OPERAZIONE TOMBOLA
Appennino
reggiano marzo 1945 Farran, Lees, Gimpel, Gino, Monducci, Trinelli, Giovanna |
Le notizie raccolte e filtrate dalla resistenza verso i comandi alleati (oltre la linea gotica) danno per certo nei primi mesi del '45 che in due case, lungo la pedecollinare reggiana, ci sia il centro di comando di tutta la linea Gotica e forse lo stesso Kesserling. L’inverno non è ancora finito ma la stagione della liberazione è alle porte. Non è il velo di truppe che ormai si frappone fra loro e la fine della guerra che preoccupa gli alleati ma le inutili consistenti perdite che in questi frangenti vanno ad aggiungersi alle decine di migliaia dell’intera campagna. E’ una fissa degli alleati pensare che una volta disarticolata la testa si squaglia il corpo (militare), la bassa forza si arrende. In questo caso dovrebbe essere maggiormente vero perché gli alleati hanno di fronte la “manodopera” dell’asse, l'ultima scelta, i resti delle nazioni che hanno combattuto al fianco di Hitler: tutto fuorché tedeschi. Disarticolare un comando poi è come lasciare al buio un intero palazzo sotto un bombardamento. Qui ci sono carte, ordini, archivi, topografie, disposizione dei reparti, quantità di uomini e mezzi, indicazioni delle riserve di benzina e di munizioni, il nodo telefonico diretto con Berlino, alloggi per ufficiali della Wehrmacht in zona tra cui Kesserling. etc. Sono lontani dal displuviale appenninico e nella zona i partigiani non osano nei loro confronti. La caccia e i bombardieri alleati potrebbero con uno dei loro raid radere al suolo l'intera zona, ma coinvolgerebbero molti civili. Pur se relativamente al sicuro il dispositivo di difesa tedesco a terra è vigile e chiunque vi muovesse contro rimarrebbe scottato, specialmente i partigiani privi di armamenti pesanti tipo artiglieria leggera, mortai e Bazooka. E’ vero che si può paracadutare ma per i partigiani in continuo movimento il materiale rappresenterebbe una palla al piede. Poi servono specialisti al tiro e uomini per il trasporto dei colpi, osservatori etc.. che non si possono permettere. L’input che da il via alla operazione è una informativa di un ufficiale di collegamento (Lees) che propone al comandante della sezione SAS (i commandos Inglesi) Roy Farran del 3° Sqadron del 2nd Special Air Service di colpire al cuore il settore occidentale della linea Gotica che apre le porte a Milano. Così dice Farran nella sua relazione “….informazioni che mi hanno convinto ad essere d'accordo sulla possibilità di effettuare un attacco di questo genere. Ho quindi proposto al 15° Gruppo di Armate di autorizzare l'attacco al Q.G. tedesco in un periodo precedente le mie altre attività previste contro il nemico e prima che il nemico modifichi il proprio schieramento”. Farran aveva a disposizione nel battaglione diverse componenti non tutte inglesi. Una operazione di commando ha bisogno che i partecipanti, se non espressamente del luogo, conoscano lingua, abitudini e caratteristiche del terreno e in questo aveva bisogno di Italiani (ex folgorini) che secondo lui però non erano all’altezza (affermazione errata perché in quel periodo si preparava la sanguinosa operazione Herring (Aringa) con un lancio dietro le linee nemiche prevista per metà aprile con una compagnia Nembo (114 uomini) su Poggio Rusco (Mantova), Revere-Ostiglia, direttrice Po Brennero e “F” Folgore Recce squadron (cp. 112 uomini) su obiettivo intermedio Mirandola, Medolla, S. Felice Sul Panaro e Finale Emilia (Mo). L'azione durata 72 ore anzichè 36 come previsto lascerà sul terreno. ..The ascertained German losses were: 481 dead and 1083 prisoners, 44 vehicles were destroyed and many captured including some tanks, armored cars and guns, 77 telephone lines severed, three bridges taken intact, an ammunition storage site blown up. The price the Italians paid for the success was 31 dead (31 morti including a British paratroops sergeant) and 10-12 wounded. L'avanzata degli alleati che il 21 aprile entrano a Bologna disimpegnerà i resti dei commados evitando ulteriori perdite ). Aveva Russi probabilmente profughi o ex internati (ne troviamo tanti anche fra la resistenza) e poteva comunque avere, una volta in territorio controllato dai tedeschi, l’aiuto prezioso dei partigiani che contavano tra di loro tedeschi disertori e altri russi.
