AFRICA
ORIENTALE -
3a parte
L'ultima resistenza
Il DUCA E GLI ALTRI AOSTA |
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e
l'AMBA ALAGI
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Le truppe italiane che ancora resistevano erano state suddivise in due
gruppi. A nord-ovest si trovava il gruppo del generale Nasi con base a
Gondar; a sud e a sud-ovest quello del generale Gazzera. Entrambi
avevano avuto l'ordine di opporre estrema resistenza indipendentemente
l'uno dall'altro. Il duca d'Aosta raccolse invece le truppe che lo seguivano
nella ritirata da Addis Abeba verso nord e quelle che al comando del generale Frusci
avevano lasciato
l'Eritrea e stavano scendendo a sud. I sudafricani uscirono da Addis Abeba il 13 aprile senza essere molestati.
Dopo aver superato il
passo Mussolini, alto 3.300 m a 192 km dalla capitale, incontrarono l'unica difficoltà
che rallentò la loro marcia: i numerosi tratti di strada distrutti. La prima resistenza
l'incontrarono
solo quando risalirono i pendii
scoscesi puntando su Dessiè, situata 400 km a nord di Addis Abeba.
Impiegarono tre giorni per raggiungere gli obiettivi. I
sudafricani, che perdettero soltanto 9 dei loro uomini mentre altri 30
rimasero feriti, fecero 8.000 prigionieri e catturarono armi, mezzi di
trasporto e altro materiale in grande quantità. Il resto degli italiani
si ritirò. Gli inglesi arrivarono a Dessiè quando la città era già
stata evacuata, ma la loro marcia fu nuovamente rallentata dalle estese
distruzioni e dalle ostruzioni stradali. La strada che parte da Dessiè verso nord ridiscende nella grande valle
incassata e l'attraversa per decine di chilometri prima di risalire
ripidissima con una serie di salite a forte pendenza, tagliando una
catena di montagne profonda 80 km. |
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A metà percorso si snoda serpeggiando
attraverso un passo, l'Alagi, alto 3000 m. Il passo è dominato da nove
ripide cime che toccano i 3.600 m e che costituivano una poderosa
ridotta naturale munita di rifugi in caverna, con una superficie di
oltre 31 km/q. I picchi a ovest del passo erano Pyramid (3.240 m),
Whaleback (3.270 m), Middle Hill (3.450 m), Elephant (3.360 m) e l'Amba
Alagi (3.360 m) in posizione elevata e immediatamente vicino al passo
sorgeva il forte Toselli. Il
duca d'Aosta aveva dislocato il suo comando sull'Amba Alagi, già
predisposto per l'ultima resistenza. Le vette circostanti che erano
state tutte saldamente fortificate in precedenza con reticolati e
postazioni di artiglieria in caverna, erano presidiate da 7.000 uomini
con oltre 40 cannoni. Le riserve di viveri erano sufficienti per tre
mesi. L'avanzata sulle
posizioni italiane cominciò il 3 maggio, il gruppo del colonnello
Fletcher si diresse verso il passo Falagà ma non poté espugnare le
posizioni fortificate antistanti al valico e fu ricacciato come il
battaglione che aveva tentato di espugnare la posizione centrale, circa
5 km più a ovest. Il giorno seguente, la 29ª brigata indiana di
fanteria conquistò e riuscì a mantenere, grazie all'appoggio
dell'artiglieria, le tre cime più occidentali Pyramid, Whaleback e
Elephant . Mentre l'operazione era arrivata a questo punto morto, giunse
il raggruppamento di brigata sudafricano, a conclusione della lunga
marcia da Dessiè , insieme con due gruppi di armati etiopici che si
gettarono contro Twin Pyramids alla fine gli italiani dopo una
tenacissima resistenza furono respinti. Il trattamento che gli abissini
riservarono ai prigionieri depresse profondamente il morale degli
italiani ma rafforzò nei difensori della vetta vicina Triangle la
decisione di lottare fino alla morte contro gli etiopi. Infatti quando
gli abissini tentarono di gettarsi contro questo picco da Twin Pyramids
furono ricacciati, nel corso di una delle più violente azioni difensive
italiane di tutta la battaglia. I
comandanti italiani compresero che i loro uomini molto probabilmente
avrebbero colto ogni occasione per arrendersi alle truppe nemiche
regolari, dalle quali potevano aspettarsi di essere trattati
correttamente. Perciò il viceré approfittò della presenza dei
sudafricani per discutere i termini della resa. Fu convenuto che gli
inglesi avrebbero accordato l'onore delle armi. Il 19 maggio il duca
d'Aosta e i 5.000 superstiti dell'Amba Alagi si arresero, mentre un
reparto britannico rendeva gli onori. La battaglia dell'Amba Alagi era
durata esattamente due settimane. Con la cattura dei suoi difensori il
numero dei prigionieri fatti dalle truppe britanniche nei tre mesi e
mezzo dall'inizio della campagna ammontava a poco meno di 230.000
uomini.
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PIETRO GAZZERA |
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Figlio di
Giovanni Battista e di Anna Dompé, nacque a Bene Vagienna (Cuneo) l'11
dic. 1879.
