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Cornelio NepoteDe Viris Illustribus - PelopidasCapitolo IIVai al brano corrispondente in LatinoQuesti si erano quasi tutti rifugiati ad Atene, non per vivere nell'ozio, ma per cercare di riconquistare la patria dal posto più vicino quando il fato gliene avesse concessa la possibilità. E così quando sembrò che fosse opportuno agire, insieme a quelli che a Tebe avevano le stesse idee, stabilirono come giorno per uccidere i nemici e liberare la città quello in cui i massimi magistrati erano soliti banchettare insieme. Sovente le grandi imprese sono compiute con truppe non altrettanto grandi, ma senza dubbio mai delle forze così formidabili vennero sconfitte da un'iniziativa tanto modesta. Infatti dodici ragazzi, fra coloro che erano stati condannati all'esilio, si misero insieme, mentre in totale non erano più di cento quelli che si esponevano ad un'azione tanto rischiosa. Un numero tanto esiguo fu sufficiente a rovesciare la potenza degli Spartani. Essi, infatti, in quell'occasione fecero guerra agli Spartani, che erano i padroni di tutta la Grecia, più che alla fazione opposta: la maestà del loro potere, colpita da questa fatto iniziale, non molto tempo dopo crollò nella battaglia di Leuttra. Dunque quei dodici, il cui comandante era Pelopida, essendo usciti di giorno da Atene per poter arrivare a Tebe al tramonto, partirono con cani da caccia, con reti e con vestiti agresti, al fine di destare meno sospetti durante il viaggio. Ed essi, giunti proprio all'ora stabilita, si diressero verso la casa di Carone, dal quale era stato fissato sia il giorno che l'ora.Hai trovato degli errori nella traduzione? Non esitare e invia la tua correzione compilando il modulo sottostante, specificando il punto in cui, nella traduzione, è presente l'errore. Grazie. |
Letteratura: - Cornelio Nepote |