IL PIANO Scendere dal cielo nell’alto Appennino poi con una marcia forzata raggiungere le basi di partenza per l’attacco. |
Maggiore Roy Alexander Farran comandante del Batt. Alleato. Nato in India (2/1/21) ha svolto nella sua vita varie attività oltre quella di commandos. E’ stato ministro, agricoltore, scrittore e giornalista. Dopo aver frequentato gli studi entra nelle Guardie (Prince of Wales's Dragoon Guards) poi negli Ussari in Egitto (3° Kings Own) dove entra in azione da dicembre 1940 a febbraio 1941 nella battaglia di Sidi Barrani (la disfatta Graziani di Libia). Farran è poi a Creta alla fine di maggio quando viene catturato dai diavoli verdi tedeschi. Da Atene, via mare, dopo un burrascoso viaggio di 9 giorni, viene salvato da un cacciatorpediniere a nord d’Alessandria. Da gennaio 1942, entra nelle staff del generale Jock Campbell, comandante della 7a Armoured Division (i topi del deserto). Nello stesso anno Farran ritorna in Inghilterra, qui dopo il corso di paracadutismo e la formazione specifica entra a far parte del 2° SAS. Per tutto il 1943 compie azioni dietro le linee Italo /tedesche sul fronte italiano riportando numerose e importanti vittorie. Con il via alla invasione della Francia gli viene affidato il comando dell’Operazione Wallace: il 19 agosto 1944, 60 uomini e 20 Jeep dal 2° SAS sbarcano da alcuni Dakota presso il campo d'aviazione americano di Rennes e si inoltrano per 200 miglia nelle linee nemiche: il bottino di distruzione è ingente. Prima della fine dell’anno è di nuovo in Italia in una situazione diversa da quella che aveva lasciato e che abbiamo descritto. Nel dopoguerra, Farran rientra con gli Ussari in Palestina come forza di Polizia istituendo la forza "Q" formata da pattuglie per l’infiltrazione nelle reti terroristiche dell Haganà sionista. Dopo l’esperienza militare sì da alla politica prima nel Regno Unito poi in Canadà nello stato d’Alberta dove trascorre il resto della sua vita. In Canada oltre alla professione di scrittore e giornalista entra a far parte del nuovo parlamento come ministro delle telecomunicazioni per due mandati, negli ultimi anni della sua vita è professore ordinario all’università d’Alberta. Muore nel 2006 Farran ….. Si ritiene che il numero delle perdite tedesche ammonti a 60 persone. Il colonnello Lemelson, comandante del reparto, è stato ucciso a Villa Calvi. Questa è stata completamente distrutta, insieme alla maggior parte dei documenti, degli archivi e delle mappe del Q.G.. Villa Rossi è stata parzialmente distrutta e non si sa se l'uno o l'altro dei generali è stato ucciso. (L’uccisione di ufficiali superiori viene smentita da tutti. Anche per gli immobili e il parco mezzi le cifre “sparate” sono impressionanti ... fra cui 200 prigionieri e 45 camion distrutti !!!). vedi sotto le sbruffonate |
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Sempre Farran …Nell'attacco un gruppo di 10 inglesi si sarebbe aperto un ingresso nei due edifici principali, dopo aver ucciso le sentinelle. Quindi sarebbero stati rinforzati da venti italiani per ognuno dei due edifici. I Russi a loro volta avrebbero formato una cintura protettiva da est a ovest lungo la strada a sud di Villa Rossi per isolare gli obiettivi da un possibile aiuto proveniente dalle Botteghe e Puianello, dove avevano sede due batterie antiaeree tedesche (e la caserma della truppa).
Per far questo però è necessario
coordinare forze diverse di qua e di là dalla linea Gotica, paracadutare
armi e uomini in più scaglioni e selezionare i partigiani che dovranno
partecipare alla azione. Tempo previsto almeno 20 giorni durante i quali
la loro presenza non deve nemmeno essere sospettata dai tedeschi
altrimenti salta l’operazione. Di Inglesi isolati ce ne erano ma una
mezza compagnia in divisa e armata da nell’occhio.
