LA SECONDA GUERRA MONDIALE

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DISPERSI ...... 8 SETTEMBRE 1943

  - GRECIA ED EGEO -

cartolina della Acqui

  L’8 settembre 1943 si trovavano in Grecia circa 80.000 tedeschi del gruppo armate sudest, in nuclei di massicci distaccamenti motorizzati e gli italiani inquadrati nella
XI armata italiana gen. Vecchiarelli
III CdA a Tebe div. Forli, Pinerolo, truppe Eubea (Bersaglieri)
VIII CdA Cefalonia div. Acqui, Corfù Div. Casale
Sett.Corinto, Argolide Pelopponeso Div. Piemonte, Cagliari distaccate a unità tedesche
XXVI CdA a Giannina div. Modena, Brigata Lecce
Comando Egeo div. Cuneo (a Samo), Regina (Rodi e Castelrosso), Siena (a Creta)
Da Dodecaneso.org: Una missione inglese fu paracadutata nella notte tra il 9 ed il 10 settembre per poter stabilire contatti col Governatore Inigo Campioni e concordare gli aiuti militari alleati (ma si dice che gruppi di commandos fossero già nell'isola da giorni). Dopo varie peripezie Dolbey arrivò al Palazzo del Governatore alle ore 1.15 del 10 settembre e conferì con Campioni ed alti ufficiali. Gli inglesi chiesero di resistere sino al 15 tenendo sgombro il porto per lo sbarco alleato. L’incertezza, l’incapacità e la passività dei più diretti collaboratori militari del Governatore, condizionarono negativamente l’uomo amplificandone le esitazioni e le angosce, già palesate in mare. La mattina del 10 si tenne una riunione al Castello in cui Campioni decise di chiedere l’ armistizio. Egli si era mosso cercando disperatamente spazi di negoziazione o rispetto di regole formali da parte di un avversario che aveva un’unica spietata regola, uccidere o essere ucciso.   XI armata composta da circa 7.000 ufficiali e 175.000 militari di truppa disseminati in innumerevoli e statici presidi sia nel continente che nelle centinaia di isole. Se in Italia dopo l'annuncio dell'armistizio la sera dell'8 la situazione era confusa, senza ordini precisi se non quello di sparare se attaccati; nelle isole esistevano solo due situazioni o con o contro i tedeschi. Con gli Angloamericani a Salerno e il resto dell'Italia ancora agibile, con le dovute precauzioni (retate, bombardamenti) si poteva raggiungere casa o nascondersi da qualche parte. Nelle isole ciò non lo era già più da molto tempo perché il controllo delle acque e del cielo era in mano Inglese. Si tentò a questo riguardo di collegare la madrepatria alle isole con sottomarini, ma il carico utile era poco o nullo, giusto per corrispondenza, medicinali e poco altro. Vi era quindi scarsità di risorse e mezzi, con carenze alimentari, già magre per la popolazione civile, a cui si aggiungevano 50.000 italiani e 25.000 tedeschi.

Creta
Creta non è soggetta agli italiani, ma dal maggio 41 (dai giorni dell’operazione Merkur) abbiamo un piccolo presidio stabile estratto dalla divisione Siena, dal 312° btg misto motocorazzato e il CXLI btg ccnn. (che molti autori qualificano come M) Dopo gli attimi di indecisione alla notizia dell’armistizio la formazione consegna le armi. Non si hanno notizia di scontri rilevanti. Susseguente al disarmo e alle reali intenzioni di collaborazione espresse dagli italiani Il T.Col Carlo Gianoli procede alla raccolta di tutto il personale dell’isola o qui piovuto per costituire una Legione italiana volontari “Kreta” che inquadra tre battaglioni (due secondo Pisanò) più il CXLI btg ccnn. dislocato a Retymno. Il 25 aprile 1945 i reparti italiani vengono lasciati liberi, mentre i tedeschi idealmente o virtualmente continuano la guerra. Inquadrati coi tedeschi (in divisa) vi erano molti Italiani che non potevano scegliere. Il 6 maggio la legione depone le armi nelle mani degli Americani. 2 giorni dopo tocca ai tedeschi. Il 20 maggio con la nave francese “Ville d’Oran”, finiscono nel campo sportivo di Brindisi (erano 1400) poi trasferiti in parte a Taranto, il resto ad Algeri al Campo 211. Quelli di Taranto una notte scapparono cantando Giovinezza.

