LA SECONDA GUERRA MONDIALE

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GUERRA DI LIBERAZIONE 

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I BERSAGLIERI PARTIGIANI

In questa pagina vengono riepilogati i bersaglieri conosciuti perché sono stati decorati di medaglia oro della resistenza e quelli di cui ci è pervenuta notizia da varie fonti che hanno svolto attività partigiana. Se qualcuno avesse notizie documentali dei tanti altri soldati ufficialmente riconosciuti come combattenti a tutti i livelli e ricompense è pregato di comunicarlo con foto.

"Difendere i Ponti" questo era stato l'ordine al Gen. Antonino Di Giorgio del Corpo d'Armata Speciale  incaricato di coprire la ritirata ai superstiti reparti all'indomani della rotta di Caporetto

Era già successo dopo Caporetto, nella Grande Guerra quando dalle montagne orientali, dal Carso, aveva preso il via la "Ritirata". Su un fronte ampio si ritiravano 300.000 soldati in gran parte sbandati (gente che aveva anche gettato le armi, ad esclusione della III Armata che si sganciò ordinatamente) e 400.000 civili. Nel caos di quelle ore si formarono retroguardie a ogni livello di unità, fondendo reparti diversi, con un solo obiettivo; la manovrabilità, la velocità, la potenza di fuoco e l'accorciamento della linea di comando. La retroguardia lasciava al grosso 5 ore massime di vantaggio. I tedeschi  per agganciare gli italiani e imporgli lo scontro, che per noi sarebbe stato fatale (eravamo senza artiglieria al contrario di loro), agivano con motocarrozzette armate (sidecar in versione Blitzkrieg) lanciate in avanscoperta sui centri di comando e sugli snodi di traffico o ponti. L'arretramento della divisione speciale  bersaglieri, che proteggeva la ritirata della II armata, proseguiva intanto su Mortegliano. La zona raggiunta era ormai a copertura del fianco della III armata e qui a Pozzuolo del Friuli, il 29 ottobre, il combattimento venne ingaggiato in uno scontro campale. Il Genova Cavalleria e i lancieri di Novara dovevano tenere Pozzuolo (da qui la famosa carica che valse l'argento), i bersaglieri Mortegliano. La mattina del 30/10 il 6° bersaglieri mandò 200 uomini in aiuto dei cavalieri e della Brigata Bergamo asserragliata a Carpeneto. Per tutto il giorno la lotta fu durissima. A sera la brigata di cavalleria aveva lasciato sul campo metà degli effettivi (Med. Argento). La sera del 3 novembre un primo battaglione bosniaco passava il Tagliamento a Nord. La nuova linea di resistenza (mobile) ora era il Livenza. Il Piave era lontano,  ma c'era ancora tempo per salvarne molti. Il 10 novembre 1917 a S. Donà di Piave, l'8° bersaglieri catturò mitragliatrici su motociclo e biciclette alle sparute avanguardie nemiche. In un successivo contrattacco il XII Btg /8° Rgt. veniva sopraffatto e alcuni bersaglieri, col Capitano Ardoino, si davano alla macchia andando a costituire la prima unità di partigiani che si conosca. Il terreno pianeggiante del Veneto non si presterà molto alla guerriglia ma, oltre la morte e una prigionia che si profilava d'incerta durata, non restavano tante alternative.

 

Quando l'8 settembre 1943 venne proclamato l'armistizio il Regio Esercito era sparso per l'Europa e la situazione contingente ebbe gravi ripercussioni sui destini e sulle scelte dei singoli. Pochi furono i reparti che riuscirono ad organizzarsi e ad opporsi anche in maniera modesta ai tedeschi. Per molti si aprì la strada dei campi di concentramento con ulteriori tragedie. Per tanti altri era finita e occorreva aspettare il tracollo del Reich, meno vicino di quanto si credesse. Una grande parte prese la via delle montagne e si organizzo per combattere il nazismo e il fascismo con nuovi mezzi e metodi. Qui riepiloghiamo la storia personale di alcuni che venivano dal Corpo dei bersaglieri lasciando ad altri capitoli il compito di narrare l'odissea dei Balcani (le Brigate Garibaldi) e l'avventura del Regno del Sud. 

Augello Giulio detto "GIULIO"

Sottotenente dei Bersaglieri

Nato a Cosenza venne ammesso come allievo il 30 novembre 1940 alla Accademia di Modena fu promosso in s.p.e. il 22 marzo 1942 ed assegnato al 18° Bersaglieri corazzato. Frequentò il corso per unità corazzate rientrando al reggimento il 16 novembre 1942. Alla data dell’armistizio si trovava al Centro addestramento delle unità blindate di Pinerolo. Raggiunta Roma entrò nelle formazioni del C.L.N.

Motivazione della Medaglia d'Oro: “Dopo aver valorosamente partecipato alla resistenza in Roma, a primavera si trasferiva in Piemonte (BRIGATA SUPERGA G.L. )segnalandosi subito per coraggio e sprezzo del pericolo, in numerose arditissime azioni…avendo appreso della cattura di alcuni componenti del comando del C.L.N organizzava ed attuava la cattura di un importante ostaggio rendendo così possibile lo scambio. Al secondo progetto di sequestro all’interno di una abitazione, in un corpo a corpo violentissimo, uccideva due nemici ma veniva a sua volta colpito a morte. 10/12/1944 Piobesi/To

Biga Francesco "Jav" Bersagliere

Nato a Cervo Ligure il 16.1.1924, nel 1943 è militare in Sicilia nel 10° Bersaglieri. Durante lo sbarco alleato dell'11 luglio, cade ferito da schegge di granata. Trasportato nella ritirata all'ospedale militare di Ancona, vi resterà fino alla fine dello stesso mese, per essere poi trasferito alla caserma "Crespi" di Imperia per la convalescenza. Passato all'ospedale militare di Genova ai primi di settembre, viene successivamente inviato dalle autorità tedesche al distretto di Savona per essere integrato nell'esercito di Salò. Fugge e ripara nell'entroterra di Diano, dove resta nascosto fino alla fine di maggio per evitare l'arruolamento. Dal 1 giugno entrerà a far parte delle formazioni garibaldine nella 1a Brigata del Comandante "Cion" ( Silvio Bonfante ). Impiegato in servizi di informazione e trasporti (mulattiere), viene catturato dai tedeschi il 2 dicembre del 1944, nel corso di una missione di trasporto, e internato nella prigione di Pieve di Teco per sospetta appartenenza alla Resistenza. In seguito le S.S. arrestavano anche il padre Giacomo, tenendolo in prigione dal 1 al 6 gennaio. Il 31 marzo 1945, assieme ad altri, riuscì ad evadere. Raggiunto il dianese, collaborò con la S.A.P. della 3a Brigata "Novaro" fino alla liberazione. Dal 1980 è Direttore Scientifico dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia. E’ autore di numerose pubblicazioni.

processo alla banda Koch

  Buscherini Guido - Bersagliere

Nato a Santa Sofia il 17 luglio 1920, bracciante, terzo di sette fratelli, celibe viene riconosciuto partigiano dell'8° brigata con ciclo operativo dal 17 gennaio 44 al 5 febbraio 44. Chiamato alle armi nel 1940 aveva prestato servizio in Jugoslavia e poi in Russia, sul fronte del Don, col 6° reggimento bersaglieri. Colpito da dissenteria era stato rimpatriato. L'8 settembre 1943 si trovava nell'ospedale militare di Chioggia. Rientrato a Santa Sofia, col nome di battaglia di "Stoppa" per il colore dei capelli, si arruolò nel distaccamento partigiano come mitragliere. Nel tardo pomeriggio del 5 febbraio 1944 durante l'attacco alla caserma della GNR di Premilcuore rimase gravemente ferito, morì nel corso della notte. 

