LA SECONDA GUERRA MONDIALE

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ESERCITO POPOLARE DI LIBERAZIONE JUGOSLAVO  LA DIVISIONE ITALIANA  

GARIBALDI

EPLJ
(Esercito Popolare di liberazione Jugoslavo)
REPARTI DI FANTERIA DELLA DIV. ITALIANA PARTIGIANA "GARIBALDI"
Data del conferimento della medaglia d'oro: 12- 9- 1953
motivo del conferimento
Degni eredi delle tradizioni militari e del sublime eroismo delle Divisioni "Taurinense" e "Venezia", duramente provate prima e dopo l’armistizio, i reparti di fanteria della Divisione italiana partigiani "Garibaldi", dai resti di quelle unità derivati, si forgiavano in blocco grafitico ed indomabile, animato da nobili energie e da fede nei destini della Patria. In 18 mesi di epici ed ininterrotti combattimenti, scarsamente riforniti di viveri, senza vestiario né medicinali, con gli effettivi minati da malattie, tenevano alto, in terra straniera, il prestigio delle armi italiane, serbando intatta la compagine spirituale e materiale dei propri gregari che volontariamente preferivano la sanguinosa lotta della guerriglia, ad un’avvilente resa. Ultimata la guerra in Balcania e rientrati in Patria, ridotti ad un terzo, dopo i duri combattimenti sostenuti Sulle aspre montagne del Montenegro, dell’Erzegovina, della Bosnia e del San giaccato, chiedevano unanimi l’onore di difendere il suolo natale, emuli di quanti si immolarono all’italia e al dovere, tramandando ai posteri le leggendarie virtù guerriere della stirpe. Jugoslavia, 8 settembre 1943 - Italia, 25 aprile 1945.

Briefing con capo partigiano Jugoslavo

 

LE DIVISIONI ITALIANE “VENEZIA” E “TAURINENSE” IN MONTENEGRO (1943-45)
Passi dalla Conferenza tenuta dal dr. Leo Taddia il 22 ottobre 1999 all Centro di Studi Storico Militari di Bologna Gen. G. Bernardini  http://www.centrostudimilitari.it/images/division.doc  Altri argomenti http://www.centrostudimilitari.it/relaz.htm 


Oxilia- Erano circa 20.000 italiani (i militari delle 2 divisioni) che non rientravano affatto nello stereotipato ed avvilente: tutti a casa. Per questo solo pronunciamento avrebbero meritato di essere ricordati e celebrati. Invece niente. Per anni non se ne è fatto cenno. Ed anche ora, dopo oltre 55 anni, ben pochi sono a conoscenza di questo significativo capitolo di storia italiana. Posso soltanto anticipare (sui motivi che alla fine risulteranno chiari) che, a mio avviso, non è da escludere la ragione politica. Infatti i componenti delle due divisioni, pur operando in Jugoslavía a fianco di elementi molto politicizzati, quali i partigiani di Tito, ci hanno tenuto a conservare la iniziale caratteristica di appartenenti all'Esercito Italiano e sono rimpatriati diciotto mesi dopo l'armistizio nella medesima veste. C'è da pensare che se si fossero piegati a militare sotto le insegne di un partito, riconoscimenti e celebrazioni non sarebbero mancati. E' oltremodo triste nutrire dubbi del genere e ancora di più dover ammettere che forse sono giustificati…...