Dopo la firma della resa, non una delle condizioni concordate venne rispettata. Campioni venne custodito da uomini delle SS nel suo appartamento al Castello. I tedeschi iniziarono immediatamente l’evacuazione degli ufficiali italiani perché temevano che questi scatenassero una rivolta dei militari italiani. L’ammiraglio fu trasportato in aereo ad Atene e quindi inviato al Lager di Schokken in Polonia dove vennero concentrati tutti gli alti ufficiali italiani catturati. Nel gennaio 1944 fu prima internato al carcere degli Scalzi a Verona e quindi nell’aprile 1944 in quello di Parma. La loro sorte (con Mascherpa) era segnata.

I ribelli di Creta, a destra un bersagliere non identificato

 

 

RODI

COMPAGNIA DEL GIARDINO DI GUERRA

  Rodi
 

A Rodi come a Creta è presente una formazione tedesca, la divisione meccanizzata Rhodos al comando del gen. Kleemann che controlla per ora gli aeroporti dell’interno. Falliti i tentativi di resistenza (l’ultimo si protrae fino al 15) e di negoziazione ai più non resta che aderire al nuovo ordine. Il vice governatore Faralli accetta con diversi personaggi del regime di aderire alla neonata R.S.I. Vengono costituiti diversi reparti, compreso uomini della neonata GNR, Genio e volontari dalla disciolta div. Regina. I volontari si erano divisi in 2 grandi famiglie: quelli che erano entrati direttamente nei reparti tedeschi (e non obbedivano più agli italiani) i Kawi (Kampfwillige soldati alleati volontari) o gli  Hiwi (Hilfswillge operai volontari di varie nazionalità, molti russi). Dei circa 32.000 italiani che stazionavano solo a  Rodi, in alcuni mesi ne aderirono circa 4.000 divisi fra costruttori e combattenti riuniti sotto un reggimento agli ordini del Col. Cerullo. Entrambe le categorie dovevano prestare la formula di giuramento ad Hitler che diceva "In nome di Dio presto sacro giuramento di obbedire senza riserve ad Adolf Hitler, comandante supremo delle Forze armate tedesche, nella lotta per la mia patria ..." Il 17 ottobre a Campochiaro i primi reparti prestano il giuramento di  fedeltà e vengono riarmati dai tedeschi. Si formano così vari reparti di cui il maggiore è quello degli zappatori del genio con 2 battaglioni. Il resto era diviso in sussistenza (servizio sanitario), guardia, comunicazioni, ma anche GNR e combattenti. A Nauplia e a Zante l’artiglieria della Div. Piemonte passò senza discontinuità alla R.S.I. Lo stesso per le altre isole di Samo (24ª Legione GNR "Carroccio'') e Syra (Fucilieri della Cuneo). Altri: Compagnia compl. fascisti n.1, 201ª Legione CC.NN-GNR Egea "Conte Verde", ANR - LXVII° Btg. CC.NN. (a Salonicco) http://www.dodecaneso.org/StoMilsett43.htm  

A Cefalonia e Corfù la resistenza italiana ad opera della div. ACQUI è aspra. Si combatte dal 13 al 25 settembre con oltre 2000 morti. (per Cefalonia vedi capitolo a parte). A Corfù dove staziona l'altra parte della divisione, si riesce a ricevere rinforzi dall'Albania (a sinistra). Qui aiutati dai Partigiani greci le sorti sembrano volgere a favore degli italiani, ma solo per poco. Il giorno 15 giungono a Corfù due cacciatorpediniere italiane, lo Stocco e il Sirtori, ma non serve a niente. Gli Stukas (aerei bombardieri da picchiata) affondano il primo e danneggiano il secondo. Il 24 i tedeschi sbarcano in forze e il giorno dopo è battaglia piena con l’attacco ai passi di Stavros, Coriza, e Garuna. L’appoggio aereo scompagina le difese e il colonnello Lusignani dà l’ordine di resa. Alle 14,30 il Col. Lusignani ed i suoi vengono fucilati. Tutti gli italiani prigionieri vengono imbarcati su piroscafi che rischiano prima le mine poi gli attacchi inglesi. Si calcola che almeno 13.000 italiani moriranno nell'affondamento del naviglio, che gli Inglesi ignari o coscienti continuano a colpire da sopra e da sotto il mare. 

