- PAOLO ODELLO - PRISTINA
I corvi. Sono loro i veri padroni del Kosovo. A migliaia, volano da una zona di scontro all'altra senza sosta. Sono arrivati anche a Pristina. Appollaiati sugli alberi del centro aspettano che la guerra approdi in città. Le dichiarazioni dell'Uck e l'inasprirsi dei controlli serbi non lasciano presagire nulla di buono circa il futuro di questa terra.
"Abbiamo perso una battaglia ma non la guerra. La vittoria sarà nostra perché stiamo combattendo per una giusta causa" afferma con tono propagandistico il comandante Besnikj ufficiale dell'esercito di liberazione. Ritto in mezzo ad uno spiazzo polveroso, rilascia interviste ai giornalisti occidentali giunti a Likovne, una delle ultime "zone libere" ancora in mano agli insorti. Resistono anche zone storiche come quella degli albanesi chiamano Shala, zona mineraria di Trepoa teatro di aspri combattimenti nei mesi scorsi. Le agenzie segnalano scontri armati in tutta la parte ovest del paese ma a differenza di quanto accadeva prima dell'offensiva di fine luglio, sono soltanto attacchi privi di una qualche utilità strategica. L'impressione generale è che il cosiddetto Esercito di Liberazione del Kosovo sia sfuggito al controllo del suo creatore, mafia o americani che siano. L'unica certezza è la necessita di un fatto nuovo che imprima una svolta alla situazione che si è venuta a creare dopo l'avanzata serba. La sconfitta dell'insurrezione armata è palese, all'Uck non rimane che passare alla seconda fase di terrorismo fatto di bombe e paura. La possibilità ha messo in allarme il governo di Belgrado, nonostante il ridicolo "mordi e fuggi" degli insorti, ha intensificato la pressione sulla comunità albanese.
L'ostentata sicurezza serba dei giorni scorsi ha, in poco tempo, ceduto il passo al nervosismo.
"I terroristi sono ovunque. Di giorni non li vedi, ma con il buio si fanno coraggio e colpiscono le nostre posizioni" affermano gli uomini della Milizia serba. L'Esercito di Liberazione in ritirata e la maggioranza dei combattenti frammisti ai profughi confluiti nei maggiori centri, a causa dell'offensiva di fine luglio, hanno proposto un salto di qualità alla strana guerra del Kosovo. L'attenzione della Milizia si è spostata nei centri urbani. I controlli, sempre più accurati e pressanti, sono aumentati di intensità sopratutto a Pristina. Nella capitale, dove sino a pochi giorni fa esistevano soltanto check point fissi dislocati esclusivamente sui principali strade di accesso, sono comparsi posti di blocco mobili. Chiunque si trovi in strada dopo le 23, ora del rientro obbligatorio per gli albanesi, subisce controlli da parte della Milizia. Non si tratta di un vero e proprio coprifuoco ufficialmente dichiarato ma, la decennale esperienza repressiva subita dalla comunità consiglia di conservarlo comunque.
"A Pristina ci sono troppe armi. Tutti sono armati, albanesi e serbi tutti ne posseggono una - dice Ielena, cameriera serba del Grand Hotel - se lo scontro armato si sposta in città, Pristina diventerà una seconda Sarajevo". L'opinione di Ielena è comune alle due etnie. Anche nella comunità albanese si teme il salto di qualità; nulla deve turbare il nuovo business. La guerra ha
portato un benessere fittizio, ai tradizionali traffici (armi, prostituzione e droga) si sono aggiunti: affittacamere, interpreti, tassisti, ristoratori e una pletora incessante di mendicanti. Tutti cercano, con ogni mezzo possibile di usufruire dei marchi portati dal nuovo turismo, quello dei corrispondenti stranieri.
In un paese dove chi non controlla spia, è difficile avere notizie attendibili. Così l'uccisione del ricco commerciante albanese, sgozzato col figlio si rivela essere solo un avvertimento in puro stile mafioso; si era rifiutato di versare il "contributo volontario" per la guerra di liberazione. E' accaduto tanto a Prizren come a Djakovica.
Camuffando le rapine come se fossero azioni di guerra ci si garantisce l'immunità. Scavando più a fondo anche la soffiata del solito bene informato ("I serbi avevano allestito un campo di prigionia all'interno della Feronikel di Glogovac) rivela una diversità verità. Nove civili, abitavano in un piccolo villaggio e poco distante da Glogovac, sono spariti nel nulla perché i volontari testimoni di una rapina.
"Fai attenzione, nel Balcani nulla è come appare" mi ha detto un amico albanese e forse aveva ragione: la guerra di liberazione si ritorce sullo stesso popolo per conto del quale si combatte. L'Uck di Junik si è rifiutato di evacuare donne e bambini prima dell'attacco finale: la tentazione di usarli come carne da macello per sollecitare un intervento Nato era troppo forte per resistervi. Ha funzionato a Sarajevo perché non riproporlo anche qui?
Su tutto questo volano incessantemente i corvi. Il loro gracchiare riporta alla realtà di questo paese sull'orlo della catastrofe. Attraversando Mabshevo e Orahovac oppure Crnolevo, le carcasse degli animali morti nei combattimenti e abbattuti dai cecchini sono un richiamo troppo forte per questi uccelli. Non lasciano la preda neppure al sopraggiungere di un'auto.
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