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Dopo la sua morte il popolo, pentito della propria decisione, condonò i nove decimi della multa ed ordinò al figlio Conone di pagare dieci talenti per rifare un certo tratto delle mura. In questo fatto si poté notare l'instabilità della fortuna: il nipote fu costretto a sistemare, facendo ricorso al patrimonio familiare con sommo disonore della famiglia, quelle mura che il nonno Conone aveva innalzato per la patria con il tesoro dei nemici. Della vita saggia e misurata di Timoteo potremmo riportare moltissime testimonianze, ma ci limiteremo ad una soltanto, visto che da essa si potrà facilmente capire quanto caro fosse ai propri concittadini. Quando da giovane sostenne ad Atene un processo, accorsero a difenderlo non solo gli amici e gli ospiti privati, ma anche Giasone, tiranno della Tessaglia, che allora era il più potente di tutti. Egli, che pur in patria non si riteneva sicuro senza guardie del corpo, venne ad Atene senza alcuna scorta ed apprezzò a tal punto il suo ospite che preferì affrontare il pericolo di morire piuttosto che abbandonare Timoteo che difendeva il proprio onore. Tuttavia in seguito Timoteo per ordine del popolo gli mosse guerra; ritenne più sacri i diritti della patria che quelli dell'ospitalità. Questa fu l'ultima epoca dei grandi generali ateniesi, Ificrate, Cabria, Timoteo: dopo la loro morte, nessun comandante in quella città fu degno di memoria. Vengo ora all'uomo più forte e saggio di tutti i barbari, se si eccettuano i due Cartaginesi, Amilcare e Annibale. Di questo parlerò più a lungo, poiché molte delle sue imprese sono poco note e quelle nelle quali ebbe un esito felice furono dovute non al numero dei soldati, ma alla sua grande sagacia, nella quale allora superava tutti: se esse non saranno raccontate in maniera organica, i fatti non potranno risultare chiari.




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