Paolo Caccia Dominioni

2a parte

(la prima parte è stata pubblicata nella galleria Immagini

fonte esercito italiano http://www.esercito.difesa.it/root/storia/elal_sacrario.asp 

           

Il 10 dicembre 1931 Paolo Caccia Dominioni viene richiamato alle armi (Genio) e destinato a Tripoli, al R.C.T.Coloniali. Il compito assegnatogli è partecipare ad una ricognizione nella regione del Fezzan, al confine tra Libia e Nigeria, con obbiettivo i pozzi di Tummo. Più di 1000 km di Sahara, da percorrere in gran parte a dorso di mehari, per compiere rilievi geografici e topografici in quella regione del territorio libico ancora poco conosciuta. Tre mesi dopo il Ten. Sillavengo (Caccia Dominioni) sarà di nuovo posto in congedo e promosso capitano. 

La campagna d'Africa Orientale:
Nella primavera del 1935 l'Esercito Italiano mobilita le unità da destinare alle operazioni per la conquista dell'Etiopia e le fa affluire nelle due colonie della Somalia e dell'Eritrea, basi di partenza per l'attacco all'Etiopia. Il Cap. Sillavengo, che lavora a Beirut, viene richiamato, destinazione la stessa Eritrea. E' necessario conoscere le misure militari che l'Inghilterra può prendere contro l'Italia dal Sudan confinante da dove potrebbe minacciare il fianco destro delle nostre unità. Compito che sembra tagliato su misura per il Cap. Sillavengo. Parla l'inglese e l'arabo, è socio di uno studio di ingegneria del Cairo, a cui il Dipartimento Egiziano per l'Irrigazione ha commissionato una serie di disegni di alcune dighe dell'Alto Nilo, ottima copertura per recarsi in Sudan.  L'ufficiale entra quindi a far parte dello spionaggio nella "rete informativa K", con il nominativo di "agente K2". Il 13 luglio Il Cap. Sillavengo raggiunge il Cairo da dove si sposta prima alla diga di Gebel Aulia sul Nilo Bianco, poi a quella di Sennar, sul Nilo Azzurro in Sudan. Nel mentre segue i lavori idraulici, porta avanti l'attività informativa, che dura sino al 20 ottobre 1935, dieci giorni dopo l'inizio delle ostilità contro l'Etiopia. Scopre la costruzione di un nuovo aeroporto in una zona ad un'ora di volo dal confine con l'Etiopia; l'afflusso a Kartum di bombardieri, l'afflusso di grossi trasporti di truppe e materiali verso Cassala, al confine tra Sudan ed Eritrea. Rientrato ad Asmara, al Cap. Sillavengo viene affidato un nuovo compito: costituire una pattuglia informativa composta da "ascari" che parlino arabo, tigrino ed amarico, destinata a muovere in testa alle colonne in avanzata (colonna Starace), riconoscere il terreno, contattare gli abitanti per trarne informazioni ed individuare gli itinerari da seguire per Gondar e Lago Tana. Sillavengo la chiamerà la "Pattuglia Astrale". In 10 giorni, sotto la direzione operativa e tecnica del Cap. Sillavengo, vengono aperti ben 275 km di pista e di strada, ed il Lago Tana è raggiunto.

 

Divisioni Inglesi del deserto

Il 31 luglio rientrerà il Italia per essere nuovamente posto in congedo. Per l'azione svolta con la "colonna Starace" gli verrà concessa la Croce al V.M..Nella campagna d'Africa ha però conquistato un'altra, entusiasmante esperienza: il contatto con le truppe coloniali eritree e con i loro ufficiali nazionali. E' rimasto profondamente impressionato, quasi affascinato, da quell'ambiente fatto di indefettibile fedeltà all'onore militare, di alto senso del dovere, di grande dignità e di altrettanto grande coraggio e spirito di sacrificio, che contraddistinguono quegli uomini eccezionali.  Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale l'ingegner Sillavengo è ad Ankara, dal 1939 dirige i lavori di costruzione della nuova Ambasciata d'Italia in Turchia, da lui progettata. Richiamato alle armi, nel gennaio 1941 prende servizio al S.I.M. (Sevizio Segreto). Sillavengo non è più un ragazzo, ha 46 anni suonati è maggiore e nella sua vita errabonda ha conosciuto molti aspetti dei Paesi stranieri con cui ora l'Italia è in guerra, e ne ha potuto valutare il potenziale e le capacità economiche ed industriali. Conosce certo bene anche i nostri limiti strategici. Ha quindi tutti gli elementi di valutazione per comprendere che sarà molto difficile vincere la guerra. Questo dovrebbe spingerlo a rimanersene "acquattato" nell'ambito del Servizio "I", lontano dal pericolo e dai rischi. Ma l'uomo non è fatto di questa pasta. Il lanciafiammista, il geniere, il meharista, il Comandante della Pattuglia Astrale sono radicati molto più nel profondo del suo carattere che nei facili entusiasmi dell'età giovanile.  

