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Tacito

Annales

Libro XVI - Capitolo XVIII


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Riguardo Petronio occorre riprendere le poche cose dette sopra. Egli passava le giornate dormendo e la notte negli affari e nei piaceri della vita; come altri si erano resi famosi per l'operosità, così egli lo era diventato per la pigrizia, e non era considerato un crapulone e uno scialacquatore, come la maggior parte di coloro che dissipano i propri averi, ma un esteta del piacere. E le sue parole e le sue azioni, quanto più disinvolte e all'insegna di una certa noncuranza, tanto più erano gradite per la loro parvenza di semplicità. Tuttavia, proconsole della Bitinia e in seguito console, si dimostrò pieno di energia e all'altezza dei propri doveri. Poi, ricaduto nei vizi o nella loro imitazione, venne accolto fra i pochi intimi di Nerone come arbitro del buon gusto, al punto che costui, nell'abbondanza di ogni cosa, non giudicava amabile ed elegante nulla che Petronio non avesse approvato. Da qui l'invidia di Tigellino nei riguardi, per così dire, di un rivale migliore nella dottrina dei piaceri. Perciò egli tenta la crudeltà del sovrano, rispetto alla quale tutte le altre passioni erano inferiori, imputando a Petronio l'amicizia di Scevino: corrotto uno schiavo a farsi delatore, gli venne tolta ogni difesa e la maggior parte della sua servitù venne imprigionata.




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