Autunno

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Nota: la proposta di Girodel ad Oscar si colloca nella primavera del 1787. La versione del ferimento di André è quella del manga.

 

Il seguito originale di questo racconto, L'Ultimo autunno, è stato scritto da me, Laura, dal 2005 all 2019.

 

Un seguito ipotetico di questo racconto, Un'altra stagione (dopo Autunno), è stato scritto da Alessandra.

 

Incontro

"La guerra è finita

che ho già visto per aria ritornare gli uccelli,

io penso dal mare, o da qualche altro posto,

ma conta soltanto che li ho visti tornare"

"La guerra è finita,

tu perché non ritorni, te lo chiedo da giorni

e qui il mare è bellissimo..."

 

Mario CASTELNUOVO, "La guerra è finita", in Come sarà mio figlio, BGM Ariola, 1991.

 

Ci incontrammo. Lo vidi che camminava tra la folla. Non era cambiato... Dio, quanto mi era mancato!

Si incontrarono.

Camminava tra la folla. Solo. A passi lenti, ma precisi. Era abituato a muoversi per le strade che, ormai conosceva. Un'aura tiepida lo raggiunse, qualcosa che non aveva sentito per anni. E percepì una presenza che era stata a lungo lontana. Si fermò, come colpito, il busto eretto, i sensi all'erta. Era vicina. Era di fronte a lui. Anche lei, immobile.

Si lasciava trascinare dal moto della gente. Con un andamento quasi febbrile. Non si era mai abituata alla ressa, alla violenza delle persone quando si muovono. E per le strade di Parigi, da quel luglio, c'era molto più movimento. Se lo trovò davanti, all'improvviso. Ma aveva già avvertito il suo calore così familiare. Non lo vedeva da anni. Non era cambiato. Un tuffo al cuore. Era certa che lui l'avesse riconosciuta. In qualche modo.

"André!"

Oscar lo abbracciò, sorprendendosi di se stessa, felicissima, il calore nella voce. Non aveva neppure pensato a trattenersi, contrariamente al suo solito. Era cambiata molto in quegli anni.

Quasi stupito di quel gesto, lui rimase fermo. Sorrise.

"Ciao, Oscar..."

Era un sorriso lontano, tranquillo. Sembrava che una vita intera lo dividesse da lei. E i sentimenti, a lungo repressi, tenuti a fatica sopiti, parevano stentare a riemergere. Quasi non li trovava. Le mani che, istintivamente aveva proteso verso il suo viso, per cercarne i lineamenti, ferme a mezz'aria. Si era reso conto che lei non era abituata a quel tipo di gesto e rischiava di fraintenderlo. Non poteva oltrepassare quel muro che Oscar aveva innalzato tra di loro.

Oscar colse la sua esitazione, ma era troppo felice di rivederlo. Lo teneva per le braccia: "Allora, come stai?"

"Bene..." rispose lentamente. Non era una vita intera a dividerli. Era la tristezza. La tristezza amara del suo sguardo lontano e perso, della sua voce tranquilla. "E tu? Come va nella Guardia nazionale?"

Non parlava di sé, notò Oscar. Ma aveva avuto notizie di lei.

"Io..." Fece una pausa. Mille parole le salivano alle labbra. Avrebbe voluto dirgli tante cose, raccontargli di lei in quegli anni. Invece, tagliò corto. "Sono disillusa. Come al solito...", scherzò. "Lo sai, no?"

"Sì...", sorrise, finalmente, con dolcezza. "Generale... come desiderava tuo padre, no?" buttò là, lui, provocando.

"Già...", scosse la testa lei. "Ma non immaginava dalla parte... sbagliata...", scherzò, sollevata dal tono, che lasciava trapelare il vecchio André.

André avrebbe voluto risponderle "Io, invece, ne ero certo...", ma tacque. Come aveva fatto negli ultimi anni. Perché sapeva che le occasioni non vanno sprecate. Ma sapeva bene, anche, che lei aveva fatto la sua scelta, anni prima. Che lui intendeva rispettare.

 

Aveva stentato a crederci, sul principio. Non poteva credere che lei l'amasse. E non aveva mai capito perché l'avesse fatto.