E, pur prevedendo come sarebbe potuta andare a finire, vuole affrontare il pericolo, il rischio di cadere, fronte al nemico, non tanto nella speranza di una vittoria, quanto per un senso di dignità, per una questione di stile. Così, quando viene a sapere che è in via di costituzione una nuova specialità "ardita" del Genio, chiede di esservi assegnato. Questa volta si tratta dei "guastatori", soldati d'eccezione, uomini d'acciaio nello spirito, nella mente, nel fisico, tutti volontari nell'affrontare il rischio al più alto livello, convinti di doverlo fare in nome dell'ideale di Patria e come espressione del loro cosciente ardimento e della loro splendente giovinezza. Il 24 marzo 1942 il Maggiore Sillavengo è a Brunico, sede del XXX Btg Guastatori Alpino del Genio (in partenza per la Russia), per la frequenza del corso di specializzazione. Finalmente è nel suo ambiente, quello che gli è congeniale per spirito, modo di sentire, tradizione di famiglia e per la memoria sempre viva che ha del fratello Cino, caduto portando le insegne alpine. Alla fine di giugno (42) giunge al Maggiore Sillavengo un'altra inattesa destinazione: Africa Settentrionale, quale Comandante del XXXI Guastatori che ha perso in combattimento il proprio Comandante. Il reparto è in Libia dalla fine di settembre 1940 ed ha partecipato, sempre in prima linea, alla battaglia della Marmarica ed alla successiva offensiva dell'Armata italo-tedesca contro Tobruk. La punta di lancia dell'attacco alla piazzaforte sono state le squadre guastatori che, con i tubi esplosivi, le cariche cave, i lanciafiamme, i mortai "Brixia" da 45 e le bombe a mano, hanno neutralizzato i fortini che costituivano la cintura difensiva di Tobruk.   

Il Maggiore Sillavengo è l'uomo giusto al posto giusto. Parla perfettamente il tedesco, la lingua dell'alleato; usa correntemente inglese e francese, lingue dell'avversario; conosce e parla l'arabo, lingua usata dagli Egiziani. Il nostro obiettivo (Alessandria, Suez, il Nilo, il Cairo) gli sono familiari per avervi vissuto lunghi anni. Il 14 agosto 1942 il Maggiore è convocato dal Feldmaresciallo Rommel che, tra l'altro, gli dice: "se sono bene informato Lei è ingegnere e conosce bene il Nilo per avervi vissuto molti anni. Quando vi arriveremo Lei si occuperà del forzamento del fiume....". Ma il primo impiego del XXXI sarà un altro. Nella notte tra il 30 ed il 31 agosto, nel quadro della battaglia di Alam el Halfa, il XXXI, insieme ai paracadutisti di Ramcke, attaccherà il costone del Ruweisat. L’ordine di operazioni dice: "penetrare almeno 4 km nello schieramento nemico, fare il massimo baccano, catturare prigionieri, incendiare con i lanciafiamme quanti più relitti combustibili possibile. Rientrare nelle linee prima dell'alba". L'azione comincia alle 2 in punto. Sul Ruweisat "mezzi corazzati, mine, coltellacci maori e fucilieri indiani aspettano a piè fermo i guastatori del XXXI". Gli elementi più avanzati subiscono il fuoco irriducibile di una mitragliatrice della torretta di un carro "Crusader" interrato. Strisciando avanza il guastatore lanciafiammista Marsilio Giulianini, toscano. Un dardo di benzolo e nafta a volute incandescenti, a tremila gradi, terrificante nel buio notturno, investe la torretta: la mitragliatrice tace ed i tre occupanti escono, a mani alzate. Anche più a nord i guastatori catturano prigionieri inglesi ed indiani. Nella terra di nessuno ardono carcasse di veicoli e di aerei. Per l'azione del Ruweisat, al quale ha partecipato in testa ai propri guastatori, il Maggiore Sillavengo sarà decorato dallo stesso Rommel con la Croce di Ferro tedesca di 2a classe e gli verrà tributato un encomio solenne. Di lì ad un mese, il 14 ottobre, il battaglione si schiera nel settore delle Divisioni "Folgore" e "Brescia", con il compito di riconoscere e rilevare i campi minati inglesi schierati davanti alle posizioni tenute dalle due Divisioni e di posare nuovi campi minati, ad integrazione dei nostri ed a scompiglio di quelli avversari. La sera del 23 ottobre inizia l'attacco inglese alle posizioni tenute dall'Armata italo-tedesca.  

