Da La Repubblica http://napoli.repubblica.it
I 4 lager in Campania
Il 7 giugno 1940 non fu un venerdì come gli altri. Segnò
l'inizio di una tragica pagina di storia sulla quale per anni si è scritto
poco: l'apertura dei quattro campi di concentramento fascisti di Solofra,
Monteforte Irpino, Campagna e Ariano Irpino. Già l'8 maggio 1936 il Ministero
dell'Interno aveva predisposto la reclusione degli "italiani
pericolosi", in vista di una guerra sempre più imminente. La direzione
generale della pubblica sicurezza cominciò a scegliere i luoghi più
appropriati a tenere sotto chiave i "sospetti in linea politica".
La geografia dell'intolleranza fascista scelse il Sud Italia, lontano dal
conflitto, arretrato e spesso vittima dell'illusione dell'Impero. Quando
l'Italia entrò in guerra molti cittadini comuni divennero da un giorno
all'altro nemici, colpevoli solo per la loro carta d'identità, e per questo
subirono la reclusione forzata nei campi di concentramento voluti dal regime.
Tre in Irpinia per civili e uno in provincia di Salerno per gli ebrei stranieri.
Campagna:
S.Bartolomeo
A Campagna dal 1940 al 1943 fu attivo uno dei luoghi di internamento per soli
ebrei più grandi del Sud, impossibile fare un conto preciso delle persone che
in tre anni transitarono nei due ex conventi dell'Immacolata e di San
Bartolomeo. Ebrei in prevalenza tedeschi e polacchi, apolidi e slavi. Per molti
di loro Campagna era solo un luogo di smistamento per altri campi, come quelli
più tristemente famosi del Nord Italia, anticamera dei forni crematori
tedeschi. Per molti altri Campagna significò invece la salvezza, grazie al
coraggio della popolazione e del vescovo Giuseppe Maria Palatucci.
Campagna: Campo della
Concezione
A Solofra fu istituito invece uno dei sei campi
esclusivamente femminili: nel palazzo signorile di una ricca famiglia di
conciatori furono rinchiuse per tre anni 26 donne, in prevalenza francesi e
polacche. Molte altre vi passarono dirette in altri campi. Mogli di
antifascisti. Erano le prigioniere di via della Misericordia, da tutti
considerate erroneamente internate perché prostitute.
Nel cuore dell'Irpinia, il campo di Monteforte ospitò
soprattutto oppositori politici: nell'ex orfanotrofio Loffredo risiedettero per
tre anni un centinaio di detenuti considerati "pericolosi". Del loro
passaggio su quei monti restano poche lettere, dalle quali emerge la durezza
della vita degli internati, privati della libertà, sottoposti a censura e
costretti a vivere con un sussidio di 6,5 lire al giorno, equivalente a un pasto
alla mensa del campo. Nelle loro lettere alla questura di Avellino, gli
internati chiedevano libri in inglese, vestiti e permessi per raggiungere le
famiglie. Dopo l'arrivo degli alleati il campo si svuotò per lasciare il posto
ad altre vittime della guerra: profughi istriani e dalmati, cacciati dalle loro
abitazioni dal regime di Tito.
Infine il campo di Ariano Irpino. Di questa struttura e dei suoi internati non
restano che poche foto. Ma dei quattro è quello che colpisce di più per la
somiglianza con i lager tedeschi: filo spinato intorno a dieci
baracche-dormitorio a un solo piano. Il campo, che poteva ospitare fino a 130
persone, ne ebbe al massimo 86, in prevalenza provenienti dall'Est. Nessuno per
anni ne ha parlato perché i tedeschi, in ritirata dopo l'8 settembre,
bruciarono le baracche, favorendo l'ambiguità che ha gravato per troppo tempo
sul giudizio storico relativo all'internamento fascista, oscurato negli anni
dalla scoperta dei lager tedeschi e dalla vergogna dell'Olocausto. Troppo grande
l'imbarazzo per le leggi razziali e i tribunali speciali perché gli italiani
non avessero fretta di rimuovere. Una memoria che manca ancora oggi, a 63 anni
di distanza.
Le storie
L'orrore dei campi di sterminio, con l'olocausto per milioni di ebrei,
dissidenti politici, testimoni di Geova, rom e omosessuali, travolse anche la
Campania. Quando Hitler promulgò le leggi razziali, il fascismo si adeguò e
creò ad hoc campi di internamento, quattro dei quali a Campagna, Solofra,
Ariano Irpino e Monteforte Irpino.
Una ricerca condotta dagli studenti della Scuola di giornalismo dell'Università
di Salerno, presieduta da Biagio Agnes e diretta da Pino Blasi, proposta sulla
loro pubblicazione, "Il Giornalista", ha svelato storie sconosciute ai
più che altrimenti sarebbero state dimenticate e che invece meriterebbero
attenzione nei programmi didattici delle scuole italiane. Per esempio la storia
di Giovanni Palatucci, irpino di Montella, che da questore di Fiume salvò 5000
ebrei istriani facendoli trasferire al campo di Campagna. Qui lo zio vescovo,
Giuseppe Palatucci, dal giugno del 1940, riuscì a favorirne, con l'aiuto della
popolazione, la fuga quando i nazifascisti ne disposero la deportazione.
