Autunno
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Nota: la proposta di Girodel ad Oscar si colloca nella primavera del 1787. La versione del ferimento di André è quella del manga.
Il seguito originale di questo racconto, L'Ultimo autunno, è stato scritto da me, Laura, dal 2005 all 2019.
Un seguito ipotetico di questo racconto, Un'altra stagione (dopo Autunno), è stato scritto da Alessandra.
Incontro
"La guerra è finita
che ho già visto per aria ritornare gli
uccelli,
io penso dal mare, o da qualche altro posto,
ma conta soltanto che li ho visti
tornare"
"La guerra è finita,
tu perché non ritorni, te lo chiedo da giorni
e qui il mare è bellissimo..."
Mario CASTELNUOVO, "La guerra è
finita", in Come sarà mio figlio, BGM Ariola, 1991.
Ci
incontrammo. Lo vidi che camminava tra la folla. Non era cambiato... Dio, quanto
mi era mancato!
Si
incontrarono.
Camminava
tra la folla. Solo. A passi lenti, ma precisi. Era abituato a muoversi per le
strade che, ormai conosceva. Un'aura tiepida lo raggiunse, qualcosa che non
aveva sentito per anni. E percepì una presenza che era stata a lungo lontana.
Si fermò, come colpito, il busto eretto, i sensi all'erta. Era vicina. Era di
fronte a lui. Anche lei, immobile.
Si
lasciava trascinare dal moto della gente. Con un andamento quasi febbrile. Non
si era mai abituata alla ressa, alla violenza delle persone quando si muovono. E
per le strade di Parigi, da quel luglio, c'era molto più movimento. Se lo trovò
davanti, all'improvviso. Ma aveva già avvertito il suo calore così familiare.
Non lo vedeva da anni. Non era cambiato. Un tuffo al cuore. Era certa che lui
l'avesse riconosciuta. In qualche modo.
"André!"
Oscar
lo abbracciò, sorprendendosi di se stessa, felicissima, il calore nella voce.
Non aveva neppure pensato a trattenersi, contrariamente al suo solito. Era
cambiata molto in quegli anni.
Quasi
stupito di quel gesto, lui rimase fermo. Sorrise.
"Ciao,
Oscar..."
Era
un sorriso lontano, tranquillo. Sembrava che una vita intera lo dividesse da
lei. E i sentimenti, a lungo repressi, tenuti a fatica sopiti, parevano stentare
a riemergere. Quasi non li trovava. Le mani che, istintivamente aveva proteso
verso il suo viso, per cercarne i lineamenti, ferme a mezz'aria. Si era reso
conto che lei non era abituata a quel tipo di gesto e rischiava di
fraintenderlo. Non poteva oltrepassare quel muro che Oscar aveva innalzato tra
di loro.
Oscar
colse la sua esitazione, ma era troppo felice di rivederlo. Lo teneva per le
braccia: "Allora, come stai?"
"Bene..."
rispose lentamente. Non era una vita intera a dividerli. Era la tristezza. La
tristezza amara del suo sguardo lontano e perso, della sua voce tranquilla.
"E tu? Come va nella Guardia nazionale?"
Non
parlava di sé, notò Oscar. Ma aveva avuto notizie di lei.
"Io..."
Fece una pausa. Mille parole le salivano alle labbra. Avrebbe voluto dirgli
tante cose, raccontargli di lei in quegli anni. Invece, tagliò corto.
"Sono disillusa. Come al solito...", scherzò. "Lo sai, no?"
"Sì...",
sorrise, finalmente, con dolcezza. "Generale... come desiderava tuo padre,
no?" buttò là, lui, provocando.
"Già...",
scosse la testa lei. "Ma non immaginava dalla parte... sbagliata...",
scherzò, sollevata dal tono, che lasciava trapelare il vecchio André.
André
avrebbe voluto risponderle "Io, invece, ne ero certo...", ma tacque.
Come aveva fatto negli ultimi anni. Perché sapeva che le occasioni non vanno
sprecate. Ma sapeva bene, anche, che lei aveva fatto la sua scelta, anni prima.
Che lui intendeva rispettare.