Caprile Pietro "Bersaglio" Bersagliere

Nato a Sanremo nel 1925. Dopo l'otto Settembre 1943, viene forzatamente arruolato dalla R.S.I. ed inviato In Francia a Hières a lavorare per l'esercito tedesco. Dal Gennaio del 1944 viene trasferito in Germania in un campo di lavoro e addestramento ad Oliberg. Qui aderisce al gruppo di addestramento della divisione Italia e con questa rientra in patria nella stessa primavera. Di nuovo in Francia sotto comando operativo tedesco (da ciò il successivo nome di battaglia "Bersaglio"), rientra in Italia nell'estate del 1944 dopo lo sbarco alleato in Provenza. Fuggito assieme a numerosi altri commilitoni nella zona di Salsomaggiore (Parma) entrerà nella Resistenza con la Brigata "Beretta" che opera tra le provincie di Parma e Modena, dove resterà fino alla liberazione.

     

Croce

 

  Carlo Croce T.Col. Bersagliere
http://www.provincia.va.it/smartino/la_storia.htm  

Carlo Croce nasce a Roma. nel 18xx. Soldato nel 5° bersaglieri nel 1912, viene richiamato allo scoppio della Grande Guerra col grado di sergente al 6°. A fine anno viene promosso Ufficiale e l’anno successivo Tenente nel 12°. Viene ferito sul Monte Cappuccio (Carso) e deve lasciare il fronte e il servizio attivo. Congedato col grado di capitano, viene richiamato per un breve periodo nel 38 e promosso al grado superiore. Nel 1942 è di nuovo in servizio, ma vista l’età è destinato ai servizi di retrovia del fronte russo. Rimpatriato per malattia agli inizi del 1943, viene promosso al grado superiore (T.Colonnello) con anzianità 42. Nella vita civile era un industriale che operava nel settore delle attrezzature per disabili. Alla data dell’armistizio si trova con un distaccamento del 3° reggimento di Milano a Porto Val Travaglia (Va) e mentre tutti fuggono, rimane nel Presidio, deciso ad opporsi in tutti i modi ai tedeschi. Di lui scrive Giorgio Bocca "E' un ufficiale coraggioso e onesto che sente anche formalmente l'impegno morale della Resistenza, scegliendosi un nome di battaglia come Giustizia , dando al suo gruppo il motto "Non si è posto fango sul nostro volto".

Antonio Bolzani, ufficiale svizzero che, per motivi di lavoro, ha modo di incontrare Croce nella Confederazione Elvetica e di raccogliere la sua narrazione verbale, scrive nel libro -Oltre la rete-: "I primi risultati non furono incoraggianti… Tuttavia non si perdette d'animo e, pur dovendo rinunciare a compiere grandi gesta, continuò a manifestare colle parole e con l'azione la sua indomita volontà di resistenza e di ribellione." Con gli uomini che gli restano si pone alla ricerca di una zona atta ad accogliere un gruppo partigiano.  I militari, grazie ai consigli di locali, raggiungono poi Val Alta (Linea Cadorna). Hanno a disposizione una casermetta, gallerie e un intricato reticolo di camminamenti e di trincee. Il luogo non è l’ideale per sostenere operazioni di guerriglia partigiana, è arcinoto ai tedeschi e riportato su carte militari dettagliate. Il 12 settembre 1943 il Colonnello registra come arruolati sul San Martino , oltre se stesso, il ten. Bodo Germano, il caporale Sinigaglia Artemio e il caporale Campanelli Vittorio. Dal 12 settembre al 13 novembre tutti i giorni arrivano giovani e il reparto allargato ha assunto la denominazione " Esercito Italiano- Gruppo "Cinque Giornate" Monte S.Martino”. Si uniscono ai ribelli anche prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento, soldati di varie nazionalità ma anche abbandoni. C'è chi è venuto a rifugiarsi solo per sfuggire alla cattura. Il rischio che quelli che vanno diventino spie è alto poichè saranno avvicinati dall'Ufficio Politico della GNR. Il gruppo, alla vigilia della battaglia, risulta composto da 10 ufficiali e 150 soldati.

     

Medaglia Oro al V.M alla memoria a Carlo Croce: Data del conferimento: 1944


Comandante di distaccamento del terzo reggimento bersaglieri a Porto Val Travaglia, con i suoi soldati e con alcuni patrioti organizzava, dopo l’armistizio, la resistenza all’invasore tedesco mantenendo le posizioni fortificate di San Martino di Vallalta. Più volte rifiutate le offerte del nemico, il 13 novembre 1943, con soli 180 uomini, sosteneva per quattro giorni di furiosa lotta l’attacco di 3000 tedeschi, infliggendo gravi perdite, abbattendo un aereo, distruggendo alcune autoblinde incappate su campo minato. Ferito e serrato senza apparente via di scampo, con ardita azione, sì apriva la strada fino al confine svizzero, trasportando gli invalidi e ritirandosi per ultimo dopo aver fatto saltare il forte. Insofferente di inazione e dopo un primo fallito tentativo di rientrare in Italia, varcava nuovamente il confine con sei compagni. Attorniato da nemici e gravemente ferito ad un braccio cadeva prigioniero. Prelevato dalle SS. dall’ospedale di Sondrio, poche ore dopo di avere subita l’amputazione del braccio destro, veniva barbaramente torturato senza che gli aguzzini altro potessero cavargli di bocca se non le parole: « Il mio nome è l’Italia ». Salvava con il silenzio i compagni, ma, portato irriconoscibile all’ospedale di Bergamo, chiudeva nobilmente poche ore dopo la sua fiera vita di soldato. Bergamo, 24 luglio 1944