Le difficoltà alimentari in Grecia e nelle isole non erano indifferenti. Se con le loro piccole attività e con la piccola pesca gli autoctoni  vivevano, con tutti quei soldati e l'impossibilità di pescare al largo la situazione era diversa. La razione del pane era scesa, ma era pur sempre superiore a quella ufficiale in Italia. Ogni possibile mezzo fu impiegato per procurarsi cibo.  Il metropolita arrivò a lanciare, alla fine del 1944, un appello alla Croce Rossa Internazionale che riuscì a far pervenire nel gennaio 45 alcuni piccoli carichi.

  SGOMBERO DEGLI ITALIANI PRIGIONIERI O COLLABORATORI DALLE ISOLE DELL’EGEO.
La massa dei prigionieri (10.000 solo a Rodi ma ce ne erano molti di più sulle altre isole a cui si aggiungevano i civili stanziali di origine italiana e i funzionari pubblici non militari) e l’impossibilità su così tante isole di effettuare una costante sorveglianza e a rifornirle regolarmente (non c’era vitto per gli indigeni essendo gli uomini lontani e ferma la pesca d’altura) spinse i tedeschi da subito a trasferire sul continente i prigionieri anche per avviarli ad attività di difesa sia qui che in Germania (in Germania poi diventavano Imi e gli si offriva da agosto del 1944 la possibilità di lavorare fuori dai campi in regime di semilibertà). Molti di questi trasporti come accennato affondarono sia per ragioni militari (siluramento) che meteoriche trattandosi di carrette del mare super affollate. Riepilogo qui sotto solo i più grossi disastri con le relative perdite riservandomi per la più disastrosa quella della Oria o Orion un trafiletto speciale. Gli affondamenti si concentrarono fra settembre 1943 e la prima vera del 1944. Si cominciò il 23 Settembre quando avvenne il primo disastro. I piroscafi "Donizetti" e "Dithmarschen" e la Torpediniera "TA 10" vennero affondate. Si ebbero 1.584 morti fra gli internati in massima parte dovute alle inosservanze alle norme di sicurezza. Miglior sorte ebbero i trasporti aerei. Nel Gennaio 44 la situazione peggiora. Viene ordinato il trasferimento anche su mezzi di trasporto non idonei al trasferimento di truppe come chiatte, pontoni o altri mezzi civili non in grado di reggere il mare forte.
28/9 da Cefalonia M/n Ardena  720 morti su 840 imbarcati
11/10  Corfù        Rosselli        1300           5500
13/10 Cefalonia Marguerita      544            900
18/10 Creta            Sinfra        1850           2390
8/2/44 Creta          Petrella       2646           3173
L’Oria era una nave Norvegese di 2127 tsl. All'inizio della guerra faceva servizi verso il Nord Africa e fu lì, a Casablanca, che fu internata nel giugno
del 1940 dalla Francia di Vichy. Ribattezzata Sainte Julienne e data in gestione alla Société Nationale Oria dal sito Betasom d’Affrètements di Rouen; passò poi in Mediterraneo a Marsiglia. Nel novembre del 1942 fu formalmente restituita al proprietario e perciò ribattezzata Oria; ma subito dopo fu affidata alla compagnia tedesca Mittelmeer Reederei GmbH di Amburgo. L'Oria fu tra le navi scelte per il trasporto dei prigionieri italiani. L' 11 febbraio del 1944 partì da Rodi alle 17,40 diretta al Pireo, con a bordo 4046 prigionieri (43 ufficiali, 118 sottufficiali, 3885 soldati), 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l'equipaggio, ma l'indomani, colto da una tempesta, affondò presso Capo Sounion - 37° 39’ latitudine nord, 23° 59’ longitudine est . Alcuni rimorchiatori, accorsi il giorno seguente, non poterono salvare che 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante (capitano Bearne Rasmussen) e il primo ufficiale di macchina.
    Castelrosso cos’era e cos’è