Era stata lei a dirglielo, una sera - era l'estate del 1787 -, confidandosi con lui come con un vecchio amico. No, come con qualcuno che fa a tal punto parte di te e della tua vita, da darlo per acquisito... Quello era per lei. Qualcosa di fermo ed immutabile, di certo. Non un uomo. Neppure dopo che lui le aveva dichiarato il suo amore. Eppure, Oscar lo temeva, lo sentiva, lo sapeva. Ma non aveva voluto vedere il suo amore. Sapeva di volergli bene. Ma lo considerava una cosa diversa.

"Ho accettato la proposta di Girodel...". Aveva parlato con un tono di ansia nella voce, mentre passeggiavano nel parco della tenuta. Sembrava quasi triste. E André, fino a quell'istante, quasi era stato felice.

Lui era trasalito, letteralmente gelato dalla notizia, era rimasto in silenzio. L'ipotesi della proposta di Girodel era nell'aria da qualche tempo. Si era fermato ma, poi, aveva ripreso a camminare. Non sapeva perché e come avesse potuto continuare a muoversi. Ad agire. A fingere che tutto fosse uguale. Apparentemente. Nella sua mente, invece, tutto era rimasto congelato. E, se ci pensava, ora, anni dopo, il suo cuore era ancora fermo là, a quella serata.

André non sapeva neppure perché lei avesse accettato quella proposta. Oscar non ne aveva quasi mai parlato. E lui non credeva che ne fosse innamorata. E neppure che gli volesse bene. Vedeva solo una Oscar indecifrabile, forse stanca. Ancora una volta piegata al volere di suo padre. Non la capiva, stavolta. Sapeva solo che, quella sera, le frasi di Oscar le percepiva a sprazzi, immerse in un ronzio crescente, che lo stordiva... Che sentiva la propria voce risponderle, sorda e il cuore farsi di pietra, pesante di dolore. Di quella sera ricordava il frusciare a lui assordante delle foglie, in giardino; lo stormire quasi violento di quella brezza prima leggera. Ricordava la voce di Oscar rimbombargli nelle orecchie. Non ricordava, invece, di aver udito la propria. Aveva, anche ora, la percezione che tremasse, che le parole non volessero uscire. Forse non aveva neppure parlato. No, sapeva di aver risposto… non sapeva neppure come…

Forse, poi, era stato solo lui a volersi illudere che la decisione di Oscar non fosse autonoma. Li aveva visti passeggiare, vicini. Stavano bene insieme e Girodel sembrava avere un profondo rispetto per Oscar. E solo quella volta Oscar gli aveva detto che con Victor stava bene.

Ed a lui, che aveva giurato di proteggerla, non era rimasto che accettare la sua decisione in silenzio, perseverando nella sua missione muta. E sperando che tutto potesse, almeno, continuare come prima. Ma non se ne sarebbe andato, anche se si chiedeva perché, anche se avrebbe voluto dimenticare tutto, far tacere il cuore e appannare la mente troppo lucida. Non lui. E avrebbe voluto seguirla, finché avesse potuto... E tutto sembrava immutato. Solo che Oscar non sarebbe più tornata a casa con lui. Non avrebbero più trascorso insieme le loro serate. Non avrebbero più bevuto insieme. No, non era solo quello. Oscar, possibile che stesse sposando Girodel?

"Dio, fammi diventare pazzo!" "Fammi dimenticare tutto!"

Sarebbe stata di qualcun altro... Cercò di ragionare freddamente, mentre Oscar lo congedava. Forse, le cose non sarebbero cambiate di molto... Si illudeva di poter restare attaccato ad una immagine che stava scomparendo. Ma sapeva che, superata la prima fase aggrappandosi a quella speranza, avrebbe dovuto accettare la realtà. Si diede del folle, teso a percepire ogni sua parola - erano le ultime che scambiavano così liberamente. - No… le ultime, prima che Oscar diventasse definitivamente di qualcun altro. Perché, in fondo, fino ad allora, Oscar era stata sua. La loro era stata una vita a due. Soffriva. Soffriva come un pazzo. Se anche lei lo avesse accettato ancora come amico, niente sarebbe più stato lo stesso. Poteva anche illudersi, per superare lo shock... ma lo sapeva... O, forse… forse…

E anche Oscar, quella sera, sentiva che il loro era un addio. Anche se André non aveva nessuna pretesa nei suoi confronti. E non riusciva a non pensare che sarebbe stato bello se le cose non fossero mai cambiate. Ma stavano cambiando. E chi, prima di ogni altro, stava imprimendo loro una nuova direzione, era lei.

