MONTE CERVINO 

RUSSIA 1942/3   

  Nessuno potrà mai raccontare tutta la storia del "Battaglione Cervino", due volte formato e due volte distrutto nell'ultima guerra. L'80% di questi alpini è sottoterra in Albania e in Russia: e ognuno custodisce un segreto che non ha fatto in tempo a raccontare e che non ha testimoni perché gran parte degli alpini morirono da soli. Il suo nome è diventato una leggenda di cui parlano i vecchi marescialli nelle caserme: erano tutti campioni di sci e di roccia, dal primo all'ultimo, compresi il medico e il cappellano; erano volontari e tutti scapoli, condizione prima per essere accettati; e ciascun alpino, raccontano i vecchi marescialli con gran stupore, aveva due paia di scarpe in Vibram per sé. Il Cervino nasce alla scuola alpina d'Aosta, prima come Duca degli Abruzzi poi, sotto Natale del '40, come "Battaglione Alpino Sciatori Monte Cervino" quando in Grecia va male. Il riferimento è alle azioni degli Sissit e delle francesi Sections Eclaireurs Skieurs. Il maggiore Gustavo Zanelli, comandante del reparto, attaccò un cartello alla porta dell'ufficio quel giorno, il reparto aveva una forza di tre uomini: il comandante, l'aiutante maggiore tenente Astorri e il tenente Scagno. Il 21 gennaio il "Cervino" aveva già i primi morti in Albania: alpini uccisi dalla mitragliatrice o dal mortaio con le scarpe ancora nuove, senza aver visto l'Albania alla luce del sole. A Durazzo erano passati dalla nave ai camion che li aveva portati a Tepeleni, sui Trebesciani nelle tormente di neve. Il battaglione aveva 340 uomini su due compagnie, più un plotone comando. Armamento: moschetti, fucili mitragliatori e una mitragliatrice per plotone. La posizione assegnata al "Cervino" era un punto allora sguarnito, alla congiunzione di due grandi unità.

Diario storico del Cervino nella Grande Guerra http://www.webalice.it/penna77/I Armata/reparti/I armata - Btg Cervino.html

     

RICOMPENSE DI CUI SI FREGIA LA BANDIERA DEL “MONTE CERVINO”

 

 

MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE

Battaglione di sciatori alpini, fuso in granitico blocco di energie e di arditismo alpino, in dodici mesi di campagna russa ha dato ininterrotte prove di eccezionale valore e di impareggiabile spirito di sacrificio. Incrollabile nella difesa, impetuoso e travolgente nell’offesa, ha sempre raggiunto le mete indicategli. Nella grande offensiva invernale russa scrisse fulgide pagine di gloria. Sostiene per primo l’impeto di imponenti masse di fanteria sostenute da unità corazzate che hanno travolto la resistenza del Fronte, le contiene con una difesa attiva ed ardita, le inchioda al terreno fino a quando arrivano rinforzi che gli consentono una tregua dopo un combattimento di due settimane compiuto senza soste, senza riparo, in condizioni di clima eccezionalmente avverso. Accerchiato da forze agguerrite di fanteria e blindate, benchè ridotto a pochi superstiti in buona parte feriti, congelati ed esausti, sostiene una lotta disperata e con il valore di tutti ed il sacrificio di molti, riesce a rompere il cerchio di ferro e fuoco. In seguito continua a marciare nella sterminata pianura nevosa, supera tutti gli ostacoli che si frappongono al suo andare, tiene in rispetto il nemico che lo incalza, e, sparuta scolta, raggiunge le linee alleate in un’aurea di vittoria uguale a quella delle più alte tradizioni alpine della storia. (Olkawactka – quota 176 – Klinowiy – Jahodnj – Iwanowka – quota 204 – Kolkos Selenj Iar – Rossosch – Olkawactka, Russia, febbraio 1942 – febbraio 1943).

     

MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE

Il battaglione “Monte Cervino”, sotto una tempesta di fuoco, stremato dal numero ma non di forza resisteva accanitamente in grave situazione a soverchianti forze nemiche, coprendosi di gloria a prezzo di purissimo sangue, per la sovrumana passione eroica dei suoi Alpini che dettero sempre fulgido esempio del più alto spirito di sacrificio. (Melette, 17 – 26 novembre 1917; M. Bisorte, maggio 1916; Bodrez, 15 – 18 maggio 1917; Vodice, 26 – 30 maggio 1917; M.Fior, 4 dicembre 1917).