Aveva
stentato a crederci, sul principio. Non poteva credere che lei l'amasse. E non
aveva mai capito perché l'avesse fatto.
Era
stata lei a dirglielo, una sera - era l'estate del 1787 -, confidandosi con lui
come con un vecchio amico. No, come con qualcuno che fa a tal punto parte di te
e della tua vita, da darlo per acquisito... Quello era per lei. Qualcosa di
fermo ed immutabile, di certo. Non un uomo. Neppure dopo che lui le aveva
dichiarato il suo amore. Eppure, Oscar lo temeva, lo sentiva, lo sapeva. Ma non
aveva voluto vedere il suo amore. Sapeva di volergli bene. Ma lo considerava una
cosa diversa.
"Ho
accettato la proposta di Girodel...". Aveva parlato con un tono di ansia
nella voce, mentre passeggiavano nel parco della tenuta. Sembrava quasi triste.
E André, fino a quell'istante, quasi era stato felice.
Lui
era trasalito, letteralmente gelato dalla notizia, era rimasto in silenzio.
L'ipotesi della proposta di Girodel era nell'aria da qualche tempo. Si era
fermato ma, poi, aveva ripreso a camminare. Non sapeva perché e come avesse
potuto continuare a muoversi. Ad agire. A fingere che tutto fosse uguale.
Apparentemente. Nella sua mente, invece, tutto era rimasto congelato. E, se ci
pensava, ora, anni dopo, il suo cuore era ancora fermo là, a quella serata.
André
non sapeva neppure perché lei avesse accettato quella proposta. Oscar non ne
aveva quasi mai parlato. E lui non credeva che ne fosse innamorata. E neppure
che gli volesse bene. Vedeva solo una Oscar indecifrabile, forse stanca. Ancora
una volta piegata al volere di suo padre. Non la capiva, stavolta. Sapeva solo
che, quella sera, le frasi di Oscar le percepiva a sprazzi, immerse in un ronzio
crescente, che lo stordiva... Che sentiva la propria voce risponderle, sorda e
il cuore farsi di pietra, pesante di dolore. Di quella sera ricordava il
frusciare a lui assordante delle foglie, in giardino; lo stormire quasi violento
di quella brezza prima leggera. Ricordava la voce di Oscar rimbombargli nelle
orecchie. Non ricordava, invece, di aver udito la propria. Aveva, anche ora, la
percezione che tremasse, che le parole non volessero uscire. Forse non aveva
neppure parlato. No, sapeva di aver risposto… non sapeva neppure come…
Forse,
poi, era stato solo lui a volersi illudere che la decisione di Oscar non fosse
autonoma. Li aveva visti passeggiare, vicini. Stavano bene insieme e Girodel
sembrava avere un profondo rispetto per Oscar. E solo quella volta Oscar gli
aveva detto che con Victor stava bene.
Ed
a lui, che aveva giurato di proteggerla, non era rimasto che accettare la sua
decisione in silenzio, perseverando nella sua missione muta. E sperando che
tutto potesse, almeno, continuare come prima. Ma non se ne sarebbe andato, anche
se si chiedeva perché, anche se avrebbe voluto dimenticare tutto, far tacere il
cuore e appannare la mente troppo lucida. Non lui. E avrebbe voluto seguirla,
finché avesse potuto... E tutto sembrava immutato. Solo che Oscar non sarebbe
più tornata a casa con lui. Non avrebbero più trascorso insieme le loro
serate. Non avrebbero più bevuto insieme. No, non era solo quello. Oscar,
possibile che stesse sposando Girodel?
"Dio,
fammi diventare pazzo!" "Fammi dimenticare tutto!"
