RUSSIA
le croci frecciate d'Ungheria
Il tradimento della Romania e delle Bulgaria permette ai
sovietici di congiungersi con le bande di Tito e di entrare a Belgrado
il 22 ottobre 1944. Pochi giorni prima, il 15, mentre i Russi forzavano
i passi dei Carpazi, Horthy il Duce d'Ungheria aveva chiesto un armistizio. Fulmineamente i
Tedeschi ristabiliscono la situazione formando un governo capeggiato dal
maggiore Szalazy, il condottiero delle Croci Frecciate, i nazisti
ungheresi, sostenitore della resistenza all’ultimo sangue.
Giorgio Perlasca
(incaricato d’affari con lo status di
diplomatico nei paesi dell’Est per comprare carne per l’Esercito
italiano)
dovette fuggire e nascondersi presso l’Ambasciata spagnola…..
divenne cittadino spagnolo, con un regolare passaporto intestato a Jorge
Perlasca...
ESTREMO ORIENTE
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Con la “ritirata del
gennaio '43” quasi tutti i reparti superstiti dell'ARMIR lasciavano le steppe russe ad esclusione di un
gruppo
di artiglieria della "Ravenna" che rientra a fine maggio e i
resti del 6° bersaglieri che combattono tutto il mese di Febbraio
aggregati a Sud a una colonna tedesca. Quando viene proclamato l’armistizio
si può dire che in Russia c’è solo il personale delle basi navali e sommergibilistiche "CB'' del Mar Nero (Base navale di Costanza). Qua è la
nel tempo compaiono però testimonianze di altri uomini provenienti da
comandi tappa, ospedali (Polonia) e magazzini rimasti nelle retrovie dell’Europa Centrale
e gestiti ancora da italiani. Per questa gente non ci sono alternative. La
maggior parte si aggrega a unità tedesche come la 24a Divisione Corazzata.
Nell’ottobre del '44 il plotone “Avanti” della 24a rientra in Italia e
viene inquadrato nella ricostituita Divisione Littorio. Altri finirono nella Flak e
gli alpini in
un battaglione misto che operò in Ucraina. Al seguito dei tedeschi c’era poi
personale “utile al lavoro” prelevato in Grecia che cadrà in parte
prigioniero dei Russi (fra i russi che entrano a Berlino nel maggio 45 ci
sono anche questi italiani riarmati). Diverso il discorso
dei soldati che aderirono alla R.S.I nell’autunno del '43. Si ha notizia di
un solo plotone (X arditi Paracadutisti e Camionettisti) tornato in Russia
a calcare le steppe ucraine dal novembre 1943 all'ottobre '44. I
pochi superstiti continueranno la lotta in Belgio e Olanda (ad Arnhem
quell'ultimo ponte) dove la 2ª
Divisione Fallschirmjäger, a cui erano aggregati, viene inviata .
Per saperne di più sui CB del Mar Nero vedi
dispersi Germania e
su J.V. Borghese visita la biografia
qui
Da "Parà'' di Nino Arena: (...) Assolto il suo compito nel settore
di Zitomir, la 2ª Divisione Fallschirmjäger venne spostata nei pressi di
Kirovgrad, in vista di un'operazione di lancio alle spalle dello
schieramento russo. L'attacco dal cielo avvenne la vigilia di Natale del
43 e,
nonostante la strenua resistenza opposta dai russi, nettamente superiori
di numero, si concluse con un completo successo. Con i Fallschirmjäger si
batterono con grande valore anche un gruppo di paracadutisti italiani che
lasciarono sul luogo dello scontro 26 tra morti e feriti, cioè la quasi
totalità degli uomini. Il 27 dicembre 1943 i superstiti paracadutisti
italiani, 24 in tutto, vennero impiegati in una rischiosa missione. Al
comando del capitano Paris ebbero
l'incarico di raggiungere un gruppo di tre semoventi rimasti bloccati
dinanzi alle linee russe e provvedere al recupero dei mezzi e degli
equipaggi. In caso contrario, avrebbero dovuto distruggere le macchine
mediante cariche esplosive. Al segnale stabilito, i 24 paracadutisti
scattarono all'attacco, raggiunsero i carri e si spostarono in avanti per
garantire maggiore libertà di movimento agli addetti al recupero.
L'artiglieria russa, messa in allarme, cominciò a martellare con un fuoco
infernale le posizioni occupate dagli italiani, ma senza riuscire a
fiaccarne lo spirito combattivo. Solo l'esaurirsi delle munizioni fece
desistere gli uomini del capitano Paris dalla loro audace determinazione.