Dal Resto del Carlino del 21
marzo 2010 In poco tempo il battaglione alleato di Farran raggiunge la considerevole forza di trecento effettivi motivati addestrati e pesantemente equipaggiati. Dal cielo intanto è piovuto un cannone da 75mm, 2 cannoni da 47mm, 4 cannoni anticarro da 37mm, 5 mitragliere Browning 12,7mm, 21 mortai misti da 60mm e 81mm, 5 mitragliere da 20mm, diversi bazooka,170 armi automatiche, 5 jeep armate e più di trecento casse di munizioni equipaggiamenti e materiali da demolizione. |
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L’AZIONE
Il gruppo lascia i boschi alle pendici del Monte Valestra molto più a
valle del Cusna alle 19 della notte fra il 25 e il 26 marzo 1945 dirigendosi
per un tratto in autocarro verso Montevrolo-La Torre-Pulpiano, passando
a fianco di un distaccamento tedesco a Ca' de Pazzi e puntando a nord,
attraverso la campagna, in direzione di Casa del Lupo. A Casa del Lupo
arrivano dopo 40 Km all’alba del 26 marzo quando ancora non ci si
vede. La zona per di più è coperta dalla nebbia che li favorisce. Nella mattinata le
staffette in continuo movimento confermano le postazioni tedesche e
nessun movimento anomalo nell’area. E' stato stimato che ci debbono
essere circa 500 nemici in zona. La notte, con una guida locale,
il gruppo parte alla volta delle ville di Botteghe. All’1.30 del 27 la
formazione composta da 2 inglesi (Comando), 1 guida Italiana, 1
ufficiale italiano addetto alle informazioni. I colonna: 30 russi; II
colonna: 10 inglesi, 20 italiani; III colonna: 10 inglesi, 20 italiani
è sull’obbiettivo. Gli altri dalla base di partenza e dal tragitto copriranno lo sganciamento a fine missione con le armi pesanti. |
Le perdite alleate
(9 morti in totale):
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Un’altra villa, Viani caserma della truppa venne bloccata dai Russi fino a che l’azione non fosse finita. Verso la fine dell'attacco i pezzi antiaerei di Puianello stavano sparando in direzione di Villa Rossi e dei razzi luminosi venivano lanciati da Botteghe e Reggio nella convinzione che l’azione fosse a largo raggio. Alle 2,25 tutti i gruppi cominciano la ritirata, indipendentemente l'uno dall'altro, dirigendosi verso le montagne, marciando a ovest attraverso il Crostolo e poi verso la collina portando al seguito i feriti. Il gruppo inglese ha marciato per 22 ore e mezzo, ritornando attraverso il fiume Secchia . 55 minuti in tutto è durato l’attacco poi l’imperativo sganciarsi per evitare l’afflusso di forze lontane. Le perdite tedesche riportate dagli inglesi furono oggetto di attenzione e critica. Come al solito si gonfiavano le cifre a favore degli inglesi così come si sminuiva l’apporto di chi non era inglese. Era una regola nella democrazia inglese. Da parte tedesca i dati sono molto contrastanti, la stampa d’epoca non riporta nulla mentre i verbali del comando inglese e gli informatori stimano tra i 30 e 40 morti e una cinquantina di feriti, col comando completamente distrutto e non più ripristinato per tutto il periodo bellico. .
Gli uomini
- Bruno
Gimpel “Bruno”, oggi
ha 82 anni vive a Milano ed è stato il presidente di Reconta Ernst &
Young società di revisione bilanci. "a me fu ordinato di rimanere a
disposizione alla radio al comando di Secchio (Gufi)". “Bruno” di madre
reggiana parla regolarmente inglese e per questo è diventato la spalla
del capitano Lees. |
- Luciano Casali professore di Storia a Bologna così rimarcava nel 1981 su le sbruffonate di Farran:
Personalmente alcuni dubbi sulle sue
capacità di "capoguerriglia" ci vengono leggendo quanto egli stesso
narra a proposito dell'attacco a Botteghe, dove mostra di noni essere
stato in grado di dirigere l'azione offensiva (perde il contatto con la
colonna dei partigiani sovietici e non può che "sperare" che essi
abbiano eseguito le disposizioni impartite) non calcola i tempi per
l'inizio contemporaneo della sparatoria sulle due Ville attaccate,'
resta isolato e lontano dai combattenti nelle fasi principali
dell'attacco. Egli stesso scrive: "Avendo perso il controllo
dell'attacco non potei far altro che sedere (...) e aspettare (...).
