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Cesare, disposto tutto l'esercito lungo le due linee di difesa in mode che, se si presenta l'utilità, ognuno occupi e conosca la sua posizione, ordina di condurre la cavalleria fuori dall'accampamento e di attaccare battaglia. Da tutti gli accampamenti, che erano posizionati sulla cima del colle, c'era un'ampia visuale, e tutti i soldati, impazienti, aspettavano il risultato della battaglia. I Galli aveva posto sparsi in mezzo ai cavalieri pochi arcieri e fanti dall'armatura leggera, per portare aiuto ai loro nel caso si ritirassero e per limitare l'impeto dei nostri cavalieri. Parecchi, feriti inaspettatamente da questi, lasciavano il combattimento. Poiché i Galli confidavano di essere superiori in battaglia e vedevano i nostri oppressi dalla loro moltitudine, da ogni parte sia coloro che erano trattenuti dalle fortificazioni sia chi era giunto in aiuto, incitavano gli animi dei loro con grida e urla. Poiché la battaglia si svolgeva davanti gli occhi di tutti e non si poteva nascondere un'azione gloriosa o turpe, da entrambe le parti il desiderio di gloria e la paura dell'infamia spronavano al valore. Combattendosi da mezzogiorno fin quasi al tramonto con esito ancora incerto, i Germani con squadroni a ranghi serrati si lanciarono all'attacco dei nemici in un settore e li sbragliarono; messi in fuga i cavalieri dei nemici, gli arcieri furono circondati e uccisi. Anche dalle altre parti i nostri inseguirono i nemici che si ritiravano fino all'accampamento e non diedeo loro la possibiltà di riorganizzarsi. Invece coloro che erano avanzati da Alesia, mesti, quasi disperando della vittoria, si rifugiarono nella cittadella.




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