Frequentò la R. Accademia militare di Torino tra il 1896 e il 1899
uscendone sottotenente d'artiglieria. Dopo la Scuola di applicazione
d'artiglieria e genio il 28 ott. 1900 fu destinato come tenente alla VI
brigata d'artiglieria da fortezza. Prestò poi servizio presso la
direzione superiore delle esperienze d'artiglieria e nel 17° reggimento
artiglieria da campagna a Novara. Nel 1903 sposò Bianca Maria Gerardi
dalla quale avrebbe avuto quattro figli. Ammesso il 15 ott. 1905 alla
frequenza del corso di stato maggiore presso la Scuola di guerra di
Torino, lo terminò nel 1908, risultando il primo in graduatoria e
venendo assegnato, per il previsto periodo d'esperimento, al comando del
corpo di stato maggiore a Roma. Dal maggio del 1909 prestò servizio
presso la divisione militare territoriale di Cuneo sino al 1° ott. 1910,
quando, promosso capitano, fu destinato al 5° reggimento artiglieria da
campagna a Venaria Reale. Volontario in Libia, nel marzo del 1912,
meritò, nel corso della campagna, una medaglia d'argento al valor
militare "per l'abilità e l'ardimento spiegati nella condotta della
batteria in ripetuti combattimenti". Rimpatriato nell'ottobre dello
stesso anno fu nominato insegnante aggiunto di logistica alla Scuola di
guerra, |
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http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-gazzera_(Dizionario-Biografico)/
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L'ULTIMA BANDIERA A CULQUABER |
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In
agosto era giunto il I° Gruppo mobilitato Carabinieri e Zaptié che fu
assegnato alla posizione detta del Costone dei Roccioni in posizione
dominante rispetto alla rotabile. I Carabinieri non persero tempo e con
mezzi di fortuna fortificarono il Costone con tronchi d'albero, scavando
nella roccia feritoie in ogni direzione. I viveri scarseggiavano e anche
le immancabili sigarette erano un vago ricordo soppiantato da sigaretti
di ogni tipo di foglia secca. A settembre le comunicazioni con Gondar
furono tagliate e i Carabinieri effettuarono numerose sortite per
allentare la morsa dell'assedio. L'acqua veniva raccolta, correndo molti
pericoli, da due fiumiciattoli fuori dal raggio delle artiglierie amiche
oppure, in alternativa, da una minuscola sorgente o dallo
sfruttamento
della condensa dell'umidità notturna. Ai primi dell'ottobre 1941 la fame
si fece sentire a tal punto, che il
comandante del caposaldo di Culqualber, colonnello Ugolini, decise una serie di puntate offensive al
solo scopo di procurarsi i viveri necessari. Il 18 ottobre le forze
italiane conquistarono la ben fornita posizione di Lamba Mariam e,
grazie alla copertura dei carabinieri riuscirono a rientrare con lievi
perdite, nonostante un pesante contrattacco nemico. Il 6 novembre un
potente assalto avversario si spezzò sul margine sud del caposaldo. I
comandanti britannici, esprimendo ammirazione per la resistenza opposta,
invitarono gli italiani alla resa. Invano. A partire dal 10 novembre gli
inglesi prepararono una nuova offensiva. Nella notte del 12 una valanga
di bande Uollo, appoggiate da battaglioni sudanesi e kikuyu si rovesciò
sul Costone dei Roccioni. I contrattacchi dei Carabinieri e degli zaptié,
spesso all'arma bianca, costrinsero il nemico a ripiegare la sera del
13. Per tutta la settimana gli attacchi, spesso appoggiati da carri e
blindati, si susseguirono senza sosta. Il 20, nonostante l'appoggio
dell'aviazione e di molti mortai, gli avversari ancora una volta
fallirono l'obiettivo. Soltanto con un attacco generale su tutta la
linea e dopo sette pesanti assalti, la forza anglo-etiopica riuscì a
domare definitivamente questo manipolo di valorosi il 21 novembre.
Furono i Carabinieri ad ammainare l'ultima bandiera e a ripiegarla,
prima di partire per la prigionia. |
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Prima di questa capitolazione un altro gruppo di Italiani rese difficile
agli inglesi la passeggiata etiopica. La prima fu l'offensiva di Cunningham contro la provincia del
Galla Sidamo a sud ovest di Addis Abeba, tenuta dal generale Gazzera. La
seconda, quella lanciata dal generale Platt contro le forze del generale
Nasi attestate a nord del lago Tana, possibile solo dopo la conclusione
della prima. Le forze britanniche rimaste in Etiopia erano troppo
esigue, per poter impegnarsi in una battaglia decisiva, perciò gli
inglesi intendevano semplicemente contenere gli italiani nelle remote
regioni nelle quali erano confinati. A sud ovest il generale Pietro Gazzera
aveva circa 40.000 uomini, una scorta di riserve non abbondante ma
comunque sufficiente e oltre duecento pezzi d'artiglieria con base a
Gimma, circa 320 km a sud ovest di Addis Abeba. A nord ovest, con base a
Gondar, il generale Nasi aveva più di 40.000 uomini e un'ottantina di
cannoni distribuiti in roccaforti naturali sulle montagne, ma era in
situazione precaria riguardo ai viveri.
Il generale Cunningham ordinò all'11ª divisione africana di
procedere seguendo due direttrici: a ovest verso Soddu (centro di
raccolta di dispersi) e a nord ovest verso Gimma. Anche questa volta gli
ostacoli più duri che l'11ª divisione africana incontrò furono il
maltempo e il terreno. Tuttavia il 22° raggruppamento di brigata
estafricana sostenne un aspro combattimento sconfiggendo la forte
resistenza opposta dagli italiani a Goluto, 72 km a ovest di
Sciasciamanna sulla strada di Gimma.
Soddu fu conquistata dopo una disordinata battaglia in cui furono
fatti prigionieri gli stati maggiori di due divisioni italiane.
