LA 29a LEGIONE ITALIANA SS
Origine e formazione del reparto
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(Ndr del sito al paragrafo a fianco:
Non conosco le vicende del Maggiore Fortunato da marzo 43, quando il 6°
bersaglieri, in parte sacrificato in Russia rientra a
Bologna, alla data dell’armistizio. Il reggimento, a differenza
del 3°, esce infatti invitto dalle steppe russe, combattendo coi tedeschi fino
alla fine di febbraio del '43, alla vigilia della controffensiva che si
riprenderà, per ora, molto del territorio perso con la ritirata salvo
Stalingrado (che per noi
resterà per decenni come un marchio di fuoco "LA RITIRATA DI RUSSIA". Tutto lascia intendere che lo stesso non
fosse mai rientrato)
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IL DEBICA SS
BATTALION
From September to the end of February 1944, a separate
SS-Battalion was being formed in the SS Heidelager Training Grounds at
Debica, Poland. Major Guido Fortunato, who was a former Bersaglieri
officer who served in Russia (sixth bersaglieri regiment), was tasked in the selection of new
recruits loyal to the Germans. Most of the volunteers came from the
Italian XXXI (31°) Anti Tank Battalion of the Lombardia Division and the
elite Alpine Julia Division. These volunteers followed a different
training program from those of Munzingen
(l’altra località dove furono
formate le divisioni della Repubblica Sociale con ex internati in
Germania).
The formation, which had 20 officers and 571 men, was
referred as "SS-Battalion Debica." For the most part these troops were
considered as Waffen-SS men (Gli appartenenti portarono sempre le
mostrine nere e spesso, pur non autorizzati, le rune SS. Le waffen erano
solo la parte combattente del ben noto corpo tedesco e comunque per gli
italiani si trattava di un termine improprio perché la dicitura era
"unità armate italiane delle SS").
By early March 1944, the men of the SS-Battalion Debica were provided
with German Parachute uniforms. On 21 March 1944, the SS-Battalion
Debica was deployed to do anti-partisan operations around the Pellice
Valley, southwest of Turin. Anti-partisan operations lasted till May
1944. On 12 April, the SS-Battalion Debica was incorporated into SS
Battle Group "Diebitsch" However, it was not deployed to the Anzio
Front Lines. During April and May, the battalion fought around Nocera
Umbra, Assisi and San Severino Marche. During these anti-partisan
operations the battalion suffered 50 casualties. New volunteers were
able to keep the battalion with strength of 500 men with 20 officers. In
early June, SS-Battalion Debica, which subordinated to the German 1st
Parachute Corps fought on the northern side of Rome along the Tyrrenic
Coast against partisans behind the German lines and American tank units.
In May 1944 Himmler ordered "Because of the demonstration of courage and
sense of duty displayed by the volunteers of the Italian SS, they are designated as units of the Waffen-SS with all the duties and rights that
implies." The significance of this order meant that unit members of the
SS Füsilier Battalion 29 "Debica" and the II Battalion, Waffen-Grenadier
Regt. 81 ("Vendetta" - under Waffen-Obersturmbannführer Federico degli
Oddi) were permitted to wear black SS collar patches instead of the
hybrid SS/Italian Army maroon. Of course, only 210 members survived to
be awarded the distinction after the Anzio battles!
( Il valore dei
Legionari fu ricompensato con ben quarantacinque Croci di Ferro e
cinquantasette Promozioni per merito di guerra). Because the Debica
battalion was under strength it was sent to Pinerolo for refitting. By
August, the battalion was in full strength and was tasked to take part
in Operation Nightingale against partisan strong points in the Chisone
and Susa Valleys. On September 7 the SS-Battalion Debica became part of
the new "Waffen-Grenadier Brigade der SS (Italian nr. 1). The battalion
was converted into the new "Waffen-Fusilier Btl. der SS 59" (59th
Waffen-SS Reconnaissance Battalion). |
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I prodromi della adesione italiana a
formazioni SS |
Medagliere del Maggiore Guido
Fortunato ex Com. del XIX Btg. del 6° Bersaglieri in Russia
-Croce di Ferro tedesca di 1° e 2° classe per i combattimenti di
Bobrowskij agosto 1942
-Medaglia di Bronzo per i combattimenti di Bobrowskij quota 208 dal 1 al
2 agosto 1942
-Medaglia d’Argento per i combattimenti di Bobrowskij Jagodnij quota 208
del 23/8/1942
-Medaglia d’Argento per i combattimenti di Bolan Birinkof del 17/18
dicembre 1942
-Medaglia d’Argento per i combattimenti di Krassnjavka del 27 dicembre
1942
-Medaglia di Bronzo per i combattimenti di Pavlograd del 18 febbraio
1943
"Il comandante
supremo della SS ha disposto, per ordine del Fuhrer, la costituzione
della I Brigata Italiana Granatieri SS. In base a questo la I Brigata
d'Assalto della Legione SS Italiana porterà, con effetto dal 27/04/44
(retroattivo) la suddetta denominazione. Ciò significa un riconoscimento
del Comandante Supremo della SS per l'attività da voi svolta "
Obergruppenfuerer u. General der
Waffen SS f.to Wolf |
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(sunti e passi dal libro di Enzo Caniatti
LEGIONE SS ITALIANA Aliberti Ed. Reggio E)
In Dalmazia col nome del suo comandante, il console Paolo
De Maria, che l’8 settembre, venendo meno agli ordini del comando
divisionale, aveva convinto i suoi uomini (89a Legione CCNN d’assalto
della Divisione Bergamo) a rimanere alleati con i nazisti, si era
formato il Miliz-Regiment De Maria che possiamo considerare
l'antesignano delle prime SS italiane: Inquadrato nella Ordnungspolizei
(polizia d’ordine), ma sotto il diretto comando della 114a Gebirgsjäger
Division (gli alpini tedeschi), al “nuovo” Miliz-Regiment De Maria fu
affidato il delicato compito di presidiare la linea ferroviaria
Drnis-Sebenico, spesso attaccata dai partigiani. Dopo alcune traversie e
disguidi l'unità finì in Germania al nuovo centro di addestramento per
Italiani di Münsingen, nel Baden Württemberg. Münsingen e le sue
appendicik era di fatto un poligono della Wehrmacht, adattato a ospitare
alla bell’e meglio i volontari, il cui numero era inaspettatamente
cresciuto in modo esponenziale (quasi 15.000 uomini). Gli arruolatori
non avevano fatto alcuna cernita preliminare, accettando tutti i militi
dichiaratisi pronti a combattere al fianco dei tedeschi. Molti, in
realtà, si erano decisi per l’arruolamento considerandolo una facile
scorciatoia per uscire dal campo di prigionia e tornare poi in Italia.