La situazione militare nei Balcani già dal 42 aveva dato segni di sfaldamento, quando era fallito il tentativo di Hitler di prendere i pozzi del Caucaso (Baku). In medioriente risolto il problema dell’Iraq restava da risolvere quello di El Alamein che cadeva in ottobre poco prima della concordata invasione alleata del Nord Africa di novembre. Sembrava una replica della grande guerra (ma allora gli Usa impiegarono un anno a dispiegare il dispositivo bellico). Il mediterraneo da mare in condominio era veramente diventato "mare non nostrum". I balcani erano quindi il settore più a rischio, rischio acuito da una guerra partigiana che ormai si trascinava da quasi 2 anni e che di fatto isolava la parte meridionale della Jugoslavia e della Grecia dal fronte dell'asse. La Turchia che stava alla finestra cercando di incamerare benefici da questa sua posizione ora, alla fine del 43, faceva la faccia cattiva anche coi tedeschi. Il variegato mondo del nazionalismo partigiano Jugoslavo comprendeva i monarchici cetnici, tagliati fuori dagli accordi internazionali favorevoli a Tito, ma con una grossa presenza in Montenegro. L’ortodosso Montenegro affidato all’Italia anche per essere paese di nascita della Regina, non aveva dato adito a grossi scontri (La rivolta più famosa è quella del 13 luglio del 1941, tre mesi dopo l’occupazione italiana. Gli italiani avevano provato a rifondare il 12 luglio un Montenegro “indipendente”. Gli italiani subirono gravi perdite e riuscirono a riportare il controllo sulle maggiori città e il litorale). In diverse occasioni i Cetnici (maggioritari) iniziarono a collaborare con gli italiani. I tedeschi non erano, si vede, dello stesso avviso perchè  per impedire anche qui una supremazia di quelli di Tito erano intervenuti chiedendo il disarmo !!!. Il Montenegro era pertanto quasi totalmente controllato dai cetnici fuori dalle principali linee di comunicazione. Quando i tedeschi avevano imposto il loro disarmo i comandi italiani avevano protestato invano. Al margine nord operavano degli altri “partigiani” che avrebbero dovuto essere collaborativi, gli Ustascia fascisti croati di Ante Pavelic che estendevano il loro dominio lungo la costa fino a Sud. Per gli italiani questi erano più pericolosi dei Titini. Non bisogna poi dimenticare che il Kossovo serbo era in realtà abitato da mussulmani albanesi e questo era un altro problema nazionalista partigiano sia per i Serbi che per i Montenegrini che subivano altre minacce di sovranità dagli albanesi. L’annuncio dell’8 settembre mise a bollire il pentolone balcanico. In Italia ci si doveva astenere dal sparare agli alleati e in Jugoslavia cosa avremmo fatto intanto coi tedeschi? Quale atteggiamento doveva essere tenuto nei loro confronti? Le loro profferte o minacce erano da respingere? Nell'incertezza la maggioranza rimase in attesa che la situazione si chiarisse, mentre ogni ritardo si risolveva a nostro danno. Piani non ce ne erano perchè quando andava bene anche il più attrezzato comando superiore balcanico lo aveva saputo 4 giorni prima. Poiché nemmeno sulla data dell’8 settembre gli italiani erano d’accordo (chiedevano il 12), i 4 giorni prima corrispondevano all’8 ?. Nella quasi totalità dei casi le truppe italiane, ferme nei presidi, attendevano gli eventi. Ogni comandante, di ogni livello si sentiva gravato da una responsabilità a lui sconosciuta.

Nei Balcani l’armistizio sorprese un Gruppo di Ospedali da Campo C.R.I. (mobilitato), dislocato in Montenegro e articolato su tre Ospedali attendati, il 73°, il 74° e il 79°. I resti di tali formazioni dopo giorni di marcia a piedi si ricongiunsero con la divisione "Venezia" e "Taurinense", confluendo quindi nella Divisione italiana "Garibaldi" ove operarono fino al termine del conflitto.

  -..Comunque nel Montenegro c'era purtroppo chi aveva ricevuto per tempo poche, precise e chiare disposizioni in previsione della rinunzia degli italiani a continuare a combattere. Il comando Supremo della Wehrmacht alla fine di luglio aveva fatto pervenire alle unità dipendenti un ordine segreto: al ricevimento della parola Achse le truppe germaniche avrebbero dovuto muovere contro i presidi italiani e disarmarne gli occupanti. Chi si opponeva doveva essere fucilato sul posto. Infatti all'alba del 9 settembre i tedeschi scesero da Pljevlja e da Savnik e alle 8 svoltarono davanti a Niksic in un rettilineo dove era schierata la 6^ batteria del Gruppo Aosta. Contro la colonna di camion, preceduti da un'auto vettura furono sparati cinque colpi, uno per ogni pezzo, che ne bloccarono l'avanzata. I cinque proiettili della 6a batteria non costituiscono e non configurano uno scontro armato, ma una presa di posizione netta contro le inframmettenze estranee nella zona di giurisdizione della Taurinense. E saranno indicate in seguito quale atto simbolico dell'atteggiamento antitedesco assunto dalla Taurinense e dalla Venezia. Non importa se dopo le trattative intercorse con il XIV° Corpo d'armata la 118a Panzerdivision fu autorizzata a proseguire per calare verso la costa e per inserirsi fra i presidi italiani in modo da controllarli.
     