  Nel diario della Guardia di Frontiera che operò nel Varesotto si legge: 
1-Novembre - il Commissario Knop consegnò al comandante della compagnia di Polizia di montagna documenti molto precisi riguardo all'ubicazione delle bande partigiane. 
5-Novembre La presenza di una grossa banda di partigiani dotati di armi pesanti, negli impianti militari fortificati nei pressi del S. Martino è stata sufficientemente dimostrata…Informatori italiani fidati hanno consegnato al commissario Knop documenti inoppugnabili riguardanti la precisa dislocazione della banda…
Croce, informato sui preparativi tedeschi, rifiuta di lasciare la postazione anche se l’invito viene dal C.L.N. I giornali svizzeri (13 Novembre) comunicano che "la radio tedesca ha annunciato che a Milano e in tutta la Lombardia è stato proclamato lo stato di assedio. Vengono sospese anche le pubblicazioni dei giornali. La stessa radio ha aggiunto che tutti gli stabilimenti pubblici, ad eccezione dei ristoranti, rimangono chiusi fino al 21". 
Qualche migliaio di soldati tedeschi, del 15° Reggimento di Polizia, della Guardia di Frontiera Italiana, con supporti fascisti che fanno da guida e da interprete, attaccano il pomeriggio del 14 (domenica) la formazione partigiana. Le pendici del monte vengono circondate dalle forze della G.N.R, anello debole di tutto l'apparato, che permetterà al Col. Croce ed ai suoi uomini di superare lo sbarramento e di riparare in Svizzera. Oltre a molti tedeschi muore un solo partigiano. I partigiani, fatti prigionieri in vetta al S. Martino, il Ten. Alfio Manciagli (Folco), i soldati Osvaldo Brioschi (da 12 giorni in montagna), Giovanni Vacca, Angelo Ventura, Elvezio Rossi, Franco Ghezzi, Gianfranco Colombo, Giuseppe Pellegatta verranno fucilati in loco altri al comando. Ricorda Padre Ettore: "La mattina successiva alla battaglia mi recai al Comando tedesco di Cassano Valcuvia per invitarli a mandare una pattuglia davanti al Convento a rimuovere le bombe a mano che qualcuno aveva depositato nel corso della notte. Nell'atrio della casa c'erano cinque partigiani in piedi che venivano frustati con il nerbo dal Colonnello che li stava interrogando." . Ricorda il sopravvissuto Germinal Concordia: "Osvaldo Brioschi fu fucilato dagli italiani al servizio dei tedeschi, insieme con altri 68* prigionieri. Prima della fucilazione furono interrogati e orrendamente sfigurati. Poi furono seppelliti nella fossa comune. Ferito mi salvai in modo miracoloso ed appena possibile feci ritorno a Milano". La lotta prosegue impari, anche per l'inesperienza di Croce alla lotta partigiana fino all’estate del 44 quando Croce viene arrestato in Val di Togno da una pattuglia confinaria il 13 luglio. Ferito e costretto ad una amputazione viene condotto a Bergamo e giustiziato. Muore per le violenze subite, senza aprire bocca, il 24 luglio 1944.

 

   

 

T. Col. Adalberto Croci

Comandante 5° Bersaglieri
Raggruppamento Patrioti "Monte Amiata" 

Organizzatore del Raggruppamento fu il Ten. Col. Adalberto Croci, comandante del 5° reggimento Bersaglieri di Siena alla data dell’8 settembre 1943. Ufficiale fedele al suo giuramento,  raggiungeva Roma dove si metteva a disposizione del Fronte Militare Clandestino del Col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Il colonnello Croci, tramite una serie di incontri e di collegamenti, riusciva a riunire diversi gruppi dell'Amiata in un Raggruppamento unico. Le bande  operarono non solo nel Senese, ma anche in provincia di Grosseto e di Pisa. Nella provincia di Siena, i distaccamenti coprivano principalmente la zona orientale del territorio, nei comuni di San Quirico d’Orcia, Asciano, Chianciano e Montepulciano. Una sezione del Raggruppamento era operativa in Siena città. Anche il "Monte Amiata" ricevette lanci di armi dagli alleati, ed ebbe collegamenti con alcune missioni del Long Range Desert Group che furono paracadutate il 12 giugno 1944 tra il Monte Amiata e Asciano, e di sabotatori italiani delle missioni "Riso " e "Patata". Uno dei fatti d’arme in cui più si distinse il Raggruppamento fu quello che vide la formazione del sottotenente Walter Ottaviani mettere in fuga un forte reparto di Repubblichini, dopo una giornata di combattimento il 6 aprile 1944 nel paese di Monticchiello. Il 4 luglio 1944, poche ore prima dell’arrivo della 6a divisione corazzata sudafricana, nel territorio di S. Gusmé in Chianti un conflitto a fuoco tra due partigiani del Raggruppamento e due tedeschi, che non ebbe conseguenze per alcuno dei contendenti, fece scattare l’unico episodio di strage di civili avvenuto in provincia di Siena. Dalla fine di giugno poi, d’intesa col CLN,  veniva formata sotto l’egida del Raggruppamento, una falsa Guardia Civica al comando del col. Lelio Barbarulli , il cui compito ufficiale era di cooperare con i vigili urbani in Siena nel mantenimento dell’ordine pubblico.  Il 3 luglio 1944, squadre della Guardia Civica e del Raggruppamento, attaccarono retroguardie tedesche presso Vicobello, alla periferia della città, subendo tre caduti. 

 

   

Fosse Ardeatine

 

Alberto Fantacone Tenente del 2° Rgt. Bersaglieri 

Avvocato, di 27 anni. Nato a Roma il 25 settembre 1916 da Armando e da Giuseppina Nunnerico. Tenente del 2° Reggimento Bersaglieri, tre mesi dopo l'inizio della guerra rimase mutilato alla gamba sinistra in seguito a una grave ferita riportata a Kiorguzath, sul fronte greco-albanese. Insignito della croce di guerra, fu messo in congedo. Si laureò in giurisprudenza nel '42. L’8 settembre del ’43 era in servizio presso il distretto militare di Arezzo. Quando si costituì la Repubblica di Mussolini, rifiutò di arruolarsi nell’esercito repubblicano e tornò a Roma insieme alla moglie e alla figlia. Qui entrò nella Resistenza, nelle file della Banda Neri (Partito d’Azione), col compito di fornire ai compagni documenti di identità falsi. Fu arrestato dalle SS tedesche il 28 gennaio del '44, su delazione di tre spie, mentre partecipava a una riunione clandestina. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 13, fu più volte torturato. Il 23 febbraio fu trasferito a Regina Coeli, nel terzo braccio dei detenuti politici (cella n. 282). Morì alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944 . Medaglia d’argento al valor militare.

     

La medaglia d'oro al V.M. è stata conferita a Guatelli nel 1969.  Motivazione: Entrava nelle formazioni partigiane operanti nella zona portandovi il suo giovanile entusiasmo ed elevata fede, rivelando nelle numerosi azioni cui partecipava preclari qualità di capo…Coduro di Fidenza 18 dicembre 1944 D.P. 13 ottobre 1969:

  Renato Guatelli - Bersagliere

Nato a Fidenza (Parma) il 3 gennaio 1923, morto a Coduro di Fidenza il 18 dicembre 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Di Renato Guatelli caduto a meno di 22 anni si sa poco più di ciò che sta scritto nella motivazione della ricompensa al valore. Aveva conseguito la licenza di Avviamento professionale, ma nel 1942 era stato chiamato alle armi al deposito del 12° Bersaglieri di Reggio Emilia. L’armistizio colse il ragazzo mentre si trovava al deposito dell’8° in partenza per il 120° reggimento Bersaglieri di marcia. Guatelli si diede subito alla macchia e dopo pochi giorni si aggregò alla 31a Brigata Garibaldi operante nel Parmense. Il coraggio dimostrato nel corso di numerose azioni contro i nazifascisti valse al giovane resistente la nomina a comandante di squadra e, proprio al comando di un piccolo gruppo di partigiani, il 18 dicembre del 1944 Guatelli mosse all’attacco di un’autocolonna nemica in transito nella zona occupata dalla sua formazione. Nello scontro, che costò pesanti perdite agli avversari, il giovane comandante rimase gravemente ferito; ai compagni accorsi per aiutarlo porse il suo mitragliatore, dicendo loro di metterlo al sicuro, e subito dopo fu colpito a morte da un’altra raffica.

     

Garosi

Così l'eccidio viene descritto da Emidio Mosti:" prima del tramonto, furono prelevati 72 giovani e trasportati a piedi, fuori del paese, in località Sant’Anna, nei pressi di una chiesetta sul pendio lungo il fiume Frigido. In paese, intanto, venti persone ferite finirono miseramente in un rogo ardente ancora dentro la caserma dei carabinieri. Fu questo l’inizio di una vera ecatombe: infatti, quasi contemporaneamente, sul ciglione del fiume, a Sant’Anna, i nazifascisti consumavano uno dei più efferati crimini. A gruppi di otto o nove alla volta, quei settantadue giovani venivano falciati da scariche ravvicinate (circa da 4 m). I loro corpi straziati rotolavano sanguinanti sul greto del Frigido, da un’altezza di poco più di tre metri, in una fossa comune."