9 Settembre 1943 – 8 Maggio 1945.
Anche il Maggiore Sillavengo, travolto da eventi che sfuggono a qualsiasi controllo, riesce a raggiungere fortunosamente Nerviano e vi rimane qualche tempo in attesa che la situazione si chiarisca e che si possa decidere il da farsi. Viene sollecitato da più parti, sia a rientrare in servizio nel costituendo Esercito del Nord, a fianco della Germania, sia ad aderire ai primi movimenti di resistenza contro fascisti e tedeschi, che stanno prendendo piede tra la popolazione. E decide per la seconda soluzione, per cui, alla fine di gennaio del 1944, entra a far parte della
106a "Brigata Partigiana Garibaldi", che ha il compito di condurre azioni di sabotaggio e di disturbo nelle retrovie. Dopo averla organizzata, il 30 giugno conduce la prima di tali azioni: la sottrazione dallo stabilimento Fiocchi di Lecco, controllato dai Tedeschi, di 15 mitra, 8 pistole e qualche migliaio di cartucce. Il risultato ottenuto consente di armare gli uomini del distaccamento. Ma la ruota della fortuna gira, e l'11 luglio la Guarda Nazionale Repubblicana (G.N.R.) lo arresta, ad Arona. Sillavengo tenta la fuga ma un milite della scorta se ne accorge e lo colpisce al ginocchio, con il calcio del moschetto. Un altro giovane militare, un ragazzo vestito da paracadutista, gli urla: "...mio fratello era del XII "Nembo", ed è stato ucciso ad Anzio! Tu prendi questo!"
e gli assesta un colpo violentissimo alla tempia sinistra. Poi lo consegnano alle SS tedesche, che lo rinchiudono nelle Carceri Nuove di Torino. Si salverà solo rivelando la propria identità di ufficiale in Africa Settentrionale, decorato da Rommel. I tedeschi si accertano, constatano la verità delle dichiarazioni e lo rilasciano, il 16 agosto, ammonendolo però a non farsi ricatturare !! dalla G.N.R.. I restanti mesi del 1944 passano in un continuo spostarsi da un rifugio all’altro. Il 31 dicembre 44 la G.N.R. lo arresta di nuovo e finisce a San Vittore ove rimarrà sino al 15 febbraio. Ne uscirà per il rotto della cuffia, in virtù di una banale compiacente disattenzione burocratica dell'autorità di polizia. Alla fine di marzo accetta l'incarico di Capo di Stato Maggiore del Comando Regionale Lombardo del CVL ed in tale posizione vive le giornate dell'insurrezione del 25 aprile. Per la partecipazione ai mesi della Resistenza gli verrà concessa la Medaglia di Bronzo al V.M

El Alamein
Il XXXI Guastatori partecipa alla 3a battaglia combattendo sia con le mine, 15.000 posate in 16 notti, sia con le armi, spalla a spalla con paracadutisti e fanti. Perde circa 30 uomini, tra morti e feriti, e quando giunge l'ordine di ripiegamento, nella notte sul 3 novembre, è ancora solido e compatto, ed il Maggiore Sillavengo è ben determinato a riportarlo indietro nelle migliori condizioni possibili. Egli conosce bene il deserto, sa come muoversi lungo le piste ed ha già nella mente l'itinerario da seguire. Nonostante le tipiche vicissitudini di un ripiegamento, attacchi aerei, corazzati inglesi, rifornimenti di fortuna ed i combattimenti di retroguardia, alle 12 del 6 novembre, dopo tre giorni e mezzo di marcia, il XXXI Guastatori raggiunge Marsa Matruh, sulla via litoranea, ormai fuori dalla zona occupata dal nemico. Il giorno 20 il Maggiore Sillavengo compila la relazione ufficiale sulle ultime vicende del reparto. Poi, per le gravi condizioni di salute in cui versa, nonostante le sue proteste, viene rimpatriato su una nave ospedale. Per l'azione di comando da lui svolta e per il risultato conseguito nel portare il reparto fuori dall'accerchiamento, il Maggiore Sillavengo verrà decorato di Medaglia d'Argento al V. M.. Dopo alcuni mesi di convalescenza, il 20 maggio 1943 il Maggiore Sillavengo è di nuovo al comando del rinato XXXI , questa volta Alpino, ricostituito ad Asiago con i reduci di Russia e d'Africa, e con un migliaio di reclute, tutte volontarie.  Per tutto il mese di agosto il battaglione si addestra nella zona degli Altipiani e dei Sette Comuni, ove lo coglie l'infausta data dell'8 di settembre, certo il giorno più buio e terrificante della recente storia d'Italia. Per qualche giorno il battaglione rimane unito e compatto, agli ordini dei propri ufficiali. Poi viene deciso lo scioglimento del reparto, con libertà d'azione per ciascuno dei componenti. 
 
