Quanto ha contato nella vita di Pinin Carpi e nella sua opera la fede e quel profondo senso religioso che si trovano nel “Diario di Gusen” del padre, curato da Pinin ?
Direi, per quel che l’ho conosciuto io e che posso dire, che Pinin Carpi era profondamente laico. Nei suoi scritti (e credo di averli proprio letti tutti) non c’è nulla che possa chiamarsi religioso, se non la magia – che è una prima forma di religione, ma non è la religione di cui parliamo. Cioè è la magia di un mondo che ancora non conosce la religione, come in tutte le fiabe. Le fiabe secondo Propp hanno ventimila anni, sono la storia dell’origine dell’umanità, però sono di un periodo in cui la magia era incombente nelle persone. No, avendolo conosciuto direi che il caro Pinin era uno spirito profondamente laico, e quindi lo spirito religioso di suo padre, che ha fatto le vetrate del Duomo di Milano e era amico di Montini, non sono stati trasmessi – che io possa sapere – né a Pinin né ai suoi fratelli.
Pinin Carpi ha avuto un fratello molto famoso, Fiorenzo, che ha cominciato giovanissimo a scrivere le musiche per il Piccolo Teatro. Fiorenzo era un musicista, ma anche Pinin era profondamente legato al teatro; io l’ho conosciuto perché era il critico teatrale di “24ore” - che non era ancora legato al Sole - quando lui certamente non pensava di scrivere per i bambini. Siamo alla fine degli anni ‘40, inizio anni ‘50. Ha fatto diversi lavori: ha lavorato per l’ufficio stampa dell’Automobile Club, è stato all’Ufficio Stampa del Club Italiano Touring. Poi è passato alla Garzanti. Lui non aveva ancora scritto libri. Credo che il suo primo impegno di studioso e di scrittore sia stato per una rivista edita da Garzanti, su Bosch.
Una delle caratteristiche di Pinin era una profonda cultura, non solo artistica, ma anche psicanalitica, libraria e musicale. Suonava il piano molto bene.
Non a caso abitava in una casa vicino alla chiesa di San Marco e nella piazza della chiesa di
San Marco c’è una lapide in cui si ricorda che Mozart a Milano è vissuto in quella casa. Era un grande appassionato di Mozart. Era una persona a cui la musica piaceva moltissimo: aveva i suoi gusti naturalmente, ma, per esempio, diceva che Puccini è un imbroglione perché fa leva sui sentimenti più triti e più banali, e più volte mi ha detto: “a me Puccini non la fa”. Apprezzava Schubert, per esempio, come molta musica non operistica.
Pinin è cresciuto in un’atmosfera artistica famigliare. C’è un quadro di suo padre con Pinin bambino che è molto importante.
Da suo padre eredita l’impegno morale e civile. Suo padre è stato deportato in Germania perché antifascista e quando è tornato, a furor di popolo è stato nominato direttore dell’Accademia di Brera, dove ha portato la sua ricchezza, la sua rettitudine morale. Cosa che ha sempre caratterizzato la vita di Pinin.
C’è una cosa importante da sapere: fino al 1972, anno in cui Gianna e io abbiamo aperto la libreria, l’unico libro di Pinin Carpi che era stato pubblicato era “Cion Cion Blu”. Era stato annunciato editorialmente dalla Mondadori. Ma poi Mondadori ha chiuso la collana e lui lavorava da Garzanti (oltre tutto era compagno di scuola di Livio Garzanti) che gliel’ha pubblicato.
Con illustrazioni non sue perché ancora non si era reso conto, non aveva ripreso quello che aveva fatto fino ai vent’anni, cioè dipingere.
Pinin era molto legato a mia moglie Gianna. Quando abbiamo aperto la libreria gli scrittori erano piuttosto scarsi; io conoscevo Pinin: uno dei nostri cavalli di battaglia era far conoscere “Cion Cion Blu” che è veramente un libro stravolgente, con una scrittura incredibile, magica, favolosa. Viene in libreria il rappresentante della Garzanti dicendo: “Guardate, la Garzanti. non pubblica più libri per bambini, perché ha acquistato la Vallardi: quindi questi libri o li comprate voi o li buttiamo al macero”. Noi li abbiamo comprati, e venduti tranquillamente. Nel frattempo Pinin si era risposato e aveva avuto altri due figli dalla seconda moglie, Susanna e Mauro (“Susanna e il soldato” e “Mauro e il Leone” sono dedicati a loro).