Data la situazione il generale Gazzera ordinò alle sue forze
attestate nella zona di Soddu di spostarsi come meglio potevano a ovest
dell'Omo Bottego che era straripato conducendo con sé la popolazione
civile. Egli aveva deciso di tentare la resistenza in quel punto; ma le
condizioni veramente insostenibili e le continue piogge torrenziali
frustrarono il tentativo degli italiani. In questa fase dell'offensiva
gli inglesi fecero complessivamente 18.000 prigionieri. L'impresa stava
però logorando le truppe del generale Cunningham il quale per
rafforzare l'11ª divisione africana, le aggregò la 23ª brigata
nigeriana e la mandò lungo la strada che da Addis Abeba porta
direttamente a Gimma, affinché forzasse l'Omo Bottego ad Abalti. La 22ª
brigata eastafricana doveva compiere un tentativo analogo all'altezza di
Sciolo. Entrambe le operazioni si conclusero con buon esito,
specialmente a Sciolo dove furono catturati 4.000 italiani dopo aspri
combattimenti. La 22ª
brigata eastafricana avanzò il più rapidamente possibile e il 21 giugno
entrò in Gimma accettando la resa dell'intero presidio (il loro
ingresso era stato sollecitato per salvaguardare la popolazione civile
da rappresaglie). Il generale Gazzera si era ritirato, lasciando in città
e negli immediati dintorni 15.000 soldati che furono fatti tutti
prigionieri. La brigata eastafricana senza quasi concedersi una sosta,
riprese la faticosa avanzata dirigendosi a nord ovest di Gimma per
appoggiare i nigeriani che stavano compiendo buoni progressi su una
strada in condizioni migliori: avevano occupato Lekenti debellando una
debolissima resistenza e adesso inseguivano gli italiani in ritirata
verso ovest. A questo punto le brigate eastafricana e nigeriana assieme
alle bande etiopiche dovevano dar la caccia a due divisioni italiane
pressoché intatte che si stavano ritirando a nord ovest: gli italiani
però si stavano cacciando in una trappola. Un contingente belga
composto da due battaglioni, appoggiati da una batteria di mortai
pesanti rinforzato da un battaglione eastafricano avanzava per unirsi al
generale Platt nel settore nord-occidentale In questo momento le forze
belghe si trovavano circa nel punto esatto sul quale si dirigevano gli
italiani e il maggior generale Gilliaert comandante delle truppe del
Congo stava ispezionando il settore. Il 3 luglio egli ordinò alle sue
truppe di entrare in azione contro gli italiani. Il generale Gazzera
stretto improvvisamente dai belgi freschi e ben equipaggiati, comprese
che questa era la fine. Il generale Gilliaert accettò la resa
concedendo a Gazzera e a quanto era rimasto delle sue forze 5.000 uomini
dell'esercito regolare e 2.000 etiopi irregolari l'onore delle armi.
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IL GENERALE NASI (1879 – 1971) A
GONDAR
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Non
restava che Nasi saldamente arroccato in una fortezza montuosa a nord
del lago Tana con i suoi 40.000 uomini a un'altitudine di oltre 3.000 m
pressoché inespugnabili. Il comando di Nasi si trovava a Gondar a 2.100
m sul livello del mare. L'unica strada effettivamente transitabile che
vi conduceva partiva dall'Asmara quasi 480 km a nord est; e passava a
112 km da Gondar attraverso il passo Uolchefit unica via di transito in
una barriera naturale alta 3.000 m. Per arrivare al valico la strada si
snodava a zigzag lungo una regione quasi interamente rocciosa superando
un dislivello di 1.200 m. Circa 5.000 italiani presidiavano il passo e
la zona circostante, ma fra Uolchefit e Gondar si trovavano bande
etiopiche ostili agli italiani. A sud est una pista praticabile soltanto
durante la stagione asciutta univa Gondar a Dessiè distante 400 km; a
cavallo della pista a circa 160 km da Gondar e a 2.700 m di altitudine
si trovava un villaggio montano Debra Tabor difeso da una forte
guarnigione italiana come l'altro villaggio che dominava la pista,
Culquaber
40 km da Gondar.
Un altro sentiero di montagna che conduceva
al confine con il Sudan era sbarrato da un presidio italiano a Celga 48
km a ovest di Gondar.
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Il generale Nasi pur disponendo di questo notevole
spiegamento di forze su terreno favorevole aveva scarse riserve di
viveri e nessuna protezione aerea. Quando il tempo non era proibitivo le
sue posizioni erano esposte agli attacchi aerei nemici. In maggio il
battaglione sudanese che in precedenza aveva fatto parte della Gideon
Force aveva attaccato Celga a ovest di Gondar ma era stato duramente
battuto e respinto da un deciso contrattacco italiano e due tentativi
intrapresi dai gruppi etiopici contro le posizione di Uolchefit erano
falliti nella stessa maniera. In giugno la posizione di Debra Tabor
aveva subito un incessante violentissimo martellamento dall'aria, tanto
che le difese erano crollate completamente e il comandante si era arreso
insieme con i suoi uomini oltre 5.000 alle bande indigene guidate da
ufficiali inglesi senza opporre ulteriore resistenza.
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In luglio il III
battaglione del 14° reggimento Punjab, sceso lungo la strada
proveniente dall'Asmara aveva ritentato la conquista del passo di
Uolchefit ma era stato respinto anch'esso subendo forti perdite. La 25ª
brigata eastafricana aveva raggiunto Massaua via mare; alla fine di
settembre arrivò di fronte al passo Uolcheflt per tentare un nuovo
assalto. Non vi fu battaglia perché il presidio italiano aveva esaurito
le ultime riserve di viveri e il 27 settembre fu costretto ad arrendersi
per fame. Le piogge che erano cadute senza interruzione per cinque mesi
non potevano ormai durare molto più a lungo per cui si potevano
preparare i piani per la battaglia che avrebbe segnato la conclusione
della campagna nell'Africa Orientale. La battaglia ebbe inizio l'11 novembre diretta dal generale
Fowkes. Un gruppo misto formato da reparti della 25ª brigata eastafricana dotato di autoblindo e appoggiato da guerriglieri etiopici e
dall'aviazione si gettò all'attacco di
Culquaber.
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Ma il presidio
italiano quattro battaglioni trincerati dietro i reticolati un campo
minato e ripari in cemento armato li prese sotto un tiro incrociato
micidiale e l'azione si concluse col fallimento più completo. A sua
volta il battaglione sudanese diede l'assalto a Celga ma fu respinto
anch'esso da quattro battaglioni italiani. Alla fine della giornata
soltanto i montanari abissini
riuscirono a riportare un successo, aggirando dall'alto un certo numero
di sacche italiane e rastrellando la zona a sud est di Gondar.
Il generale Fowkes giudicò necessario l'impiego di tutt'e due le
brigate estafricane la 25ª e la 26ª per prendere Culcaber ma la 25ª
era ancora sulla strada a nord di Gondar e ci vollero nove giorni per
farle compiere una deviazione attorno alla città. Il 21 novembre la 25ª
brigata eastafricana attaccò
Culquaber
da nord est mentre il gruppo misto della 26ª, che aveva compiuto il
tentativo fallito dell'11 novembre, l'attaccò da sud, con l'appoggio di
una numerosa banda d'indigeni, ma i carabinieri benché fossero quasi
completamente accerchiati, combatterono tutto il giorno con estrema
risolutezza. Sul tardo pomeriggio tuttavia, alcuni dei loro avamposti
furono sopraffatti e gruppi isolati cominciarono ad arrendersi.