Citazioni tratte dal libro "Avvenimenti in Egeo dopo l'Armistizio" edito nel 1972 dall'Ufficio Storico della Marina Militare e pubblicate su http://castelrosso.150m.com/index.htm  che consigliamo di leggere non solo per motivi bellici. Integriamo il racconto con la versione inglese tratta da “Long road to Leros" di Leonard Marsland Gander qui citata.

Gander …..I had a friendly reception from the O.G, troops, Lieutenant-Colonel M. E. RufFer, a gunner, who told me the story of the occupation of Castelrosso. On September lO (1943) two motor launches containing sixty men approached the island at about 2 a.m. ltalian sentries fired a few rifle shots, slightly wounding a navallieutenant but two men who went ashore in a small boat were able to secure the formaI surrender of the island. The Union Jack was run up on the old Red Castle, situated on a 150 foot eminence, from which the island is named.  Though willing to submit to the British, the Italians did not relish the French, and when a French sloop arrived off the island some days later, the ltalian Commandant threatened to fire on it. An "incident" was averted by the British Adjutant, who promptly cut the telephone wire between the Commandant's headquarters and bis coastal battery thus making it impossible for him to give the order to fire. When the British invaders arrived they found that the population numbered about a thousand, though there were houses four times that number plus a mosque, a cathedral, four churches and about six monasteries, mostly half-ruined. This curious, decaying, forgotten little island, though ltalian owned, stood in the same relationship to Greece as one of the Channel Islands to Great Britain. It was considered an admirable place of retirement, and the inhabitants included many remittance men supported by successful fish-shop keepers in Australia Only a small area lent itself to cultivation, and there were seventy-eight agricultural holdings on terraced slopes, green with vines and olive-trees. There were only two ltalian civilians on the island, one the postmaster and the other the schoolmaster.