C’è una ragione credo che può giustificare il fatto che d’improvviso Pinin abbia ripreso a scrivere e ci abbia inondato di libri meravigliosi: perché, finalmente, la seconda moglie (più giovane di lui e morta giovane) gli ha detto: “Senti abbiamo due bambini, io faccio l’insegnante di educazione artistica a scuola, faccio qualche altro lavoretto: smetti di fare i lavori che non ti piacciono e mettiti a scrivere”. E lui ha scritto le cose più incredibili: oltre i romanzi, l’Enciclopedia “Il mondo dei bambini”che contiene aspetti della sua cultura, della sua competenza e del suo modo di parlare di certi argomenti ai bambini. Questa enciclopedia l’ha fatta lui, cioè l’ha concepita e l’ha realizzata.
Poi ha pensato alla collana “L’arte per i bambini”. Un modo di concepire la possibilità di far conoscere l’arte ai bambini, non come “storia dell’arte”, (ché la storia dell’arte non interessa a nessuno), ma come mondo dell’arte. Lui ha pensato (oggi sembra una cosa banale, ma quando l’ha pensata e realizzata non lo era), e ha scritto le sue 8 storie per bambini che sono una più bella dell’altra, illustrate da Klee, Van Gogh, Canaletto, etc. Ai bambini non importa niente che uno si chiami Klee o Canaletto, potrebbero chiamarsi Rossi o Ferrari, ma intanto cominciano a leggere delle immagini a cui non sono abituati. In un mondo disneyano in cui siamo immersi, che rovina i bambini, lui ha pensato questa grande proposta.
Bisogna tener conto che i bambini accettano tutto attraverso le storie.
Pinin aveva questa sua capacità affabulatrice di raccontare tutto che è stata unica.
Direi che abbiamo avuto, per fortuna, quel grande individuo che è stato Gianni Rodari che ha trattato la narrativa per i bambini considerandoli persone capaci di capire le cose mentre in quel momento si pensava che ai bambini si potesse parlare solo di farfalline, coniglietti e gattini. La narrativa di Rodari era di contenuto realistico: questo è il suo grande merito. Carpi ha portato la fantasia, non quella banale, ma una fantasia innovativa, da “Cion Cion Blu” a tutti gli altri: questa è stata credo la sua grande forza.
Nell’Enciclopedia si trova la profondità di una persona che ogni volta che la si affronta offre qualcosa di nuovo e di inatteso: quando parla di arte prende uno scoglio della Normandia o della Bretagna e fa vedere come 4 o 5 pittori diversi rendono quello scoglio illustrato attraverso la pittura. Lo scoglio è sempre uguale, ma il modo di rappresentarlo attraverso l’occhio dell’artista è diverso; ecco che cosa può interessare i bambini.
Io ricordo quando andavamo in giro assieme, quando cominciava a raccontare ai bambini: all’inizio sembrava facesse fatica a trovare le parole. Dopo qualche minuto aveva un bambino in una tasca, uno in una spalla, era circondato da bambini perché aveva anche una voce molto suadente.
Che tipo di rapporto aveva con i bambini ?
Ogni libro l’ha letto ai suoi figli. E io dicevo: “Guarda che non è un test valido perché non i tuoi figli, ma ogni bambino a cui tu parli ad alta voce si incanta” Però lui diceva : “No, perché io sento le loro reazioni. Controllo la loro attenzione.” Aveva una fiducia infinita nei bambini e il desiderio di essere utile a loro attraverso le sue storie.
C’erano momenti in cui avvertiva la grande energia che i bambini richiedono, quindi anche la fatica ?