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Quando
scese la notte il colonnello Ugolini, comandante del presidio, non ebbe
più possibilità di scelta e insieme con i suoi 2.500 soldati dovette
deporre le armi. Le posizioni difensive di Gondar torreggiavano sopra
gli attaccanti: per raggiungerle si dovevano arrampicare su per ripide
pareti rocciose che portavano a una serie di cenge sovrapposte; i
rifornimenti vi potevano arrivare soltanto se someggiati. L'assalto
decisivo ebbe inizio il 27 novembre alle prime luci del giorno, sotto la
protezione di un pesante fuoco di sbarramento. Due battaglioni della 26ª
brigata eastafricana che avanzavano su Gondar da ovest finirono sopra un
campo minato, mentre l'artiglieria e le mitragliatrici italiane li
prendevano sotto un intenso tiro incrociato. Tuttavia continuarono ad
avanzare senza deflettere e nel primo pomeriggio giunsero sulla cresta
di un'altura a poco più di 3 km da Gondar. Tutti i gruppi etiopici
combatterono bene: all'alba, dopo un attacco notturno, avevano espugnato
due alture a sud est di Gondar, uccidendo tutti gli italiani che vi si
trovavano. A sud di Gondar anche la 25ª brigata eastafricana compiva
buoni progressi, incontrando una resistenza meno accanita, e nelle prime
ore del pomeriggio raggiunse le creste a sud e a sud ovest di Gondar
completando l’accerchiamento. |
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Uno squadrone autoblindo appartenente al
reggimento del Kenya approfittò dell'occasione per imboccare la strada
indifesa ed entrò in Gondar, seguito poco dopo da uno dei gruppi
etiopici. Dietro di loro furono mandati immediatamente i rinforzi e a
metà pomeriggio il generale Nasi fece chiedere le condizioni di resa.
Il giorno seguente gli italiani superstiti 22.000 uomini in tutto
deposero le armi.
COMPAGNIA
MOTORIZZATA
(o Autocarrata) TEDESCA
Deutsche Motorisierte Kompanie. La compagnia raccolse circa 140 tedeschi
(abili), fuggiti prima della dichiarazione di guerra, dal Kenya e dal
Tanganyika sulla nave italiana Piave. Trovarono alloggio nel luglio del
’40 prima alla caserma Graziani all’Asmara poi aggregati ai gruppi con
cui combattevano. Il capitano della compagnia (3 plotoni-1. & 2. platoon:
each w/2 groups each w/ 1 ltMG; 3. platoon: 3 groups each w/ 1 hyMG) era
il tenente Gustav Hamel e l’ufficiale di collegamento il S.ten Arturo
Raggi.
La compagnia faceva parte di una unità meccanizzata maggiore (Blindo
Fiat 611-Cap. Carducci poi Ten. Molinari + 2 cp Dubat) comandata dal
Maggiore Clemente Ferrero.
La compagnia sfilò l’11 luglio 1940 davanti al governatore dell’Eritrea
Frusci e da settembre venne schierata a Keren. |
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Divisa uniform:
olivegreen trousers with puttee/gaiters
ankle high climbing boots
olivegreen tunic made of light cloth or black tunic
shirt & tie
collar ( mostrine ) :white field , red piping and black svastika
rosette : center white out red , black svastika
the same of italian army with the rosette like above
dust protection glasses
swastika on the left arm
arm ranks for caporals and sergents like italian army |
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Dalla stessa data l’unità venne fornita di gagliardetto nazionale.
unity
flag : triangular with in one side the german flag on the second the
italian with the savoy cross and the crown ; a strange top of the flag :
fascio and svastika
Alla fine di ottobre la compagnia faceva parte della forza proiettata su
Kassala in Sudan. Col nuovo anno i tedeschi come gli italiani si
trovarono ben presto coinvolti nella controffensiva inglese perdendo una
ventina d’uomini. Alla fine di gennaio del 1941 la compagnia aveva dato
il più alto tributo di sangue ad Agordat perdendo altri 30 uomini.
25/01/1941: Compagnia AutoCarrata „Tedesca“ is part of the rearguard,
which covers the retreat from the Sudan-front. The coy has very heavy
losses in the actions at AGORDAT. The German coy has a strength of 91
men.
Da questa data il battaglione (rimasto con sole 5 Fiat) e di conseguenza
la compagnia vennero aggregati alle camicie nere “Toselli” e
“D’Annunzio”. Il 27 marzo l’unità entrò a far parte del Kampfgruppe
Geraldo Csibio (Cisbio) in ritirata sull’Asmara.
27/03/1941: The German coy was used to form a battle-group commanded by
Colonello Geraldo Csibio.
Battle-group had the order, to keep the bridgehead on the west bank of
the river ANSEBA.
I resti della compagnia, ridotta a un pugno di uomini tanto da essere
inglobata in una unità di Carabinieri (Ten. Gallico), seguì in aprile i
reparti del Duca sull’Amba Alagi. Qui a metà maggio si compì l’ultimo
atto della Colonia Italiana dell A.O. che capitolò il 18. Non risultano
sopravvissuti. |
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GUSTAVO PESENTI
(Castel
S.Giovanni, 15/1/1878 - Genova, 18/1/ 1960)
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da Carabinieri.it
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«Sgradevole e perfino equivoca la caduta del fronte
somalo, se paragonata a quello che accadde a Cheren (...)». Forse, il
"mistero" è racchiuso in quanto si verificò a Mogadiscio, nel dicembre del
1940, alla mensa ufficiali, presente il Duca d'Aosta. Questi, per vie
sotterranee, aveva ricevuto concrete proposte inglesi per trattare una
pace separata e preservare l'Impero, rinnegando la "guerra fascista".
Appunto a Mogadiscio, questa tesi fu sostenuta con tale vigore dal
generale Gustavo Pesenti, Comandante del fronte del Sud (div. eritrea),
che il Duca d'Aosta si alzò di scatto e disse:
«Una sola parola ancora,
generale, e la faccio fucilare!».