Tra loro c’erano persino dei delinquenti comuni fuggiti dalle carceri
italiane nel marasma dell’8 settembre. A causa del sovraffollamento, le
condizioni di vita nel campo erano tutt’altro che ideali. Gli istruttori
della Wehrmacht erano pochi e l’armamento scarso; l’addestramento fu
pressoché inesistente. I primi tre di 12 btg costituirono il 1°
Reggimento milizia armata, nato dall’evoluzione del Miliz Regiment De
Maria. Ai primi di novembre iniziò a nevicare e la situazione si fece
sempre più difficile per le migliaia di soldati privi di cappotti e
indumenti di lana (avevano ancora le divise estive). Ma non tutti i
comandanti italiani accettarono passivamente la situazione. Il maggiore
dei bersaglieri Guido Fortunato riuscì infatti a convincere i
responsabili delle Waffen-SS che in quella massa di soldati “straccioni”
c’erano anche volontari assai motivati e degni di ben altro trattamento.
Sotto la sua guida fu effettuata un’attenta selezione con cui si
individuò un numero di elementi sufficiente a formare un battaglione (a
Feldstetten. La prima cernita aveva portato a un 10% i validi). Gli
uomini di Fortunato si trasferirono in un vero e proprio campo
d’addestramento delle Waffen-SS e divennero in seguito il Battaglione
Debica, unità d’élite della futura Legione SS italiana. Il
risultato di una ulteriore scrematura fu che le Waffen-Miliz si
ridussero a poco più di 8.000 effettivi. Per incrementarli venne
incorporato nell’unità il 19° Battaglione camicie nere (Fabris)
fedelissimo, costituito da volontari lombardi, che si trovava nei
Balcani dal 1941 e che aveva dato prova di assoluta lealtà all’alleato
germanico. Lealtà rimasta salda anche dopo l’8 settembre, quando il
Fabris, era passato direttamente sotto il comando della 1a
Gebirgs-Division, schierata lungo la costa ionica greca |
Ndr del sito:
Molti degli ufficiali
selezionati, provenivano dal 31° battaglione anticarro della divisione
Lombardia, dislocata in Croazia (alle spalle di Fiume) a settembre `43.
Un’altra fonte dice che parte di quel 31° Btg finì invece nella 11a SS
Nordland. Dopo la battaglia di Roma quando Himmler dà l’autorizzazione
alla trasformazione delle legioni (siamo ancora molto lontani dalla
definizione di Waffen SS). Tale formazione era si inquadrata da
personale tedesco ma armi e materiali erano della Ordnungspolizei. Ciò
era evidenziato dall’assenza del nome SS, delle relative mostrine (rosse
e senza rune) e dall’uso della terminologia della Wehrmacht.
Moltissimi altri
Italiani erano passati senza tanta burocrazia,
direttamente ai reparti tedeschi e nessun distintivo ne poteva tradire
l’origine. L’impiego di italiani fedeli, prima ai servizi poi in linea,
si era reso necessario per sfruttare mezzi e attrezzature, abbandonate
dopo l’8 settembre ancora in grado di funzionare (e talmente
arretrate che conoscevamo solo noi).
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Quali sarebbero
stati i compiti di questo reparto in Italia li si capisce dal passo
successivo
Himmler aveva ben chiaro il
ruolo dei legionari italiani e aveva seguito con interesse i rapporti
sulla preparazione dell’Italienische SS Freiwilligen Bataillon Debica (20
ufficiali e 571 uomini), così chiamato dal nome della cittadina polacca
in cui aveva svolto l’addestramento. A Debica al „SS-Truppen-Ubungsplatz
Heidelager“ sorgeva infatti uno dei più duri campi di formazione delle
Waffen-SS per i volontari stranieri. La preparazione militare
comprendeva, fra l’altro, corsi di antiguerriglia, dato che spesso sul
fronte orientale i reparti delle Waffen-SS erano impiegati in azioni
contro le bande partigiane. Passati due mesi particolarmente duri, i
volontari agli ordini del maggiore Fortunato indossarono le uniformi
tedesche. E furono tollerate, anche se non ufficializzate, le rune SS
sul bavero della loro giubba. Forte di seicento uomini, il Debica tornò
in Italia nel febbraio del 1944, acquartierandosi a Pinerolo in attesa
di essere impiegato. Anche il Battaglione Fabris, di stanza ad Aosta,
sin dal dicembre era stato impiegato in azioni antiguerriglia e a
sostegno del locale presidio tedesco. Durante un rastrellamento fu
catturato nel villaggio di Armay lo scrittore Primo Levi, entrato in una
banda partigiana ispirata al Partito d’azione. In quanto ebreo, egli fu
trasferito nel campo di transito di Fossoli, presso Carpi (Modena), per
poi essere destinato al Lager di Auschwitz, dove riuscirà
miracolosamente a sopravvivere fino alla liberazione da parte
dell’Armata rossa, avvenuta il 27 gennaio 1945 (in quanto chimico).