  Dopo il fallimento dello sbarco del 1941 l’occupazione di questa remota isola continuò da parte degli Italiani.  Vi era un reparto dell'Esercito composto dalla 12a compagnia mitraglieri del 9° rgt. Fanteria e da un distaccamento di Artiglieria che disponeva di due mortai da 81, una batteria su 4 pezzi da 75/27 e 4 mitragliere da 20 mm. Il reparto era al comando del Cap. Fanteria Augusto Rossi che era anche Delegato di Governo.
Giunse quindi anche il giorno dell’Armistizio appreso sia per radio che per i collegamenti r.t. con Rodi. Alle 23.45 del 9 vengono avvistate due unità che si avvicinano all'isola. Il personale del posto di osservazione di Punta Santo Stefano spara qualche raffica di mitragliatrice ferendo leggermente un T.V. inglese alla testa ed un soldato ad una spalla.  Le due unità si fermano e si inizia un dialogo per megafono. Accertato che si tratta di unità inglesi, ne viene data notizia per r.t. a Rodi e viene autorizzato un ufficiale inglese a scendere a terra per concordare le modalità dello sbarco. Si conviene così che lo sbarco abbia luogo all'alba. Alle 04.00 le due unità entrano in porto e sbarcano 50 "commandos" e 21 ufficiali.
- riassumo alcuni passi: I rapporti fra italiani e inglesi non erano proprio idilliaci. Gli inglesi sbarcano poi si rimangiano qualsiasi parola o accordo dato. Non c’è nulla di strano in questo i patti fra gentiluomini per gli inglesi valgono fra gentiluomini e noi allora come adesso non facciamo parte di quella categoria. Ergo ci fregano la stazione radio per poi ridarcela Gli Inglesi prendono accordi col Comando italiano circa la difesa dell'isola ed installano loro nuclei presso tutti i nostri servizi, intervenendo anche nel servizio degli affari civili.
Alle 08.30 giunge con un motoscafo inglese il Colonnello Turnbull con altri tre Colonnelli della Missione ed un Tenente. Scendono a terra verso mezzogiorno. Noi contiamo per ora come mezzo di scambio per le altre isole (Rodi in primis ma la base navale era a Lero) che gli inglesi vorrebbero controllare usando Castelrosso come ponte di lancio, ed è per questo che qualche volta ci trattano alla pari. Naturalmente faranno di testa loro e andranno incontro al peggior disastro militare che si ricordi. Dimenticate i film dove vincono  perché non li fanno i tedeschi.
Il mattino del 12 giungono a Castelrosso molte unità navali italiane che si erano allontanate da Rodi nell'imminenza della resa ed una parte di esse riparte la sera stessa. Il Comando italiano dell'isola collabora come meglio può con quello inglese per le necessità della difesa, e gli ufficiali inglesi della missione si dislocano nelle varie isole dell'Egeo pieni di speranze. Il giorno 13 un Ct. greco sbarca circa 200 uomini di cui 60 indiani e molta benzina. Essi rimpiazzano gli Inglesi, partiti la notte precedente per altre isole. Verso il 14 la nostra stazione r.t. viene messa fuori servizio col ritiro di alcuni organi essenziali e le comunicazioni proseguono esclusivamente attraverso la stazione inglese.
- Non bastavano gli inglesi ci si mettono ora anche i francesi che nell’area(come in altre) contavano zero ma avevano una piccola ruggine con noi legata proprio a questa isola. Un Ct francese entra in porto il giorno 15 e un marinaio buttatosi a nuoto ammaina la bandiera italiana a terra e se la porta via. Posto di combattimento per gli italiani pronti a rispondere al fuoco e ad affondare il Ct. Sentiamo la versione inglese sia dello sbarco del 10 che del fatto dei francesi a sx
- Il 27 settembre, avendo il presidio inglese raggiunto la cifra di 400 uomini, il Comando inglese decise il trasferimento degli Italiani in Turchia:  non gli servivano  più. Abbiamo qui la conferma che, pur non entrata in guerra a fianco degli inglesi la Turchia, corteggiata dai tedeschi, chiudeva un occhio sul concentramento di molti italiani fuggiaschi che venivano poi internati e passati alla vicina Palestina dove,  se erano fortunati, diventavano cooperanti. 
Il Generale Wilson nella sua relazione parla spesso di Castelrosso, là dove espone i provvedimenti presi per i rifornimenti in Egeo e ricorda la funzione di Castelrosso come deposito avanzato. I rifornimenti erano effettuati con ogni mezzo a disposizione, alla fine anche coi caicchi greci, che però erano riluttanti a spingersi oltre Castelrosso verso le altre isole, a causa dei rischi di guerra. Quasi tutta la popolazione civile aveva lasciato l'isola e quindi gli Inglesi vi si erano potuti installare facilmente. I feriti provenienti dalle isole venivano smistati via Castelrosso ed i meno gravi vi si fermavano approfittando di improvvisate installazioni ospedaliere. Negli ultimi giorni del mese di novembre, quando erano ormai occupate dai Tedeschi tutte le isole maggiori, fu deciso di alleggerire Castelrosso di quanto superava la necessità di un modesto avamposto pronto ad essere eventualmente sgomberato in pochissimo tempo. Ma andò diversamente e quindi questa è da considerarsi la loro unica vittoria contro un esercito che aveva ricevuto l’ordine di non sparare. La Marina cooperante italiana svolgeva qui molti compiti negli anni 44/45.
     

Bettini

Elio Bettini, già Argento al V.M. nella grande guerra e dal 1° gennaio 1943 comandante del 49° Rgt. Fanteria “Parma", di stanza a Santi Quaranta in Albania, si trovava a decidere da solo e per il meglio della sorte dei suoi uomini in quell'8 settembre del 43.