Il giornalista e scrittore Bandini, che per primo ha indagato su questi
retroscena, accennandone diffusamente in due suoi libri, aggiunge
dell'altro, continua De Risio, perché scrive: "Né tutto si fermò qui. Al
momento della caduta dell'Impero, due dei generali più in vista, Claudio Trezzani, Capo di Stato Maggiore del Duca, e Luigi Frusci, Comandante del
fronte Nord, furono prelevati in aereo e trasportati in America, dove
furono ospiti di Roosevelt alla Casa Bianca. Fatto assai singolare, mai
smentito e avvenuto in un'epoca nella quale gli Usa erano ancora neutrali.
Va anche aggiunto che il numero dei comandanti di settore, i quali
deliberatamente e ostentatamente non obbedirono al Duca, in questa o
quell'altra fase della campagna, fu insolitamente alto: a questi loro
rifiuti si deve, in gran parte, se l'intero Sud etiopico, con Mogadiscio,
fu perduto nel giro di pochi giorni, senza che praticamente venisse
sparato un solo colpo di cannone. Una somma di fatti assolutamente
sconcertante (...)". Al fronte Nord, invece, gli inglesi si scontrarono
con ben altri generali, che dovrebbero essere ricordati nei
libri di
scuola: Nicola Carmineo a Cheren, Guglielmo Nasi a Gondar-Culqualber,
Pietro Gazzera nella Galla-Sidama.
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Ufficiale degli Alpini durante
l’insurrezione dei Bimal
in Somalia viene ferito in combattimento a Danane il 9/11/1907 (a
sinistra).
E' poi -Capitano Residente- a Ghat nel 1913. Pesenti subentra nel
comando del contingente italiano in
Palestina nel 1918 al posto del tenente colonnello dei Bersaglieri Francesco
D'Agostino. Colonnello comandante il R.C.T.C. della Somalia nel 1928/29.
Generale comandante la 4ª Brigata Eritrea all’inizio della campagna A.O.
1935/36, passa poi al comando della 1ª Divisione Eritrea. Comandante del
“Settore Giuba” durante la 2ª g.m., viene successivamente sostituito dal Col. De Simone.
Dal '38 Governatore.
Letterato e musicista scrisse tra
l'altro: Canti e ritmi arabici, somalici e swahili (Roma: Reale Società
Geografica Italiana RSGI, 1910). Di alcuni canti arabici e somalici
(Roma: RSGI, 1912); I canti del Dikir (Roma: RSGI, 1916); da queste
ricerche nacque Canti sacri e profani, danze e ritmi degli Arabi, dei
Somali e dei Suahili, con 54 esempi musicali. Mi: L'eroica, 1909, 202
p). Per la fama conseguita con questi lavori fu nominato rappresentante
dell'Italia al congresso di musica araba, tenutosi al Cairo nel 1932.
Coordinando i dati annotati durante il congresso, continuò l'indagine
sulla musica araba, pubblicando poi La musica è mediterranea (Mi:
L'eroica, 1937, 263 p). Seguirono tra il 1950 e il 1953 4 opuscoli di
livello divulgativo (tutti editi a Borgo S. Dalmazzo: Bertello) su
Debussy musicista aristicratico (1950); Tre secoli d'oro della musica
italiana (1951); Amore e follia nell'arte di Roberto Schumann (1951);
Federico Chopin nel centenario della morte (1953, due edizioni). |
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GLI ORI FUORI CORPO DELLA A.O.I. |
BARZON ANGELO
11° GRANATIERI
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Nato a Padova, si arruola volontario nel 2°
reggimento bersaglieri e partecipa ai corsi ufficiali per la nomina a sottotenente.
Nell'aprile 1914 viene assegnato in prima nomina all'8° bersaglieri e l'anno
successivo allo scoppio del conflitto trattenuto a domanda. Ferito nel
1916, viene distaccato a Rodi fino al 1919 e alla nomina a Capitano
rientra al reggimento. Nel 1935, dopo una breve parentesi ai nuovi reparti
corazzati, viene inviato in Africa Orientale dove assume il comando del II
Btg. dell'11° granatieri coloniale. Il 16 marzo 1941 nelle fasi più eccitate del
conflitto veniva colpito a morte alla testa di un gruppo che cercava di
respingere l'ennesimo assalto Inglese.
Oro alla memoria: motivo
del conferimento
Comandante di battaglione sosteneva vittoriosamente e per più giorni
consecutivi il peso di una dura offensiva sferrata dal nemico
preponderante, respingendolo con gravi perdite sulle posizioni di
partenza. Durante il corso di una seconda e più potente offensiva con la
quale l’avversario a malgrado la strenua difesa dei reparti era riuscito
a porre piede nell’interno delle nostre posizioni, visti ripiegare i
reparti coloniali, sopraffatti da concentramenti dell’artiglieria
nemica, ed il crearsi di una situazione delicata per l’intero sistema
difensivo, postosi alla testa di un gruppo di granatieri e coloniali si
lanciava verso il nemico a colpi di bombe a mano. Cadeva colpito da
pallottola in fronte, consacrando con la sua morte tutta una vita di
esemplare dedizione alla Patria. A.O., 2 febbraio -16 marzo 1941. |
CALENDA
ENRICO 1a BANDA
AMARA
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Nato a Napoli, dopo la maturità alla
Nunziatella entra alla Accademia Militare di Modena e ne esce
sottotenente nel 1936. Avviato in prima nomina all'8° Reggimento
Bersaglieri,
chiede nel 1938 di essere assegnato ai reparti dell'A.O.I. Messo al
comando della 1a banda Amara trascinava i suoi in località isolate in
continue azioni di disturbo del nemico. In duri combattimenti contro
Abissini, spezzando in precisi assalti la difesa munita concorreva in
concorso con altro reparto alla cattura di un Ras. Invincibile in terra,
continuava la lotta a campagna conclusa per cadere solo per mano di un
bombardamento aereo al passo Uolchefit il 25 agosto 1941. oro alla memoria motivo del
conferimento
Comandante di banda regolare in un presidio isolato, alla testa dei
propri gregari, cui era fulgido esempio di elette virtù militari e di
sprezzo della vita, irrompeva più volte nelle formazioni avversarie
superiori in numero e mezzi, travolgendole e disperdendole con irruento
impeto guerriero. In duro combattimento protrattosi per varie ore,
superava le difficoltà e le resistenze opposte da forti masse ribelli,
spezzando in decisi assalti la difesa di ben munite posizioni e
contribuendo, in concorso con altro reparto, alla cattura di un Ras e di
cospicuo bottino di armi, munizioni e materiali. Sereno sotto
l’imperversare di massicci bombardamenti aereo terrestri, irrefrenabile
sotto le più pericolose minacce, incurante del rischio, ardito,
temerario, trascinava la sua banda di successo in successo, respingendo
ovunque l’ostinatezza nemica. Durante una indiscriminata potente azione
aerea, cadeva in luce di olocausto ed in apoteosi di gloria, esempio
altissimo di eroico sacrificio, d’impareggiabile valore, di totale
dedizione al dovere ed alla Patria. Passo Cinà - Uolchefit dell’Amara (A.O.),
22 giugno -25 agosto 1941. |
GALLUCCI
FEDERICO ANGELO X BTG. COLONIALE
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Nato a S. Angelo dei Lombardi, si arruola
volontario e partecipa ai corsi ufficiali per la nomina a sottotenente.