Sarebbe
stata di qualcun altro... Cercò di ragionare freddamente, mentre Oscar lo
congedava. Forse, le cose non sarebbero cambiate di molto... Si illudeva di
poter restare attaccato ad una immagine che stava scomparendo. Ma sapeva che,
superata la prima fase aggrappandosi a quella speranza, avrebbe dovuto accettare
la realtà. Si diede del folle, teso a percepire ogni sua parola - erano le
ultime che scambiavano così liberamente. - No… le ultime, prima che Oscar
diventasse definitivamente di qualcun altro. Perché, in fondo, fino ad allora,
Oscar era stata sua. La loro era stata una vita a due. Soffriva. Soffriva come
un pazzo. Se anche lei lo avesse accettato ancora come amico, niente sarebbe più
stato lo stesso. Poteva anche illudersi, per superare lo shock... ma lo
sapeva... O, forse… forse…
E
anche Oscar, quella sera, sentiva che il loro era un addio. Anche se André non
aveva nessuna pretesa nei suoi confronti. E non riusciva a non pensare che
sarebbe stato bello se le cose non fossero mai cambiate. Ma stavano cambiando. E
chi, prima di ogni altro, stava imprimendo loro una nuova direzione, era lei.
Ci
sono cose che non solo non è facile cambiare ma che, quando si ha un certo tipo
di educazione, sono addirittura impensabili.
Impensabile.
Così era per Oscar. Era impensabile considerare seriamente André, era assurdo
anche solo immaginarlo innamorarsi di lei. Non poteva essere. Era fuori
dall'ordine naturale delle cose. E, dunque, non era stato difficile per Oscar
archiviare ogni tipo di dubbio le nascesse in mente… E, ancora, non era stato
innaturale, immaginarsi accanto ad un proprio simile. Victor.
E
così fu. E così era stato.
Ma
le cose non erano più le stesse. Oscar aveva sempre meno tempo per lui, anche
come amico. Avrebbe lei stessa voluto continuare a vederlo, ma gli eventi
avevano fatto il loro corso. In una cosa, però, Oscar, era stata ferma: dopo il
matrimonio, non ne aveva voluto sapere di lasciare i Soldati della Guardia. André
non avrebbe saputo dire se fosse più penoso non vederla più o saperla di
qualcun altro. E, progressivamente, si era chiuso sempre più in se stesso. Con
Oscar parlava sempre meno... Anche se lei cercava ogni occasione per averlo
accanto. Anche se lo voleva presente in tutto, come quando lui era il suo
attendente alle Guardie reali. Lo voleva sempre con sé. Sapeva di poter contare
su di lui. Sentiva la sua mancanza, l'assenza del suo calore, della sua
allegria. Ma non capiva. Non voleva capire. Non riusciva ad accettare. E
continuava a nascondere a se stessa la ragione per cui non riusciva ad
allontanarsi da lui. La ragione per cui il solo vederlo la riscaldava, la
tranquillizzava. E lui non poteva fare a meno di pensare come tutta la loro vita
fosse stata sbagliata... Come Girodel rappresentasse solo, per l'ennesima volta,
la fuga di Oscar. La resa di Oscar al volere paterno, al conformismo, a ciò che
sta bene.
"La
folla… la folla… ci stanno massacrando…" "Dio, Oscar,
Oscar!!!" "Dove sei!" "Dove sei?" I pensieri sconnessi
di André, svenuto, nella carrozza che li riportava a casa… Oscar lo
osservava, ancora stravolta, mentre gli sosteneva la testa sulla sua spalla e
gli carezzava i capelli. Lui non si era reso conto di niente… di ciò che lei
aveva urlato, di fronte a Fersen. Oscar chiuse gli occhi, stanca. Stanca. Questa
era stata la sua scusa fino ad allora, per evitare di fronteggiare i suoi reali
pensieri. Li riaprì, subito, stupita. Voleva guardarlo per ogni istante, non
perdere neppure un attimo. Si diede dell'idiota sentimentale. Doveva convincersi
che quello che aveva detto era dovuto alla paura di perderlo, alla situazione
contingente. Che gli voleva bene, ma un bene fraterno. Doveva assolutamente
convincersi di ciò. Però, mentre sentiva il calore del suo corpo, che le
pesava accanto; mentre gli sfiorava la guancia con la punta delle dita; mentre
si stupiva della sensazione dei suoi capelli lunghi sulla sua pelle; della sua
testa, reclinata quasi a toccarle il viso; del suo respiro quasi impercettibile;
mentre considerava come, prima di sposarsi, non avrebbe mai osato quei gesti,
che, ora, trovava usuali; mentre tutto questo le tagliava il respiro, le faceva
volare il cuore e bruciare le guance; mentre comparava quelle percezioni
brucianti alle algide sensazioni che cercava -nemmeno provava - non si poteva
dire- nei confronti del marito; si imponeva di analizzare freddamente la
situazione. Così, Oscar non volle dare peso alle proprie parole. Volle
considerarle come dettate dall'impulsività, dalla paura, provata al momento. Fu
sorda a quel sentimento. Non poteva essere. Non era bene. Non poteva,
semplicemente, pensare di amare André.