  Contro questo punto debole si scatenava lo sforzo del nemico e per tre giorni il "Cervino" combatté senza viveri. Ecco il resoconto di un ufficiale superstite, il tenente Cossard: "Non facemmo a tempo a conoscere i nostri uomini: quando si cercò di riassumere i fatti per iscritto, solo eccezionalmente fu possibile dare un nome all'alpino che avevamo visto cadere accanto a noi". Nei primi giorni le compagnie furono subito decapitate: uccisi i due comandanti, Brillarelli e Mautino, ucciso poi l'aiutante maggiore Astorri uscito in pattuglia. Per un mese durò la battaglia, combattuta per plotoni e per squadre, davanti al nemico oppure alle sue spalle aggregati ora a questa ora a quella divisione di fanteria, spesso senza collegamenti, cosicché le più gravi decisioni le pigliavano i caporali. Tutta la 11a Armata conobbe presto quei meravigliosi soldati dalla nappina azzurra, i "Cervinotti" che non andavano mai a riposo e che lasciarono l'Albania soltanto quando restarono in sessanta, col comandante Anelli. Per alcuni giorni il comando del battaglione fu tenuto da due sottotenenti. Un'altra volta un sottufficiale, Giacomo Chiara da Alagna Sesia, alto due metri, si trovò ad essere il più elevato di grado del "Cervino" mentre i greci attaccavano i resti del battaglione dopo un fuoco infernale di artiglieria. Chiara restò accovacciato al riparo fino al momento in cui il nemico scattò all'attacco; quando sentì l'alto grido dei greci, saltò sul punto più alto della trincea, dritto in piedi, colossale, col mitragliatore imbracciato come un fuciletto da ragazzi, e prese subito a sparare e sparare, cambiando l'arma, sempre eretto in tutti i suoi due metri in mezzo alle pallottole, solo davanti al nemico, tranquillo, preciso, invulnerabile.
     

Sections Eclaireurs Skieurs nella grande guerra

  Discese soltanto quando il nemico tornò indietro, e tutti gli alpini gli saltarono addosso ridendo e piangendo per toccarlo; era proprio incolume, non un graffio, voleva soltanto bere. Quando i superstiti tornarono ad Aosta, le stesse scene; tutti volevano vedere e toccare Chiara, promosso aiutante di battaglia; quando entrava in una nuova camerata di reclute, tutti si mettevano sull'attenti e quando usciva gli andavano dietro come in processione. Giacomo Chiara, incolume nell'inferno di Albania, è morto sul Monte Rosa, in una disgrazia stupida, come dicono gli alpinisti nel dopoguerra. È precipitato, chissà dove, nessuno l'ha più visto, non ha una tomba.
     

  da Icsm..... Al fronte, intanto, gli scontri sono sempre più duri e violenti. Lo stesso 14 febbraio i greci riescono a conquistare Quota-1178 nel settore dello Scindeli. Il battaglione Monte Cervino continua a rimanere isolato, nè si poteva ormai denominarlo battaglione: il comandante, maggiore Zanelli, è gravemente ferito e una delle due compagnie è ridotta a un centinaio di uomini agli ordini del sottotenente di complemento Cossard, del collega Sgorbati e del sottotenente medico Lincio. L'altra compagnia è ridotta a un pugno di uomini agli ordini del sergente maggiore Chiara e, nonostante le disperate condizioni, il reparto viene riunito e destinato a un contrattacco con un rinforzo di Camice Nere, sulle pendici del monte Metzgoranit. L'azzardata iniziativa costa cara: il 2 marzo il battaglione è ridotto a due ufficiali e 30 uomini che, con la compagnia comando, salivano a tre ufficiali e circa 50 soldati. Il Monte Cervino è quindi fuso in un gruppo comprendente i resti di altri due reparti, i battaglioni Val Cismon e Bolzano, e denominato Gruppo Signorini dal nome del colonnello comandante, quindi rimandato in linea su postazioni a una quota di 1700 metri.... da Icsm.....
     

