voce narrante diventa ritmo sincopato, il be-bop; esso non racconta una storia, ma urla delle storie come i graffiti di una metropoli.
«Appena domina la melodia, la musica diventa soporifera: si è costretti a seguire la melodia appena essa si manifesta, e con la melodia, è l’aneddoto che si insinua. Le percussioni non sanno raccontare una storia». (E. Varèse, op. cit.).
Il musicologo Heinrich Besseler, allievo di Heidegger a Friburgo, aveva delineato l’evoluzione della musica moderna proponendo una prima fase concepita come musica-rappresentazione, funzionale alla enunciazione del testo liturgico e alla rappresentazione scenica e una seconda fase costituita dalla musica melodica che comincia nel Seicento.
Il definirsi della musica melodica, abbinata alla musica di accompagnamento che ne costituisce lo sfondo, risulta parallelo alla evoluzione della pittura che si articola nelle due polarità figura-paesaggio. I teorici connettono questa evoluzione parallela alla emersione del soggetto borghese come nuovo protagonista storico. Melodia e figura sono le espressioni del nuovo soggetto. Pare opportuno osservare come il proporsi dell’Ego cogito come principio organizzativo della conoscenza razionale e della investigazione del mondo sia una ulteriore conseguenza di questo processo. Secondo Faravelli «la nuova musica jazz rappresenta una decostruzione del soggetto borghese avanzata anche dalle culture filosofiche che sulla sua dissipazione, sulla sua dispersione molecolare si aprono alla definizione delle nuove soggettività. La musica jazz non conosce distinzioni tra melodia e accompagnamento; tramonta la figura, emerge lo sfondo. Non propone espressioni melodiche coesive e rifugge dalle grandi figure. Essa presenta una abbondanza di piccole figure che generano una abbondanza di ambiente. Il musicista è uno dei molti individui che formano l’intero musicale, l’intero sfondo musicale e sociale».
Le nuove generazioni musicali negano il ruolo egemonico che il soggetto da mezzo millennio esercita sulle molteplicità e ne propongono il transito, destrutturando la soggettività cristallizzata dell’ego borghese. Anche se esiste il rischio che questa irruzione dell’ambiente, della disseminazione riproponga forme di virtuosismo, non si può negare che questo approdo al piano della crudeltà rappresenta un’intrinseca aggressione all’ordine costituito, al codice, al comando.
Deregionalizzazione creativa, spazio aperto di possibilità infinite; per fare musica per divenire musica, il rave.
«La musica senza soggetto né oggetto non rimuove la verità inquietante per cui il pensiero senza soggetto è proprio del poeta quanto dell’annoiato. L’improvvisazione jazzistica, non presentandosi più nell’ambito della musica relazione, suggerisce che non è così difficile passare dal rizoma alla “conferenza degli uccelli”». (A. Faravelli, op. cit.).
Per far emergere la multitudo, il popolo, il popolo che viene, che arriva.

settembre - dicembre 2001