Eppure,
fece in modo di poter sapere come stava.
Fu
davanti all'Assemblea nazionale che si trovò faccia a faccia con suo marito.
Anche se lo vide indietreggiare, di fronte alle sue richieste, quello scontro
acquisì, via via, nella sua mente, un significato diverso, e, tra l'altro,
sempre più profondo, sempre più connesso ad un divario che Victor non aveva
mai notato, mentre per Oscar era stato, fin dall'inizio, un abisso che si era
ostinata a negare. L'abisso che la separava da un uomo gentile, ma troppo
distante da lei. Affettuoso, ma, infine, quasi estraneo. Intelligente, ma
impersonalmente consueto. E, per Oscar, quell'abisso sfociò in un senso di
solitudine siderale, nella chiarissima consapevolezza di tutto l'inappagamento,
l'inadeguatezza, i sentimenti non ricambiati - mai ricambiati! - E non si
trattava solo di amore: si trattava della solitudine di chi vive con qualcuno
che non condivide le stesse passioni, gli stessi interessi, gli stessi ideali.
Anzi, non solo che non li condivide, ma che, in realtà, non li considera, li
stima di nessun conto. Dio, questo era stato! E lei, lo sapeva. Lo sapeva
perfettamente. Solo che non aveva voluto ammetterlo. Lei, che aveva sempre avuto
un animo ardente, lei che, invece, sembrava fredda, vedeva, ora, in quella
contrapposizione, tutto ciò che da lui avrebbe voluto e che lui non sarebbe mai
stato.
E
quella pioggia, che cadeva insistente, sembrava il suo pianto silenzioso e
triste. Perché vedeva tutto quello che non avrebbe mai dovuto essere. E,
invece, penosamente, era.
Era
l'inizio di qualcosa di inarrestabile, di cui Oscar iniziava a prendere
coscienza, che cominciava appena a poter accettare. Ma le cose avevano ormai
preso il loro corso e le pedine erano fatte muovere nel gioco. Poteva ritardare
il chiarimento. Con Victor come con André. Lo fece, soprattutto con André. Con
Victor, tutto sommato, fu più facile, visto l'affronto che gli aveva recato.
Era comunque ora di chiudere… Decisero, soprattutto Oscar premette, per una
separazione temporanea, in vista di una decisione definitiva. Che Oscar prese il
12 luglio, quando, dopo una visita medica, scrisse al marito poche righe,
affettuose e tristi, di commiato.
Gli
errori si pagano.
I
giorni della Bastiglia erano stati quelli in cui Oscar e André erano tornati più
vicini. Poi, dopo, si erano persi di vista, lui ferito, lei malata. André era
stato riportato a Palazzo Jarjayes, Oscar nella sua nuova casa, appartamenti
separati dal marito.
La
notte del ferimento di André era stata anche l'ultima volta in cui erano stati
vicini.
"Non
morire, André! Non morire!", lo implorava, mentre lo soccorreva, insieme
ad Alain. "Dobbiamo trovare un dottore!"
Erano
partiti verso la piazza delle Tuilieries, Oscar era disperata. Piangeva, mentre
galoppava. "No! André, no! Non voglio perderti! Non voglio perderti! Non
voglio perderti..." una litania ossessiva le martellava il cervello, le
impediva di pensare.
"Dovete
salvarlo!!!" aveva urlato al dottore che stava visitando André, mentre
Alain la tratteneva.
Si
era inginocchiata accanto a lui. "Come ti senti?" Gli aveva preso la
mano. "Ti fa male?!"
"Oscar...",
André ansimava. Non aveva più forze.
"André,
non lasciarmi! Non lasciarmi..." Oscar piangeva, la voce incrinata, il viso
accanto a quello di André.