Le opere: il recupero delle salme dei Caduti
Dopo la fine della guerra il suo socio dello studio di ingegneria del Cairo lo chiama laggiù, per ricominciare. Lui accetta e, nel luglio del 1947 è di nuovo in Egitto. Due anni dopo (1949) lo convoca il Console d'Italia Alfredo Nuccio, suo antico commilitone nella 1a G.M., per dirgli che era giunto il momento di pensare seriamente alla sistemazione dei Caduti Italiani che erano ancora dispersi tra le sabbie. Sino ad allora, nelle vicinanze di El Alamein, su iniziativa degli Inglesi, era stato creato un cimitero, ad opera di 47 prigionieri di guerra italiani, tra cui due Sottufficiali, il Sergente Maggiore Pellicciotta, bolognese ed il Sergente Pietrangeli, senese, che dal 1943 all'agosto del 1945 avevano lavorato volontariamente, con il massimo impegno, nell'opera di raccolta e recupero delle salme semisepolte od ancora giacenti in superficie sul terreno.
 

Chi mai può dire cosa si muovesse nell'animo suo in quel giorno, quale emozioni lo agitassero! Certo è che quel viaggio sarebbe stato la prima di una serie di ben 355 ricognizioni nel deserto e l'inizio di una nuova, inimmaginabile ed irripetibile fase della sua vita. Quando scende dalla corriera, davanti a Q. 33, lo spettacolo che gli si para davanti è solenne, evocativo, maestoso: "un uomo solo, tra cinquemila croci, nel deserto". Lui conosce bene la Q. 33 di Tell el Eisa. Ricorda che era stata raggiunta dall'Armata italo-tedesca, e conquistata dai “marò” del “SAN MARCO”, alla fine della corsa da Tobruk ad El Alamein, e che vi si era schierato l'8° Rgpt. Art. Pes.. Ricorda anche il contrattacco australiano all'alba del 10 luglio 1942, che aveva travolto la linea degli avamposti italiani ed era arrivato sulla quota, catturando le artiglierie. Subito dopo era stata decisa la riconquista della posizione, affidata all'XI carri della Divisione "TRIESTE". La compagnia destinata all'azione era stata la 3a, Capitano Vittorio Bulgarelli: 19 carri M13 ed M14 si erano lanciati allo scoperto, ed erano stati presi sotto tiro dai 57 degli Australiani. Qualche carro era stato colpito subito, gli altri lo erano stati via via, poco dopo. Solo uno, illeso, aveva continuato la corsa verso la quota, l'aveva raggiunta e sorpassatala, sempre sparando, era scomparso alla vista. La sua targa era RE 3700. Ed ora, dopo sei anni, il Maggiore Sillavengo ha quello stesso carro davanti agli occhi, sulle pendici est della quota, nel punto dove era arrivato nella sua folle ed eroica corsa, quando un proiettile anticarro lo aveva centrato. Il relitto arrugginito dello scafo è sul lato nord della strada, verso il mare; la torretta, divelta dallo scoppio della granata, giace invece, capovolta, dall’altra parte della rotabile, con il suo pezzo e con le sue mitragliatrici binate, tra le mine ancora attive del vecchio campo minato australiano. Più ad est si estende il cimitero: 20 riquadri o campi, folti di croci. Gli Italiani sono circa la metà, disposti in 8 campi. Molti nomi sono chiari e leggibili; su molte croci vi sono solo alcune iniziali, seguite da un nome di battesimo. Su altre ancora "italiano sconosciuto".  Infine una serie di indicazioni incomprensibili: HIRT, BSCRP, FOLBERECC, BAROASA: chi sono?: una domanda: "che cosa si può fare per i nostri compagni caduti? Che cosa si potrà rispondere alle vedove, ai genitori, agli orfani?". La risposta in lui è già sorta, spontanea, mossa dalla spiritualità, dalla fede, dall'amore verso il prossimo che lo animano.   