Certo, ma lui aveva una forte energia nei loro confronti. Guardi che Pinin Carpi non aveva un carattere facile! ha litigato con tutti gli editori perché pretendeva un modo corretto di pubblicare i suoi scritti e le sue illustrazioni. Quando ha scritto “Il sentiero segreto”, la cui prima edizione è della Mondadori che lo ha pubblicato nelle Officine Grafiche in Spagna, lui ha detto: “se mettete fuori questa porcheria io vi denuncio” e Mondadori ha strappato tutto, 13.000 copie buttate al macero. Era durissimo. Perché diceva: “Se questi sono i colori che io vi ho dato voi li dovete rispettare, è nel mio diritto.” La casa editrice che ha trovato, dove lo hanno adorato è la Piemme. Quando, due o tre anni prima di morire, finalmente felice, hanno pubblicato il primo libro, che era “Cion Cion Blu” - che è stato il primo libro pubblicato da Piemme, perché non ce n’era più una copia - il primo anno ne hanno venduto 24.000 copie in brossura e 6.000 copie rilegate.
Bisogna fare una considerazione: quando Pinin Carpi (anni 1960 – 1970 – 1980) scriveva “Cion Cion Blu” e tutti gli altri suoi capolavori, li leggevano i bambini di 9/10 anni; adesso questi bambini a quell’età sono abituati ad altre cose; allora molto spesso gli stessi libri sono letti ad alta voce ai bambini di I–II elementare. La lettura a voce alta è oggi una magia purtroppo poco frequentata. Pinin aveva questo rapporto diretto con i bambini che lo adoravano quando lui parlava. Ma questo rapporto continua se qualcuno fa da intermediario. La sua parola, la sua narrazione è piuttosto unica. Perché non sono fiabe, ma il tono è fiabesco. Come Pinocchio non è una fiaba, ma ha il tono fiabesco.
Io ho avuto un altro caro amico, che stava a Roma e quindi frequentavo meno di Pinin Carpi, che era Gianni Rodari che diceva: “io scrivo per i bambini che sanno leggere e scrivere, perché io nel mondo della magia non mi ci metto.”
In “Lupo Uragano” la nave di Lupo Uragano è una nave con gli alberi che sono piante, perché l’albero per un bambino è una pianta. E la coperta della nave di Lupo Uragano è coperta di erba e di fiori. Questo era geniale. E’ non la magia di una fata, ma la magia mentale che può essere accettata solo se si è capaci di farla accettare.
Colpisce in Pinin Carpi la presenza del cibo che è ovunque.
Certo! Uno dei libri più belli di Pinin Carpi è “Il papà mangione”. E in “Cion Cion Blu”, quando l’imperatore se ne va, i bambini entrano nel palazzo mangiano; in “Il Paese dei maghi” una delle meraviglie è che, quando i maghi portano via dalla terra i bambini per sottrarli al pericolo, e li portano a camminare sulle nuvole, a un certo punto i bambini hanno fame e i maghi fanno una magia: se un bambino coglie un po’ di nuvola con la mano, questo pezzetto di nuvola si trasforma nella forma e nel sapore del cibo che uno vuole mangiare. Perché ovunque per i bambini c’è il cibo. Tempo fa, c’era un bambino piccolo, avrà avuto 4 anni, che è entrato in libreria a fine agosto, con il colore ambrato che hanno i bambini quando tornano dal mare, e gli ho chiesto: “Dove sei stato in vacanza?” “Al mare”. E ho fatto la domanda scema, perché gli ho chiesto: “Al mare dove?” Lui ha riflettuto un attimo e mi ha detto: “Al mare dove c’era una pizza buonissima.” Cosa vuoi che a un bambino interessi se è la Riviera adriatica o la Toscana! Il legame con il cibo è fondamentale perché sono felici di conquistare ogni volta un gusto e un sapore diverso; è una delle più grandi scoperte a cui possano partecipare durante l’infanzia. E questo Pinin lo sapeva benissimo, anche perché era pure lui goloso. Ha messo in rilievo uno degli aspetti dei bambini che è proprio il rapporto con il cibo. Ne era cosciente.
Pinin Carpi concepisce la lingua in un modo che quasi non fa differenza tra oralità e scrittura.