Viene assegnato come aspirante all'21° reggimento bersaglieri indi al 239°
fanteria. Nominato tenente fa parte del contingente dell'Alta Slesia e a termine missione
è ai reparti coloniali dislocati in Libia (XX
Eritreo). Nel 1925 prende il brevetto di osservatore aereo e rientra n Libia dove col grado di capitano comanda una compagnia del XVI eritreo fino al 1933. Rimpatriato riprende incarichi al 8°-9° e
18° reggimento bersaglieri. Nel 1939 ritorna in Africa (Orientale Scioa) dove
assume il comando del X coloniale. Cade nelle prime fasi del conflitto
il 12 agosto 1940.
Oro alla memoria motivo
del conferimento
Ufficiale dotato di elette virtù di mente, di cuore e di carattere,
partecipava, al comando di un battaglione da lui forgiato alle più ardue
prove, alla conquista del Somaliland. In aspro combattimento contro una
linea fortificata, sollecitava per se’ e per il suo reparto l’onore di
strappare all’avversario, annidato in muniti capisaldi, la prima
vittoria. Deciso a raggiungere la meta che avrebbe dovuto coronare lo
sforzo eroico dei suoi dipendenti, si lanciava alla testa dei più
animosi contro la munita linea avversaria, sui cui spalti cadeva da
eroe. Daharboruk (A.O.), 12 agosto 1940. |
MANCUSO FRANCESCO
Maggiore in s.p.e XXII BTG. COLONIALE
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Nato a Platania lascia l'mpiego di postino per
arruolarsi volontario nel 13° bersaglieri. Iscrittosi ai corsi ufficiali, consegue
la nomina a sottotenente nel febbraio 1917 e l'assegnazione al 9°
bersaglieri in
quel momento sull'Ortigara. Nei giorni di Caporetto si trova a Tolmino
dove esegue sabotaggi ai ponti sui fiumi coi reparti di retroguardia.
Ferito lievemente, viene promosso sul campo al grado superiore col quale
conclude il conflitto. Assegnato per un breve periodo al genio, rientra
al 5° per proseguire nel 1928 al XXIV Coloniale a Bengasi. Promosso
capitano viene trasferito ai Cacciatori d'Africa. Dopo un breve periodo
in patria raggiunge l'Eritrea dove assume il comando del XXII. Ferito a
Cheren il 26 marzo 1941 alla testa del suo decimato reparto, viene fatto
prigioniero e rilasciato al termine del conflitto. motivo del conferimento
Comandante capace, ardito, tenace, trascinatore di uomini da lui
temprati ai più duri cimenti, affrontava con esemplare fermezza e
indomito spirito guerriero un lungo periodo operativo reso tragico
dall’iperbolica sproporzione tra gli esigui ed inadeguati mezzi
disponibili e le schiaccianti forze dell’agguerrito avversario.
Impegnato nella riconquista di una posizione perduta da altre unità,
entrava in azione con travolgente assalto e la portava a termine
felicemente dopo sanguinosa lotta sostenuta con impareggiabile ardore.
Contrattaccato in più riprese con estrema violenza, opponeva valida
resistenza ad oltranza. Benché ferito, reagiva con audace e sagace
manovra contenendo l’aggressività nemica. Decimato, a corto di munizioni
e viveri, pressato dal nemico incalzante, riusciva combattendo a
raggiungere il baluardo assegnatogli. Riorganizzati e rianimati i
superstiti del suo fiero battaglione, si poneva alla testa di essi e,
pur essendo minorato fisicamente per la recente ferita riportata,
attaccava una munita posizione riuscendo, con estenuante cruenta lotta
sostenuta con epica fermezza, a contenere l’irruenza nemica ed a
consentire, col sacrificio dei suoi valorosi, ad un presidio di
effettuare in tempo utile il predisposto ripiegamento. Salda tempra di
comandante ha dato sempre ed ovunque luminoso esempio ai dipendenti di
preclari virtù militari. Africa Orientale, 30-31 gennaio - 1° febbraio
1941 —25- 26 marzo 1
http://www.comuneplatania.it/mancuso.asp |
VITRANI
RUGGERO
LXXXI BTG. COLONIALE
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Nato a Barletta nel 1908 frequenta il collegio
militare di Roma da cui passa, al termine degli studi, alla Accademia di
Modena. Uscito sottotenente effettivo nel 1930 frequenta la scuola di
applicazione e viene destinato all'8° Reggimento bersaglieri in prima nomina. Nel
luglio del 1938 viene trasferito in africa Orientale al comando truppe
Amara e assegnato al LXXXI battaglione della 3a Br. Coloniale al comando
della 1a compagnia. Durante un violento combattimento, alla testa di 2
compagnie nella regione del Goggiam, si esponeva al fuoco nemico da cui
era implacabilmente falciato a più riprese. 2 aprile 1941 -
Capitano in s.p.e. ( Bersagliere , 3a Brigata coloniale, LXXXI
battaglione ) oro alla memoria motivo del conferimento
Ufficiale di altissime virtù militari, animato da non comune ardimento,
seppe confermare in ogni contingenza di guerra il suo alto sprezzo della
morte. Durante un violento combattimento, alla testa di due compagnie,
si lanciava contro munite posizioni avversarie conquistandole a bombe a
mano e col suo slancio meraviglioso e trascinatore. Volle l’onore di
giungere per primo sull’ultima posizione avversaria e nell’attraversare
un pianoro battuto dal fuoco avversario, venne ferito al fianco.