Ci sono cose che non solo non è facile cambiare ma che, quando si ha un certo tipo di educazione, sono addirittura impensabili.

Impensabile. Così era per Oscar. Era impensabile considerare seriamente André, era assurdo anche solo immaginarlo innamorarsi di lei. Non poteva essere. Era fuori dall'ordine naturale delle cose. E, dunque, non era stato difficile per Oscar archiviare ogni tipo di dubbio le nascesse in mente… E, ancora, non era stato innaturale, immaginarsi accanto ad un proprio simile. Victor.

E così fu. E così era stato.

 

Ma le cose non erano più le stesse. Oscar aveva sempre meno tempo per lui, anche come amico. Avrebbe lei stessa voluto continuare a vederlo, ma gli eventi avevano fatto il loro corso. In una cosa, però, Oscar, era stata ferma: dopo il matrimonio, non ne aveva voluto sapere di lasciare i Soldati della Guardia. André non avrebbe saputo dire se fosse più penoso non vederla più o saperla di qualcun altro. E, progressivamente, si era chiuso sempre più in se stesso. Con Oscar parlava sempre meno... Anche se lei cercava ogni occasione per averlo accanto. Anche se lo voleva presente in tutto, come quando lui era il suo attendente alle Guardie reali. Lo voleva sempre con sé. Sapeva di poter contare su di lui. Sentiva la sua mancanza, l'assenza del suo calore, della sua allegria. Ma non capiva. Non voleva capire. Non riusciva ad accettare. E continuava a nascondere a se stessa la ragione per cui non riusciva ad allontanarsi da lui. La ragione per cui il solo vederlo la riscaldava, la tranquillizzava. E lui non poteva fare a meno di pensare come tutta la loro vita fosse stata sbagliata... Come Girodel rappresentasse solo, per l'ennesima volta, la fuga di Oscar. La resa di Oscar al volere paterno, al conformismo, a ciò che sta bene.

 

"La folla… la folla… ci stanno massacrando…" "Dio, Oscar, Oscar!!!" "Dove sei!" "Dove sei?" I pensieri sconnessi di André, svenuto, nella carrozza che li riportava a casa… Oscar lo osservava, ancora stravolta, mentre gli sosteneva la testa sulla sua spalla e gli carezzava i capelli. Lui non si era reso conto di niente… di ciò che lei aveva urlato, di fronte a Fersen. Oscar chiuse gli occhi, stanca. Stanca. Questa era stata la sua scusa fino ad allora, per evitare di fronteggiare i suoi reali pensieri. Li riaprì, subito, stupita. Voleva guardarlo per ogni istante, non perdere neppure un attimo. Si diede dell'idiota sentimentale. Doveva convincersi che quello che aveva detto era dovuto alla paura di perderlo, alla situazione contingente. Che gli voleva bene, ma un bene fraterno. Doveva assolutamente convincersi di ciò. Però, mentre sentiva il calore del suo corpo, che le pesava accanto; mentre gli sfiorava la guancia con la punta delle dita; mentre si stupiva della sensazione dei suoi capelli lunghi sulla sua pelle; della sua testa, reclinata quasi a toccarle il viso; del suo respiro quasi impercettibile; mentre considerava come, prima di sposarsi, non avrebbe mai osato quei gesti, che, ora, trovava usuali; mentre tutto questo le tagliava il respiro, le faceva volare il cuore e bruciare le guance; mentre comparava quelle percezioni brucianti alle algide sensazioni che cercava -nemmeno provava - non si poteva dire- nei confronti del marito; si imponeva di analizzare freddamente la situazione. Così, Oscar non volle dare peso alle proprie parole. Volle considerarle come dettate dall'impulsività, dalla paura, provata al momento. Fu sorda a quel sentimento. Non poteva essere. Non era bene. Non poteva, semplicemente, pensare di amare André.

Eppure, fece in modo di poter sapere come stava.