  Da Dodecanneso… “Orion”. Il vecchio catorcio gli resistette (alla tempesta) fino a sera, ma nell’oscurità che raddoppiava le incombenti tenebre notturne, senza il conforto di un faro cui riferirsi e non più in grado di compensare le straorzate, andò a dare di cozzo sullo scoglio Medina a sole 25 miglia per sud - est dal Pireo, e vi si schiantò affondando rapidamente. Poiché in quel punto i fondali vanno da 5 a 30 metri, l’“Orion” calò di poppa nei flutti lasciando fuor d’acqua la parte prodiera incastrata nei massi. Per l’infuriare degli elementi, i soccorsi tardarono. Il giorno successivo, 13 febbraio, tre rimorchiatori italiani e due greci uscirono dal Pireo e tentarono di avvicinarsi al relitto emergente. Le proibitive condizioni del mare impedirono però qualsiasi efficace manovra, e solo i “Vulcano” poté portarsi vicino al rottame e salvare uno sventurato che ancora si reggeva ai cavi dei bighi di prora. Mentre glia altri rimorchiatori raccoglievano qualche naufrago ancora vivo e alcuni cadaveri - altri corpi sarebbero stati trascinati dal fortunale sulla costa dell’Attica - il personale del “Vulcano” avvertì che dentro le lamiere dell’”Orion” c’erano dei vivi, e con grande rischio, portatosi presso la tragica prora, mise in opera le fiamme ossidriche per aprire un varco. Possiamo soltanto immaginare come si sia svolto l’improbo, eroico lavoro di quelli ignoti marinai decisi a strappare alla morte i naufraghi che invocavano soccorso dal chiuso di stive e gavoni. Tanta abnegazione andò sulle prime frustrata per un colpo di mare che strappò l’apparato autogeno del “Vulcano”. Soltanto il giorno dopo il “Titano”, subentrato all’unità gemella con nuove bombole e cannelli e operando finalmente in condizioni di minor violenza marina, riuscì a liberare cinque uomini che sembravano impazziti….

così descrive il difficile momento un sottotenente testimone : “Alle 5 del 12 settembre mi fece chiamare nella sua camera: era pallido e triste… «i tedeschi stanno per arrivare: cosa fare?»” Ma, aggiunse, “Resistiamo a tutti e quando non ce la faremo più ci imbarcheremo per Corfù, e chi vuole le nostre armi verrà a prendercele” . La scelta del Colonnello di non cedere le armi ai tedeschi, ma di unirsi a chi ancora combatteva (la Divisione Acqui di stanza nell’arcipelago delle isole Joniche di Cefalonia, Corfù, Zante, Itaca e S. Maura (Leucade)), risvegliò in altri reparti il sentimento di obbedienza alla legge dell’onore. Un reparto motorizzato della Divisione da montagna Brennero, elementi della Guardia di Finanza e della Capitaneria di Porto, nonché un gruppo di artiglieri ed altri tre battaglioni, per totale di 3500 uomini, si misero sotto il suo comando. Costituito così un reggimento, il Colonnello Elio Bettini il 12 notte partiva da Santi Quaranta ed il 13 sbarcava a Corfù (Grecia) ove partecipava alla cattura della guarnigione tedesca dell’Isola. Da http://www.memoria.provincia.arezzo.it/biografie/elio_bettini.asp