  Marcello Garosi Sottotenente Bersagliere

Nato a Firenze nel 1919, caduto a Forno (Massa) il 13 giugno 1944.  Motivazione della Medaglia d’Oro al V.M. ”Fin dall’8 settembre 1943 raccolse ed organizzò un gruppo di patrioti, che presto diventò falange e con i quali dominò le Apuane da Monte Prano alla Conca di Vinca. In seguito all’attacco concentrico da parte di un migliaio di guardie repubblicane, X flottiglia ed SS. tedesche, appoggiate da due semoventi, riusciva a rompere l’accerchiamento dopo avere fatto saltare un tratto di monte ed avere sepolto tre camion carichi di nemici. Ritornato sul terreno della lotta, cercava più volte di liberare il grosso della propria formazione che si trovava accerchiato, finché in un ultimo assalto, spintosi fin dentro le linee avversarie, rimaneva gravemente ferito. Continuava con mirabile freddezza di animo a sparare con il mitragliatore fino all’ultima cartuccia, preferendo infine togliersi la vita piuttosto che cadere vivo in mano al nemico. Forno - Massa, 14 giugno 1944.

Dopo il diploma di  perito chimico tessile alla scuola di Prato, si iscrisse alla Università (economia e commercio). Chiamato alle armi alla fine del 1941 e ammesso alla scuola di Pola, ottenne nel marzo 1943 la nomina a Sottotenente di complemento nel 10° Bersaglieri di stanza in Sicilia. Una grave operazione al ginocchio lo rese però inabile al servizio attivo. Dopo l’8 settembre sfollò a Corsanico (Massarosa), dove entrò in contatto con il CLN di Viareggio, partecipando, col nome di battaglia di “Tito” all’attività clandestina, che aveva come base la canonica di don Alfredo Alessandri, parroco di Marignana (Camaiore). Nel maggio 1944 fu nominato comandante della formazione “Luigi Mulargia”, costituitasi sul monte Prana, che operò soprattutto sui monti di Massa, in seguito alla fusione con i partigiani locali. Forno, uno dei paesi delle Apuane occupato dalla “Mulargia”, venne attaccato  dai militi della caserma della G.N.R. del posto che non avevano la meglio e si arrendevano. I partigiani potevano così occupare posizioni tatticamente importanti. Alcune azioni vennero portate avanti, nei giorni successivi, come la posa di mine su alcuni ponti e l’attacco a militi fascisti. Il 12 giugno, la brigata partigiana contava 450 uomini armati e altri 200 da armare. Nella notte tra il 12 e il 13, il comando della X MAS inviava il battaglione San Marco dalla Spezia a sbarrare la valle del Frigido, mentre altre unità tedesche ed italiane iniziavano un vasto rastrellamento. All’alba del 13 Forno venne circondata ed iniziava un violento combattimento tra fascisti e partigiani che alla fine dovettero ritirarsi perdendo anche il comandante Tito. Le unità tedesche del maggiore Walter Raeder, bruciarono il paese mentre molti venivano rinchiusi nella ex stazione dei Carabinieri. I partigiani lamentavano 70 morti e 15 prigionieri. Alcuni riuscirono a fuggire nascondendosi sotto i morti. Venne ammazzato anche il maresciallo dei Carabinieri di Forno, Ciro Siciliani, reo di aver fraternizzato con i "ribelli". Poi, sul cumulo dei caduti, furono gettate bombe a mano. Ad un certo punto i tedeschi chiesero chi era vivo dentro il mucchio dei morti che uscisse fuori; lo avrebbero curato. Alcuni alzarono la mano e furono finiti a colpi di mitra. Il giorno dopo, il parroco don Vittorio Tonarelli, medaglia d’argento al valor militare, con grave rischio seppelliva i corpi che vennero esumati nel dopoguerra. Così sono stati ricostruiti gli ultimi momenti della sua vita
http://www.anpiginolombardiversilia.it/personaggi/p_marcello_garosi.htm

     

  Lodi Silvio "Nello" Bersagliere

Nato a Pegognaga (MN) l'11.11.1925. Contadino, presta servizio militare nei Bersaglieri a Genova dal dicembre 1943 al 1 Agosto 1944 in un battaglione costiero. Il 25 dello stesso mese entra nelle formazioni partigiane della 2a Divisione "Cascione" e fa parte di un Distaccamento della 5a Brigata "Nuvoloni" comandata da "Vitò" che opera nell'Alta Val Nervia. Il 29 agosto è già in azione a Pigna poi Baiardo ed in tutta la zona operativa. A partire dall'11 ottobre partecipa alla ritirata che condurrà il grosso delle forze della resistenza a Fontane in Val Corsaglia, dopo il tragico rastrellamento di Upega. Il 6 gennaio 1945 partecipa ad una azione contro il presidio repubblichino di Carpenosa ma viene catturato nella zona tra Castelvittorio e Baiardo durante un rastrellamento a fine mese; creduto semplicemente un renitente ai bandi di arruolamento della R.S.I. viene imprigionato per alcuni giorni e tenuto in seguito come ostaggio fino al 25 marzo. Dal 13 aprile sarà di nuovo presso le formazioni con il settimo e il sesto distaccamento fino alla liberazione ed alla successiva smobilitazione del 25 maggio 1945. 

     

Alberto Marchesi

 

Nato a Roma il 22 settembre del 1900. Non ancora diciottenne partecipò volontario alla Grande Guerra col III Reparto d’Assalto poi col XXVI dei nuclei arditi dei bersaglieri.  Questa è la famosa classe del 1900 che non figura da nessuna parte al contrario di quella del 99 (1899) detta appunto dei "ragazzi del '99". A fine conflitto fu congedato e assunto al Ministero delle Poste. Militante comunista, venne espulso nel 1925 dalle Amministrazioni Statali per dichiarata opposizione al regime fascista. Negli anni seguenti fu più volte fermato per azione cospirativa e sottoposto ad interrogatori. Per vivere iniziò una attività di commerciante e in questi locali si davano convegno vari oppositori. Dopo l'8 settembre 1943 diede vita al Battaglione "Volga" operante nei dintorni di Roma, facendo ora della propria casa e negozio un deposito di armi e materiale di propaganda e partecipando ad una serie di missioni. Arrestato il 12 marzo 1944 nella propria abitazione di Roma, in seguito a delazione, fu tradotto nelle celle di Via Tasso e torturato. Fu fucilato il 24 marzo 1944, alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al V.M. non rinvenuta

 

   

motivazione medaglia d'argento al V.M della Prima Guerra Mondiale: "Alla testa di un plotone di arditi assalì gli austriaci, ne pugnalò, ne catturò e strappò loro una mitragliatrice; esempio brillantissimo di entusiasmo e di ardimento". Battaglia del Solstizio Capo Sile, 24 Giugno 1918.