Fu davanti all'Assemblea nazionale che si trovò faccia a faccia con suo marito. Anche se lo vide indietreggiare, di fronte alle sue richieste, quello scontro acquisì, via via, nella sua mente, un significato diverso, e, tra l'altro, sempre più profondo, sempre più connesso ad un divario che Victor non aveva mai notato, mentre per Oscar era stato, fin dall'inizio, un abisso che si era ostinata a negare. L'abisso che la separava da un uomo gentile, ma troppo distante da lei. Affettuoso, ma, infine, quasi estraneo. Intelligente, ma impersonalmente consueto. E, per Oscar, quell'abisso sfociò in un senso di solitudine siderale, nella chiarissima consapevolezza di tutto l'inappagamento, l'inadeguatezza, i sentimenti non ricambiati - mai ricambiati! - E non si trattava solo di amore: si trattava della solitudine di chi vive con qualcuno che non condivide le stesse passioni, gli stessi interessi, gli stessi ideali. Anzi, non solo che non li condivide, ma che, in realtà, non li considera, li stima di nessun conto. Dio, questo era stato! E lei, lo sapeva. Lo sapeva perfettamente. Solo che non aveva voluto ammetterlo. Lei, che aveva sempre avuto un animo ardente, lei che, invece, sembrava fredda, vedeva, ora, in quella contrapposizione, tutto ciò che da lui avrebbe voluto e che lui non sarebbe mai stato.

E quella pioggia, che cadeva insistente, sembrava il suo pianto silenzioso e triste. Perché vedeva tutto quello che non avrebbe mai dovuto essere. E, invece, penosamente, era.

Era l'inizio di qualcosa di inarrestabile, di cui Oscar iniziava a prendere coscienza, che cominciava appena a poter accettare. Ma le cose avevano ormai preso il loro corso e le pedine erano fatte muovere nel gioco. Poteva ritardare il chiarimento. Con Victor come con André. Lo fece, soprattutto con André. Con Victor, tutto sommato, fu più facile, visto l'affronto che gli aveva recato. Era comunque ora di chiudere… Decisero, soprattutto Oscar premette, per una separazione temporanea, in vista di una decisione definitiva. Che Oscar prese il 12 luglio, quando, dopo una visita medica, scrisse al marito poche righe, affettuose e tristi, di commiato.

Gli errori si pagano.

 

I giorni della Bastiglia erano stati quelli in cui Oscar e André erano tornati più vicini. Poi, dopo, si erano persi di vista, lui ferito, lei malata. André era stato riportato a Palazzo Jarjayes, Oscar nella sua nuova casa, appartamenti separati dal marito.

La notte del ferimento di André era stata anche l'ultima volta in cui erano stati vicini.

"Non morire, André! Non morire!", lo implorava, mentre lo soccorreva, insieme ad Alain. "Dobbiamo trovare un dottore!"

Erano partiti verso la piazza delle Tuilieries, Oscar era disperata. Piangeva, mentre galoppava. "No! André, no! Non voglio perderti! Non voglio perderti! Non voglio perderti..." una litania ossessiva le martellava il cervello, le impediva di pensare.

"Dovete salvarlo!!!" aveva urlato al dottore che stava visitando André, mentre Alain la tratteneva.

Si era inginocchiata accanto a lui. "Come ti senti?" Gli aveva preso la mano. "Ti fa male?!"

"Oscar...", André ansimava. Non aveva più forze.

"André, non lasciarmi! Non lasciarmi..." Oscar piangeva, la voce incrinata, il viso accanto a quello di André.

Lui aveva sollevato la mano, a cercare i suoi lineamenti. Quel viso che avrebbe voluto sfiorare, quei capelli che avrebbe voluto accarezzare. Respirava a fatica. Allora Oscar aveva capito. Aveva capito quello che lui le aveva nascosto. Gli aveva preso la mano, l'aveva tenuta accanto al suo viso. Aveva continuato a stringerla, mentre i dottori si affaccendavano intorno a lui.

Era rimasta accanto a lui tutto il tempo, vegliandolo insieme ad Alain. Disperata.

André aveva perso i sensi poco prima dell'operazione. Avevano cercato di estrargli le pallottole e, ora, giaceva, bendato, alla luce fioca di una candela. Oscar gli teneva la mano. E, quando l'avevano accompagnato a Palazzo Jarjayes, l'aveva seguito, ma solo di sfuggita. Una figlia, ribelle e separata, sotto quel tetto non poteva restare. L'aveva accompagnato, mano nella mano. L'aveva guardato da lontano mentre i dottori si occupavano di lui. L'aveva affidato alle cure della nonna e, sotto la pioggia battente, se ne era andata, con, negli occhi, l'immagine di André, disteso immobile sul letto,[1] privo di conoscenza.