   
  Samo

Samo, da non confondersi con Symi molto più a Sud vicino a Rodi, non faceva parte dei possedimenti italiani in Egeo. Era stata occupata per la sua vicinanza alle nostre isole ma non c'erano tedeschi durante il conflitto. L'8 settembre '43 quando arrivarono gli Inglesi per appoggiare l’occupazione di Lero gli italiani non frapposero problemi. Nell'Isola era di stanza la Divisione «Cuneo» (7°, 8° Rgt. fanteria e 27° artiglieria) e la 24a Legione ccnn. per un totale di circa 9.000 uomini al comando dei quali era il Generale di Divisione Soldarelli. Potendo gli italiani collaboravano, anche perché la cosa sembrava andare per le lunghe. Quando il 17 novembre cadde Lero, l’isola divenne il nuovo obiettivo dei tedeschi. Gli alleati sembravano forti in mare nell’aria, sul fronte italiano come su quello Russo, ma in Grecia e nelle isole non si batteva chiodo. Il 18 si decise di lasciare l'isola per tempo prima che in cielo si addensassero troppe nubi. I mezzi per sgomberare una tal massa di gente vennero trovati (carrette) e la breve distanza con la Turchia facilitò la cosa. L'evacuazione delle truppe continuò fino al giorno 23 in condizioni a volte drammatiche. Lo stesso giorno i tedeschi entrarono a Samo. Sembra che la Turchia non spingesse per fermare battelli nelle sue acque territoriali e richiedesse come paese neutrale l’internamento dei belligeranti, in alternativa a una consegna ai tedeschi o agli inglesi. I campi di prigionia della Palestina accolsero in maniera soft questi nuovi ospiti collaborativi al seguito delle unità che venivano allestite per i fronti. La divisione venne sciolta ufficialmente molti mesi dopo.

     

 

Elio Bettini: Motivazione della Medaglia d’oro al V.M. alla memoria: “Comandante di valore, per non cedere le armi e mantenere integro l’onore della Bandiera, si rifugiava dall’Albania a Corfù con parte dei suoi reparti, e nell’isola, in unione alle altre forze del Presidio, resisteva strenuamente ai continui bombardamenti e agli attacchi tedeschi, pur conoscendo che nessun aiuto poteva essergli inviato. Dopo 12 giorni di strenua, impari lotta sostenuta stoicamente con reparti decimati, veniva catturato dai tedeschi e passato per le armi. Esempio eroico nelle tristi giornate di quanto possa il sentimento del dovere e l’amore verso la patria. Corfù 30 settembre 1943”

 

DAL SITO ANPI: La Divisione Pinerolo comandata dal generale Adolfo Infante, era dislocata (8/9/43) in Tessaglia e poteva contare su 23.000 uomini, con i reggimenti di supporto Lancieri di Aosta e Milano. All'indomani dell'8 settembre  rifiutò di consegnarsi ai tedeschi e rispose con il fuoco all’intimazione di cedere l’aeroporto di Larissa. Resosi però conto del disfacimento delle altre divisioni italiane, il generale Infante si avviò con circa 8.000 uomini verso la regione montuosa del Pindo, dove stipulò un patto di cooperazione con i partigiani greci su avallo della missione inglese. Seguirono diversi cruenti scontri con i tedeschi, ma i rapporti con le formazioni comuniste dell’Elas purtroppo si incrinarono presto. Fu così che le truppe italiane della montagna vennero prima frazionate e poi disarmate dall’Elas e, dopo un’inutile resistenza, internate in tre campi di concentramento: a Grevenà, nella Macedonia greca, a Neraida in Tessaglia, a Karpenision nel Pindo. In questi campi alcune migliaia di militari italiani persero la vita per malattie, e stenti e in seguito ai rastrellamenti dei tedeschi, che non risparmiarono neppure i malati e i feriti trovati nei loro giacigli. Anche Il 3° reggimento granatieri, fu rapidamente disarmato ed i suoi uomini avviati ai lager tedeschi. Alcuni, però, si ribellarono a quella sorte e tentarono di unirsi ai partigiani greci o di raggiungere quelle poche unità italiane, facenti capo alla divisione "Pinerolo", che resistevano in armi ai tedeschi. Tragico destino anche per il battaglione Complementi che vide i suoi uomini divisi tra i lager nazisti e le esecuzioni sommarie perpetrate dai partigiani comunisti di Tito.

     

PINEROLO - Nota sito: Nella zona di competenza della Pinerolo i rapporti coi partigiani non erano mai stati  idilliaci da quando nel febbraio di quell'anno (43), una rappresaglia per la morte di 9 soldati italiani uccisi in un agguato portò alla fucilazione di 150 greci nel villaggio di Domenikon. Domenikon è il nome di una cittadina della Tessaglia dove un attacco partigiano aveva provocato la morte di 9 soldati italiani. Il generale della divisione Pinerolo Cesare Benelli, ordinò la repressione: centinaia di uomini circondarono il villaggio, rastrellarono la popolazione e catturarono più di 150 uomini dai 14 agli 80 anni. Li tennero in ostaggio fino a che, nel cuore della notte, procedettero alla fucilazione. Secondo alcuni storici fu il primo di una serie di episodi repressivi della primavera-estate '43 conseguenti a una circolare del generale Carlo Geloso, comandante delle forze italiane di occupazione,  per la lotta ai partigiani. Allo stato però non se ne conosce altri di simile entità.