Incurante del dolore e della perdita del sangue proseguiva la propria
azione animando gli ascari con la parola e l’esempio, lanciandoli poi in
un violento assalto che aveva ragione sul nemico. Cadeva fulminato da
una pallottola in fronte sulla posizione raggiunta. Fulgido esempio di
eroismo e di magnifiche doti militari. Sardò Mesghi (Mescentè) - Goggiam
Settentrionale (A.O.i.), 2 aprile 1941. |
MIZZONI ANTONIO
XIIIL BTG: COLONIALE
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Nato a Veroli, dopo
l'abilitazione magistrale, viene chiamato alle armi e avviato in Africa
O. Qui frequenta il corso A.U.C. al battaglione scuola allestito presso
il 10° Granatieri (Addis Abeba). Nominato aspirante nel '39 viene
assegnato in prima nomina al 43°. L'anno dopo consegue il grado di
sottotenente nella specialità Bersaglieri. Partecipa ai combattimenti
dal giugno 40 al 31 gennaio del 41 nelle campagne di Cassala, Uaccai,
Agordat, e M. Cocken dove viene gravemente ferito più volte. In azione
di difesa, circondato e con la mitragliatrice senza serventi si
impadronisce del pezzo e si apre un varco per raggiungere i suoi. Visto
cadere il comandante di compagnia assume egli stesso l'azione riportando
una nuova ferita che lo lascia immobilizzato al suolo. Solo ad
azione ultimata viene ricoverato in Ospedale. In aprile viene fatto
prigioniero dagli inglesi all'Asmara ed avviato in prigionia nonostante
le gravi lesioni. Il 15/1/1943 vista la gravità delle condizioni viene
scambiato e rientra in Patria. Sottotenente di cpl. Bersagliere
XLIII battaglione coloniale . motivo del conferimento |
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Comandante di reparto coloniale, dava luminose
prove di elevato spirito combattivo e di grande valore negli aspri
combattimenti di Cassala, Uaccai ed Agordat, lanciandosi in ogni
occasione alla testa dei suoi ascari, animati dal suo intrepido eroismo,
contro forze nemiche preponderanti. Conseguiva, nel quadro dei compiti
affidatogli, risultati decisivi che destavano ammirazione in tutti. Il
suo valore rifulgeva soprattutto durante il combattimento per la
conquista di M. Cocken. Circondato dal nemico, egli disponeva che la
sola mitragliatrice efficiente venisse sistemata sull’unica posizione
idonea a battere efficacemente un centro nemico che col suo fuoco
micidiale precludeva ogni azione del suo reparto. Accortosi che durante
lo spostamento il capo arma veniva gravemente colpito e che i serventi
stavano per sbandarsi, con indomito coraggio si portava avanti e, sotto
l’imperversare del fuoco nemico, tentava di raggiungere la postazione prescelta. Ferito alla gamba sinistra, ricusava ogni soccorso e,
superando un tratto di terreno impervio, riusciva a postare la
mitragliatrice ed a battere intensamente l’avversario, costringendolo ad
abbandonare la posizione. Determinava, così, un varco attraverso il
quale il reparto poteva ricongiungersi al resto della compagnia. Caduto
in combattimento il proprio comandante, assumeva il comando della
compagnia, lanciava al contrassalto un plotone contro un’irruzione
nemica, e, in piedi, sorreggendosi ad una roccia per non cadere,
incitava gli ascari alla lotta. Nel corso dell’azione veniva ferito di
nuovo e più gravemente. Inerte e pressoché paralizzato, rifiutava ogni
soccorso e continuava ad animare i superstiti. Consentiva che venisse
trasportato al posto di medicazione solo ad azione ultimata, conclusasi
vittoriosamente, mercé il suo fulgido eroismo. Cassala, Uaccai, Agordat,
M. Gocken (A.O.I.), 4 luglio 1940 - 31 gennaio 1941. |
SERAFINO GUALTIERO
LXVI BTG. COLONIALE
SOMALO
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Nato a Roma nel 1919 frequenta il convitto
Damiano Chiesa di Bolzano e il liceo Virgilio di Roma. Nel gennaio 1939
rinuncia ai benefici di legge per gli studenti universitari e si arruola
volontario ai corsi A.U.C. di Addis Abeba (Allievi Ufficiali di
Complemento al 10° Granatieri). Promosso Aspirante Bersagliere fu
destinato al 66° btg Coloniale. Nel 1940 allo scoppio della guerra comanda
un plotone di Ascari sulla via di Berbera nel Somaliland. Ferito nella
stretta di Faruk, continua a combattere con raddoppiato valore finendo
di nuovo durante un attacco all'arma bianca sotto il fuoco nemico.
A.O.I. 17 agosto 1940. Sottotenente di cpl. ( Bersaglieri, LXVI
battaglione coloniale somalo )
oro alla memoria motivo del conferimento
Nell’attacco di posizioni fortificate vi trascinava il suo reparto con
l’esempio del suo indomito coraggio e con l’ardente entusiasmo che
riusciva ad infondere nei suoi uomini. Ferito gravemente, continuava a
combattere con raddoppiato valore infliggendo forti perdite
all’avversario. Sotto micidiale fuoco di mitragliatrici si lanciava
all’assalto di una trincea, vi penetrava a colpi di bombe a mano e
durante la mischia furiosa cadeva eroicamente in una luce di gloria e di
vittoria sulla posizione conquistata. A.O., 17 agosto 1940.