Nel marzo del 1944 il Battaglione Debica prese parte all’operazione
Spärber («sparviero») nelle cosiddette valli valdesi del Piemonte: Val
Pellice, Val Luserna e Val Germanasca. L’obiettivo era annientare, con
un’operazione su vasta scala, le formazioni Giustizia e libertà, ben
armate e forti di oltre mille uomini, che avevano avuto “l’impudenza” di
occupare Bobbio Pellice e fare prigioniero l’intero presidio della GNR.
Quell’azione aveva mandato su tutte le furie il commissario del Partito
fascista del Piemonte, che chiese a Wolff l’invio delle SS, ottenendolo.
Era stato messo insieme un possente gruppo di combattimento, costituito,
oltre che dal Debica, dal 1° Battaglione dell’SSPolizei- Regiment 15,
dalla 2a Compagnia della Feldgendarmerie-Abteilung 541, da un plotone
della Gendarmerie-Hauptmannschaft Piemont, dalla compagnia OP del 614°
Comando provinciale della GNR di Bergamo, dalla compagnia Arditi del
Gruppo corazzato Leonessa della GNR, più altri elementi di diversi
reparti sia tedeschi sia italiani: per un totale di oltre 1500 uomini
dotati di armamenti pesanti, mezzi blindati e carri armati
leggeri....Superiore in uomini e armamenti, il Debica inflisse pesanti
perdite al nemico, occupandone una dopo l’altra le roccaforti: Bobbio
Pellice il 22 e Villanova il 23. Risalita tutta la Val Pellice, il
Debica si concentrò poi a Bobbio Pellice, in attesa di essere utilizzato
nel rastrellamento della Val Germanasca. Lì si erano rifugiati i
partigiani superstiti della 5a Divisione giustizia e libertà. Per la
verità, erano già in azione i reparti tedeschi, che avevano circondato
le forze partigiane. L’intervento del Debica tagliò loro ogni via di
fuga, e i pochi superstiti furono costretti alla resa. L’operazione
Spärber, prima azione su vasta scala contro la Resistenza, si concluse
con circa 500 partigiani morti e 150 catturati.da
Pisanò ...Alla fine di febbraio del 1944, il battaglione che, dalla
località del campo di addestramento, si distingueva ormai con il nome di
"Debiça", venne fatto rientrare in Italia. Giunto in ferrovia a Pinerolo
si dislocò nella caserma degli alpini alle dipendenze dirette del
Comando di Brigata. Nel mese di marzo, il "Debiça" raggiunse Luserna San
Giovanni, da dove, il 21 marzo, compì un'azione di polizia su Rorà. In
quella occasione venne ferito gravemente il capitano Daldosso. Nei
giorni successivi alcune compagnie del battaglione rastrellarono la
Valle Germanasca, perfezionando cicli operativi svolti da altri
battaglioni della Brigata "SS" italiane. Nell'aprile, il battaglione
venne trasferito in Umbria e si dislocò a Spoleto, da dove operò puntate
di alleggerimento contro i guerriglieri attestati nella zona di Passo
della Scheggia, La Scheggia, Gubbio, giungendo sino a San Severino
Marche riuscendo, così, ad allontanare l'insidia partigiana dalle grandi
vie di rifornimento, tra le quali l'essenziale via Cassia. Alla fine del
ciclo operativo nell'Umbria, il battaglione si trovò a contare cinquanta
elementi in più, perché tanti furono i giovani che chiesero
l'arruolamento. In maggio (44) il "Debiça" venne schierato sul fronte di
Nettuno, alla destra della linea di difesa, e nei pressi di Santa
Marinella, Balo e Fiumicino. Su quelle posizioni, i legionari
contrastarono gli attacchi del nemico con il massimo vigore e senza
cedere terreno. Sono di quel periodo brillanti episodi di valore
individuale, specie nella lotta ravvicinata contro i carri armati,
soprattutto da parte della" 1a compagnia" . Quando gli alleati
ruppero il fronte, il "Debiça" ripiegò combattendo in direzione di
Viterbo tenendo sempre a distanza le forze motocorazzate angloamericane
che si erano lanciate all'inseguimento delle nostre truppe. La ritirata
proseguì su Firenze con i mezzi di fortuna più svariati. Una compagnia
si autodefinì "ciclista" in quanto procedeva su bicliclette requisite un
po' dovunque. Un'altra si chiamò "montata" perché si era imbattuta in
alcune centinaia di cavalli che servirono ottimamente per non andare a
piedi. Da Firenze, a mezzo ferrovia, il battaglione venne dirottato su
Forlimpopoli dove poté riordinarsi. Il 25 giugno il battaglione si
rispostò a Pinerolo prendendo stanza nella caserma di Cavalleria.
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"...Il comando della polizia tedesca
del Litorale Adriatico ordina il disarmo dei carabinieri rimasti in
servizio nella Provincia..... Tutti i militari che, "interpellati sul
posto" non accetteranno di essere incorporati nelle SS o nella MDT
(Milizia Difesa Territoriale), dovranno essere fermati e poi condotti a
Trieste"". Giampaolo Pansa, il Gladio e l'Alloro Mondadori Editore,
Milano 1991).