  I LANCIERI D'AOSTA

Nel settembre 1942 i lancieri d’ “Aosta” (2 Gruppi a cavallo, 5° mitraglieri, XXXI Gr. appiedato e una batteria del XVIII Artiglieria: in totale 48 ufficiali, 1.718 fra sottufficiali e truppa, 800 cavalli e un centinaio di mezzi) erano dislocati fra il Canale di Corinto ed il Peloponneso. In quel periodo stava organizzandosi il movimento partigiano nazionalista greco (generale Zervas, E.A.M.), fortemente sostenuto dagli Inglesi. Gli Alleati costituiranno e raggrupperanno tali partigiani in vere e proprie grandi unità, sotto le bandiere dell'E.D.E.S. (filo-monarchico) e dell'E.L.A.S. (filocomunista). Nella prima metà del 1943 si intensificò l’attività partigiana, in particolar modo nel settore di “Aosta” (zona Trikkala Karditsa), sempre più duramente impegnato nella conseguente attività repressiva. Il 10 settembre respinta la richiesta di resa rivolta dai tedeschi, vennero stipulati dal comandante Col. Berti precisi accordi di “cobelligeranza” con gli Alleati e con i partigiani. Si trattava di uno dei pochi accordi similari stipulati dalle forze armate italiane dopo l’armistizio con il quale veniva mantenuta l’autonomia del reparto e la pari dignità. Dopo l’accordo il Reggimento si trasferiva alle falde della catena montuosa del Pindo. Nel periodo settembre - ottobre 1943 contribuì notevolmente ad arrestare le forze tedesche nel loro tentativo di riconquistare l’area (scontri di Kalabaka e di Porta Psari) e svolse alcune azioni di controffensiva, come a Larissa, dove venne attaccato un campo di aviazione). In tale momento “Aosta” contava su un organico ancora di cospicue dimensioni (suddiviso in squadrone comando; I Gruppo su 1° squadrone e 2° squadrone; II Gruppo su 3° squadrone e 4° squadrone, 5° mitraglieri, XXXI Gruppo appiedato e una batteria del XVIII Artiglieria: in totale 48 ufficiali, 1.718 fra sottufficiali e truppa, 1.628 moschetti, 52 fucili mitragliatori, 38 mitragliatrici, 800 cavalli). Per la parte logistica ”Aosta” riceveva dagli Alleati una sterlina d’oro al mese per lanciere e per cavallo, unico sostegno per la sopravvivenza. Nonostante questi indubbi meriti (o, forse, proprio per aver dimostrato tenace spirito combattivo), il 14 ottobre 1944 due battaglioni partigiani dell’E.L.A.S. comunista attaccarono in forze il Reggimento, uccidendo il tenente cappellano don Marino Pilati, medaglia d'argento alla memoria, e 19 lancieri (49 feriti). Nonostante la strenua difesa, “Aosta”, a sera inoltrata, dovette sospendere la resistenza. A Pirgos il I Gruppo, comandato dal maggiore Tognozzi, resistette più a lungo, finché il comando divisione diede, anche ad esso, ordine di cessare l’inutile resistenza. Gli ufficiali furono divisi dai lancieri, si impedì loro di vedere i morti e di assistere i feriti, molti furono brutalmente percossi. Saranno rimpatriati dopo una dura prigionia fra montagne inaccessibili solo nel  1945 “sempre fieri e dignitosi”, come ebbero a riconoscere gli stessi partigiani greci.

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  L'ultima bandiera del 2° reggimento bersaglieri in Grecia  http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/43/ultimabandiera.htm