  Il gioco dei tedeschi era fatto. L’attendismo italiano aveva girato la boa del non ritorno. Opporsi ora anziché 2 giorni prima quando si era in un ipotetico vantaggio era equivalso alla sconfitta. Si giunse perfino ad autorizzare la consegna delle artiglierie e delle armi pesanti. Anche Tito era sul chi vive e i suoi, che aveva ritirato a suo tempo, filtrarono di nuovo verso il Montenegro. Tito aveva ordinato al II° Korpus dell'EPLJ di trasferirsi dalla Bosnia e dalla Lika. Le istruzioni impartite prevedevano l'inserimento nelle file partigiane dei reparti che avessero deciso di collaborare ed il disarmo degli altri. Il II° korpus costituiva l'unità più combattiva ed efficiente di cui disponesse Tito in quel periodo. I comandanti infatti erano esperti ed in maggioranza si erano formati nella guerra di Spagna. Il compito da svolgere in una plaga sotto il controllo di cetnici ed italiani era oltremodo gravoso. La scelta del II° Korpus forse dipese anche dalla constatazione che, oltre alle capacità in campo militare, non doveva mancare abilità politica e diplomatica. Diplomazia che mancava certamente ai tedeschi che procedevano con fucilazioni sommarie a qualsiasi variante del loro progetto. Al Gen.  Rosi ostaggio perché non si adeguava successe Dalmazzo che firmò la rese il 12 per il gruppo armate. Di diverso avviso i sottoposti Gen. Butta della div. Emilia, per la Ferrara Franceschini da Cetinje, per la Taurinense Vivalda da Niksic e per la Venezia Oxilia. Vivalda aveva assicurato il concorso della Taurinense con un reggimento alpino già a Grahovo, a ridosso delle Bocche di Cattaro. Defezioni e fretta ridussero, poi pregiudicarono l’efficacia della manovra contro il campo d’aviazione di Gruda. I rinforzi tedeschi via treno e l’aviazione fecero il resto (ci fosse stato un partigiano a far saltare le rotaie).
   
  - A sera del 15 fu diramato l'ordine di cessare i combattimenti e di raggiungere le imbarcazioni, fatte confluire a Cattaro e nei porti vicini. Purtroppo non tutti coloro che si presentarono di fianco alle navi poterono imbarcarsi. Infatti i più celeri a salire sulle navi furono proprio quelli che non avevano combattuto, anche perché furono i primi ad aver sentore di quanto stava accadendo. Le navi salparono stracariche. Ma quanti restarono sconsolatamente sul molo, si sentirono come traditi ed abbandonati. Fu facile infine rastrellarli e condurli via prigionieri.Che dire dell'azione del generale Buttà? Il suo comportamento fu senza dubbio velleitario ed intempestivo, se giudicato nel quadro generale degli avvenimenti succedutisi in Montenegro. Certo sarebbe stato più saggio attendere l'arrivo dell'intera divisione Taurinense, come sembrava in primo luogo disposto con l'accordo di Podgorica con il generale Vivalda. Nemmeno dalla sua relazione sui fatti occorsi in quei giorni alle Bocche di Cattaro é possibile astrarre il motivo, la ragione che lo indusse ad affrettare l'intervento della sua divisione contro i tedeschi, il cui dispositivo sulle costa si rafforzava ogni giorno maggiormente. E’ forse in questa constatazione la chiave di lettura dell'impazienza ad impegnare combattimento.