Avevano perso tre dei loro sui campi minati ancora attivi ed erano riusciti a riunire quasi 5.000 Caduti, tra Italiani e Tedeschi, su di un'ampia superficie di terreno, sotto la Quota 33 di Alamein. Ma il deserto era ancora pieno di Caduti. Ed il Console aveva concluso: "adesso è ora di metterci mano. Tu hai combattuto in quel deserto con il tuo Battaglione, molte mine le hai messe tu e conosci il deserto ed il campo di battaglia come le tue tasche. Quindi tocca a te andare a vedere cosa è successo dei nostri morti. E' pericoloso, lo so. Ogni giorno su quei campi minati ci muore qualcuno. Ma questo non deve preoccuparti: di mine sei un esperto e, se ci pensi bene, hai già vissuto 53 anni, sei scampato a 3 guerre, non sei sposato e non hai figli: anche se ci rimani, il danno non sarà poi tanto grande. Quindi vai sul posto, vedi come stanno le cose e torna a riferire. Poi vedremo cosa fare". Con tale viatico !! Sillavengo raggiunge Alessandria da dove, il primo luglio, con una vecchia corriera diretta a Marsa Matruh, inizia il viaggio verso El Alamein.

"Urge salvare le tombe dalla furia delle acque. Iniziare la raccolta delle salme in tutto il campo di battaglia, ove giacciono ancora, a migliaia. Correggere i nomi sbagliati; identificare, fin dove possibile, gli ignoti. Concentrare a Q. 33 tutti i Caduti oggi sepolti in 14 cimiteri diversi tra il Canale di Suez e la frontiera Libica. Costruire a Q. 33 una base Italiana ed un'opera appropriata, che metta in evidenza il sacrificio Italiano, tanto ignorato da tutti. Ottenere, dall'Italia, un censimento di tutti i Caduti quaggiù, per facilitare le ricerche. Stabilire subito la custodia dei cimiteri con guardiani responsabili, che impediscano le profanazioni occasionali o commesse per fanatismo xenofobo e anticristiano"  

Le difficoltà sono subito tante: non ci sono fondi, che Roma invierà "appena possibile". Non esistono elenchi aggiornati dei Caduti, perché persi nella ritirata e nella resa successiva. Ma Sillavengo non si ferma: scrive ai veterani del XXXI, all'Associazione Famiglie Caduti in Guerra, ai giornali nazionali. Arrivano aiuti finanziari, elenchi e notizie sui Caduti, informazioni, schizzi topografici e suggerimenti dai veterani e dai Cappellani militari. Sistema la Q. 33 come base logistica ed ufficio e costruisce una serie di edifici di raccordo tra il cimitero e la litoranea: alcuni depositi, un piccolo museo, una base tedesca ed una "corte d'onore", ad arcate, in cui costruisce un basamento di pietra a forma di scafo di carro M13 e vi installa sopra la torretta e la targa del carro RE 3700. Poi si procura una jeep, impianta un "registro delle ricognizioni" su cui annoterà, per ognuna, data di effettuazione, partecipanti, itinerari, chilometri percorsi, località ispezionate, numero e nazionalità delle salme recuperate. Tra il settembre del 49 ed il gennaio del 50 recupera 62 salme, tra italiane e tedesche. Nel giugno del 50, a Roma per la cerimonia di consegna delle decorazioni al V.M. concesse al suo battaglione, il Maggiore Sillavengo ne incontra i reduci. Tra essi il guastatore Chiodini, veterano di Trobruk e argento al V.M., si offre di raggiungerlo a Q. 33 e di rimanervi sino alla fine della missione, "per dare una mano!". Accettato! Il 4 ottobre il diario di Sillavengo registra: "E' arrivato Chiodini ed ha portato una seconda jeep. Con questo arrivo si può dire che il XXXI è ritornato sul campo di battaglia, unico tra le centinaia di unità italiane... Da oggi, qui nel deserto, riappaiono due cappelli alpini e il gagliardetto bianco-rosso", l'insegna del battaglione in guerra. E il lavoro riprende con lena rinnovata. Il 1950 è l'anno del settore della "FOLGORE" e quello in cui la Bandiera della Patria riappare a Q. 33. Il 18 settembre gli Allievi dell’Accademia Navale, alla fonda ad Alessandria, giungono ad El Alamein ed alzano, sull’albero di Q. 33, la bandiera della Marina Militare. Alla sagola è l’Allievo Amilcare ZANETTI, figlio del Ten. Col. Zanetti, già C.te del 66° fanteria della Divisione “TRIESTE”, caduto ad El Alamein ed ivi sepolto. Nel 1951 è la volta dei settori della "TRENTO" e della "TRIESTE"; il 1952 è dedicato alla ricerca ed al recupero dei cimiteri tra Alamein ed il confine con la Libia ed in quell'anno le jeeps dei guastatori saltano ben due volte sui campi minati. Nel 1953 viene ritrovato il cimitero della Brigata Greca. La ricognizione 220 segna una svolta inattesa nella vita del Maggiore Sillavengo. La ricognizione ha un ospite: Elena Sciolette e nel diario si legge: "L'ospite è una giovane turista, bruna e seria, dagli occhi chiarissimi.... Un'ospite importante e di qualche ingombro, per gli uomini del deserto". Il diario non dice, e non poteva, che di lì a cinque anni quell'ospite di "qualche ingombro" sarebbe diventata sua moglie. 10 febbraio 1954:   "Riassunto dell'attività svolta dall'1.7.1948 ad oggi:
a.
riordino e manutenzione del cimitero di Q. 33, con scrittura ed applicazione di circa 6.000 targhe alle croci, lapidi ed emblemi araldici delle unità nel cimitero e nel cortile d'onore;
b.
corrispondenza con oltre 1.000 enti e famiglie;
c.
costruzione della base di Q. 33 e suo ampliamento, del cortile d'onore (con due monumenti, il museo, la base tedesca, la moschea ed il cimitero per gli Ascari libici ed i servizi), di due ossari provvisori tedesco ed italiano, di due autorimesse e dell'alloggio dei guardiani;
d.
241 ricognizioni con un totale di circa 220.000 km e recupero delle seguenti salme:

dal campo di battaglia: Italiani 490, Tedeschi 465, Alleati 208, Ignoti di Nazione ignota 63. Totale: 1.226; dai cimiteri secondari in linea o retrovie: Italiani 893, Tedeschi 975, Libici 205. Totale: 2.073; totale generale: 3.299. Ogni commento è superfluo.
Sacrario di El Alamein:
In quell'anno vi è un'altra grande notivà: il cimitero di Q. 33, troppo vulnerabile al trascorrere del tempo, deve essere sostituito con un grande Sacrario. All'ingegner Sillavengo è affidato il compito di progettare e di eseguire la nuova opera. Il 2 dicembre 1955 il Maggiore Sillavengo è promosso Ten. Colonnello e l'anno dopo, portata a termine la progettazione, inizia i lavori di costruzione del Sacrario. Nel 1957,a lavori in corso, il Ten. Col. Sillavengo, richiamato in servizio
"a domanda e senza assegni", è inviato a Murchison, Australia, per realizzarvi il Sacrario che oggi custodisce le salme dei soldati Italiani deceduti laggiù, in prigionia.
Ad Alamein i lavori continuano, unitamente alle ricerche, condotte dal solo Chiodini. L'opera sarà completata nel 1958 e vi saranno traslate le 5.364 salme di Italiani riesumate dal cimitero di Q. 33, che torna così ad essere un'anonima parte di deserto. Ricerca delle salme, opere di finitura e messa a punto del Nuovo Sacrario continueranno, sia pure con ritmi discontinui, per altri 4 anni, sino a tutto il 1962. Le statistiche ufficiali affermano che in terra egiziana, sono caduti 5.920 soldati italiani. Le salme reperite sono state 4.825; delle quali 11 successivamente rimpatriate e 4.814 tumulate nel sacrario di Alamein. Di esse 2.465 hanno un nome, 2.349 rimarranno ignote per sempre, note solo a Dio. L'impegno del Comandante del XXXI, del guastatore Chiodini e dei loro collaboratori beduini si sintetizza in 360.000 km di ricognizione nel deserto, di cui più di 100.000 in zone minate, con feriti e caduti; in oltre 1.500 salme recuperate dai campi di battaglia e in circa 1.000 caduti senza nome identificati. Tanta dedizione non è bastata per portare a compimento la grande opera pietosa: le spoglie di 1.095 soldati non sono state ritrovate e rimarranno "disperse" in eterno. Anch’essi parte dell'eroica
"legione d'anime rimasta a presidio del deserto".
  CONCLUSIONI.
Chi oggi si reca in pellegrinaggio ad El Alamein non trova più traccia di quanto accaduto 60 anni or sono. Quattro Sacrari militari, Greco, del Commonwealth, Tedesco ed Italiano(con arabi a parte), accanto alla fatidica q. 33, ed un piccolo museo della battaglia, voluto e gestito dal Governo egiziano, tengono vivo il ricordo, la pietà, il rispetto. Il deserto è cambiato, oggi una autostrada a quattro piste lo percorre, dove le case fatte con blocchi di tufo hanno sostituito le antiche tende beduine. Qualcuno, circa vent’anni or sono, scoprì che tutte le modeste alture della zona sono costituite da cappellacci di tufo, ottimo materiale da costruzione. Così la maggior parte delle quote che hanno contrassegnato lo sviluppo della battaglia sono scomparse per costruire villaggi turistici in riva al