E infatti una delle litigate che ha fatto con gli editori è perché, senza dirglielo, toglievano l’articolo davanti al nome proprio; diceva: “Io ho scritto così! Chi ha detto che si debba dire Mauro e non il Mauro?” Pinin, come i vecchi milanesi, in casa parlava il dialetto. Adesso non si usa più, ma una volta era così. Milano ha una sua lingua che non è la lingua manzoniana. Manzoni è andato per vent’anni a sciacquare i panni in Arno. Ma la lingua di Manzoni è una lingua inventata, anche se splendida. E’ una lingua che non era parlata. D’altra parte pensiamo che il nostro paese ha avuto la fortuna di un Dante Alighieri che ha portato la lingua ad arte con la “Divina Commedia”: fino alla II Guerra Mondiale quasi tutti parlavano dialetto. Dante non pensava certo di passare ai posteri per l’italiano. Il problema della lingua è un problema che coinvolge uno scrittore che abbia il senso della narrazione. Mi è capitato, per ragioni di studio all’Università, di vedere che cosa è successo quando Verga ha pubblicato “I Malavoglia”: lo hanno insultato dicendo che non usava la lingua manzoniana. In compenso oggi Verga è letto all’estero e Manzoni non è mai stato letto all’estero. Perché, a parte la potenza della lingua, è noioso rispetto ai romanzi ottocenteschi di Flaubert piuttosto che di Balzac o di Dostoevskij. Quella di Pinin Carpi è una lingua vivacissima e adatta a incantare con i suoni i bambini, ma anche gli adulti, e dai contenuti incredibili.
C’era in lui un piacere particolare a raccontare prima ancora che a scrivere ?
Sì. Tenga conto di una cosa: fino a 150 anni fa i libri non esistevano (cioè esistevano come oggetto raro); ma la gente era piena di racconti e di storie, perché andavano in giro le fabulatrici che raccontavano fiabe; noi maschi eravamo cantastorie, di storie vere o verosimili. Le fiabe non sono mai state scritte né raccontate per i bambini. Infatti, la prima versione mondiale che è “Lo cunto de li cunti” di Basile non ha mai avuto successo, oltre che perché è scritto in un napoletano molto stretto, anche perché sono le redazioni di racconti scritte per adulti, anche se ascoltati dai bambini. Carpi, che era un grande ammiratore di Pinocchio, ha avuto questa capacità di usare un linguaggio adatto ai bambini: molti ci tentano, pochi ci riescono.
Uno degli ultimi lavori di Pinin Carpi è “Cosa c’è nel centro di Milano?”. C’era qualcosa che amava di più o che lo faceva soffrire della sua città ?
Lo abbiamo pubblicato noi. E’ una cosa che tenevamo nel cassetto almeno da vent’anni perché non avevamo mai avuto i soldi per pubblicarla A Carpi faceva soffrire il senso di una città in mano ai ricchi. Ha vissuto il periodo della rinascita economica senza farne parte. Durante i moti sessantottini, credo nel ‘70-’71, Carpi partecipava alle manifestazioni degli studenti anche se non era più uno studente, un Capitano ha sparato ad altezza d’uomo e Pinin ha presso un proiettile in una natica. Dopodiché ha tentato di fare causa e a momenti lo arrestano. Ha lasciato perdere. Certamente non era comunista, ma certamente un laico di sinistra arrabbiato contro ogni potere. “Cion Cion Blu” è un discorso contro il potere molto evidente. Naturalmente, come un bambino che ascolta “Cappuccetto Rosso” non può pensare che è un avvertimento a non fidarsi degli adulti, lo stesso vale per chi legge “Cion Cion Blu”. Però è un discorso contro il potere, i generali, contro la guerra. Non importa che un bambino non se ne renda conto: quante cose quando ascoltiamo le fiabe non riusciamo a capire, però rimangono in noi se ci piacciono. E le posso assicurare, anche per le copie che vendiamo ogni anno, che “Cion Cion Blu” piace.
Gli acquerelli con cui P. Carpi illustrava le sue storie sono anch’essi nel segno dell’abbondanza e non credo sia immediato per un bambino individuarne subito tutti i dettagli. E’ corretto dire che con le illustrazioni P. Carpi prosegue il dialogo con i suoi lettori ?
Sono per bambini che hanno già passato la prima infanzia, già abituati alla figura complessa e particolareggiata. Perché mentre la mamma o chi per lei legge le fiabe a voce alta, il bambino legge le immagini. E dopo i 3 anni le immagini sono già particolareggiate. E quindi non sono per bambini piccoli, ma per bambini di almeno 6/7 anni. Lui parla con le immagini, sa parlare con le immagini oltre che con la parola.
Grazie
Per gentile concessione di Roberto Denti
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13 luglio 2008
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