Questo è il racconto diretto di un’esperienza personale,lunga e tuttora in atto. Non ha intenti predicatori, né dottrinali. Non presume di affrontare temi difficili di teoria economica,non ha nessuna pretesa sociologica. Ha molti limiti e tuttavia si colloca in un ambito di critica del liberismo estremista che oggi è dominante. Spero che sia utile per coloro che si occupano di politica.
Verso la fine del secolo scorso si sono andate affermando alcune concezioni sul lavoro, specie giovanile, che anche la sinistra ha finito col subire. Anche a Molfetta il motto dominante della vulgata era, e ancor oggi continua a essere: «diventa imprenditore di te stesso».
Con questo slogan si diceva tutto quello che gli anni Ottanta avevano espresso in termini di edonismo individuale e – io penso – anche di disimpegno sociale, di distanza dell’imprenditoria rispetto a una funzione sociale che pure dovrebbe avere in un paese civile. Fu così che si preparò il terreno per quello che oggi succede, senza più opposizioni, nel campo dell’economia e del lavoro, cioè l’accettazione della flessibilità e del lavoro interinale se non come cosa naturale, almeno come condizione necessaria per i giovani. E tra questi domina oggi un sentimento di precarietà e di rassegnazione. La paura dell’avvenire, l’incertezza del domani, il fatto di vivere al presente, la coscienza che nessun governo controlli veramente la situazione, spingono alla rassegnazione sociale, collettiva, e alla disperata resistenza individuale.
Non so rassegnarmi al trionfo del pensiero unico, perché sento che c’è un modo diverso di affrontare il lavoro, anche a partire da un bilancio trentennale di impegno delle cooperative in Italia. Vorrei discuterne, a partire dalla mia esperienza, iniziata poco prima degli anni novanta, in un gruppo di volontariato impegnato in un’ associazione che lavorava sui temi della pace e contribuiva all’elaborazione di prospettive nuove come la difesa dell’ambiente e il movimento non-violento, temi e fenomeni che in quei tempi venivano completamente ignorati, a volte solo tollerati, dalla cultura politica e dalla sinistra ufficiale. Si tratta di lavori che vanno dall’aiuto alle persone anziane a diverse attività di servizio, come l’assistenza o l’educazione privata dei bambini. La sfida del gruppo fu quella di trasformare questa passione in lavoro vero e proprio, in attività produttiva. L’obiettivo non sarebbe stato più quello di trovare comunque un lavoro alla gente, ma permettere l’esercizio di una “attività”.
Si è resa così necessaria la costituzione di una cooperativa, costituita sia da soci che un lavoro ce l’avevano già e per questo vi partecipavano con il loro finanziamento, sia da altri che vi contribuivano con il lavoro stesso che prestavano, una miscela questa che ha aiutato l’impresa a crescere, sviluppando due filoni essenziali. Uno guardava al territorio locale, con la presenza di un punto di vendita di libri e tanti prodotti del commercio equo e solidale, l’altro sviluppava un’attività editoriale che si rivolgeva a tutto il territorio nazionale.
Imperativo categorico e obiettivo di arrivo erano la qualità riconosciuta, non autoreferenziale, del prodotto, l’accreditamento del processo produttivo, la semplicità e l’immediatezza del sistema distributivo. Non era poco e non era facile, ma era questo il senso della sfida.
In questo modo si è andati avanti, con un campo di attività non molto esteso, finché non si è sentita l’esigenza, a maggiore garanzia dei soci-lavoratori, di ampliare e sviluppare l’attività in senso quantitativo, e poi di fare a meno dei soci che in una prima fase avevano sovvenzionato l’impresa, per avvicinarsi allo spirito originario della cooperativa, capace di vivere con il lavoro stesso che produceva. È stata questa la svolta che si è verificata nel 1994, quando i soci non lavoratori si sono ridotti al minimo e si è aumentata notevolmente la produzione libraria.
Era necessaria, fu inevitabile? Allora se ne discusse molto, ma oggi siamo a una nuova fase, a una svolta, a un riesame della cooperativa, imposta da esigenze di gestione. Le dimensioni odierne permettono sicuramente alla cooperativa di vivere nel panorama delle attività dette di prossimità ed essere una realtà attiva e produttiva nei giacimenti di nuove occupazioni, che occorrerebbe sfruttare meglio, ma con sforzi non piccoli in un mercato di competizione sfrenata, che induce a effettuare con decisione correttivi gestionali e ad accettare la rinunzia ad alcune prerogative politiche, che all’inizio comportavano pesi che oggi non sono più facilmente tollerabili. Penso alla necessità di una specializzazione più spinta e più mirata della produzione di libri, penso anche all’incremento dell’attività rivolta alla più generale elaborazione politica e spirituale, all’ecologia della mente e della vita, penso infine alla dolorosa chiusura del punto di vendita.
C’è dunque un modo differente di affrontare l’argomento del lavoro, rispetto a quello che i mass media ci propongono. C’è un modo differente che appartiene al mondo cooperativo, dove è possibile realizzare una gestione diretta del lavoro da parte dei lavoratori impegnati, una regolazione autonoma dei tempi lavorativi, una tendenza all’equiparazione stipendiale per tutti i lavoratori. Una terza via.
Fiducia e ottimismo mi portano a esprimere una valutazione positiva di un’esperienza che vado conducendo da più di un decennio, un bilancio che mi fa credere che sia realizzabile l’obiettivo di una vita degna sia lavorativa che personale. Ma riconosco che non è tutto così semplice, perché anche qui possono esserci delle contraddizioni insanabili, anche qui si rischia di valicare quei limiti che rendono il lavoro diverso, limiti sempre molto sottili, che spetta ai soggetti coinvolti di non valicare. Per esempio può accadere che, proprio per raggiungere gli obiettivi che ci si è posti, si verifichino forme di sfruttamento del lavoro da parte del lavoratore stesso. Oppure che, cammin facendo, si cerchino delle strade più comode e semplici come la trasformazione della cooperativa in una società normale, dove prevalgano solo rapporti di forza di capitali, in cui è difficile gestire conflitti e democrazia in un consesso di parità assoluta.
P.S. Oggi il governo di centrodestra cerca di affossare queste esperienze con il Disegno di legge “Delega al Governo per la riforma del diritto societario” (AC 1137).
All’Art. 5, esso prevede che le Cooperative siano equiparate allo stato di Società per Azioni, togliendo di fatto lo spirito mutualistico e trasformando la forma societaria cooperativa in una semplice società di capitale.
Questo sarebbe il compimento di una politica basata solo sul rapporto di forza economica e cancellerebbe un’esperienza che risale a Mazzini, sostenitore del principio “capitale e lavoro nelle stesse mani”.
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settembre - dicembre 2001 |