Home Autori Letteratura Grammatica Crediti Newsletter Collaborazioni Scrivi al Webmaster Links Collaboratori |
LucrezioDe Rerum Natura - Libro VI primordi dell'umanità (vv. 925 - 1010)Vai al brano corrispondente in LatinoMa quella stirpe umana (primitiva) nelle campagne fu moltopiù dura, come era necessario, poiché la dura terra l'aveva creata, e fu strutturata all'interno con ossa più grandi e più solide, connessa nelle viscere da nervi robusti, in modo che non fosse facilmente sopraffata né dal caldo né dal freddo né da un cibo inusuale né da alcuna malattia del corpo. E per molti lustri di rivoluzione del sole per il cielo conducevano una vita alla maniera errabonda delle fiere. E non vi era uomo robusto che conducesse l'aratro ricurvo, nessuno sapeva lavorare i campi con il ferro, né piantare i giovani virgulti, né tagliare con falci i vecchi rami dagli alti alberi. Quel dono che il sole e le piogge avevano doto, quello che la terra aveva creato spontaneamente placava a sufficienza i petti (e gli animi). Nutrivano i corpi perlopiù tra le querce cariche di ghiande; e i corbezzoli che ora vedi maturare diventando rossi nel corso dell'inverno, allora la terra li produceva in gran numero e più grossi. Ed inoltre la fiorente infanzia del mondo produsse allora molti rozzi alimenti, abbondanti per i miseri mortali. E a placare la sete li chiamavano i fiumi e le fonti, come oggi lo scorrere dell'acqua dai grandi monti richiama chiaramente per ampi spazi le popolazioni di fiere assetate. Infine, vagando, occupavano le oramai note dimore silvestri delle ninfe dalle quali sapevano che rapidi rivoli d'acqua lavavano con larga corrente le pietre umide le umide rocce, gocciolanti sopra il verde muschio, e che altre fonti scaturivano abbondanti nella pianura. Non sapevano ancora trattare le cose con il fuoco, né servirsi di pelli e vestire il corpo con le spoglie delle fiere, ma abitavano i monti e caverne montane e i boschi, e nascondevano le loro membra rugose in mezzo ai cespugli, costretti ad evitare le sferzate dei venti e della pioggia. Né erano in grado di considerare il bene comune, né sapevano valersi di norme né di leggi nelle loro relazioni. Quella preda che la sorte offriva ad ognuno, ciascuno se la portava via a proprio piacimento, abituato a star bene e a vivere per sé E Venere nelle selve univa i corpi degli amanti; conquistava infatti ogni donna o il desiderio reciproco, o la violenza e l'intensa passione dell'uomo, o la ricompensa di qualche frutto, ghiande e corbezzoli o pere raccolte. E confidando nella forza straordinaria delle mani e dei piedi cacciavano le silvestri popolazioni delle fiere con sassi da lancio e con clave molto pesanti; e molte ne vincevano, poche sfuggivano nei nascondigli; e simili a setolosi cinghiali, colti di sorpresa dal calare della notte, ponevano in terra le nude membra silvestri, avvolgendosi intorno con foglie e rami. Né cercavano con alte grida il giorno e il sole vagando timorosi per i campi nell'oscurità della notte, bensì, silenziosi ed immersi nel sonno, aspettavano fino a quando il sole con la rosea fiaccola riportava la luce nel cielo. Abituati fin da piccoli a vedere sorgere ogni giorno le tenebre e la luce con tempo alterno, non era possibile che si meravigliassero mai né dubitassero che una notte eterna invadesse la terra, estintasi la luce del sole. Ma la preoccupazione maggiore, piuttosto, era il fatto che le stirpi delle fiere rendevano spesso precario il sonno a quei miseri; e cacciati dalla dimora scappavano dai rifugi rocciosi all'arrivo di un cinghiale schiumante o di un forte leone, e a notte fonda, impauriti, cedevano ai feroci ospiti i giacigli coperti di fronde. Né troppo più di adesso le stirpi umane lasciavano allora tra i lamenti la dolce luce della vita. Sicuramente allora più spesso ognuno di quelli, sorpreso, offriva carne viva alle fiere, dilaniato dalle zanne, e riempiva dei suoi gemiti i boschi, i monti e le selve, vedendo le sue carni vive seppellite in una viva tomba. E coloro che fuggendo si salvavano con il corpo lacerato in seguito, tenendo le mani tremolanti sulle atroci ferite, invocavano l'Orco (la morte) con terribili grida, finché orribili spasmi li avevano privati della vita, privi di ogni rimedio, ignari di cosa le ferite richiedessero. In compenso un solo giorno non dava alla morte molte migliaia di uomini condotte sotto le insegne, né le torbide acque acque del mare sbattevano sulle rocce le navi e gli uomini. Ma allora spesso il mare, ingrossatosi senza scopo, senza ragione invano infuriava e senza danno deponeva vuote minacce, né la subdola seduzione del mare tranquillo poteva attrarre alcuno al pericolo con il riso delle onde. L'insensata arte del navigare allora giaceva ignorata. Allora, inoltre, la scarsità di cibo dava alle morte le membra indebolite, al contrario ora l'abbondanza di ogni cosa le sommerge. Quegli uomini di allora spesso, senza accorgersi, versavano il veleno a se stessi, quelli di oggi lo propinano con maggiore destrezza agli altri. Hai trovato degli errori nella traduzione? Non esitare e invia la tua correzione compilando il modulo sottostante, specificando il punto in cui, nella traduzione, è presente l'errore. Grazie. |
Letteratura: - Lucrezio |