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I Giusti italiani
 

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don Enzo Boni Baldoni

Don Enzo Boni Baldoni seduto alla sinistra del vescovo Eduardo Brettoni. In piedi, a sinistra del vescovo, don Luca Pallai, che sarà uno dei preti partigiani nelle Fiamme Verdi

 

Il suo nome è ora scolpito accanto a quello di Schindler - tanto per fare un nome noto - sulla stele d’onore del Giardino dei giusti, presso lo Yad Vashem a Gerusalemme. Alla sua persona è attribuito il titolo di “Giusto fra le Nazioni”. A quasi trent’anni dalla morte (12 maggio 1972), il riconoscimento giunge alla memoria di don Enzo Boni Baldoni che, durante la seconda guerra mondiale, era parroco di Quara. Che cosa ha fatto don Enzo perché lo Stato di Israele gli riconosca un così alto onore?

All’osteria dell’Argentina
Com’è noto, l’evoluzione del fascismo italiano segnò una svolta decisamente negativa con la promulgazione delle leggi razziali del 1938 con le quali gli ebrei venivano considerati di razza inferiore, stranieri, privati dei diritti civili. Maggior protezione avevano, con una legge dello stesso anno, i nidi degli uccelli. Scoppiata la guerra, molti ebrei, anche milanesi, trovarono rifugio nella bassa modenese. Ma, dopo l’8 settembre, il fascismo iniziò l’applicazione severa delle leggi razziali arrestando gli ebrei e avviandoli ai campi di sterminio della Germania. Il campo di Fossoli è una delle prime tappe. Inizia la Shoa degli ebrei italiani.
Case religiose e canoniche sono immediatamente aperte per nascondere ebrei, per fornirli di documenti falsi, per avviarli verso la Svizzera. A Nonantola è famoso il caso di Villa Emma e di don Arrigo Beccari, anche lui “Giusto fra le Nazioni”. A Bomporto è nascosta la famiglia di Enzo Modena, ebreo sfollato da Milano con i primi bombardamenti del ’40. Dopo l’8 settembre neppure lui si sente più sicuro. Prende una carta geografica, guarda le diverse località. Quara gli sembra un posto sicuro. Prende la corriera e arriva nella nostra località di montagna in avanscoperta.
All’osteria dell’Argentina gli dicono che c’è solo un alloggio di circa 25 metri quadri, senza servizi, ma già prenotato dal parroco, don Enzo Boni Baldoni. Bussa alla canonica e lo chiede. Don Enzo capisce che sotto quella richiesta c’è un dramma umano e gli cede l’alloggio. Pochi giorni e la famiglia Modena è riunita a Quara. Ha carte d’identità autentiche, rilasciate da un amico che lavora al Comune di Milano, ma col cognome Bianchi. Lo fanno sapere soltanto a don Enzo.
Andato a vuoto un tentativo di espatriare in Svizzera, la famiglia si prepara ad attendere a Quara gli eventi. Qui anche altri ebrei hanno trovato rifugio. Ad esempio il professor Lazzaro Padoa, di Reggio, che a novembre lascia Quara per un nascondiglio più sicuro a Costabona, vigilato dalla famiglia Fioroni

“La storiella ha funzionato”
La zona è ben presto in mano partigiana, ma non mancano i rastrellamenti tedeschi, temibili per tutti: per gli ebrei che non hanno alcuna difesa; per chi li ospita perché ne va a rischio la vita sua e della famiglia. Nel prendere la famiglia Modena-Bianchi sotto la sua protezione, don Enzo sa bene a che cosa va incontro e lo esprime con queste parole che, ripetute sul suo ricordino funebre, costituiscono un vero testamento spirituale: “Se è desiderio del Signore che io muoia per fare del bene a degli esseri umani, sono felice di fare la volontà del Signore”.
Nella cerimonia tenutasi a Cavriago il 14 ottobre 2001, il dottor Bruno Modena, figlio di Enzo, all’epoca dei fatti dieci anni di età, ricorda alcuni episodi. Per esempio quello di un primo rastrellamento tedesco avvenuto a Quara. C’era una buona organizzazione difensiva. Un servizio di “intelligence”, ad esempio, consentiva di preavvertire la popolazione di Quara allorché un rastrellamento stesse per salire verso Toano. Ma a Quara era difficile indovinare dove fuggire. Verso Gova? Se poi i tedeschi seguivano quella via, non c’era scampo. Verso Costabona? Si rischiava un’altra trappola.

In quel primo rastrellamento la popolazione decide di fuggire verso Gova, ed è una sciagura perché anche i tedeschi vanno in quella direzione. Vedono quelle decine di persone in fuga e subito iniziano a mitragliarle. Racconta il dottor Modena: “Ricordo, come fosse ieri, le pallottole che mi fischiavano sulla testa. Don Enzo, con un coraggio eccezionale, alza una camicia bianca e chiede la parola. Le mitragliatrici si fermano. Don Enzo esce dal nascondiglio, va verso la camionetta del comandante. Seguendo da lontano la discussione, abbiamo visto che alla fine lui e il comandante si sono lasciati quasi come se fossero amici. Il nostro amico don Enzo, evidentemente contravvenendo a certe regole, ha raccontato una storiella: ‘Vede - disse all’interlocutore nazista - noi viviamo in un contesto di partigiani; se, quando voi arrivate, noi non ci muoviamo da casa, i partigiani pensano che siamo dei collaborazionisti, per cui siamo obbligati a uscire di casa e a scappare’. E, signori miei, la storiella funzionò. Dio ci ha dato una mano, i nazisti hanno abbozzato, hanno continuato la loro strada verso Gova, e io sono ancora qua e quelle pallottole non mi hanno preso”.