Alla sua memoria venne concessa la medaglia d'argento al V.M con la seguente motivazione: "Mutilato di guerra 1915-18, già decorato di medaglia d'argento al valor militare, subito dopo l'armistizio con l'ardore giovanile si faceva promotore ed animatore della Resistenza Bresciana. Organizzatore di gruppi di azione patriottica, da tempo ricercato dalla polizia, finiva percadere nelle mani nemiche. Lungamente interrogato manteneva contegno fiero edesemplare rivendicando a sè ogni responsabilità. Portato davanti al plotone di esecuzione cadeva da forte nel nome d'Italia e della libertà". Mompiano di Brescia, 6 febbraio 1944

Tratto dall' Annuario dell'istituto tecnico commerciale statale per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere Astolfo Lunardi di Brescia.

 

Astolfo Lunardi

Nato a Livorno l'1 dicembre 1891 e domiciliato a Brescia era il minore di cinque fratelli. Studiò disegno alla scuola "Arti eMestieri" e divenne litografo. Carattere sereno e assieme riflessivo frequentò con sempre maggiore interesse i salesiani a Livorno e poi a Brescia ponendo nel suo operare l'entusiasmo e lo spirito d'iniziativa che l'accompagnarono fino al sacrificio supremo. Il 23 novembre 1915 venne mobilitato e assegnato al battaglione dirigibilisti dell'aeronautica e poi assegnato al comando supremo in Padova, dove fondò e diresse una litografia. Ma egli aveva la tempra del combattente e così chiese ed ottenne di essere assegnato al secondo reparto d'assalto "Fiamme Cremisi" dell'8° bersaglieri dove raggiunse il grado di sergente poi al XXIII reparto d'assalto arditi fiamme cremisi col quale prese parte a numerose audaci azioni, tanto da essere decorato di una medaglia d'argento al valor militare vedi a sx.: Finita la guerra ritornò al suo lavoro di litografo ma fu costretto ad emigrare per il fallimento del suo datore di lavoro. Rientrato a Brescia aprì uno studio di disegnatore e cartellonista pubblicitario. Era iscritto al Partito Popolare e mostrava palesemente le sue idee di antifascista e patriota sorretto in questo da un grande maestro mons. G. Battista Bosio prevosto di San Lorenzo in città, poi vescovo di Chieti e Vasto che di lui scrisse. "Intelligenza aperta .... Volontà ferrea .... Cuore sincero, fausto, leale, volto sereno e luminoso. La fede gli irradiava l'anima, la bontà gli irradiava il corpo. Le imprese difficili, rischiose lo affascinavano. Appassionato del suo lavoro, l'arte era la gioia della sua vita. Devoto alla famiglia, cordialissimo nell'amicizia, aveva avversari ma non nemici: per lui tutti erano fratelli e per tutti era lieto di prestarsi. L'onestà del costume splendeva nel suo sguardo, nelle nobiltà delle parole, nella dignità del contegno." L'avversione al fascismo di Lunardi andò crescendo con le leggi razziali de 1938 e la dichiarazione di guerra. Dopo il 25 luglio si adoperò per attivare le fila della resistenza cattolica al regime scontrandosi dopo l'8 settembre 1943 con la continuità al nord del vecchio regime, di coloro che avevano fatto della Patria un cumulo di macerie e di rovine. …La sua scelta fu immediata: seguire la via per il trionfo della verità, della giustizia, della libertà. Per questo entrò nelle file delle Fiamme Verdi. La sua attività nella Resistenza fu multiforme, ma la sua attenzione fu rivolta principalmente ai giovani dando ad essi grande fiducia, destinandoli ai collegamenti, alla ricerca delle armi e ai loro nascondigli, alla rete di informazioni, alla propaganda scritta e verbale, ai magazzini dei viveri e del vestiario e alla loro distribuzione, all'aiuto dei prigionieri fuggiti dai campi di concentramento, alla salvezza degli ebrei. Egli prepara un piano di difesa della città, dividendola in cinque settori,assegnando ad ognuno di essi un capo con l'incarico di tenere i rapporti con gli uomini a lui affidati. Parole d'ordine sono: disciplina, segretezza, cameratismo, oculatezza nel non compiere azioni che possono suscitare opposizione o malcontento nella popolazione. Per reprimere le prime manifestazioni di resistenza riprendono a funzionare il Servizio informazioni e l'Ufficio politico investigativo del fascismo e si organizza la Guardia Nazionale Repubblicana. Di fronte a questa nuova realtà egli perfeziona e sviluppa l'organizzazione della Guardia Civica e della stampa. Egli è infaticabile. Ma la sua attività non poteva non attirare l'attenzione dei fascisti: più volte riesce a sottrarsi alla cattura. Il 3 gennaio 1944 lancia il suo ultimo appello che si conclude con: "Bresciani state in guardia.... Bresciani l'ora s'avvicina" Il 6 gennaio 1944 cade nelle mani della squadra politica della Questura. Condotto in carcere inizia la sua "Via Crucis" caratterizzata da estenuanti interrogatori e inumane torture, che però non riescono a piegare il suo nobile cuore, che cessò di battere il 6 febbraio 1944 al poligono di Mompiano ove venne fucilato assieme all'amico Fiamma Verde Ermanno Margheriti. 

 

 

Pietro o Piero Pajetta Bersagliere

Figlio di Carletto e di Giuseppina Mira Catò, nacque a Taino (Va), il 7 febbraio 1914. Frequentò a Novara le scuole medie e commerciali trovando impiego in una società locale ("Stipel"). Chiamato alle armi, nel 4° Bersaglieri, fu in Libia dal '35 al '36. Congedato col grado di idoneo sottufficiale entrò alla Banca di Luino che lasciò quasi subito quando, nell'autunno del 1937, espatriò clandestinamente per andare a combattere nella Brigata Garibaldi Repubblicana , in Spagna. E'alle battaglie dell'Estremadura e di Caspe e qui viene ferito una prima volta nella ritirata dell'Aragona poi nella battaglia dell’Ebro del 18 marzo 1938 dove perde la mano destra. Si trasferì allora in Francia dove dal 1940 si diede alla clandestinità a fianco dei partigiani francesi ("francs tireurs"). A Parigi nel 1941 fu anche arrestato quale militante comunista e passò alcuni mesi in carcere Dopo l’8 settembre 1943, rientrò in Italia e in Val Pellice organizzò per conto del Comando Garibaldino per l’Alta Italia le formazioni partigiane. Divenne comandante della 2a brigata Garibaldi del Biellese col nome di battaglia di "Nedo". Muore vittima di un agguato il 24 febbraio 1944 all'Alpe di Casto.

Medaglia d'oro al V.M.alla memoria di Pietro Pajetta con la seguente motivazione:
"Organizzatore dei primi distaccamenti partigiani del Biellese. Comandante di brigata garibaldina conduceva con valore i suoi uomini nelle aspre lotte contro un nemico superiore per numero e per mezzi. Sempre primo nella mischia, sempre presente ove più forte era il pericolo, di esempio e di incitamento, sosteneva alla testa del suo reparto numerosi combattimenti, infliggendo al nemico gravi perdite. Durante una ricognizione si scontrava con un reparto tedesco e benché in condizioni di inferiorità rifiutava la resa e con le armi in pugno accettava la lotta finché cadeva crivellato di colpi. Comandante eroico ed animatore appassionato, ha fatto del suo olocausto monito ed esempio all genti."Monte Casto [Biellese], 24 febbraio 1944

   
  Ernesto Melis Capitano dei Bersaglieri
Il comandante del «Settore Umbro-Marchigiano» è il più numeroso e agguerrito (ben tre sono le Medaglie d’Oro al Valor Militare conferite a suoi appartenenti). Uno di questi è Ernesto Melis, capitano dei bersaglieri, ferito in Libia e sorpreso dall’armistizio mentre era istruttore all’Accademia di Modena: Ernesto Melis, di origine sarda, militare di carriera, apparteneva ad una famiglia di servitori dello stato; probabilmente monarchico, voleva tener fede al giuramento prestato. Raggiunge, con due colleghi, suo padre a Spoleto (il direttore della prigione della Rocca) e assume senza esitazione, come per un piano preordinato, l’iniziativa del reclutamento e del reperimento delle armi. Ma i partigiani umbri non sono soli, aggregano soldati ed ufficiali italiani sbandati, raccolgono militari britannici e sudafricani fuggiti dai campi di prigionia, detenuti antifascisti slavi ed italiani. Solo dalla Rocca di Spoleto ne evadono (con il favore del direttore) circa un centinaio. Prende corpo la brigata sopra la Val Nerina e i monti Sibillini. Secondo una tattica geniale le forze, organizzate a squadre, operano su vaste aree, con grande mobilità e autonomia d’iniziativa, richiamando e disperdendo così ingenti reparti fascisti e della Gestapo.
     