Lasciamo ai ricordi del sergente Pietro Ciabattini
(2 nota fondo pagina), la descrizione molto precisa dei momenti cruciali
del passaggio di
consegne con la resa del comandante Degli Oddi, e il successivo
sanguinoso scontro a fuoco, avvenuto nel primo pomeriggio del 26
aprile, tra la colonna del Maggiore Comelli, proveniente da Meda, e
gli insorti marianesi. Il racconto del Ciabattini è molto importante
perché descrive per la prima volta, forse in modo un po’ ingenuo ma
“dall’interno”, dalla “parte dei vinti”, lo stato d’animo dei
militari, la convivenza con la popolazione locale ed infine le
concitate fasi della resa, che metteremo in parallelo con la
versione ufficiale, già ampiamente conosciuta, stilata a bocce ferme
dal Comitato di Liberazione Nazionale e integrata dalle importanti
annotazioni del Cronicon parrocchiale di Mons. Giuseppe Bianchi.
La vita di quella gente (parla dei brianzoli ndr) era molto
semplice: casa, lavoro e chiesa. Per le giovani c’era la fabbrica
oppure il ricamo con il tombolo, e per i giovani di leva o
l’arruolamento nella R.S.I. o l’internamento nella vicina svizzera.
Questo accadeva anche a Mariano Comense e in altri paesetti vicini.
Nulla turbava la nostra tranquillità, anche perché i paesani
sapevano che eravamo reparti combattenti in via di ricostituzione e
non addetti a nessuna repressione. (3) Insomma incontrammo una vasta
comprensione da parte della popolazione che, salvo in un caso
“disgraziato” (4), non venne mai meno. Il fatto di chiamarsi SS
Italiane non suscitava un particolare sentimento di odio verso di
noi e ciò ci consentiva di avere rapporti normali con tutti gli
abitanti e di vivere una vita di presidio nella massima familiarità. |
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Da
http://www.ilduce.net/speciale26.htm
I reduci italiani del fronte russo della
SS Lah ebbero il privilegio di continuare a portare le mostrine nere con
la doppia runa delle SS. Un’altra cinquantina di italiani della Lah,
vennero assegnati invece nella primavera del ’44 alla 12° divisione
Hitler Jugend. Una decina di superstiti di quest’ultima fecero ritorno
in Italia solo nel gennaio ’45. Anche nella 16° divisione SS
Reichsfuhrer, che operò sul fronte italiano, vennero arruolati circa un
centinaio di italiani nelle unità di supporto e amministrazione. In
Grecia, la 4° divisione SS Polizei arruolò alcune centinaia di italiani
della milizia e dell’esercito nell’area intorno a Volos. Inizialmente i
volontari continuarono a portare l’uniforme italiana venendo impiegati
principalmente nelle unità di supporto della divisione. La 2° compagnia
di sanità della Polizei era composta interamente da autisti italiani.
Gli appartenenti alla milizia vennero invece impiegati nei reparti
combattenti: nel 7° reggimento Panzer Grenadier della divisione operò
fino all’autunno del 1944, nell’area intorno a Larissa, un’intera
compagnia di camicie nere (circa 180 uomini) denominata La Compagnia
Camicie Nere L’Aquila. Con altre camicie nere venne organizzato un
Gruppo d’artiglieria. In Jugoslavia, un migliaio di italiani vennero
aggregati alla 7° divisione SS Prinz Eugen. Circa 500 volontari italiani
provenienti dai reparti dislocati in Francia dopo l’8 settembre, vennero
arruolati nella 17° divisione SS Gotz Von Berlichingen, grazie
all’attività propagandistica del cappellano militare Padre Eusebio. La
divisione agli ordini dell’oberfuhrer Ostendorff era in corso di
costituzione nei pressi di Tours. Così molti italiani si ritrovano con
la divisa SS a combattere contro gli alleati in Normandia nel giugno
1944. La divisione perse la metà dei suoi effettivi durante i
combattimenti: i volontari italiani, circa un centinaio, rientrarono in
Italia, e vennero aggregati alla Legione SS italiana e al Reggimento
delle Brigate Nere di Alessandro Pavolini. Anche nella 28° divisione SS
Wallonie, del mitico Leon Degrelle, vennero impiegati un centinaio di
volontari italiani. Si trattava per lo più di nostri connazionali che
erano nati in Belgio o si trovavano lì per motivi di lavoro. Nel
dicembre ’44 una cinquantina di essi, insieme con una decina di
spagnoli, chiesero di poter essere trasferiti in Italia nella Legione SS
italiana. Degrelle acconsentì e nel gennaio ’45 il gruppetto
italo-spagnolo giunse a Rodendo-Saiano al battaglione di addestramento
di Thaler. Un altro centinaio di volontari italiani già inquadrati nella
Legione SS italiana, che vennero inviati a Praga per seguire un corso di
specializzazione come Panzer Grenadier, vennero per l’evolversi degli
eventi, inquadrati nella 10° divisione SS Frundsberg. La maggior parte
di loro finì dispersa nei combattimenti sul fronte dell’Oder nel
febbraio ’45. Nell’aprile ‘45
la forza totale della legione era di poco superiore ai 6.500 uomini (ma
alcune stime dicono anche il doppio). Le
unità dipendevano dal comandante Waffen SS in Italia, Gruppenfuehrer
Lothar Debes con sede a Calmiero nel veronese che a sua volta dipendeva
dal Obergruppenfuehrer Karl Wolff, comandante supremo della polizia
tedesca in Italia. I reparti operativi vanno distinti in unità
combattenti e di riserva. Le prime erano inquadrate nella brigata
divenuta nel febbraio ‘45 la 29° Waffen Grenadier Division der SS. Era
un unità di fanteria su due reggimenti, 81° e 82°, un reggimento di
artiglieria, un battaglione fucilieri (il Debica), un battaglione
ufficiali e complementi, una compagnia pionieri, una compagnia
trasmissioni per un totale di 5.000 unità sulle 6.500 della legione. I
1.500 o forse più della differenza erano i servizi speciali. I servizi speciali
dipendevano direttamente dall’Abweher 190 e consistevano in azioni anche oltre
le linee alleate, nella predisposizione di piani di difesa delle città,
ma non solo: nuclei SS vengono individuati nel trasferimento prigionieri
politici, partigiani ed ebrei per i campi di concentramento. Poco o nulla si sa di questo tipo di operazioni, due sono gli
episodi più noti di cui si hanno maggiori notizie: la fucilazione il 26
maggio 1945 dei legionari Sabelli e Testorio a Roma (da notare che la
guerra era terminata da un mese) e la resistenza dei Franchi Tiratori a
Firenze che contrastarono casa per casa l'avanzata dei partigiani e
delle truppe anglo americane per 7 giorni. Gli ultimi Franchi Tiratori
furono uccisi sulle gradinate del Duomo di Firenze. Molti partigiani di
Tito finivano alla risiera San Sabba di Trieste gestita dalle SS.