E lei? Che avrebbe dovuto fare? Era tornata a casa a riprendere le sue cose, per andarsene definitivamente lontano. E, poi… poi…

Oscar era stata male, poi. Aveva dovuto curarsi. E il ragionevole Victor aveva fatto di tutto perché restasse, perché almeno potesse rimettersi.

E anche André non aveva avuto più notizie di lei. Che strano, abituarsi all'idea di allontanarsi definitivamente dalla persona che si ama... Eppure era accaduto.

 

"Perché?", Oscar si domandò. "Era il mio migliore amico..." "No... inutile ingannarsi", sorrise. "Dopo quella notte, inutile. E impossibile..."

Ripensò a quello che era accaduto. Appena ristabilita, si era separata da Victor.

Aveva compreso di aver fatto un errore e l'aveva lasciato, finalmente. Perché, ormai, c'era un baratro tra i loro modi di pensare, di vedere, tra le parti per le quali si erano schierati. E perché non lo amava. Non c'era più niente da dividere, niente in comune. Non ci furono tragedie. Lui sapeva che non l'avrebbe mai avuta. E aveva vissuto quel loro breve matrimonio come una condizione straordinaria. Irripetibile. Fuori dalla norma. Lasciò la loro casa, la sua casa. Lui rimase chiuso nel suo studio, mentre lei partiva. Non tornò a palazzo Jarjayes. Non poteva. E neppure desiderava che qualcuno accampasse ancora diritti e pretese su di lei. E non desiderava ascoltare le rivendicazioni di suo padre per il suo tradimento della causa monarchica. Era libera.

"Perché il cuore mi batte così?" Non lo sapeva. O, meglio, non era in grado di darsi una risposta. Aveva avuto notizie lontane, su di lui, vaghe e frammentarie, dopo il suo matrimonio. Le aveva cercate, dopo la Bastiglia. Ma lui si era come dileguato. Aveva avuto la conferma che era diventato cieco. E aveva continuato a non dimenticarlo, a pensare a lui... ma non pensava di averlo mai amato. Non aveva mai pensato di averlo amato. Ma, allora, cos'era quell'emozione?

E come era vissuto, lui, in quegli anni? Cosa aveva fatto?

La gente continuava a camminare, intorno a loro. Indifferente a loro. Presa da sé. Oscar li vedeva passare, André udiva i loro passi, li sentiva scorrere attorno a sé.

"Come…" Le parole non volevano uscire.

Oscar si sentiva immensamente sciocca. Incapace.

"Io…" già… avrebbe voluto dirgli che era libera. Ma poi? Che diritto ne aveva? Cosa le faceva pensare che lui, in quegli anni, l'avesse attesa?

"Oddio, perché? Perché non riesco mai a dire quello che penso, quello che vorrei veramente?" La mente di Oscar era in subbuglio…

"Vieni a prendere qualcosa da me?" la precedette lui.

Oscar arrossì. Vigliaccamente si disse fortunata che lui non la potesse vedere. "Certamente…" la voce tremava, tradiva l'emozione.

Sentì la mano di André prenderle il braccio. Trasalì. André se ne accorse. Poi, di nuovo, Oscar si diede della sciocca per aver scambiato per amichevole un gesto che, per un cieco, doveva essere abituale. Cieco… le si strinse il cuore.

Sapeva che lui non poteva vederla, eppure non aveva coraggio di guardarlo in faccia. Come se lui potesse accorgersene…

"Sono cambiato parecchio?" Di nuovo, sorprendentemente, lui la precedette.

"No…" Oscar si sorprese. Come se potesse divinare i suoi pensieri… "Oddio", poi sorrise. "Lasciami guardare…"

E così si costrinse a guardarlo in viso. Era strano poter fissare uno sguardo lontano. Che sembra triste.

"Allora?", la incalzò lui.

"No... non sei cambiato…"

"No, penso anche io di no…", considerò lui. Poi, subito, come a voler rendere silenziose quelle parole: "E tu?"

Oscar si aspettava quella domanda. E non sapeva cosa rispondere. E nemmeno da dove cominciare. Non era facile. Anche se, in un certo senso, era doveroso.