   Un mese dopo il suo arrivo in Albania, il "Cervino" non esisteva più; aveva combattuto una sola battaglia, dal primo all'ultimo giorno senza appoggio di artiglieria, senza poter comunicare e tanto meno segnalare gli atti di eroismo. In primavera il maggiore Salomone, nuovo comandante, riportò in Italia i sessanta superstiti. Il "Cervino" era tutto lì. C'era il sottufficiale Maltempi di Domodossola, con una gamba in meno; c'era il medico Lincio, ferito anche lui, ma recuperato prima che cadesse in mano al nemico. Il battaglione fu ufficialmente sciolto, ma nel novembre 1941 arrivò l'ordine di ricostituirlo. Tra i primi a presentarsi ecco il tenente medico Lincio appena guarito. Un altro medico suo amico vuol seguirlo ma ha un piede malato. Per non andare all'ospedale si opera da sé, in treno. Fu così che il tenente medico Reginato partì per la Russia con un dito in meno, per restarci dieci anni. 
     

MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE

Durante tre mesi e in una situazione particolarmente delicata, con mirabile spirito di sacrificio e fede incrollabile, vincendo i rigori di un duro inverno, manteneva il possesso di un ampio fronte di alta montagna, aspramente conteso da forze soverchianti. Presente ovunque, ardito nella tormenta della montagna e nelle tormente di fuoco, con indomito valore opponeva tenace resistenza, stroncando l’impeto del nemico in cruenti attacchi e piombando fulmineo sui fianchi e sul tergo dell’avversario, rompendo le formazioni. Dimostrava così che più che il numero e l’arma vale il coraggio. (Fronte greco, 10 gennaio 1941 – 23 aprile 1941).

  Novembre 1941: un altro cartello sulla porta dell' ufficio: "Battaglione Alpino Sciatori Monte Cervino". Dentro c'è il T. Colonnello Mario D'Adda lombardo. Da bambino saltellava sulle ginocchia di Edmondo De Amicis, da sottotenente comandò i resti straziati di un battaglione che scendeva dall'Ortigara (ed ebbe un cicchetto per uniformi in disordine). Ha un gran naso e una faccia strafottente: tra migliaia di volontari sceglie uno per uno gli alpini. (la vecchia regola, tutti assi dello sci, tutti scapoli, tutti informati di quel che spetta al battaglione, dovunque vada). Destinazione? Finlandia, si dice. D'Adda pianta una grana colossale ai superiori comandi: gli alpini del mio battaglione saranno equipaggiati come voglio io. A Roma finiscono per dargli ragione, viste le prove presentate, cosicché in tutto l'esercito si spargono notizie favolose: gli alpini del "Cervino" hanno due paia di scarpe Vibram a testa. Quelli del Cervino hanno giubbe con pellicciotti preparati su misura da una ditta che veste le dive del cinema; tende polari, un binocolo prismatico da generale per ogni comandante di squadra, maglie termiche, moschetti automatici; tutto fuori ordinanza, tutto fuori regolamento, quando il resto dei soldati ha le scarpe di cartone.

Dalla famosa suola in Vibram dei rocciatori del Montercervino scendeva il mito della scarpa tecnologica, che non poteva essere a ragion di logica italiana; ma Vibram sta per Vitale Bramani, l'italiano che l'aveva appunto inventata nel 1936. Gli scarponcini di cuoio o i gambali come avevano i Bersaglieri non potevamo permetterceli per tutti. Per questo la guerra l'abbiamo cominciata con le fasce gambiere, con la lana che non era lana, il cuoio che poi non era cuoio, bensì Cuoital miscela di cascami di cuoio sfibrati con latex e vulcanizzati. Gli facevano concorrenza il Sapsa della Pirelli (cascami di cuoio macinati e lattice di gomma) e il Coriacel (cascami di cuoio, fibre vegetali e collanti).. etc. .

     

CAVALIERE ALL’ORDINE MILITARE D’ITALIA

“Nei duri cimenti della guerra, nella tormentata trincea o nell’aspra battaglia, conobbe ogni limite di sacrificio e di ardimento; audace e tenace, domò infaticabilmente i luoghi e le fortune, consacrando con sangue fecondo la romana virtù dei figli d’Italia (1915-1918)

Ai suoi componenti sono state conferite 3 medaglie d'oro individuali, 42 d'argento, 68 di bronzo, 81 croci di guerra.