La fine |
Nelle ultime sere di permanenza, discutendo con i colleghi del
comando, espressi la quasi certezza che lì, a Mariano Comense,
nessuno ci avrebbe torto un capello e che, superate indenni le prime
ventiquattro ore di una qualche probabile confusione, chi non aveva
nulla da farsi perdonare avrebbe potuto sperare di ritornare alle
proprie case.
Rimaneva il dubbio su coloro che sarebbero potuti affluire in paese:
infatti, nulla sapendo delle nostre posizioni personali, avrebbe
potuto vendicarsi a casaccio, oppure su indicazione precisa. Un
marito geloso, una sopraffazione, una frase male intesa; insomma, i
motivi ci potevano essere anche se non valutabili, ed era logico che
ciò fosse fonte di preoccupazione. La sera del 25 aprile le cose
precipitarono. Un messaggio del Maresciallo Graziani, giunto a tarda
ora, precisava che il nostro Comando di Battaglione e tutti i
reparti dipendenti si dovevano tenere pronti a convergere su Como,
il giorno dopo, con gli automezzi in dotazione. Fu a quel punto che
in noi si riaccesero le speranze di raggiungere tutti uniti la
Valtellina, e di lì resistere quanto ci sarebbe stato possibile.
Giunsero anche due auto militari tedesche sforacchiate da vari
proiettili e gli occupanti ci riferirono che presso Meda esistevano
già vari posti di blocco partigiani. Nella gravità del momento il
Colonnello tenne rapporto agli ufficiali ed impartì le dovute
disposizioni. Poi, dopo una cena tutt’altro che tranquilla, fece
portare in cucina un paio di casse di legno piene di documenti.
Licenziati tutti i presenti e data, si fa per dire, la buonanotte,
mi pregò di rimanere con lui. Demmo alle
fiamme svariati incartamenti che non sarebbero dovuti cadere in mano
di eventuali nemici. Ad ogni inserto gettato nel fuoco, egli
scuoteva la testa in segno di dispiacere. Bruciò anche una lettera
autografa di Mussolini che lo elogiava personalmente per il modo in
cui aveva condotto il suo reparto sul frante di Anzio.
Quel momento non ho mai potuto cancellarlo dalla memoria. Anch’io
bruciai, piangendo di rabbia, un diario dedicato alla mia mamma,
scritto dal giorno che ero saluto su quel camion tedesco che mi
avrebbe portato all’avventura di guerra.
Era la fine! La fine di tutto. Di tutto quello in cui io avevo
creduto per tanti anni, unitamente ai miei famigliari ed a
moltissimi amici. Al mattino la villa (5) si mostrava nella sua cupa
tristezza. Molti appartenenti al comando risultarono introvabili e
lo stesso corpo di guardia era incompleto. La diserzioni dell’ultimo
momento si erano già manifestate. Così pure era accaduto dal
deposito e dagli altri accantonamenti vicini. Era quasi previsto.
Notai con non poco stupore che anche la cuoca ed il personale
femminili non era giunto in villa. Il cielo era uggioso e
pioviscolava. Il cortile era già pieno di camion approntati per noi,
ma gli autisti non c’erano ancora. Credetti opportuno, sia pure in
anticipo sull’orario previsto, salire in camera dal Colonnello per
aggiornarlo della situazione. Egli, ribadito l’ordine di partire
dopo il rancio, mi comandò di andare a prelevare la cuoca a casa
sua, in via Garibaldi, e condurla al lavoro.
Appena uscito dal cancello, attraversando la via mi sentii suggerire
dal proprietario del bar (6) che era davanti alla villa che oramai
sarebbe stato giusto togliere quelle bandiere che avevamo sul
balcone. Gli risposi un po’ spavaldamente, che fino a quel momento
non ci erano giunti ordini in proposito, ma se lui lo credeva
opportuno, avrebbe potuto avanzare la richiesta direttamente al
Colonnello. La cosa non ebbe seguito e giunto a casa della cuoca la
invitai a seguirmi. Lo fece malvolentieri, sostenendo che la
presenza nella villa, dati gli avvenimenti, era per lei motivo di
timore. Comunque mi confermò che le sue aiutanti non si sarebbero
presentate poiché avevano paura. Preparato il caffè e il latte per
tutti i presenti, iniziammo i preparativi per il rancio. Vedendo che
nonostante il precipitare degli eventi io mi davo da fare come al
solito, Lina Groppo, così si chiamava quella donna, mi fece un
discorso che suonava pressappoco così:
“Sentite, sergente, qui è solamente questione di un’ora o anche
meno, poiché i partigiani stanno arrivando in paese e vi prenderanno
tutti con conseguenze imprevedibili. Può darsi che ci possa essere
resistenza da parete di qualcuno, sarà sparso del sangue inutilmente
e la fine sarà la stessa. Ora posso rivelarvi che appartengo ad un
gruppo di partigiani denominato “Lariano-Ticinese” e quindi
conoscendovi come un bravo ragazzo ed in buona fede, vi prego di
prendere la vostra roba e seguirmi a casa mia, poiché io non intendo
rimanere qua dentro un minuti di più”.
