Tormentate, torturate, condannate, calpestate: la vostra iniquità è la prova della nostra innocenza […]. Tuttavia a nulla serve la vostra iniquità: essa è per noi incitamento. Ad ogni colpo di falce diventiamo più numerosi.
TERTULLIANO, Apologetico.
La vita dei vecchi sistemi è nata da immense ragnatele… Ragnatele più dure dei ferri delle macchine... Eppure c’è gente che crede in un cambiamento, che ha fatto trionfare il cambiamento, che ha fiorito il cambiamento… Caspita!… La primavera è inesorabile.
P. NERUDA, I comunisti
La logica del martirio, che traspare dalle parole di Tertulliano, non ha sfiorato nemmeno per un istante la mente di quanti il 20 luglio sono scesi in piazza per disobbedire. Il 20 luglio in Piazza Alimonda il non auspicato, ma purtroppo preannunciato, spargimento di sangue c’è stato. Piuttosto che approfondire le cause della sciagura abbattutasi sul popolo che a Genova ha manifestato pacificamente è preferibile chiarire, senza pretese definitive, cosa doveva essere e cosa è stata la giornata della disobbedienza. Prima ancora, è doveroso premettere cosa è la nostra disobbedienza.
Thoureau e Gandhi avevano posto la disobbedienza civile alla base della strategia non violenta di contrasto ai poteri opprimenti, fossero essi governi o colonizzatori. La storia ha senza dubbio dato ragione alle loro motivazioni: non basta pacificamente denunciare l’ingiustizia; a questa affermazione deve seguire l’azione diretta che rispetti cose e persone e utilizzi i/le disobbedienti come unica difesa e “arma” allo stesso tempo. Utilizzare il proprio corpo ha una valenza sostanziale prima che simbolica: gli uomini e le donne che la globalizzazione distrugge, affama, schiavizza, colonizza o bombarda divengono essi/esse stessi/e “scudi” che si contrappongono direttamente alla barbarie capitalistica e a chi la difende.
La disobbedienza a Genova ha avuto senza dubbio connotati diversi da quelli storicamente attuati, ma è proprio da questa diversità che è scaturita la potente risorsa della mobilitazione. Sembrava impossibile agli albori del GSF che forze estremamente eterogenee per storia e cultura, potessero trovare nel solo contrasto al capitalismo, lungo le due possibili direttrici riformista o più squisitamente antagonista, il collante necessario per compiere un percorso comune: non è eretico dire che parte di questa impossibilità sia stata ovviata proprio grazie al comune accordo politico, e non “militare”, sulla tenuta di piazza.
Quanto appena detto è sfuggito, forse volutamente, al dibattito sorto prima e subito dopo l’evento sulla classificazione assurdamente manichea dei “buoni” e dei “cattivi” fatta tanto dalla sedicente destra governativa nazionale quanto dall’indeciso centro sinistra all’opposizione (con le dovute e apprezzabili eccezioni). È chiaro che desta scalpore la carica a freddo su di un corteo in difensiva, piuttosto che la stessa effettuata su un esercito rivoluzionario in erba, armato di pietre e manici di piccone, che ovviamente nulla può contro l’apparato repressivo dei tutori dell’ordine pubblico dotato, come si è visto, finanche di cingolati. È chiaro che, senza criminalizzare parimenti chi getta una molotov e chi ha solo elmetto e gommapiuma, non si può fare un morto. È tutto maledettamente chiaro. Allo stesso tempo è tutto così maledettamente aberrante: aberrante la criminalizzazione, aberrante la repressione, aberrante l’ignavia di ministri, generali e comandanti. Nonostante la lapalissiana deficienza organizzativa dell’ordine pubblico, nessuno dei grossi calibri è caduto e ora si passa a una più scientifica giustificazione di ciò che è accaduto: se un quieto ed esemplare agente della DIGOS prende a calci in faccia un diciassettenne disarmato e riverso per terra per le bastonate già prese, è perché il placido agente DIGOS aveva ravvisato situazioni di pericolo per i suoi sottoposti (5 agenti contro un solo manifestante disarmato potranno mai trovarsi in pericolo?); oppure, se un agente è coperto da un’armatura medievale di protezioni non in dotazione e di stivali rinforzati in punta, è perché al momento degli scontri si trovava in palestra (a fare cosa? forse esercizi sul quadro svedese?) e, richiamato d’urgenza a dirigere il suo reparto (un reparto in piazza senza il proprio capo?), non avendo trovato l’abbigliamento d’ordinanza, si era protetto alla meno peggio; oppure, se due carabinieri sono assaliti dai manifestanti, possono sparare perché isolati, ritenendo evidentemente isolamento la distanza di dieci metri.