Lui
aveva sollevato la mano, a cercare i suoi lineamenti. Quel viso che avrebbe
voluto sfiorare, quei capelli che avrebbe voluto accarezzare. Respirava a
fatica. Allora Oscar aveva capito. Aveva capito quello che lui le aveva
nascosto. Gli aveva preso la mano, l'aveva tenuta accanto al suo viso. Aveva
continuato a stringerla, mentre i dottori si affaccendavano intorno a lui.
Era
rimasta accanto a lui tutto il tempo, vegliandolo insieme ad Alain. Disperata.
André
aveva perso i sensi poco prima dell'operazione. Avevano cercato di estrargli le
pallottole e, ora, giaceva, bendato, alla luce fioca di una candela. Oscar gli
teneva la mano. E, quando l'avevano accompagnato a Palazzo Jarjayes, l'aveva
seguito, ma solo di sfuggita. Una figlia, ribelle e separata, sotto quel tetto
non poteva restare. L'aveva accompagnato, mano nella mano. L'aveva guardato da
lontano mentre i dottori si occupavano di lui. L'aveva affidato alle cure della
nonna e, sotto la pioggia battente, se ne era andata, con, negli occhi,
l'immagine di André, disteso immobile sul letto,[1]
privo di conoscenza.
E
lei? Che avrebbe dovuto fare? Era tornata a casa a riprendere le sue cose, per
andarsene definitivamente lontano. E, poi… poi…
Oscar
era stata male, poi. Aveva dovuto curarsi. E il ragionevole Victor aveva fatto
di tutto perché restasse, perché almeno potesse rimettersi.
E
anche André non aveva avuto più notizie di lei. Che strano, abituarsi all'idea
di allontanarsi definitivamente dalla persona che si ama... Eppure era accaduto.
"Perché?",
Oscar si domandò. "Era il mio migliore amico..." "No... inutile
ingannarsi", sorrise. "Dopo quella notte, inutile. E
impossibile..."
Ripensò
a quello che era accaduto. Appena ristabilita, si era separata da Victor.
Aveva
compreso di aver fatto un errore e l'aveva lasciato, finalmente. Perché, ormai,
c'era un baratro tra i loro modi di pensare, di vedere, tra le parti per le
quali si erano schierati. E perché non lo amava. Non c'era più niente da
dividere, niente in comune. Non ci furono tragedie. Lui sapeva che non l'avrebbe
mai avuta. E aveva vissuto quel loro breve matrimonio come una condizione
straordinaria. Irripetibile. Fuori dalla norma. Lasciò la loro casa, la sua
casa. Lui rimase chiuso nel suo studio, mentre lei partiva. Non tornò a palazzo
Jarjayes. Non poteva. E neppure desiderava che qualcuno accampasse ancora
diritti e pretese su di lei. E non desiderava ascoltare le rivendicazioni di suo
padre per il suo tradimento della causa monarchica. Era libera.
"Perché
il cuore mi batte così?" Non lo sapeva. O, meglio, non era in grado di
darsi una risposta. Aveva avuto notizie lontane, su di lui, vaghe e
frammentarie, dopo il suo matrimonio. Le aveva cercate, dopo la Bastiglia. Ma
lui si era come dileguato. Aveva avuto la conferma che era diventato cieco. E
aveva continuato a non dimenticarlo, a pensare a lui... ma non pensava di averlo
mai amato. Non aveva mai pensato di averlo amato. Ma, allora, cos'era
quell'emozione?
E
come era vissuto, lui, in quegli anni? Cosa aveva fatto?
La
gente continuava a camminare, intorno a loro. Indifferente a loro. Presa da sé.
Oscar li vedeva passare, André udiva i loro passi, li sentiva scorrere attorno
a sé.
"Come…"
Le parole non volevano uscire.
Oscar
si sentiva immensamente sciocca. Incapace.
"Io…"
già… avrebbe voluto dirgli che era libera. Ma poi? Che diritto ne aveva? Cosa
le faceva pensare che lui, in quegli anni, l'avesse attesa?
"Oddio,
perché? Perché non riesco mai a dire quello che penso, quello che vorrei
veramente?" La mente di Oscar era in subbuglio…
"Vieni
a prendere qualcosa da me?" la precedette lui.