Rientrati nelle proprie linee, i paracadutisti italiani si rifornirono di
munizioni e di esplosivi e scattarono nuovamente all'attacco, scontrandosi
con le pattuglie sovietiche ora sul posto. Lo scontro si svolse all'arma bianca e si concluse con la
sconfitta del nemico, che lasciò sul terreno diversi morti e feriti. Anche
le perdite dei paracadutisti italiani furono elevate. Alla fine degli
scontri, dei 24 uomini che avevano preso parte all'operazione "recupero carri'', solo quattro risultarono incolumi. Tutti gli altri o erano caduti
o erano rimasti feriti nel corso dei combattimenti. Tra i caduti vi fu lo
stesso capitano Paris, che venne proposto dal ministro della Difesa della
RSI, Maresciallo Graziani, per la massima decorazione al valor militare.
..... Dicembre 1944 – Gennaio 1945: Nelle vesti di
diplomatico Giorgio Perlasca regge pressoché da solo l’Ambasciata spagnola
di Budapest, organizzando
l’incredibile “impostura dell’ambasciatore” che lo porta a proteggere,
salvare e sfamare giorno dopo giorno migliaia di ebrei ungheresi ammassati in “case protette” lungo il Danubio. Li tutela dalle
incursioni delle Croci Frecciate, si reca con Wallenberg, l’incaricato
personale del Re di Svezia, alla stazione per cercare di recuperare i
protetti, tratta ogni giorno con il Governo ungherese e le autorità
tedesche di occupazione, rilascia salvacondotti che recitano “parenti
spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le
comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei
resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo”. Li rilascia
utilizzando anche una legge promossa nel 1924 da Miguel Primo de Rivera che
riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza
sefardita (di antica origine spagnola, cacciati alcune centinaia di anni
addietro dalla Regina Isabella la Cattolica) sparsi nel mondo. La legge
Rivera è dunque la base legale dell’intera operazione organizzata da
Perlasca, che gli permette di portare in salvo 5.218 ebrei ungheresi.
Al deflagrare della guerra il nostro presidio più lontano era quello di Tientsin, alla periferia di Pechino, che vantava ormai oltre 40 anni di
presenza. La presenza italiana era essenzialmente tutelata da reparti
della marina, Navi ed equipaggi, ma anche uomini della Fanteria di
Marina del S. Marco. La presenza militare era puramente indicativa e non
in grado di opporsi a forze nemiche consistenti che al momento non
venivano individuate. La nostra alleanza coi Giapponesi, anche se non
era mai stata delle più appassionate (c’era stata la questione Shangai
nella quale c’eravamo trovati noi fascisti indirettamente alleati di Inglesi e
Americani) ci metteva al riparo da eventuali sgradevoli sorprese che
invece ci furono.
Diario Storico del I battaglione del 10° reggimento Granatieri di Savoia
dal 22.8.1937 al 30.4.1938, in: Archivio dell’Ufficio Storico dello
SME - Vedendo minacciati i propri interessi
per la guerra cino-giapponese, le potenze occidentali titolari delle
concessioni decisero l’invio di contingenti militari da affiancare, in
rinforzo, a quelli già presenti in Cina. Fu in tale contesto che lo
S.M. del Regio Esercito decise il trasferimento in Estremo
Oriente del I battaglione del 10° Granatieri di Savoia in quel momento,
in Africa Orientale. Al comando del T. Colonnello Enrico Andreini,
attenendosi agli ordini superiori trasmessi da Roma, alle 23.00 del 27
agosto 1937 il I Battaglione partì da Massaua sul transatlantico Conte
Biancamano alla volta di Shanghai. Lo stesso giorno salpava da Napoli un
contingente del reggimento di fanteria di Marina San Marco che andava a
dar man forte a quelli già presenti in Cina. Al momento della partenza,
il I battaglione, ordinato su una compagnia comando, tre compagnie
fucilieri ed una compagnia mitraglieri, aveva una forza di 24
ufficiali5, 46 sottufficiali e 677 fra graduati (174) e granatieri
(503). La presenza giapponese a Shanghai causò diversi incidenti con i
contingenti internazionali, il più grave dei quali fu rappresentato
dall’attacco alla cannoniera fluviale USS Panay, sulla quale viaggiavano
anche i giornalisti italiani Sandro Sandri (muore) e Luigi Barzini
junior. Il grosso del battaglione, costituito da 17 ufficiali, 41
sottufficiali, 619 graduati e granatieri, al comando del Primo Capitano
Vincenzo Paparo, lasciò Shanghai a bordo del Conte Verde il 28 novembre
1938. I restanti un mese dopo. Dopo la partenza dei Granatieri di Savoia
il presidio del “Battaglione San Marco” a Shanghai fu portato a 220
uomini; a questo scopo furono inviati a Shanghai altri 50 marò e tre
ufficiali che arrivarono nel dicembre del 1938 con il Colleoni. Alla
vigilia della guerra il contingente italiano in Cina venne rinforzato.