Palatucci, scoperto, finì a Dachau dove morì nel 1945. Un racconto che
ripropone un dilemma: Mussolini e i suoi gerarchi erano a conoscenza dell'orrore
dei forni crematori e delle camere a gas?
L'interrogativo viene rilanciato grazie agli articoli degli studenti della
Scuola di giornalismo dell'Università di Salerno. Perché un questore al
servizio dello Stato ritenne di spedire centinaia di ebrei in Campania anziché
trasferirli, secondo gli ordini ricevuti, nei lager tedeschi? Eppure, questi
ultimi vennero fatti passare per campi di quel lavoro che "rende
liberi", è l'atroce e beffardo "arbeit macht frei" che campeggia
sul cancello di Auschwitz. Palatucci andò incontro al suo destino, che si compì
a Dachau, forse perché a conoscenza di luoghi come Birkenau, Belzec, Chelmno,
Majdanek, Sobibór o Treblinka.
Campagna : città dei giusti
Ci sono posti in cui il dovere della memoria, la
testimonianza del proprio passato, è diventato il segno che distingue un'intera
comunità. Campagna, nel salernitano, undicimila anime, è uno di questi. Qui
tra il 1940 e il 1943 si svolse una delle pagine più intense e più trascurate
della storia della Campania. Il Ministero dell'Interno fascista scelse questa
cittadina per allestirvi uno dei 40 campi di concentramento sparsi nel
mezzogiorno.
Due ex conventi, che servivano per l'addestramento degli allievi ufficiali,
diventarono la dimora forzata per oltre 300 ebrei stranieri, provenienti in
prevalenza dall'est Europa. Gli internati cominciarono ad arrivare a San
Bartolomeo e all'Immacolata Concezione il 16 giugno del 1940: alcuni abitanti
ricordano che venivano condotti lì stipati sui camion, legati l'uno all'altro
con un'unica enorme catena. Su di loro vigilavano in 26, tra carabinieri e
poliziotti.
La storia di Campagna potrebbe essere quella di un qualsiasi altro luogo in cui
si consumò la vergogna dei campi di internamento fascisti. Non è così. Qui la
logica dell'intolleranza si capovolse, e tra la popolazione locale e i
prigionieri, fin dai primi giorni, si creò un rapporto di continua
collaborazione e aiuto reciproco. Molti medici ebrei curarono i malati, mentre
le autorità fasciste chiudevano un occhio. La popolazione non si dimostrò mai
ostile e cominciò a ricambiare quell'aiuto attraverso piccoli gesti di
riconoscenza.
E' a Campagna che lavorò il vescovo Giovanni Maria Palatucci, zio del questore
di Fiume Giovanni Palatucci, conosciuto come l'"Oscar Schindler
irpino" per aver salvato oltre 5000 ebrei istriani dai lager nazisti. Con
il suo impegno monsignor Palatucci riuscì ad alleviare la prigionia degli
internati. Nel campo venne allestita una biblioteca e una sinagoga, nella quale
si recavano anche il vescovo e il podestà. Gli ebrei familiarizzarono anche con
i loro carcerieri, memorabili le sfide di calcio raccontate ancora oggi dai
vecchi. Inoltre si consentì di stampare un breve bollettino ciclostilato del
campo, in lingua tedesca, e di costituire una piccola orchestra. Uno dei
prigionieri fu addirittura invitato da Palatucci a suonare l'organo in chiesa la
domenica.
Così quando arrivò l'8 settembre sembrò naturale per gli abitanti di Campagna
aiutare gli ebrei a fuggire sui monti, per salvarli dalla furia nazista. Eppure
sotto il cartello d'ingresso di Campagna manca una scritta, quella di "Città
dei Giusti", riconosciuta con un suo albero nel giardino di Gerusalemme
dedicato a chi ha salvato gli ebrei dallo sterminio.
SOLOFRA
L'edificio che ospitava il centro di internamento per sole donne ebree e
antifasciste straniere di via della Misericordia a Solofra (Av), le donne furono
violentate dai carcerieri fascisti e fatte passare per prostitute. Molte di loro
furono ricoverate all'ospedale di Avellino per le malattie veneree contratte
GIOVANNI PALATUCCI
Il questore di Fiume Giovanni Palatucci, irpino di Montella (Av). Medaglia
d'oro. Fu lui a contravvenire agli ordini dei nazifascisti di deportare 5000
ebrei istriani ad Auschwitz e li fece trasferire nel campo di internamento di
Campagna (Sa). Lì lo zio vescovo, Giuseppe Maria Palatucci e la popolazione
accolsero circa 400 ebrei, facendoli lavorare e quindi evadere quando ci fu
la ritirata tedesca e fu decisa la "soluzione finale" dell'Olocausto.
Giovanni Palatucci, scoperto dai fascisti, fu mandato a Dachau dove morì il
10 febbraio del 1945.