Mario Riva: Nato a Lentate sul Seveso (Como) nel 1900, caduto a Vukovet (Montenegro) il 18 ottobre 1943, impiegato, Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Richiamato alle armi nel 1940 come tenente di complemento, Mario Riva era stato mandato in Albania e promosso capitano nell’83° fanteria della "Venezia". Al momento dell’annuncio dell’armistizio si trovava con il suo reparto in Montenegro, a Kolasin. Inizialmente l’ufficiale italiano si era opposto agli attacchi del II Korpus dell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo (EPLJ), ma poi decise di affiancare i partigiani nella loro lotta contro i tedeschi. Il 14 ottobre, infatti, il capitano Riva, che aveva costituito il 2° Battaglione "Italia", forte di 150 uomini, si affiancò alla 4a Brigata montenegrina dell’EPLJ. Tre giorni dopo, i combattenti dell’"Italia" impegnarono forze corazzate tedesche al passo di Lijeva Rijeka; proprio in questo scontro Riva cadde alla testa dei suoi uomini.

  La Ferrara si astenne dal combattere e gli alpini, dopo la notizia degli ultimi avvenimenti, si spostarono a Danilovgrad. La posizione non era migliorata. All’ordine di resa e consegna delle armi qui come alla Venezia ci fu un pronunciamento contrario. Erano ora 20.000 uomini a cui si apriva un futuro incerto in dissenso spesso con chi li comandava. Era sedizione armata passibile di corte marziale? In luoghi diversi è lontani fra loro si era avvertita la necessità di ottenere una specie di invèstitura dal basso. Come dire: io, comandante di una divisione, opero a nome di tutti voi, avendone ricevuto preventivamente il consenso. Prima dell'armistizio infatti i suoi sottoposti gli dovevano obbedienza pronta ed assoluta, specialmente in tempo di guerra. Dopo l'armistizio tutto era cambiato. Inspiegabilmente a Danilovgrad gli alpini erano in maggioranza accampati sulla sinistra del fiume Zeta, con l'unico ponte saldamente in mano tedesca. Dopo alcune perplessità e una miglior visione della situazione, anche in funzione pro partigiana la Taurinense prese posizione nel triangolo Ledenice-Crkvice-Dragalj, costituendo di fatto una minaccia per la transitabilità e per i collegamenti intorno alle Bocche di Cattaro, situazione che i tedeschi non potevano tollerare. E infatti non tardarono ad attaccare lo schieramento alpino. La battaglia, iniziata il 25 settembre, si protrasse fino al 29, senza che la Wehrmacht riuscisse ad aver ragione della accanita resistenza opposta. I partigiani questa volta misero una parola pesante nelle trattative. Dimenticate il mare e l’imbarco e spostatevi nell’interno dove pensiamo noi a tutto. La strettoia Niksic-Viluse che doveva essere da loro presidiata si trasformò in una trappola con 400 morti e ufficiali fucilati. L’unico indenne fu il gruppo Aosta di Ravnich che con i superstiti cambiò denominazione e divenne la Brigata alpina Aosta.
     

Motivazione: "… rifiutava di ottemperare alle disonorevoli condizioni imposte dai tedeschi malgrado i rischi e le incognite insiti in tale decisione. Comandante di compagnia fucilieri rimasta isolata in caposaldo e circondato da preponderanti forze nemiche teneva testa all’avversario con tenacia e valore. In successivo violento scontro con agguerrite formazioni tedesche e cetniche dava ripetute prove di coraggio e di pronta decisione, prodigandosi nel rincuorare i propri uomini, nel sostituire i caduti; sempre primo ove maggiore era il pericolo per sbarrare il passo all’avversario. Mentre si ergeva fieramente contro il nemico incalzante, colpito a morte da una bomba da mortaio, trovava ancora la forza di invocare il nome sacro della Patria”

  - Anche la Venezia ai margini del Kosovo e del Sangiaccato finì per allearsi coi partigiani, ma con un percorso pii tormentato. Il problema di collegarsi con formazioni locali costituisce una necessità inderogabile per un reparto che si trovi isolato in territorio straniero. Ogni prelievo di risorse, ogni intromissione in varie questioni diventa maggiormente tollerabile per la popolazione se promana da altri concittadini. Se invece viene imposto da estranei è subito considerato come un sopruso e questi sono considerati ipso facto nemici con le prevedibili conseguenze. I primi agganci la Venezia li ottenne con i cetnici, che erano maggioritari fra la popolazione. I capi si precipitarono a Berane ad offrire la propria collaborazione contro i tedeschi a patto che la divisione non abbandonasse la zona di occupazione e li difendesse dalle infiltrazioni di formazioni di diverso orientamento. L'accordo su una impostazione tanto generica non trovava opposizione alcuna, tanto più che i capi cetnici erano conosciuti per precedenti patti di collaborazione conclusi con il comando divisionale. Tuttavia arrivò dalla Serbia a Berane un alto ufficiale inglese il quale assicurò che l'alleanza con i cetnici era conforme ai dettami armistiziali !!!.
     