Inutile dilungarmi sullo stupore che causarono in me quelle parole.
In pochi secondi appresi che per tre mesi avevo avuto accanto come
più diretta collaboratrice addirittura una partigiana introdotta in
quel comando al fine di poter carpire notizie utili a chi ci
combatteva. Era proprio il colmo. Non avevo finito di chiudere la
bocca per lo stupore che il sergente Dossena, addetto all’autoparco,
mi riferì che gli automezzi con i quali avremmo dovuto partire erano
stati resi inservibili. Chi era stato? Io pensai proprio a lui.
Federico degli Oddi, dopo aver udito le notizie che gli portavo,
autorizzò tutti a comportarsi come meglio credevano e gli ufficiali
e sottufficiali a raggiungere le famiglie alloggiate nei dintorni.
Al colonnello chiesi se potevo distribuire ai presenti ciò che
rimaneva dei viveri e dei generi di conforto che avevo in carico,
comprese sigarette, tabacco, fiammiferi e grappa, prima che
cadessero in mano a i nostri nemici. Non solo egli mi negò quanto
chiesto, ma pretese che redigessi immediatamente in duplice copia
una nota di quanto era in mia custodia, compreso la cassa. Precisò
che era sua intenzione darsi prigioniero alla prima autorità
militare che si fosse presentata e lo avrebbe fatto, se possibile,
rispettando l’etica consueta che prevedeva un regolare scambio di
consegne con tanto di ricevuta. A un mio tentativo di riserva si
arrabbiò. Credetti davvero che fosse diventato grullo, ma dovetti
obbedire. Povero Colonnello, non aveva inquadrato bene l’immediato
futuro!
La cuoca ribadì che avrei potuto seguirla a casa sua dove non avrei
corso alcun pericolo. Mi aiutò a preparare quelle poche cose che
possedevo e con mio grande imbarazzo uscimmo dalla villa e ci
avviammo alla sua casa. Al posto di guardia non c’era più nessuno,
mentre il paese mi parve deserto. Attraversando la strada, guardai
per l’ultima volta le bandiere che pendevano bagnate dalla ringhiera
del balcone. Mi sentii perduto quando, aperta la porta
dell’abitazione, intravidi nella stanza un numeroso gruppo di uomini
armati, alcuni conosciuti, altri no. Credetti di essere caduto in un
tranello, invece la cuoca, il marito e chi già conoscevo mi
tranquillizzarono. Nessuno fece caso alla mia presenza, tanto era
frenetico l’andare e venire in quella casa. Capii che era proprio
quella la sede del comando insurrezionale di Mariano Comense. Iniziò
una sparatoria che si spostò verso il centro del paese, ma non mi
rendevo conto del perché. Chi era che si opponeva con tanta
determinazione? Il marito della cuoca disse che era l’elettricista
Cannago (Camnasio Luigi ndr), un vecchio fascista del luogo (7 )che
non intendeva farsi prendere, e come lui, sparava anche il
segretario comunale.
Poi, pian piano, i colpi si attutirono e cessarono del tutto, mentre
udivo voci esultanti che cantavano Bandiera Rossa. |
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Alla fine delle ostilità i reparti delle SS Italiane subirono
diversi trattamenti. I reparti che si arresero alle forze angloamericane
nella zona di Gorgonzola (Mi) il 30 Aprile 1945 vennero internati nei
campi di concentramento sparsi nella penisola, in particolare Aversa, Coltano, Rimini. I reparti che ebbero la sfortuna di essere
catturati da altre formazioni vennero, nella maggior parte dei casi
fucilati sul posto (Ordine del Corpo Volontari della Libertà Comando Militare
Regionale Piemonte, n°293 del 15 Aprile 1945 ) o dopo tre ore dalla
cattura
(Comitato Liberazione Nazionale, Divisione Autonoma Val Chisone
ordinanza
n°574 ). Gli eccidi più feroci avvennero nel Comasco ove alcune
formazioni di SS restarono tagliate fuori dal grosso della divisione
attestata nella bassa pianura lombarda (Gruppo Franz Binz).
Un attento lettore ci scrive chiedendo di
puntualizzare, precisare, gli eventi che hanno portato alla fine della Repubblica
Sociale nella forma e nella portata delle repressioni o rappresaglie
nella zona del comasco in cui stazionavano alcuni reparti della italiana 29a
divisione Waffen SS e di conseguenza nei confronti di suoi componenti. In base a ricerche
recenti (file sui caduti della RSI), siamo in
grado di fornire l'elenco più aggiornato dei "caduti" degli ultimi giorni di aprile del
1945, arco di tempo che interessa la presente narrazione. Mariano
Comense: Il paese, localizzato al confine della Brianza milanese,
divenne militarmente importante quando, nell’autunno del ‘44, venne
scelto come sede del Comando del 81° Reggimento delle Waffen SS Italiane
con a capo il Col. Degli Oddi. Il 23 novembre di quell’anno il
Maresciallo Rodolfo Graziani, Comandante Supremo delle Forze Armate
della R.S.I., venne personalmente a Mariano e davanti al battaglione
(1)
decorò la fiamma di combattimento di Medaglia d’Argento al V.M. con la
seguente motivazione : Esempio fulgido di fede e di grande amore alla
patria resisteva con inesorabile tenacia e valore all’impari e asperrima
lotta di più giorni consacrando con il sangue del 70 per cento dei suoi
effettivi il giuramento e scrivendo una delle più belle pagine di gloria
degne in tutto delle più alte tradizioni guerriere della vera Italia.