mare. Andando invece a sud, verso la Depressione, si incontra un ambiente rimasto più intatto. Gran parte delle vecchie piste carovaniere, sono state trasformate in piste rotabili, ad uso dei pesanti autocarri delle ditte petrolifere che hanno violentato il deserto in ogni sua parte, per scavarvi innumerevoli pozzi di petrolio. Oggi dalla stazione (ferroviaria) di Alamein si può scendere verso sud, con un permesso di polizia, lungo la “pista Rommel”, dalla quale si accede alla Depressione attraverso il Passo del Cammello. L’uso delle altre piste, la “Wiskey” e la “Chianti”, che raggiungono Qaret el Himeimat, è possibile solo avendo con sé, oltre il permesso di polizia, una guida autorizzata e pratica dei luoghi. Tante limitazioni per via dei campi minati, ancora micidialmente attivi. Lì si è nel vero deserto: senza un cespuglio, un arbusto, nulla. Solo sabbia, a perdita d’occhio. Difficile trovarvi tracce, di qualsiasi genere. Difficile immaginare come vi si potesse vivere, e combattere. Ogni anno, nell’anniversario della battaglia, alla fine di ottobre, viene svolta una grande cerimonia internazionale, la cui organizzazione compete a turno all’Italia, alla Germania ed alla Gran Bretagna e che dà vita ad un grande momento di incontro e di commozione. I Veterani, anche se sempre meno numerosi per ragioni anagrafiche, tornano ogni anno, per portare un fiore ed un saluto ai commilitoni caduti e là sepolti. Colpisce vedere uomini di oltre 80 anni che si ritrovano, fraternizzano, si abbracciano, indossano con estrema fierezza i copricapo e le decorazioni di allora e, nonostante l’evidente peso dell’età, hanno ancora atteggiamento deciso, fiero, trasmettono entusiasmo, fede, amor di Patria. Quale che sia la loro nazionalità. Si commuovono con facilità allorché i discorsi ufficiali rievocano le loro gesta e quelle dei loro camerati. Vedendoli, vengono spontanee alcune domande: “perché tutto questo insieme di eventi, di sacrifici, di sensazioni e di sentimenti non viene fatto conoscere alle generazioni più giovani? Perché tanto esempio non viene loro ricordato, pur lasciando a loro, ai giovani, ogni possibilità di meditare, riflettere su tutto questo? Perché, infine, non dare loro lo spunto per sentirsi orgogliosi dei propri padri?”. Questo, almeno, la Patria dovrebbe ai suoi Soldati e ai suoi Caduti di allora. Io vi do un suggerimento. Proponetevi, nella vostra vita, di recarvi una volta ad el Alamein. E se mai ve ne sarà l’occasione andatevi con i vostri figli. I depositari, i titolari del ricordo di tanta tragedia, di tanto valore, di tanto sacrificio siete voi e le generazioni che vi seguiranno, ricordatevelo! Andate, se potete, a vedere il deserto. Visitate il Sacrario con gli occhi della memoria. Ascoltate ciò che esso vi dirà con le sue forme architettoniche, con i cimeli che custodisce, con le lapidi che vi tengono vivo il ricordo di ciò che avvenne in quegli anni lontani, i nomi dei reparti, delle unità. Nell’interno della torre, ascoltate le voci silenti di coloro che vi riposano.