  Agli uomini della Venezia si erano aggiunti i Finanzieri (il VI e il XV btg) e quelli della (GAF) Guardia alla frontiera. I cetnici a tu per tu coi soldati li sobillavano ad abbandonare le armi, promettendo d'aiutarli a raggiungere il mare. Un contatto avuto con Brindisi porta ad una parziale collaborazione via aerea su un campo di atterraggio di fortuna a Berane. Stare coi cetnici non voleva dire stare coi Titini e presto ce ne accorgemmo quando questi, il 26/9, scesero dal nord. Gli italiani cercarono di evitare il contatto ma questo non fu possibile per la compagnia del Cap. Mario Riva. Tregua e tavolo di discussione: dopo giorni di scontri e profferte d’alleanza i cetnici venivano abbandonati. Era già passato un mese e mezzo dall’armistizio e di tedeschi a terra se ne era visti pochi. Gli unici volavano anche per intercettare gli aerei di Brindisi. La vicenda del cap. Riva non era però finita. Nel pomeriggio del 16 ottobre i tedeschi puntarono sul comando della Venezia. Era l'operazione "Balkanschlucht" protrattasi fino al 24 ottobre. Il battaglione Italia, nel quale era stata trasformata la compagnia del capitano Riva, il 18 ottobre si battè a fianco di reparti partigiani che si erano schierati a difesa di Matesevo contro soverchianti forze germaniche del 524° rgt. affiancate da cetnici, musulmani, albanesi e da reparti della legione camicie nere “Firenze”. Le colonne germaniche provenienti da Rozaj e Sjenica furono arrestate a qualche km da Berane; invece quelle provenienti da Podgorica e da Danilovgrad travolsero la prima linea di resistenza e puntarono su Matesevo. La battaglia fu aspra specie nella zona di Tara-Vukovet, ove il battaglione Italia inflisse severi perdite al nemico, ma rimase decimato: 25 morti, tra i quali Riva, 45 feriti, 75 dispersi. In onore del comandante caduto, il reparto, una volta ricostituito,ne prese il nome: battaglione Riva. L'Esercito di liberazione jugoslavo nominò Riva "Junak", eroe di guerra, il massimo onore concesso a un combattente in quel conflitto; l'esercito italiano gli decretò la medaglia d'oro al valor militare alla memoria. La minaccia di accerchiamento convinse italiani e titini a sganciarsi e a dividersi in nuclei più piccoli. Avrebbero preso strade diverse decise sul momento, per le vie più sicure. Era la guerra partigiana. Se per i partigiani jugoslavi colpire e fuggire con l’aiuto di civili era normale per gli italiani un po’ meno e se ne videro gli effetti dalle perdite maggiori.
   
  -L'azione su Sjenica, conclusa tanto tragicamente, anche perchè male preparata e per niente coordinata, ebbe come conseguenza che i comandi iugoslavi gli stessi che avrebbero dovuto dirigerla, meglio diedero la colpa dell'insuccesso alle brigate italiane, i cui componenti furono giudicati inidonei a combattere . Secondo il II* Korpus i militari italiani avrebbero dovuto singolarmente decidere ancora una volta se intendevano restare volontariamente fra i combattenti. I rinunciatari sarebbero stati inquadrati in battaglioni lavoratori. Si seppe i seguito che le armi sottratte agli italiani dovevano servire ad armare seimila montenegrini arruolati recentemente. Non li distolse dal mandare avanti il disarmo nemmeno una esaltante notizia arrivata dalla Serbia. Un battaglione della II" brigata Venezia con un deciso attacco aveva occupato Kremna, vicino ad Uzice, conquistando un largo bottino in armi, munizioni, viveri, compresi 150 cavalli. Un centinaio di bulgari furono fatti prigionieri. Purtroppo due giorni dopo l'attacco fu rinnovato ed il battaglione ebbe la sorpresa di vedere uscire dai varchi, appositamente apprestati, dei carri armati che provocarono larghi vuoti nelle file italiane.

