L'insegnamento
di Bruno Zevi
Moderatore:
Antonino Terranova
Direttore DAAC
"Riproporre proprio qui la figura
di Bruno Zevi, l'Università che lo aveva chiamato, che lui
ha innovato e infine rifiutato, qui nella pancia progettata da Piacentini
che aveva assunto come nemico, è difficile ma anche intrigante.
Dopo il post-moderno, che ci
ha liberato dalle inibizioni dell'architettura moderna ci ha però
reimposto in modo ingannevole ed ambiguo, una prevalenza della storicità-tradizionaità-localisticità
culturistica, nostalgica e normativa.
Se nelle nostre aule possono
risuonare interrogativi platonici e ricattatori come questo:
Signorina, il Guggenheim Museum di Bilbao è arte?
Se è veroche possono tornare
come zombie contrapposizioni ideologiche tra nobiltà
del passato e ignobiltà della modernità, tra ordine
presunto di Aldo Rossie presunto disordine di F.O. Gehry.
Zevi è Delano. Nel nome
dell'architettura organica simultaneamente contro l'architetto razionalista,
l'architetto tradizionalista, accumunati da una europea ossessione
per le codificazioni stilistiche astratte e storiciste, la quale contraddirebbe
l'esprimersi di una nuova vitalità antiaccademica dell'architettura
organica.
Egli sostiene l'esigenza di riprendere
le mosse continuamente da una sorta di 'grado zero', prestilistico
dell'espressione spaziale dell'architettura.
Piccinato, Quaroni e Zevi sono
accumunati da un trionfale fallimento disciplinare.
Gli studi e il progetto del decentramento
orientale del P.R.G. di Roma del1962 e il progetto interrotto dell'asse
attrezzato che avrebbe dovuto incarnarlo. Insieme al loro storico
antagonista, la via Olimpica che ri-valorizza i territori occidentali
dell'hotel Hilton, di Balduina e Belsito, del Trullo, Primavalle e
Corviale.
confermando la radiocentricità
a macchia d'olio di Roma città mediterranea a 'bolle e crepe'.
Quella storia di crisi e caduta,
di paura e rifiuto della modernizzazione riformista deve essere ancora
scritta. Essa ha all'inizio e alla fine due momenti strani, il primo
non realizzato, le Barene di S. Giuliano di Quaroni, l'ultimo demonizzato,
il Corviale di Fiorentino.
Piccinato e Quaroni sono stati
riconosciuti recentemente come maestri degli Urbanisti italiani.
Quaroni e Zevi ci insegnano i
rapporti vitalizzanti tra formazione e ricerca, tra studi e mondo esterno,
prendendosi rischi programmatici nei confronti di convenzioni architettoniche
e filologiche storiografiche mai sottovalutate ma non accettate come
recinzioni presunte oggettive.
Il Laboratorio di Progettazione
di v.le Mazzini e l'Istituto di critica operativa restino tra noi come
invito alle interferenze ed alle finalizzazioni disciplinari ed al
ruolo peculiare prima ancora che eminente svolto nell'Università
dalla ricerca scientifica, dalla disputa disciplinare, dal dibattito
culturale.
Per una Università della
quale Bruno Zevi non dovesse nemmeno ipotizzare di andarsene."
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Tullio de Mauro
Architettura come linguaggio
"Venivo da studi di filologia
classica e linguistica storica, quando nell'inverno del'55, per necessità
e accompagnato da presentazioni di Riccardo Musatti, Nuccia Ascoli
Musatti e Elena Croce, approdai in via Nomentana 150 nelle stanze di
'Architettura, cronache e storia'.
Di storia dell'architettura sapevo
quello che mi aveva insegnato Nuccia Ascoli, ma non sapevo ne capivo
nulla di architettura contemporanea.
Zevi mi spiazzo completamente:
Vuole fare il direttore della rivista?
Ecco, è qui che l'aspetta. la direzione è sua'
'.
Mi offrì il compenso,
accettai.
Però intendevo finire
la mia tesi di laurea e poi fare l'insegnante e magari il linguista.
Esplose!: '
Linguista? Ma i linguidti siamo noi, gli architetti e gli urbanisti
ma non sa che l'architettura è linguaggio? E una città
che cos'è? E' linguaggio. Se vuole fare
il linguista deve diventare architetto e urbanista. Si sbrighi, voglio
lasciare la direzione della rivista'.
Curavo i testi,la sera lavoravo alla
mia tesi, ma ad un cero punto mi disse: 'per questo
nuovo numero non curerà solo i testi. Farà anche l'impaginazione.
Si faccia spiegare dalla signora Ronchi' .
Lisa Ronchi mi spiegò
che fare, impaginai un paio di volumi. Poi curai il libro su Biagio
Rossetti.
Completai la mia tesi.
Una sera Zevi mi disse:'
La nomino ebreo onorario'.
Fui promosso redattore capo,durò
poco.
All'Enciclopedia dello Spettacolo
mi offrivano un posto di redattore per il teatro classico, metà
tempo a stipendio doppio. Accettai.Con Zevi restammo amici.
Nel 1963, gli portai un mio libro,
scritto come lui mi aveva insegnato:' Un libro
bisogna scriverlo in modo che magari dissentono da te,
magari ti odiano, ma non possono non
leggerlo e citarlo'.
Sichiamava storia linguistrica dell'Italia
unita.
Molte pagine erano dedicate all'analisi
dell'urbanizzazione sociale e linguistica del paese. Per i linguisti
era una novità.
Più di una traccia c'era
nell'exergon che apre il libro, una frase di Wittgenstein:'
La nostra lingua è simile a una vecchia città: un dedalo
di stradette e piazze, di case vecchie e qualcuna nuova con aggiunte
di varie epochee, intorno, i nuovi quartieri con strade regolari, case
uniformi,....'.
Zevi lesse e sogghignò:' l
o vede? Lei doveva fare l'urbanista! '."
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Francesco Tentori
B. Zevi docente alla Fac. di Architettura
a Venezia
"Ha insegnato a Venezia dal 1948
al 1963, poi si è trasferito a Roma. Sono stato suo allievo
dal 1949 al 1951.
Dei collaboratori al suo corso
negli anni veneziani sono ancora in vita, la professoressa Liliana
Loprieno, il professore Barbieri, l'ing. arch. Roberto Carta Mantiglia
e la Sig.ra Sandra De Bernardi. Li ho intervistati, ed emerge, da
queste interviste, la continuità nel metodo d'insegnamento che
esigeva, da ogni studente, il rilievo di un monumento architettonico,
in scala 1:100, al primo anno e una tesina al secondo.
In due occasioni, per la mostra
a Ferrara di Biagio Rossetti nel'56 e per la mostra a Roma di Michelangelo
nel'64, cercò di concentrare il lavoro degli studenti sulle
opere dei due maestri.
Nei tre anni di lavoro su Michelangelo,
si verificò l'inizio di episodi di contestazione al metodo
di insegnamento."
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