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VIANELLO ROBERTO
BERSAGLIERI AOI
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Nato nel 1907 a Venezia, entra nella Milizia
nel 1926 col grado di capomanipolo nella sezione del battaglione
Universitari della laguna dopo aver conseguito la licenza ginnasiale.
Nel 1927 viene ammesso alla
scuola A.U.C. di Brà conseguendo la nomina a sottotenente nell'agosto
del 1930 dopo la morte del padre che l'aveva costretto ad interrompere
il corso. Assegnato ora per il servizio di leva all'11° Reggimento di
Gradisca si
congeda l'anno successivo. Si laurea a Ca Foscari e si impiega nel
Municipio della sua Città. Nominato tenente nel '36 viene richiamato
l'anno successivo per un corso di perfezionamento. Nel 1938 parte per l'Africa come dipendente
di ditta privata commerciale con sede ad Addis Abeba. Allo scoppio delle
ostilità otteneva il comando di una compagnia dei Bersaglieri A.O.I.
inquadrati nell'11° Granatieri di Savoia
con cui veniva impegnato nell'arco bellico. Nel febbraio 1941 nel
combattimento di Cheren cadeva colpito a morte alla testa della
compagnia decimata mentre incitava i suoi a strenua lotta. Le sue
spoglie furono rinvenute la mattina del 12 febbraio dagli alpini
dell'altro reggimento Granatieri. In una pausa della battaglia, che
intervenne nei giorni successivi, con cristiana pietà provvidero ad una
sommaria sepoltura, avendo cura di indicare, se possibile, con mezzi di
fortuna le generalità, per consentirne un futuro riconoscimento. Nel
1946 le salme trovarono finalmente degno riposo nel Cimitero degli Eroi
di Cheren, proprio sotto la Cima Biforcuta, che accoglie, accanto ai
soldati italiani, i commilitoni eritrei caduti al loro fianco in quella
battaglia.
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Decreto del presidente
della Repubblica del 12 maggio 1949, Medaglia d’Oro al Valor Militare
alla Memoria, con la seguente motivazione:
“Brillante ufficiale dei bersaglieri, ispirato costantemente a genuino
amor di patria, condusse i suoi uomini in reiterati combattimenti con
coraggio e sprezzo del pericolo, sì da riportare sempre tangibili
successi. Delineatasi critica situazione, nella quale cadevano tutti gli
ufficiali della compagnia, persisteva con stoica fermezza in epica
azione e, nel momento in cui stava per giungere su munita posizione
duramente contesa, ed in definitiva conquistata dai suoi bersaglieri,
cadeva colpito mortalmente mentre ancora incitava i suoi valorosi a una
strenua lotta" . A.O.I. 10 Febbraio 1941. |
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http://en.wikipedia.org/wiki/Italian_guerrilla_war_in_Ethiopia
testo in inglese |
Dopo la
resa di novembre, italiani alla macchia continuarono la
guerra sotto forma di lotta partigiana assistiti da nativi per un altro
anno LA
RESISTENZA DEI GUERRIGLIERI ITALIANI IN AFRICA ORIENTALE
http://www.storiain.net/arret/num80/artic4.asp
di Alberto Rosselli
.
Il
rappresentante più significativo di questi insorti è il Tenente di
cavalleria Amedeo guillet (vedi scheda personaggi) . Si chiudeva qui
la storia coloniale italiana in Africa e delle due nazioni costituite
per volere italiano, Somalia ed Eritrea.
Il mareb, il fiume che segna il
confine con l'etiopia, è stato ed e' al centro di tensioni di scontri.
Costellato di carcasse di carri armati e' lo specchio delle vittorie e
delle sconfitte del colonialismo. Così l'eritrea nelle guide turistiche
http://www.asmera.nl/
http://www.occhiaperti.net/index.phtml?id=3291
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Chi scappò in aereo da Gondar
http://www.comandosupremo.com/ETIO.html
salvato in Libia dai Bersaglieri di A. Rosselli
... Ma alla
lentissima "Caprona" di Lusardi e Caputo occorsero ben due ore prima di
raggiungere una quota di appena 2.000 metri e ne occorsero altre cinque
prima di attraversare il Mar Rosso e di riuscire a scorgere, in piena
notte, il corso argenteo del grande fiume Nilo. Ma l'avventura non era
certo finita. Più o meno sulla verticale di Asyut, l'aereo Italiano
venne individuato dai riflettori Inglesi e bersagliato dal tiro
dell'antiaerea. Dopo avere incassato un bel po' di schegge, che per pura
fortuna non colpirono i numerosi serbatoi interni, l'equipaggio Italiano
fu costretto a spaccare i finestrini con i martelli a causa delle sempre
più insopportabili esalazioni del micidiale carburante ideato da
Barilli. "Incredibilmente, i motori del Caproni riuscivano a tollerare
quella maledetta miscela che per noi esseri umani si stava rivelando un
vero e proprio veleno", raccontò in seguito il sottotenente Lusardi.
Finalmente, alle 04.45 del 10 Ottobre, il Ca.148 I-ETIO raggiunse
Tobruk…accolto nuovamente dal violento fuoco della contraerea. Ormai
ridotto ad un colabrodo, il Ca.148 ebbe ancora la forza di sfuggire
all'ennesima insidia deviando la rotta verso l'interno. Con i serbatoi
praticamente vuoti e il motore centrale grippato, la "Caprona" riuscì a
volare per altri 70 chilometri in direzione di Ain el Gazala, posando
infine le ruote (alle 06.25) su una radura sabbiosa. All'equipaggio,
uscito indenne dall'atterraggio di emergenza, occorsero 36 ore di marcia
sotto il sole per raggiungere il più vicino posto di sorveglianza
Italiano. Ripresosi dalla incredibile maratona, l'equipaggio Italiano
non si scordò certo della sua vecchia "Caprona" (e del sottotenente
Lusardi che era rimasto a fare la guardia al trimotore con una pistola
Beretta e pochi colpi). L'aereo e il suo guardiano vennero infatti
recuperati il giorno seguente, grazie all'apporto di un gruppo mobile
dei bersaglieri....
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