 

   

DIVISIONE DI FORMAZIONE DEL REGIO ESERCITO ITALIANO "GARIBALDI" - ZONA DI GUERRA DELL'EPLJ

Sulla figura di Ravnich riportiamo il giudizio di Donino Chiara, artigliere alpino del gruppo Aosta: "Ravnich non abbandonò mai i suoi artiglieri alpini e rifiutò, benchè ferito, di essere portato in salvo in Italia. Se fosse mancato, tutto si sarebbe sfasciato. Solo il maggiore Ravnich seppe farsi rispettare dai partigiani e ottenere l'autonomia della Garibaldi, anche se controllata dai commissari politici jugoslavi. Era giusto, leale, coraggioso; aveva nel sangue e nella mente l'amore per la Patria ". E' il caso di notare che un libro edito dall'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, "Le operazioni delle unità italiane nel settembre ottobre 1943", pone in evidenza l'attività svolta dai generali Oxilia e Vivalda successivamente all'armistizio, ma non accenna al fatto che, col rientro in Italia per via aerea nel 1944, essi abbandonarono la divisione partigiana Garibaldi che era stata ai loro ordini. Non soltanto: in questo libro "ministeriale" Ravnich viene citato di sfuggita come comandante del gruppo Aosta; se ne ignora interamente l'azione di comando svolta, successivamente alla partenza di Oxilia e Vivalda, dal giugno 1944 al rientro dell'unità in Italia nel marzo del 1945. La narrazione sulla Garibaldi si ferma qui.

   

Indietro non si tornava. Se un comandante italiano voleva imporsi in una discussione con quelli di Tito rischiava la vita dietro il primo angolo di casa. Taurinense e Venezia si fusero allora per dare vita alla Divisione Italiana Partigiana Garibaldi su quattro brigate. Anche il nome della nuova formazione fu imposto dagli Jugoslavi. Brindisi informata disse che stava bene. Beh! avevano registrato un messaggio ed era sempre quello che usavano. All’inizio dell’inverno con lanci da parte della aeronautica del sud si cercò di sollevare il loro morale e la temperatura, per gente che vestiva ancora leggera. Gli agguati continuavano con l’impiego i carri armati che di solito non passano inosservati. La Garibaldi, appena costituita, fra il 4 ed il 6 dicembre, lasciò sul terreno oltre seicento morti e perse circa mille e cinquecento prigionieri. Gli jugoslavi già dal 4 avevano cominciato lo sgombero de reparti più lenti come i feriti. La IV brigata avvertita in tempo, era ritornata ad Andrijevica, la III° sfuggita alla totale distruzione, benché i carri armati avessero fatto irruzione in mezzo ai reparti, aveva ripiegato verso la Bosnia e, riorganizzatasi, serrò sotto contro Pljevlja, provocando incursioni di colonne nemiche, affrontate in duri combattimenti. La II° da Ljekovina fronteggiava popolazioni ostili attorno allo Crni Vrk. La I° accorse da Glibacj a Podpec, dove per sei ore aveva bloccato l'avanzata di una autocolonna della Wehrmacht per dare respiro a quanti avevano ripiegato verso Levertara. Ad un quadro tanto desolante c'è da aggiungere che anche il materiale aviolanciato su Pljevlja sette giorni prima ed ancora chiuso nei magazzini militari fu incamerato dai tedeschi


-.L'inverno 1943-44 nel Montenegro fu uno dei più rigidi del secolo. A sostentare i combattenti negli scontri , fra la neve, nei trasferimenti in indispensabili per sottrarsi ai rastrellamenti nemici, sarebbe stata necessaria una abbondante alimentazione, di cui fanti ed alpini non hanno mai goduto. Anzi i viveri, ridotti a carne di pecora ed orzo, assicuravano a mala pena le calorie per la sopravvivenza. Talvolta l'orzo fu distribuito in grani per l'impossibilità di utilizzare i mulini bloccati dal gelo. In tal caso occorreva adattarsi e abbrustolire l'orzo sulle stufe o macinarlo coi denti. Anche per il vestiario il logorio e gli strappi risultavano evidenti. Ma la preoccupazione maggiore era costituita per le scarpe slabbrate oppure rimaste a pezzi nella neve. Si ricorse allora agli abiti civili e alle tonache -montenegrine, ricavate da pelli grezze, tenute ferme ai piedi con un reticolo di lacci. Purtroppo ad un certo punto apparve chiaro che non era più possibile continuare con le requisizioni, poiché oramai l'economia del Montenegro era esausta per la necessità di mantenere oltre alla popolazione circa ventimila partigiani.