Luigi Ronchi

10 gennaio 1921 - 2 febbraio 1945 

 

Dopo l'8 settembre 1944 nel Vimercatese entrò in azione un primo gruppo di volontari nella resistenza al nazifascismo, che poco dopo avrebbe formato la squadra d'azione della 103a Brigata SAP. Della squadra faceva parte anche Luigi Ronchi, ex bersagliere del 10 Reggimento, residente in Via Crispi a Vimercate. Il 29 dicembre 1944 fu tra i protagonisti del fallito attacco al campo d'aviazione di Arcore: una sfortunata serie di circostanze permise alle forze fasciste di disperdere i partigiani che, riconosciuti, furono di lì a qualche giorno arrestati e processati. Portati sul campo di Arcore la mattina del 2 febbraio 1945, Luigi Ronchi ed i suoi compagni furono freddati con un colpo di fucile alla schiena. La notizia, giunta a Vimercate, provocò un'enorme impressione e nei giorni seguenti, in segno di aperta sfida ai fascisti, le dimostrazioni di ammirazione nei confronti dei cinque "martiri vimercatesi" si fecero sempre più audaci: sulla tomba fu rinvenuto anche uno striscione tricolore firmato "I gruppi di difesa della donna. Gloria ai caduti per la libertà". Il 13 maggio 1945, a liberazione avvenuta, le loro salme, unitamente a quelle di Iginio Rota e Giuseppe Ruggeri, furono traslate dal cimitero di Arcore a quello di Vimercate accompagnate da una immensa e commossa partecipazione popolare. 

     

Pacciardi

  Randolfo Pacciardi 

(Giuncarico 1899 - Roma 1991)
Il padre Giovanni, è originario di Castagneto e fa il “deviatore ferroviario”; la madre è Elvira Guidoni. La coppia ha già tre figli maschi quando, il primo gennaio 1899, nasce Randolfo penultimo (Elia 1902). Randolfo si schiera, ancora studente a fianco degli interventisti nell'estate del '14. L'anno seguente aderisce al Partito repubblicano e, alla fine di maggio, cerca di arruolarsi volontario, presentando i documenti di un compagno di studi più grande di lui. Respinto viene richiamato alle armi nel '17 per frequentare un corso per allievi ufficiali e, dopo Caporetto, va al fronte con la classe del '99. Ufficiale dei bersaglieri, si guadagna due medaglie d'argento
( “Una delle medaglie d'argento - scriverà- era stata proposta dal generale Fara come medaglia d'oro sul campo per avere attraversato per primo il Livenza, gettandomi da un ponte in fiamme e attaccando il nemico con pochi bersaglieri, che mi avevano raggiunto”), una di bronzo e una croce inglese, la “Military cross”. Congedato si iscrive alla Facoltà di lettere, poi, su consiglio dell'avvocato repubblicano Giovanni Conti, passa a quella di legge. Collaboratore dell'“Etruria nuova”, (settimanale repubblicano), si occupa dello squadrismo, denunciando la passività delle forze dell'ordine verso i seguaci di Mussolini. Nel 1936, fuoriuscito, aderisce al fronte antifranchista con una legione italiana: la Legione unitaria autonoma, apartitica alle dipendenze dello stato maggiore dell'esercito repubblicano. I volontari prendono l'impegno di arruolarsi per un tempo minimo di sei mesi. Lui ne è il comandante. La legione intitolata a Garibaldi partecipa, alla difesa di Madrid, battendosi prima al Cerro de los Angeles, alla Puerta de Hierro e nella Città universitaria e poi a Pozuelo e a Boadilla del Monte. Al principio del '38 Pacciardi si reca negli Stati Uniti, su invito delle organizzazioni democratiche e repubblicane, e pronuncia discorsi in varie città americane.  Nella primavera del '40, allorché i nazisti occupano Parigi, si rifugia nell'Africa settentrionale poi negli Usa dove fonda la "Mazzini Society",  insieme a un gruppo di giellisti (Giustizia e Libertà), di repubblicani e di antifascisti democratici, tra cui Lionello Venturi, Gaetano Salvemini, Michele Cantarella, Aldo Garosci, Carlo Sforza, Alberto Tarchiani e Max Ascoli. Rimpatriato nel '44, Pacciardi diventa, l'anno seguente, segretario nazionale del Partito repubblicano, poi - alla fine del '47 - assume la carica di vicepresidente del Consiglio dei ministri, quindi viene nominato ministro della Difesa. Avverso al centro-sinistra, è espulso dal PRI nel '64 per rientrarvi molti anni dopo. Fonda un movimento di indirizzo presidenzialista, al quale dà il nome di "Nuova repubblica”.

     

Virginio Arzaninato a Genova nel 1922 da famiglia di Viguzzolo e morto sull’Appennino piacentino genovese (Cerreto di Zerba) il 29 agosto 1944,
 

  Virginio Giuseppe Arzani
Quel nome di battaglia m risuonava spesso sulla tastiera ed era troppa la curiosità di scoprire se dietro ci fosse un bersagliere. Da sempre gli sfottò, anche non maligni, della gente avevano etichettato il bersagliere in varie maniere legate al mondo rurale e agricolo, non ultimi i Russi che li chiamavano "soldat kurke", soldati gallina. Una testimonianza qua, una là e la storia di Chicchirichì si è materializzata quel tanto da poterVi permettere di scoprire una delle tante vicende della guerra partigiana dell’Appennino Ligure degli anni 44/45. La brevissima parabola esistenziale di Virginio Arzani, colui che si nascondeva dietro questo nome di battaglia “Chicchirichì” lo portò alla scelta della lotta partigiana e al sacrificio personale. Dopo la sua morte i compagni di battaglia diedero il suo nome a una brigata della divisione Pinan-Cichero e ispirandosi al suo esempio continuarono la loro attività partigiana sino alla Liberazione. W.A

Arzani sul treno per la Russia

  http://www.anpimarassi.it/public/a%20_olga.htm   Dall’intervista http://www.resistenze.org/sito/te/cu/an/cuan4d21.htm  a “Cucciolo” - il partigiano più giovane di Novi Ligure

Medaglia d'oro al V.M. alla memoria Motivazione: Subito dopo l’armistizio, con fedeltà e con decisione, intraprendeva la lotta di liberazione dimostrando di possedere delle doti come animatore e come organizzatore e ripetutamente distinguendosi, in combattimento, per prontezza di decisione e personale valore. Meritano particolare menzione le azioni condotte alla testa del suo distaccamento, a Sarezzano, contro una caserma tedesca, riportando una prima ferita e nei pressi di Tortona, liberando alcuni dei suoi uomini tratti prigionieri e venendo nuovamente ferito. Alla fine di Agosto 1944 difendeva strenuamente per tre giorni lo stretto di Pertuso in Val Borbera trattenendo importanti forze avviate in rastrellamento nella zona. Gravemente ferito ad un ginocchio disponeva per un ordinato ripiegamento e per resistenze successive, dirigendo di persona le azioni dalla barella e rifiutando, più volte, di farsi sgombrare al sicuro. Coinvolto nella lotta ravvicinata cadeva in mani nemiche e con fermo nobilcuore rifiutava di fornire notizie rivendicando la sua fede. Vilmente trucidato dalla sua barella chiudeva da prode la giovane vita generosamente prodigata per gli ideali di fedeltà e di Patria.