Fronte di Nettuno – Roma 17 marzo – 5 giugno 1944 XXII
Nota 1 -Il II°
Battaglione denominato “Vendetta”, o anche “Degli Oddi”, fu comandato
sul fronte di Nettuno dal senese Carlo Federigo
degli Oddi (Obersturmbannfuehrer), da gennaio ai primi di giugno del ’44. Il I° Battaglione che
era dislocato a Meda, era al comando del Maggiore Paolo Comelli, e a
Cantù, Vighizzolo e Cermenate era acquartierato l’82° Reggimento al
comando del Colonnello Celebrano. Tutti facenti parte della 29a Division
Waffen - Grenadier der Italienische SS
Caduti
1-IPPOLITI LUIGI , Tenente W.SS 81°Rgt.1°Btg., di
Francesco, nato a Fabriano (AN) il 20/03/1920 e res. a Osimo, fucilato a
Meda il 05/05/1945: Laureato in ingegneria, partì volontario nella
campagna di Russia come tenente del Genio. Era a Meda come comandante di
un plotone della I^ compagnia del 1° Btg.Fucilieri. Durante gli scontri
del 25 aprile a Cesano e Barlassina, rimase ferito ad un piede e
trasportato all’ospedale di Cantù. Dal 26 il nosocomio fu piantonato dai
partigiani e l’Ippoliti guardato a vista. Inutile fu il tentativo di due
suoi legionari mandati in borghese, dal maggiore Comelli (vedi sotto), con
l’intenzione di liberarlo. Riconosciuti dagli infermieri, i due
dovettero scappare e abbandonarlo al suo destino. Il 5 maggio tre
partigiani medesi lo prelevarono dall’ospedale con la gamba ingessata e,
legato su una barella, con un camion lo trasportarono a Meda dove alle
ore 17 venne fucilato con la barella appoggiata ad un muro di una casa
2- FRANCESCHINI GUGLIELMO,
Capitano 81° Rgt. W.SS - Btg.Debica, di Ettore, nato a Milano di anni
34, e fucilato a Mariano in data 28/04/1945: Aiutante Maggiore del Col.
Degli Oddi. Fu il giudice nel processo ai 6 disertori poi condannati a
morte e fucilati a Cantù Asnago. Fucilato insieme a CAMNASIO LUIGI , di
Francesco, nato a Mariano C.se nel 1896, di professione elettricista -
iscritto al P.F.Repubblicano, Nube (vedi sotto), Scano (vedi sotto) e
VISMARA ERNESTO , Guardia Scelta della Polizia Repubblicana - Questura
di Como, nato a Seregno il 14/09/1911.
3-SCANO DAVIDE, Tenente 81° Rgt. W.SS, di Giacomo,
nato a Torino il 06/05/1900 e fucilato a Mariano C.se in data
28/04/1945: Volontario di guerra nel 1917, poi in AOI e in Spagna con la
Milizia. Dopo l’8 settembre, mentre era internato in Germania, fu uno
dei primi ad aderire alla RSI e rientrò in Italia come ufficiale delle
SS Italiane con le quali, sul Fronte di Anzio-Nettuno, verrà ferito e
decorato con la Croce di Ferro tedesca di 2^classe. Il figlio
Alessandro, classe 1927, dopo un primo periodo nella GNR Legione
d’Assalto “Tagliamento”, a fine ’44 lo raggiungerà a Mariano C.se nel
Btg.”Vendetta” delle W.SS Italiane. Il 26 aprile quando il padre venne
arrestato, lui era di servizio a Cantù da dove, dopo molte peripezie e
fortunosamente, riuscì a raggiungere la casa di Torino. Seppe della
morte del padre solo a metà maggio da un’ausiliaria del suo reparto.
4-GOBELLO GIUSEPPE
, S.Tenente 81° Rgt.W.SS – di
Giovanni, nato a Sezzadio (AL) e residente a Tortona, di anni 35, e
fucilato in data 30/04/1945 a Mariano, con Parelli e Giuseppe Elli, Vice
Brigadiere GNR cp CO 610^, di Augusto e Coppa Vittoria, nato a Mariano
C.se il 12/09/1913: Combattente in AOI, Grecia e Croazia con i btg.
“M”della XVI^ Legione MVSN di Como
5-PARELLI GINO,
Serg.Magg. 81° Rgt.W.SS, di Lorenzo, nato a Bagno a Ripoli (FI), classe
1922, fucilato il 30/04/1945 insieme a Elli e Gobello.
6- POZZI LUIGI,
Leg. 81° Rgt. W.SS, di Francesco, nato a Carate B.za, di anni 17, caduto
in combattimento coi partigiani in P.zza Roma a Mariano C. in data
26/04/1945
7-Comelli Paolo
Magg. W. SS. It. 81 Rgt.-I Btg. di Giuseppe, n. a Udine il 01/08/1907
Fuc. 30/04/1945 a Introbio LC
8-Bettini Corrado
Cap. W. SS. It. Btg.Ufficiali di Primo, n. a Casalecchio di Reno (BO) il
09/10/1907, F 26/04/1945 a Cantu'-Vighizzolo CO
9-Mutti Marco
Cap. W. SS. It. Btg.Ufficiali di Giovanni, n. a Cadeo (PC), di anni 49,
F 26/04/1945 a Cantu' CO
10-Rosati Annibale Cap. W. SS.