Museo Garibaldino di Largo Porta S. Pancrazio 9 (00153 Roma) e-mail: portasanpancrazio@tiscali.it   Sezione dedicata alla Divisione Garibaldi   Saltiamo alcuni mesi per portarci all’estate del 44.

RAVNICH

 
In Bosnia erano morti fra i 400 caduti anche i Comandanti delle due brigate, gli alpini Capitano Pietro Marchisio ed il Maggiore Spirito Reyneri. A Zabljak i soldati riscontrati con febbri alte furono avviati a Negobudje in un altro lazzaretto. Gli altri furono presto impegnati in azioni di sorveglianza e di copertura alle passerelle sul fiume Tara. Era evidente tuttavia cha i superstiti dalla Bosnia non erano in condizioni di sopportare altri disagi e nemmeno di assolvere compiti anche leggeri. A metà maggio furono trasferiti nei pressi di Mojkovac, lontano dai vari fronti, dove fosse possibile fare pervenire continui rifornimenti, che, per quanto insufficienti a soddisfare tanta fame arretrata, almeno assicuravano pasti regolari.
Il primo comandante della Garibaldi, generale Oxilia della Venezia, lasciata Kolasin per Berane il 24 febbraio 1944, la sera del 15 marzo successivo partiva in aereo per l'aeroporto di Galatina. A Lecce, sede del Ministero della Guerra, assunse la carica di sottocapo di S.M. dell'Esercito e successivamente di sottosegretario di Stato alla Guerra. I suoi soldati intesero la partenza come un abbandono del campo di battaglia per un incarico al sicuro da qualsiasi pericolo. La Garibaldi, quindi, passava agli ordini del generale Vivalda della Taurinense che, a sua volta, venne rimpatriato a giugno del '44. Il maggiore Carlo Ravnich, allora, lasciò il comando della Ia brigata per assumere quello della divisione Garibaldi, che tenne, rifiutando piu’ volte il rimpatrio, anche dopo essere stato ferito. Per l'occasione fu promosso tenente colonnello. Divenuto comandante della divisione il colonnello Ravnich, forte del prestigio guadagnato in tanti mesi, di impegno, seppe imprimere un notevole impulso alla riorganizzazione delle brigate. Molti uomini in soprannumero o non combattenti perché privi di armi e malati erano stati inquadrati in battaglioni lavoratori e a questi si chiese di tornare in reparto per coprire i vuoti. Le brigate si erano infatti ridotte a 3 striminzite e per brigate non si intende più una forza di 5.000 uomini ma quella di un battaglione secondo lo schema partigiano . I tedeschi intanto avevano dato il la al più grande rastrellamento che si ricordi: portare i partigiani sull’invivibile Durmitor. Li salvò la pace chiesta dalla Romania che apriva vuoti a Est contro i russi. Vedi diario Ravnich
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/ravnich.htm
e foto a sinistra
     

Bocche di Cattaro

  da atti parlamentari ….. segnali ben tangibili di un certo modus operandi dei Titini, erano pervenuti già nel novembre 1944, al governo italiano quando si era venuto a sapere che il 15 agosto dello stesso anno le truppe titine avevano fucilato tre Ufficiali della Divisione Garibaldi accusati di essere stati “squadristi” e dell’arresto di altri undici ufficiali dello stesso reparto accusati di crimini di guerra. Episodio tratto da ASMAE, Pcm 1951-54, 15.2, 10599, sf. 3 Stato maggiore generale Ufficio affari vari a Pres. Cons. Ministri Gabinetto, prot. 106305/av 9 novembre 1944 e riportato in FILIPPO FOCARDI, i mancati processi ai criminali di guerra italiani, in Giudicare e Punire, L’ancora del Mediterraneo, 2005. http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenbic/57/2006/0206/pdf008.pdf

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