CIPPO CHE SORGE IN LOCALITÀ CERRETO
il 29-8-1944
stroncati dalla mitraglia nazifascista qui cadevano i Partigiani:
ALIOTTA VIRGINIO
ARZANI VIRGINIO
SCONOSCIUTO (ITALIANO)
SCONOSCIUTO (POLACCO)
Martiri gloriosi del 2° Reggimento d'Italia.
gli sconosciuti furono poi identificati

in: BUSI ANDREA (italiano)
CENCIO (polacco)

 

. D)Quindi tu e “Saetta”, siete scappati a Novi, cosa avete fatto?
….“Saetta” si era stufato di stare lì e se n’era andato, io rimasi ancora fino a quando Bruno Molinari non mi mise in contatto con il gruppo “Veniero.” Era fine giugno primi di luglio, mi sono quindi aggregato al gruppo “Veniero” e sono andato su in val Borbera, lì abbiamo trovato i primi partigiani organizzati, c’era “Kikirikì” ex tenente dei bersaglieri, lui era già stato in Russia, un ragazzo di 23, 24 anni e “Marco” Anselmi Franco, il comandante, ex tenente della aviazione. “Marco” ci fece distribuire delle armi e io scelsi di fermarmi , mentre il resto del gruppo di “Veniero” dopo un po’ andò via, tornando nella zona tra il Novese e l’Ovadese. Il 24 di agosto del ‘44, ci fu in valle Borbera un grande rastrellamento, combattemmo per tre giorni consecutivi, era la famosa battaglia di Pertuso e per i primi due giorni e mezzo lo scontro fu sostenuto da noi, della “banda” di “Marco” e “Kikirikì”, una sessantina di uomini in tutto, prima che arrivassero gli uomini di Scrivia. Alla fine facemmo parecchi prigionieri, erano bersaglieri del terzo, volontari, tutti allievi ufficiali della scuola di Novi Ligure, io ne ricordo 34, quelli presi proprio lì nel corso della battaglia, poi il numero è via via aumentato fino a raggiungere i 50 o 60, ce li siamo portati dietro per un bel po’, poi a Capanne di Cosola li abbiamo mollati tutti , erano tutti ragazzi sui vent’anni, cosa fare? Non potevamo mica fucilarli ! Gli abbiamo fatto un po’ di predica, gli abbiamo detto di non presentarsi mai più con quella divisa, gli abbiamo dato anche dei soldi, trecento lire a testa come aiuto per tornare dalle loro famiglie e poi li lasciammo andare, e non è l’unico caso in cui i partigiani  hanno curato e poi liberato dei prigionieri, poi capitava che qualcuno scegliesse di rimanere con noi, uno di questi che ricordo si era dato il nome di “Scampato”, dopo pochi mesi se ne andò, perché non reggeva quella vita. …..Quando io giunsi tra loro, con altri due genovesi, erano circa una quarantina, tutti giovani, come del resto anch'io. In gran parte provenivano dalla Pianura Padana e dalle colline di Tortona e Voghera, tutti scappati dalla loro casa per non cadere nelle mani del nemico e finire prigionieri in Germania e per difendere il loro ideale antifascista. Elencare i nomi di tutti è superfluo, per chi non li ha conosciuti, ma io li ho ancora tutti nel cuore. Non è facile raccontare brevemente un anno di montagna passata con Olga e con i miei compagni perché dovrei scrivere un romanzo, ma almeno due episodi e due nomi a Lei legati, li voglio ricordare. Il primo nome è " Kikirikì ", alto, forte e gran combattente - medaglia d'oro alla Resistenza, seppellito al suo paese, Viguzzolo (AL), paese che diede il maggior numero di Partigiani, in quella zona Arzani era Tenente dei Bersaglieri, e fu uno dei primi a salire in montagna per combattere il fascismo. Subimmo nell'agosto del '44 un rastrellamento nelle gole di Pertuso (Val Borbera) e ci scontrammo con fascisti e tedeschi.  Le forze avversarie erano maggiori delle nostre e fummo costretti a ritirarci lasciando sul terreno morti e feriti. Kikirikì, ferito ad un ginocchio, fu messo su un carro e trasportato a Caldirola, dove funzionava un ospedale provvisorio, seguito da Olga. Noi restammo invece sulla collina a combattere la guerriglia. Tedeschi e Brigate nere puntarono verso l'alto convinti di trovare noi, purtroppo, scoprirono i nostri feriti. Forse i tedeschi della Wermacht li avrebbero lasciati vivere, ma i brigatisti neri, famelici lupi, li uccisero con bombe a mano, incattiviti, anche dalla presenza di Kikirikì di cui conoscevano l'eroico comportamento di partigiano. Alla sua morte un brigatista disse: - ora Kikirikì non canta più. Piansi per la sua morte, e per il destino di Olga, forse peggiore. Infatti, finito il rastrellamento scoprimmo che era stata fatta prigioniera e condotta alla Casa dello Studente di Genova, posto orribile per gli antifascisti. Con uno scambio di ufficiali tedeschi, nostri prigionieri, riuscimmo a liberarla. Rivedemmo Olga, ci abbracciammo e Lei ci raccontò le torture psicologiche subite durante la sua prigionia. Insieme si pianse. E tutti insieme ritornammo a combattere.

  Nell’inverno del 44 “Marco” comandante del battaglione Casalini poi Brigata Arzani si reca a Milano dove viene catturato in un agguato. Scambiato con un tedesco prigioniero torna in Val Curone e scopre che  la  brigata è passata a Erasmo Marré “Minetto” (Genova, 1921 poi ordinario di fisiologia vegetale all'Università Statale di Milano) di diverso orientamento politico (Arzani era del partito d’Azione). Il 26 aprile 1945 a Casteggio "Marco" cadde in una imboscata tesa dall’ultimo nucleo di resistenza nazifascista.

Dietro i nomi di battaglia dati per evitare che le famiglie e i parenti fossero coinvolti in rappresaglie e ritorsioni si celavano personaggi di varia estrazione sociale. "Pinan" era Giuseppe Salvarezza, 01/06/1924, -12/1944, decorato della Medaglia d'oro al valore militare. Fiodor Alexander Poletaev, 1909-02/02/1945 era l’unico russo e straniero in Italia decorato di Medaglia d'oro al valore militare. "Marco" era Franco Anselmi, 21/10/1915- 26/04/1945, decorato con Medaglia d'argento al valore militare. Per un certo periodo l’Alta Valle costituì un’”isola” sufficientemente sicura per i Partigiani, dotata di istituzioni democratiche, scuole, ospedali ed altri servizi essenziali. In tale contesto il territorio di Dova Superiore fu scelto dagli Alleati per “lanci” di armi, vestiario, etc…..