Btg.Ufficiali di Giuseppe, n. a Popoli (PE) il 02/01/1902 fuc.
26/04/1945 a Cantu'
11-Pennisi Umberto
Serg. W. SS. It. Btg.Ufficiali di Sebastiano, n. a New York, di anni 31
F 26/04/1945 a Cantu' CO
Dispersi con
dichiarazione di morte presunta del loro comune di residenza:
Cap. Broccardi Pietro, Btg. Ufficiali
Gallina Sergio,
Caretto Mario
Caretto Piergiorgio,
Lemuth Gerardo.
Questo poco o
tanto che sia è la realtà, frutto delle mie ricerche sul campo, quindi
se si parla di strage di ufficiali o di interi reparti SS dopo la resa
in Brianza si fa solo confusione anche pensando che i due più alti
ufficiali, il col.
Degli Oddi di Mariano e il Col. Celebrano di Cantù,
che avevano firmato la resa nelle mani del CLN, se la cavarono senza
particolari problemi. Per esempio al campo sportivo di Seregno sono
finite da Mariano una ottantina di reclute con i rispettivi ufficiali e
sottufficiali (ho l’elenco originale con tutti i nomi) che sono
felicemente sopravvissuti. Gli unici ufficiali fucilati sono stati
quelli che, come spiego nel mio libro, erano implicati nel processo e
fucilazione dei sei disertori fucilati a Cantù Asnago, che, prelevati da
Seregno, furono poi passati per le armi a Mariano il 28 aprile e 30
aprile con altri fascisti locali. A Erba, all’albergo Malpensata, si
erano asserragliati alcuni reparti, come quello di Asso, insieme al btg.
Noseda della BN Rodini provenienti dalla Valsassina, poi arresisi al CLN
tramite un prete locale. I fucilati del gruppo sono stati quasi tutti
fascisti locali. Norberto Bergna
www.laltraverita.it
La fine del Debica
Gli ultimi giorni di guerra offrì ai due più agguerriti battaglioni
della divisione, il Debica e il Nettuno l’opportunità di chiudere il
conflitto col Kampfgruppe Binz (dal nome del loro comandante tedesco)
contro truppe regolari anglo-americane. Vennero incorporate nell'unita
anche una colonna di autocarri, una Batteria di cannoni 75/40, un
plotone servizi, un plotone pionieri e un plotone collegamenti. Binz
installò il comando a Piacenza, dislocando i due battaglioni (giunti dal
comasco in treno e in autocarro) lungo i due corsi d'acqua che scendono
dall'Appennino: il Debica nella valle del torrente Nure e il Vendetta in
quella del fiume Trebbia. Le SS dovettero fronteggiare le avanguardie
americane che puntavano verso nord. Il 26 aprile 1945 gli uomini del
Debica respinsero a colpi di Panzerfaust l’attacco di una colonna
corazzata americana, prima di ritirarsi verso Piacenza. Qui si
trincerarono in una fabbrica alla periferia della città, per consentire
agli altri reparti di attraversare in traghetto il Po. I partigiani
tentarono con rapide azioni di disturbare il ripiegamento ma, dopo avere
subito pesanti perdite, dovettero desistere. I vari tronconi del
Kampfgruppe si riunirono il 28 aprile alla periferia di Santo Stefano
Lodigiano. L’intenzione di Binz era di ricongiungersi nel bresciano con
Thaler, e quindi tentare di raggiungere l’Alto Adige. L’intera pianura
padana era, tuttavia, già in mano ai partigiani e agli insorti.
Nonostante ciò, la colonna SS, forte di oltre duemila uomini, dotata di
mezzi blindati e armi pesanti, poteva ancora respingere qualsiasi
attacco partigiano, per non parlare delle disorganizzate e male armare
bande di insorti. Il Kampfgruppe si aprì la strada verso nord, liberando
sul suo cammino i contingenti nazifascisti catturati, e raccogliendo i
reparti tedeschi dispersi, sino a formare un’unità che i partigiani
stimarono in oltre cinquemila uomini. Il CLN inviò più volte
parlamentari e tentò invano di convincere Binz ad arrendersi.
Altrettanto infruttuosi risultarono i tentativi di bloccare la colonna
aprendo il fuoco. Le SS risposero con estrema violenza. Tempestato di
richieste di aiuto dai comitati locali, il comando del CLN Alta Italia,
insediatosi a Milano, chiese l’intervento degli americani. Superata
Melzo, la colonna si vide così sbarrare la strada dagli Shermam della
34a Infantry Division. Alla vista dei carri armati, Binz si rese conto
che per il suo Kampfgruppe la guerra era finita, e quanto fossero
inutili ulteriori spargimenti di sangue. Tuttavia, pur accettando di
deporre le armi e sciogliere i reparti, decise di non consegnarsi agli
americani. Nella confusione, con alcuni ufficiali e soldati tedeschi
riuscì a sottrarsi alla cattura. Fortunosamente raggiunse il Lago di
Carezza in Alto Adige, dove si era trasferito il comando delle Waffen-SS
in Italia. Vi restò sino ai primi di maggio. Poi, l’intero gruppo di
irriducibili si arrese agli Alleati.
Maggiori notizie sugli
ultimi giorni della divisione SS italiana alle pagine del libro
recensito al link
http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri78.htm
Nota 2: Ciabattini Pietro, nato nel 1926 a Siena, nella contrada
della Pantera, è scomparso nel luglio 2010 a Firenze. Autore di
alcuni libri di successo sul periodo della R.S.I., oltre a quello
citato, come Coltano 1945 Ed. Mursia-1995 e Il Duce, il Re e il loro
25 luglio - Ed. Lo Scarabeo-2006
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