E, così, gli raccontò quegli anni, la sua vita nuova, la sua solitudine e la sua libertà. Lo vide assaporare ogni attimo di quei loro momenti, con l'attenzione che si dà ad una cosa preziosa ed irripetibile. Lo vide illuminarsi. Lo ascoltò parlare, mentre si lasciava condurre da lui per le strade, mentre salivano delle scale in pietra, buie, di una costruzione cielo terra. Seppe, così, che, lavorava come precettore[2] e viveva nelle vicinanze dell'abitazione di Rosalie e Bernard.[3] Seppe anche che aveva mantenuto, senza che lei potesse esserne a conoscenza, i contatti con Alain, che era tuttora tra i suoi uomini. Si stupì, così, di come, a volte, non si vogliano vedere le cose più semplici, le più ovvie. Quelle che è più difficile dire.[4]

Osservò il paio di stanze che André occupava, in una mansarda dalle travi a vista, i cui gradini non dovevano essere agevoli, per lui, da salire, con avidità, come si osserva qualcosa di raro. Seguì ogni suo minimo movimento, mentre le preparava il tea, mentre le si sedeva di fronte e le porgeva una tazza fumante.

"Come riesci a… fare lezione…"

"Mi dà una mano Rosalie… mi aiuta a…" ebbe un sorriso, "sì, a ripassare…"

Oscar si guardò attorno. Sì, c'erano libri… parecchi…

"Sai che lei e Bernard hanno un bambino? Si chiama François…"

E il tempo volava, mentre, lentamente, i loro discorsi tornavano ad intrecciarsi. Mentre, quasi timidamente, le loro vite tornavano, per breve attimo, a toccarsi.

Fece buio.

E l'imbarazzo calò su entrambi.

Era ora.

Oscar, in un certo senso, trovò comico il suo non voler accennare al fatto che le sarebbe stata grata una candela, sebbene la stanza, tra i tetti, fosse illuminata dal chiarore del tramonto. Non volle chiederla, ma, alla fine, dovette fare il gesto di cercare, sul tavolo, da accendere. André lo notò e non poté fare a meno di ritornare alla realtà. E la magia fu rotta. I discorsi si interruppero. L'imbarazzo ripiombò su di loro. E tutti gli anni lontani, la distanza, tornarono a farsi sentire.

"Sarà meglio che vada." Oscar si alzò.

André si alzò anche lui.

"Il tempo…", cominciò Oscar, mentre gli occhi le diventavano pericolosamente lucidi, "è… volato." Le tremava la voce.

Si sentiva una idiota. Perché? Perché bisogna sempre fingere? Ma, d'altra parte, forse neppure lei sapeva cosa esattamente volere… Sentiva come qualcosa di immenso, di infinitamente triste e scuro avvolgerla, mentre poneva termine a quegli istanti. Se solo André l'avesse fermata. Già, ma poi? Che avrebbe fatto? Il suo personalissimo copione non le avrebbe forse imposto di andarsene comunque, rifiutando ogni appiglio? Che situazione… triste… Già, forse l'unica maniera per definirla era "triste"…

"Oscar…" cominciò Andrè, mentre udiva già i suoi passi.

Oscar si girò verso di lui. Era già sulla porta. Si alzò sulla punta dei piedi e gli baciò una guancia, una mano tra i suoi capelli.

"Ciao", gli disse piano, mentre lui faceva appena in tempo a prenderle la mano, che gli sfuggiva.

Oscar fece le scale quasi di corsa, quasi piangendo, mente André, sulla porta, restava immobile, in silenzio. Arrivò in fondo. Aprì il portone.

Lo richiuse in fretta, risalendo le scale di corsa. Lo vide che stava ancora sulla soglia.

"Posso…" Aveva il fiatone. Le tremava la voce. Le lacrime le velavano gli occhi. Mille pensieri le attraversavano la mente. "Posso restare qui?"

 

Laura, maggio 2000, aprile 2001

Fine

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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[1] Ancora una citazione da MIGLIAVACCA, Il romanzo di Lady Oscar, Milano, Fabbri, 1982, p. 144.

[2] Ringrazio, di nuovo, Daniela che, ormai un anno fa, mi diede e condivise con me questa idea del precettore… e un pensiero a Fiammetta… ^_^ Lei sa perché…

[3] Grazie ad Elena, dalla quale prendo la locazione… ^_^;;;

[4] E un pensiero ad Alexandra, che mi ha fatto conoscere le canzoni di Gabriel Yacoub.