     
Rasi Domenico Di Urbano.

Nato a Cesena il 9 dicembre 1924, quarto di cinque figli, celibe. Riconosciuto partigiano della 29° brigata gap con ciclo operativo dal 20 al 24 giugno 1944. Militare dell'8° reggimento bersaglieri di stanza a Gabicce Monte (i costieri della Rsi), fece parte di un gruppo di quattro giovani che propagandò tra i compagni idee antifasciste, di diserzione e favorevoli all'arruolamento nelle brigate partigiane. Tradito da un commilitone, l'11 giugno 1944 fu arrestato, sottoposto a interrogatori e percosse. Processato da un tribunale tedesco, fu condannato a morte assieme a Vanzio Spinelli e il 24 giugno 1944 fucilato a Cattolica, dopo aver scritto una lunga lettera ai famigliari.

  Giuseppe (Pino il generale) Maras 
Motivazione della Medaglia d’Oro: "Giovane sottotenente dei bersaglieri, sorpreso dall'armistizio in territorio straniero, si univa immediatamente alle formazioni partigiane trascinando con sé decine di ufficiali e soldati delle unità regolari in servizio in Dalmazia. Al comando, prima di minori formazioni e successivamente, grazie alla sua decisione, audacia e alle provate capacità, al comando di una divisione partigiana d'assalto, sosteneva numerosi e cruenti epici combattimenti contro l'agguerrito nemico, in condizioni spesso penose ed estremamente rischiose. Nel corso di ventidue mesi di guerra conduceva instancabilmente i suoi uomini per centinaia di chilometri sempre battendosi brillantemente contro l'oppressore e mettendo in evidenza le più alte qualità di trascinatore ed organizzatore. Con il suo altissimo esempio e con la sua nobile figura di comandante, di patriota e di combattente per la libertà, teneva alto in terra straniera l'onore della Patria al cui nome aveva consacrato la sua divisione partigiana." ".Zara - Zagabria, 9 settembre 1943 - 11 maggio 1945.(D.P.R. 7 settembre 1968)
Nasce a Selve (Dalmazia) nel 1922. Maras si trova a Zara sottotenente nell’omonimo battaglione Bersaglieri quando viene dato l’annuncio dell’armistizio. Fu uno dei primi ad impugnare le armi contro i tedeschi unendosi a un reparto di carabinieri. Con gli uomini che raccoglieva sul cammino formò il primo battaglione "Garibaldi" che, insieme a un altro anch'esso composto da militari italiani, il "Matteotti", costituì la Brigata partigiana "Italia". Successivamente la brigata divenne Divisione con Maras al comando e fu inquadrata nelle formazioni di Tito. La Divisione "Italia" partecipò a numerosi combattimenti e alla liberazione di Belgrado e Zagabria. 
Il pomeriggio del 14 maggio 2002, dalla Basilica di S. Lorenzo fuori le mura, esce un feretro, sistemato su un vecchio affusto di cannone. Sulla bara, una bandiera tricolore con la stella. Intorno: una compagnia di bersaglieri in armi per gli onori militari. Forse proprio la bandiera che Giuseppe Maras aveva custodito per tutta la vita e che aveva issato in mezzo alle macerie e alle cannonate sul palazzo dell’ambasciata italiana di Belgrado.
http://www.anpi.it/patria/04-0502/19-22-Muraca_Terradura.pdf
     
  Non sono presenti in questa pagina altri Bersaglieri che hanno militato nelle formazioni partigiane e che hanno uno spazio personale in altra sezione del sito (personaggi) come:
 

Andrea Viglione (futuro Generale) comandante la Brigata Valle Grana http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/viglione.htm
Alfredo Pizzoni Presidente del C.l.n.a.i fino al 27 aprile 1945,  http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/pizzoni.htm

Arturo Scattini..Generale http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/scattini.htm in costr.
 

< a sx Pizzoni comandante il 36° battaglione bersaglieri

     

e Candido Grassi fondatore della Brigata Partigiana Osoppo e pittore

  Nel periodo intercorrente fra il servizio militare e lo scoppio del secondo conflitto si dedica all’insegnamento e alla pittura fino al Gennaio 1940 quando viene richiamato. Deposti i pennelli e la penna ritornò a combattere su vari fronti, con un valore che gli procurò distinzioni, encomi e, nel 1942, la promozione a capitano. L’8 settembre 1943 si trovava da quattro giorni in congedo ordinario a Grado, dove era arrivato dalla Jugoslavia. Evitata la cattura da parte dei nazisti, fu tra i primi a organizzare il movimento partigiano dei “Fazzoletti verdi”, appartenenti al raggruppamento divisione “Osoppo – Friuli”. Il Comitato di Liberazione Nazionale della Provincia di Udine pose Candido “Verdi” Grassi al comando della prima brigata dell’Osoppo, che operava in Val Tramontina, in Valcellina e in Carnia. Il 1° maggio 1945 (con l’intermezzo di un arresto da parte dei nazisti e fuga) fu tra i primi a entrare a Udine al comando delle 5 divisioni friulane.

Venne decorato con medaglia d’argento per decreto della Presidenza del Consiglio del 16 marzo 1947 con la seguente motivazione:“Capo partigiano di grande ascendente, animatore e trascinatore già distintosi in molti combattimenti per audacia e capacità, durante una potente offensiva nemica in un momento decisivo per la sorte del combattimento, si metteva alla testa di un battaglione e lo guidava con perizia ed ardimento, riuscendo ad arrestare il nemico superiore per numero e per mezzi, ad infliggergli gravi perdite e a salvare importanti depositi di munizioni, viveri e materiali. (Friuli – Val Meduna 20-21 ottobre 1944)”.

     
 

Fonte delle motivazioni delle medaglie d'oro Il Quirinale.it.

Fonte dei dati anagrafici e biografici -I BERSAGLIERI Origini Epopea e Gloria- di Garofalo-Langella-Miele 

 

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  Antonio Cambriglia Tenente di cpl. Bersaglieri

Nato a Calvello Tolve (Potenza) nel 1920, caduto nel novembre 1944, insegnante nella scuola “Giosuè Carducci” di Napoli, quando era stato chiamato alle armi. Sottotenente del 1° Reggimento bersaglieri, Cambriglia aveva combattuto contro i tedeschi nelle Quattro Giornate di Napoli. Liberato il capoluogo partenopeo, il giovane ufficiale, promosso tenente, si era arruolato come volontario in una unità della V Armata ed aveva partecipato a numerose azioni con gli americani. Cadde in una località imprecisata dell’Italia occupata. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con questa motivazione: “Fedele al giuramento, combatteva eroicamente contro i tedeschi nelle gloriose quattro giornate di Napoli. Si arruolava successivamente nel servizio informazioni della 5° Armata americana, per essere inviato nel territorio non ancora liberato. Aviolanciato presso un gruppo di patrioti, partecipava con essi a numerose azioni e forniva preziose informazioni ai comandi alleati a mezzo radio clandestina, sfidando le continue ricerche dei tedeschi. Accettato combattimento con pochi patrioti contro forze preponderanti nazifasciste, conscio della propria sorte, dopo aver strenuamente combattuto nel nome della Patria e della Libertà, chiudeva la sua eroica vita di soldato e di patriota”.