Il battaglione San Marco fu diviso in quattro distaccamenti e
nell'aprile del 1940 si trovava così distribuito: 180 uomini a Tien-Tsin;
30 uomini alla stazione radio di Pechino; 20 uomini a Shan-hai-kwan ed i
restanti 200 a Shanghai nella Concessione internazionale dove c'era
anche ilComando navale per l'E.O. All'inizio della guerra i militari
inglesi e francesi lasciarono le loro concessioni per riparare nei
possedimenti più vicini e rimasero quindi in Cina solo i giapponesi, gli
italiani e gli americani.
Dalla fine del
1940 la presenza navale italiana si era incrementata di due unità
sfuggite al blocco inglese del Corno d’Africa. Altro naviglio
commerciale che riuscì a riparare in porto venne messo al servizio dei
Giapponesi. Gli unici attrezzati a tentare il collegamento con l’Italia
furono i sottomarini atlantici dopo Pearl Harbour (tre oltre al
Piroscafo Conte Verde autoaffondato a Shangai). L'armistizio
colse di sorpresa tutti i reparti italiani in Cina, contro i quali si
scatenò la vendetta dei giapponesi, nei modi simile alla tedesca. La Stazione Radio di Pechino (difesa da 100 tra marinai e
soldati al comando del capitano di corvetta Baldassarre) resistette,
armata solo di fucili e bombe a mano, per 24 ore. Il piccolo drappello
si arrese alle 9 del 10 settembre 1943, dopo avere distrutto
l'impianto radio e bruciato tutta la documentazione segreta. I reparti
di Tientsin (2 compagnie al comando del capitano di fregata Carlo
dell'Acqua), circondati da un intero reggimento giapponese guidato dal
tenente colonnello Tanaka con decine di mezzi corazzati leggeri e
parecchi cannoni da campagna, decisero sulle prime di tentare una
disperata resistenza. All’interno della caserma "Ermanno Carlotto", 600
tra soldati e marinai (già imbarcati) con 4 cannoni da 76 mm e 4 autoblindo Lancia
tentarono l’ultima disperata resistenza. Le notizie sconfortanti
sull’assoluto abbandono in cui operavano convinsero il comandante a chiedere
il cessate il fuoco. La situazione per i nostri militari stava quindi
volgendo verso una dura prigionia quando, il 18 settembre, arrivò la
notizia del discorso di Mussolini da Radio Monaco dove annunciava la
nasci-ta della R.S.I.. I reparti furono liberi di scegliere fra
la collaborazione coi Giapponesi (e con la RSI) e l'internamento. A
Shanghai furono 29 quelli del “San Marco” che rifiutarono di aderire
alla RSI ma a questi venivano equiparati gli equipaggi perché
l'autoaffondamento era un atto di sabotaggio. A Tien-Tsin, su 202
presenti furono invece 34 quelli che rimasero fedeli al Re. Anche l’equipaggio del
sottomarino Cappellini che aveva scelto la collaborazione venne
inopinatamente internato. Dopo l’8 maggio 1945 un residuo nucleo di
cooperanti (sottomarino Torelli) continuò la guerra contro gli americani
fino al 30 agosto 1945. Per molti dei sopravvissuti dei campi di
concentramento giapponesi si aprirono le porte di quelli statunitensi
!!!. Di molti si persero poi le tracce, mentre altri ebbero un destino
inaspettato. Si racconta come “Urban Legend” che Ho Chi Minh, anni dopo,
aveva nel suo stato maggiore un ex militare italiano assurto ormai al
rango di Generale.
http://www.btgsanmarco.it/storiadelsanmarco/allegati/btgincina.htm
http://www.geocities.com/dutcheastindies/shanghai.html in
inglese |