  Il "Cervino" partiva ora su tre compagnie, due sciatori e una A.A. (armi di accompagnamento). Non si andò in Finlandia ma in Russia nelle pianure del Don. La vita in Russia del battaglione durò esattamente 10 mesi: il primo combattimento ha la data del 22 marzo 1942 a -32° sotto zero sul fronte di Ploski ; ultimo combattimento, coi resti del reparto, il 22 gennaio 1943, a Olikowatka. Di 500 e poco più che erano tornarono in 70. Sciolta la prima neve il "Cervino" fu sbattuto di qua e di là come tappabuchi, in aiuto prima ai tedeschi alla sacca di Isium poi in agosto sul fronte della Sforzesca che aveva ceduto ai russi un lungo tratto di fronte. Fu in quella occasione che un battaglione sciatori si trovò a dover combattere, in piena arida steppa, una guerra di trincea di tipo carsico con attacchi e contrattacchi giornalieri. Combatté da solo, frantumato in decine di pattuglie. Ed anche sull'immenso fronte russo si sparse larghissima la fama del "Cervino". Vennero generali tedeschi a portare manciate di croci di ferro ed il bollettino germanico citò il battaglione nell'ordine del giorno. Anche qui, come in Albania, ci sono i morti di cui non si sa niente: uccisi dal parabellum o dalla katiuscia mentre erano soli nel deserto gelato, caduti con le loro tute candide sulla neve, bianco su bianco, e così spariti. Quando a dicembre i russi scatenano la loro offensiva, il "Cervino" si trova a fianco della "Julia" a condividerne il martirio. Furono le settimane infernali di Seleny Jar dove, prima da solo e poi con i battaglioni della Julia, riuscì a fermare i russi che attaccavano con testardaggine. Ancora steppa, ancora neve, ancora ghiaccio ma niente trincee, bunker o ripari, vivendo e combattendo giorno e notte su un telo tenda steso sulla neve e, come tetto, il cielo e le notti stellate a - 30. Il 22 dicembre irrompono in una falla i carri russi.
     

Questo reparto oggi  è nell'E.I. il Battaglione ranger  Alpino , composto da sciatori, rocciatori e paracadutisti.

Attuale mostrina dei Parà alpini

Domenico Agasso Brani tratti e riassunti Da "Scarponi Saronnesi", giugno 1961 http://www.smalp.it/ipdv/sciatori.htm

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  A contrastarli arrivano quelli tedeschi. Si potrebbe star fermi e fare il tifo. Invece il tenente Sacchi dà un grido: "Cervino!!", si toglie gli sci e balza sul primo carro tedesco, quello che è già in mezzo ai russi: tutti gli alpini fanno lo stesso; su ogni carro compare un grappolo di scatenati in tuta bianca che sparano raffiche, lanciano bombe, disperdono la fanteria nemica. I tedeschi saltano fuori dai loro panzer a ringraziare, ma Sacchi non c'è più: bisogna andarlo a cercare, morto, nella neve sporca. Adesso non si riposa più, fino alla fine. Il giorno di San Silvestro del 1942, ecco ancora i carri russi e stavolta gli alpini sono soli contro quei mostri. Poi il 15 gennaio 1943 il Cervino rimase da solo a difendere il Comando Alpino, improvvisandosi cacciatore di carri a Rossosc per supplire alla mancanza di armi adeguate. Una decina di carri furono immobilizzati da temerari che avevano a disposizione solo mine, molotov e bombe a mano. Solo il giorno dopo, una brigata corazzata russa, i cui carri erano coperti di truppe d'assalto, riuscì a scacciare da Rossosc i resti di quello che restava del Monte Cervino.  La loro breve ritirata finì alle porte di Nikolajevka il 19 gennaio quando La Tridentina vi sarebbe arrivata solo il 26.
   
 

22 gennaio 1943. 75 uomini, quelli che restano del  "Cervino", ingaggiano l'ultimo combattimento, sparando con tutto quello che gli rimane. Per l'ennesima volta la tenaglia nemica si chiude su di loro e per l'ennesima volta qualcuno grida il motto del battaglione: "Pistaa!". Il cerchio è ancora rotto; i resti del "Cervino", col triangoletto di stoffa verde che è l'insegna del battaglione, escono armati dalla sacca e si mettono in salvo a Karkhov. Il Monte Cervino in Russia aveva perso 105 uomini e sgombrato 230 feriti prima della ritirata. 120 furono quelli fatti prigionieri e di loro solo 16 sono ritornati. Sui 17 treni che tornarono dalla Russia il Monte Cervino occupava un carro. Il 90% degli ufficiali sono morti sul campo; il cappellano Don Casagrande è morto di fame, Reginato ha cominciato la sua peregrinazione tra i campi di prigionia.