Pubblicato in Italia all’inizio del 2007, ma già vincitore nel 2006 del premio Saint-Exupéry. Il formato (rilegato, copertina rigida, sovraccopertina), il numero di pagine (quasi 350, interrotte di tanto in tanto dalle illustrazioni in bianco e nero di François Place), l’annuncio in quarta di copertina che le avventure di Tobia proseguiranno in un secondo libro, un video promozionale su You Tube che lascia presagire una possibile versione per le sale cinematografiche fanno pensare a un’operazione commerciale pensata per ripetere le sorti di quella, a quanto pare giunta alla sua ultima puntata, (ma per il quale si sta già pensando a un musical) di Harry Potter. Insomma, una risposta francese al maghetto di J. K. Rowling.
Va però detto che il romanzo, che narra le avventure di un bambino alto un millimetro e mezzo che vive in un albero, ha senza dubbio il pregio di essere piuttosto avvincente; in un continuo alternarsi di ricordi di momenti passati e racconto di vicende in corso, la fuga di Tobia dai suoi inseguitori riesce a coinvolgere il lettore e a tenerlo incollato al libro con l’ansia di girare le pagine per scoprire ciò che accadrà. Il riferimento forse un po’ troppo evidente ai danni che l’uomo perpetra all’ecosistema soprattutto attraverso la cementificazione del pianeta (la ditta di Jo Mitch che alleva punteruoli per bucare l’albero), qualche tentativo di battuta mal riuscito attribuibile forse alla traduzione sono i difetti che abbiamo trovato tra le pagine del libro. Ma è certamente un sollievo trovarsi di fronte a un piccolo eroe senza poteri magici, che la spunta grazie alla sua capacità di ragionare e, particolare degno di nota, alla consapevolezza che le parole hanno sempre un significato preciso e salvifico, anche se talvolta è necessario compiere uno sforzo per arrivarci.
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