Il 20 luglio, 8.000 manifestanti si sono mossi dallo stadio Carlini, luogo del pernottamento di Giovani Comuniste/i, Tute Bianche, Rete No Global e R.A.G.E. In questo corteo figuravano inoltre i compagni e le compagne della Lega Comunista Rivoluzionaria francese, del Partito Comunista Francese, del Synaspismos greco.
Diversi elicotteri volteggiavano insistentemente e ormai erano indistinguibili le sirene che si sentivano. Colonne di denso fumo nero o bianco segnalavano le devastazioni in corso dei black blockers e le risposte poco solerti delle forze dell’ordine. Non si era tranquilli ovviamente, ma si era in tanti e solo chi ha vissuto almeno una volta queste situazioni può capire quanto sia necessario sentirsi il meno isolati possibile. Si aveva paura, è inutile negarlo, ma si avvertiva la giustezza della disobbedienza, del rischio, dell’esposizione all’odore acre dei lacrimogeni: era necessario avvicinarsi il più possibile al vergognoso muro che divideva il Potere da chi non può nulla. Tutto è durato poco: il tentativo di varcare la zona rossa si è subito spento, bisognava invece evitare la carneficina ed è grazie a quanti e quante hanno per quasi 4 ore resistito con scudi in plexiglas alle cariche che non c’è stato un numero elevato di feriti. Era bello vedere Genova con noi, riassunta nell’immagine dell’inquilina che dal primo piano del palazzo dal quale sparavano lacrimogeni, tentava invano di spegnerli con una semplice bottiglia d’acqua. Il ritorno assumeva tinte ancor più tristi e fosche quando si apprendeva della morte di Carlo Giuliani. Cosa sarebbe successo il giorno dopo?
Ribadendo la mancanza di qualsivoglia pretesa conclusiva su questo argomento, non si può non notare come, anche grazie alla disobbedienza, il corteo dei 300.000 di sabato 21 luglio non si sia trasformato, nonostante le reiterate e immotivate violenze delle forze dell’ordine, in un fiume in piena di irruenza e violenza. Sicuramente in altri tempi, e gli anni ’60 e ’70 lo dimostrano storicamente, ci sarebbe stata una reazione al di là di ogni previsione. Quel corteo è stato dunque, la prova provante della maturità del “movimento dei movimenti” e della sua reale portata non violenta. Sicuramente uno smacco terribile per lorsignori che tanto avevano sperato nella violenza delle tute bianche, dei/delle giovani comunisti/e e di quant’altri fossero scesi in piazza per disobbedire alla logica delle zone variopinte.
La disobbedienza ha sicuramente rivelato non poche lacune organizzative, ma sul piano della politica non si può non riconoscere alla disobbedienza la capacità di aver compiuto un piccolo “miracolo”: da Pax Christi ai Cobas si è scesi concordemente in piazza, rivendicando reciprocamente le azioni compiute in occasione della giornata del 20 luglio. Sbaglia chi ritiene questa forma di lotta politica un ibrido concepito apposta per accontentare i “mezzi guerriglieri”, troppo poco temerari per praticare realmente la resistenza passiva come per sostenere uno scontro corpo a corpo con le forze dell’ordine.
La scelta della disobbedienza, forse non ancora compresa e condivisa appieno, fa acquisire al partito di Rifondazione Comunista un’esperienza nuova che mancava e di fatto rendeva non agevole e mutilava il dialogo con forze diversissime alla prima prova reale di dialogo “strategico”. Ora più che mai, non è tempo di attardarsi nelle discussioni sul come scendere in piazza nelle prossime occasioni; è invece stringente la necessità di approfondire e ampliare la disobbedienza, essendo l’unica vera azione diretta possibile. Alzare il livello dello scontro non servirebbe a nessuno, se non a chi vuole comicamente insinuare che dietro il movimento vi sia la mano occulta di chi vuole colpire al cuore dello Stato.
A Napoli, a Roma, dovunque: disobbedire per rifondare! |
settembre - dicembre 2001 |