A Ciano per salvare una mamma
Altro rastrellamento, altro episodio: i tedeschi chiedono se ci sono forestieri in paese. No, dicono, però c’è una famiglia Bianchi, di Milano, che abita sopra l’osteria dell’Argentina.

"Mi ricordo benissimo - racconta ancora il dottor Modena - perché ero in casa con mia madre che stava facendo la polenta. Vengono i tedeschi e le chiedono di seguirli. La mamma mi dice: continua a girare la polenta, fra dieci minuti torno. Io ho continuato a girare la polenta, ma la mamma non è tornata. Naturalmente mio padre era disperato. E ancora una volta don Enzo si è fatto avanti, si è offerto di andare a Ciano per intervenire presso questo mondo così ostile nei nostri confronti e tentare di liberare la mamma. Mio padre, ricordo bene, gli aveva dato anche 500mila lire in contanti per comperare, in qualche modo, la libertà della mamma. Don Enzo è andato, a piedi, e dopo due giorni è tornato con la mamma, senza aver speso una lira”.
Nel cuore di don Enzo non ci sono solo gli ebrei. Ci sono i partigiani, gli ex prigionieri alleati, c’è tutta la sua gente, c’è chiunque bussa alla sua porta. Ha una generosità senza fine: si preoccupa di malati e medicinali; in previsione di uno sfollamento tiene pronti dei carretti, trainati da asini, con viveri e coperte così da consentire a decine di famiglie - come realmente avverrà - di sopravvivere quindici giorni in mezzo ai boschi. Se c’è da aiutare qualcuno, non esita a mettersi in viaggio, a piedi, anche per più giorni; a contattare amici e ad affrontare nemici, richiamandoli, questi ultimi, a quel senso di umanità che alberga pur sempre in ogni cuore.
Le parole che il dottor Modena pronuncia a Cavriago costituiscono una vivacissima istantantea di don Enzo, durante (ma anche dopo) la guerra: “Voglio concludere dicendovi che, appunto, ribadisco il concetto che nella vita ognuno di noi deve augurarsi di poter trovare un amico che dà tutto, che dà, dà, dà, senza mai chiedere niente, che è disponibile a dare la vita per salvare un’altra vita, con l’idea solamente di fare del bene, di potere in qualche modo soddisfare i bisogni degli altri. Che la sua anima riposi in pace”.

"Se ci fossero tanti don Enzo, il mondo sarebbe diverso”
Quando nell’autunno 1945 don Enzo viene trasferito alla parrocchia di San Bartolomeo, la popolazione di Quara si sente privata di un protettore e, con una lettera di rimpianto, sottoscritta da novanta capifamiglia, gli testimonia “un sentimento di affetto, una ben meritata lode per l’amore e lo zelo dimostrato, tanto nel disimpegno del suo ministero quanto per operato civile, beneficenza cure e spese farmaceutiche, gratis, in sette anni di parrocato”.
Gli sono grati anche i partigiani che il 25 aprile 1945 gli attribuiscono spontaneamente un “attestato di benemerenza”. Anche gli ebrei, nel decennale della liberazione, gli fanno avere un diploma con la scritta “Gli Ebrei d’Italia riconoscenti a don Enzo Boni Baldoni”, firmato dal presidente della Comunità Ebraica di Modena e Reggio, Gino Friedman, e dall’avvocato Giuseppe Ottolenghi, a nome della Unione delle comunità ebraiche d’Italia.
Ma più commosso è l’affetto della famiglia Modena. Passato il fronte il 5-6 gennaio 1945 con il suo aiuto e raggiunta la salvezza presso gli americani che sono a Barga, la famiglia coltiva una riconoscenza perenne per don Enzo, fino a sollecitare le autorità di Istraele a concedergli la massima onorificenza per chi ha rischiato la sua vita per salvare quella degli ebrei.
Consegnandola a nome del suo Stato e della fondazione Yad Vashem, il professor David Cassuto, docente alla università di Ariel, ha detto: “Se ci fossero tanti don Enzo Boni Baldoni, il mondo sarebbe senz’altro diverso”.
Domenico Boni Baldoni, nipote senior, a nome di tutta la famiglia, ma anche della comunità reggiana rappresentata dal prefetto, dai sindaci di Cavriago e Toano, dal parroco di Quara, ha risposto: “Porteremo questa medaglia nelle nostre case, la porteremo sul nostro cuore e sarà un messaggio per le future generazioni. Grazie”.

(a cura di Giuseppe Giovanelli, La Libertà, 12 ottobre 2001, dal sito www.tuttomontagna.it)


 

  per approfondire:

  Storie di Giusti che salvarono ebrei (in inglese)

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