Solo più tardi, nel ritorno alle montagne, potei ricostruire ciò che era
avvenuto". Si ha anche l'impressione di una preparazione non completa:
l'incendio dell'archivio e del centro cartografico tedesco
(evidentemente un obiettivo di primaria importanza) avviene quasi in
maniera fortuita e non predeterminata, "con l'aiuto di un po' di
esplosivo e di benzina trovata in una delle rimesse" |
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Brigata Fiamme Verdi Le "Fiamme Verdi" di Reggio Emilia furono una formazione partigiana di ispirazione cattolica, attiva anche nella provincia di Modena. Nella Resistenza, le Fiamme Verdi erano come gli Alpini, dai quali avevano mutuato le mostrine: operavano prevalentemente in montagna con radici popolari e con nessuna ideologia politica: « Il volontario, di qualunque fede politica esso sia, rinuncerà ad ogni propaganda che non sia contro tedeschi e fascisti ... » Venne fondata da Don Domenico Orlandini, nome di battaglia "Carlo", a causa dei dissidi con la componente comunista della Resistenza. Nelle parole del fondatore, la formazione era nata per queste ragioni: « “… Dal marasma che aveva preceduto il rastrellamento e dalla assoluta inettitudine al comando dimostrata da molti comandanti... avevo tratto le mie conclusioni pienamente condivise dai partigiani della mia zona e da tutti coloro che mi erano rimasti al fianco: o si riorganizzava il movimento su basi di disciplina, si vietavano i saccheggi e i prelevamenti indiscriminati, si bandiva la politica di parte in seno alle formazioni e si creava un comando con persone dotate di coraggio e di capacità, oppure avrei dato vita ad una brigata indipendente, sotto il mio diretto comando… » . La brigata operò in accordo con il CLN provinciale. Fra i maggiori esponenti sono da annoverare Giuseppe Dossetti, in seguito esponente di spicco della D.C.; il comandante "Azor", (Mario Simonazzi), popolare ucciso nel 1945 da altri partigiani e Giorgio Morelli, giornalista anch'egli ucciso per le denunce e per il clima violento e omertoso del dopoguerra in Emilia. Dal memoriale di don "Carlo" Orlandini ...Il Russo… a raggiungere le nostre forze era giunto in marzo anche un russo, certo “Modena" con un distaccamento composto in prevalenza di russi sfuggiti ai tedeschi (agli italiani l'8 settembre). Anche lui era fuggito sin dall'autunno del '43 e aveva trovato rifugio presso don Borghi. Aveva partecipato alle prime battaglie, compresa quella di Cerrè Sologno. Aveva poi ripiegato nel ramisetano, ove «Sintoni» lo aveva usato nel terrorizzare la popolazione e nella messa in atto di saccheggi e soppressioni. Stanco del ruolo che gli si faceva recitare si era staccato da «Sintoni» ed era venuto da noi. Disponeva di un gruppo di uomini veramente coraggiosi. |
Da senato.it "Don Carlo" .. capì per primo l'importanza del collegamento con inglesi e americani: paesi campioni di democrazia politica e parlamentare, oltre che liberatori. Fu infatti agente dei servizi segreti inglesi ed ottenne dal Ministro Casati del ricostituito governo democratico italiano il riconoscimento - sin dal 30 gennaio '45 - della sua brigata come Regio Esercito Italiano, con la denominazione "Battaglione Fiamme Verdi del Cusna". E' decorato con la Victoria Cross inglese |
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Pure in marzo venne lanciata in zona una trentina di soldati
inglesi, un vero «commando» di uomini che non conoscevano paura,
comandati dal Col. Mac Guinty. Appoggiato a questo fu costituito un
gruppo di volontari, chiamato «Gufo Nero», costituito da partigiani
italiani in prevalenza della pianura. «Barbanera» dr. Annibale Alpi,
lasciò la carica di Intendente generale e dette vita ad una formazione
indipendente chiamata «Battaglione Alleato», costituito da inglesi,
russi e italiani, suddivisi in compagnie. Il commando inglese e il Gufo
nero si misero di prepotenza all'onore della cronaca col fulmineo
attacco al comando tedesco di Villa Rossi ad Albinea( (Botteghe 25 marzo
1945) «Modena», ten. russo Victor Pigorov, fuggito dal campo di concentramento fu pure ospite della famiglia Cervi, poi di don Borghi a Tapignola, ove si trovava quando avvenne lo scontro con la pattuglia fascista andata per arrestare il prete. Riuscì a circondarsi di un gruppo di ex prigionieri russi, e seguì «Sintoni» nella zona della Val d'Enza, operando con la 32' Brig. Garibaldi. Avuti altri 30 russi, provenienti dal parmense, il gruppo raggiunse 70 unità e fu costituito in Battaglione. Nei primi di marzo 1945 si porta a Minozzo e prende contatto con «Carlo», che lo mette a disposizione di Mc. Guinty (Cap. Farran, capo di un «Commando» inglese calato sul nostro Appennino). A fine mese assumerà la denominazione di «Compagnia Russi» nel Btg. Alleato. (Franzini, o.c. pago 610). |
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http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=512 http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Morelli http://ricordare.wordpress.com/perche-ricordare/027-morte-di-un-partigiano/ Il diario di Don Domenico Orlandini "Carlo" http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri81.htm |
foto più sopra da Istoreco Reggio E., foto qui Don "Carlo" Domenico Orlandini dal suo memoriale |
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