http://www.qattara.it/elenco caduti_files/Tumulati sito.pdf

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Lo scrittore e l'artista:
Prima di concludere la missione di El Alamein, Paolo Caccia Dominioni, nel 1958, sposa Elena Sciolette, e nella sua vita va via via attenuandosi l'impronta epica, che sino a qui ha predominato, mentre cominciano ad affacciarsi i sentimenti, le gioie, gli affanni e gli acciacchi della gente comune. E lui li vive con la grande partecipazione e dedizione che sono proprie del suo carattere. Dal loro matrimonio nascono due figlie, Bianca ed Anna, che cresceranno in quell'ambiente incantevole, creato poco a poco da una vita tanto vissuta, e che le affascina. Bianca dice:
"era un papà straordinario e noi lo adoravamo. Non riuscivamo a staccarci da lui."

Creata la famiglia, Paolo Caccia Dominioni ricomincia, con lena rinnovata, la vita professionale. Di questi anni è quasi tutta la sua produzione letteraria principale: "Takfir"; "Alamein"; "1915-1919"; "Ascari K7"; "Le trecento ore a nord di Qattara"; "Alpino alla macchia"; "La Frana del san Matteo" Molti sono anche i progetti, tutti eseguiti, di opere monumentali: l'ala del paracadutista, nella piazza dei Caduti a Viterbo e nella caserma Vannucci, a Livorno; il Sacrario di Tripoli; la Cappella della Folgore a Castro Marina; il monumento all'Artigliere da montagna ad Udine, quello ad Amedeo di Savoia, duca d'Aosta e quello agli “infoibati”, a Gorizia; la cappella degli alpini del btg. “Morbegno” sul dosso del Ronco, a Morbegno. Nell'anno 1983 il Commissario Generale Onoranze Caduti in Guerra gli chiede di progettare una meridiana da collocare su Q.33 e gli propone di andare a metterla in sito personalmente. Paolo Caccia Dominioni ha oramai 87 anni e qualche problema di salute ne limita molto l'attività. Ma niente potrebbe impedirgli di tornare alla sua quota, per cui progetta la meridiana e, accompagnato affettuosamente dalla moglie, va di persona a collocarla sul Sacrario. Nè mancavano gli amici, valga per tutti l’esempio di Peppino Prisco, avvocato milanese, già S.Tenente di Complemento nel Battaglione Alpini "L'Aquila", Divisione "Julia", 108^ Compagnia Alpini. Dalla campagna di Russia, e dal quadrivio di Selenyi Jar, "L'Aquila" tornò in Italia, da dove era partito forte di 51 Ufficiali, 52 Sottufficiali e 1.572 graduati ed alpini, in 3 Ufficiali e 159 alpini. Il più anziano di quegli Ufficiali, il S. Tenente Giuseppe Prisco, comandava il Battaglione. Trent'anni dopo suo figlio era S. Tenente di complemento nel battaglione "L'Aquila" e Paolo Caccia Dominioni ha sintetizzato questa continuità alpina in questo disegno: il veterano, in grigioverde, decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare, ed il “pivello”, sciarpa e sciabola. Non erano solo i veterani a richiedere l'opera di Paolo Caccia Dominioni: c'erano anche quelli delle generazioni più giovani, quelli che in guerra non c'erano stati per ragioni di anagrafe. Moltissimi, Ufficiali dell'Esercito del dopoguerra colsero l'opportunità di chiedergli un disegno, uno schizzo, una rappresentazione dei Reparti e delle Unità che comandavano, tale da sintetizzarne la storia ed i fasti e, soprattutto, da stabilirne un raccordo sicuro tra il presente post-bellico ed un passato troppe volte travolto nel solco della tragedia dell'armistizio e della guerra civile che ne era seguita. Ad ogni richiesta la risposta del Colonnello Sillavengo era sempre positiva senza alcuna esitazione nè riserva, purchè in essa vi fosse lo scopo di onorare chi aveva sacrificato la vita in armi, con sincerità ed animo puro, in nome del dovere e dell'onore militare. Un giorno andarono da lui alcuni reduci della Divisione Alpina "Monterosa", dell'Esercito della Repubblica Sociale Italiana, e gli chiesero qualche suggerimento per dare veste di Sacrario dei Caduti della Divisione ad un piccolo oratorio, San Rocco, situato nei pressi di Palleroso, un paesino della Garfagnana, sulla ex "linea Gotica", "teatro di aspri combattimenti fra le Armate Alleate e le Truppe Italiane che avevano rifiutato la capitolazione e contrastavano loro il passo". Ancora una volta la risposta del vecchio soldato, che pure aveva militato dalla parte opposta, fu "si". L'oratorio fu sistemato, le lapidi, con i nomi dei Caduti sapientemente composti, furono applicate alle pareti. Sotto di esse c'è una scritta:
"Qui sono murate la gloria e le pietre di Lepanto, 1571; Assietta, 1746; Goito, 1848; San Martino, 1859; Bezzecca, 1866; Adua, 1896; Tripoli, 1911; Trincea delle Frasche, 1915; Gorizia, 1916; Monte Santo e Monte Grappa, 1917; Piave e Vittorio Veneto, 1918; Mai Ceu, 1936; Tobruk ed Alamein, 1942; Don e Tunisia, 1943; Fronti Italiani, 1944-1945". Tanto equilibrio storico, tanta capacità di superare il momento delle passioni e dell'ira e di vedere il passato nel suo insieme, comprendendone gli indistruttibili legami con il presente, sono un'altra ed ancora più preziosa parte del retaggio che Paolo Caccia Dominioni ci ha lasciato.