Oscar
arrossì. Vigliaccamente si disse fortunata che lui non la potesse vedere.
"Certamente…" la voce tremava, tradiva l'emozione.
Sentì
la mano di André prenderle il braccio. Trasalì. André se ne accorse. Poi, di
nuovo, Oscar si diede della sciocca per aver scambiato per amichevole un gesto
che, per un cieco, doveva essere abituale. Cieco… le si strinse il cuore.
Sapeva
che lui non poteva vederla, eppure non aveva coraggio di guardarlo in faccia.
Come se lui potesse accorgersene…
"Sono
cambiato parecchio?" Di nuovo, sorprendentemente, lui la precedette.
"No…"
Oscar si sorprese. Come se potesse divinare i suoi pensieri…
"Oddio", poi sorrise. "Lasciami guardare…"
E
così si costrinse a guardarlo in viso. Era strano poter fissare uno sguardo
lontano. Che sembra triste.
"Allora?",
la incalzò lui.
"No...
non sei cambiato…"
"No,
penso anche io di no…", considerò lui. Poi, subito, come a voler rendere
silenziose quelle parole: "E tu?"
Oscar
si aspettava quella domanda. E non sapeva cosa rispondere. E nemmeno da dove
cominciare. Non era facile. Anche se, in un certo senso, era doveroso.
E,
così, gli raccontò quegli anni, la sua vita nuova, la sua solitudine e la sua
libertà. Lo vide assaporare ogni attimo di quei loro momenti, con l'attenzione
che si dà ad una cosa preziosa ed irripetibile. Lo vide illuminarsi. Lo ascoltò
parlare, mentre si lasciava condurre da lui per le strade, mentre salivano delle
scale in pietra, buie, di una costruzione cielo terra. Seppe, così, che,
lavorava come precettore[2]
e viveva nelle vicinanze dell'abitazione di Rosalie e Bernard.[3]
Seppe anche che aveva mantenuto, senza che lei potesse esserne a conoscenza, i contatti con
Alain, che era tuttora tra i suoi uomini. Si stupì, così, di come, a volte,
non si vogliano vedere le cose più semplici, le più ovvie. Quelle che è più
difficile dire.[4]
Osservò
il paio di stanze che André occupava, in una mansarda dalle travi a vista, i
cui gradini non dovevano essere agevoli, per lui, da salire, con avidità, come
si osserva qualcosa di raro. Seguì ogni suo minimo movimento, mentre le
preparava il tea, mentre le si sedeva di fronte e le porgeva una tazza fumante.
"Come
riesci a… fare lezione…"
"Mi
dà una mano Rosalie… mi aiuta a…" ebbe un sorriso, "sì, a
ripassare…"
Oscar
si guardò attorno. Sì, c'erano libri… parecchi…
"Sai
che lei e Bernard hanno un bambino? Si chiama François…"
E
il tempo volava, mentre, lentamente, i loro discorsi tornavano ad intrecciarsi.
Mentre, quasi timidamente, le loro vite tornavano, per breve attimo, a toccarsi.
Fece
buio.
E
l'imbarazzo calò su entrambi.
Era
ora.
Oscar,
in un certo senso, trovò comico il suo non voler accennare al fatto che le
sarebbe stata grata una candela, sebbene la stanza, tra i tetti, fosse
illuminata dal chiarore del tramonto. Non volle chiederla, ma, alla fine,
dovette fare il gesto di cercare, sul tavolo, da accendere. André lo notò e
non poté fare a meno di ritornare alla realtà. E la magia fu rotta. I discorsi
si interruppero. L'imbarazzo ripiombò su di loro. E tutti gli anni lontani, la
distanza, tornarono a farsi sentire.
"Sarà
meglio che vada." Oscar si alzò.
André
si alzò anche lui.
"Il
tempo…", cominciò Oscar, mentre gli occhi le diventavano pericolosamente
lucidi, "è… volato." Le tremava la voce.
Si
sentiva una idiota. Perché? Perché bisogna sempre fingere? Ma, d'altra parte,
forse neppure lei sapeva cosa esattamente volere… Sentiva come qualcosa di
immenso, di infinitamente triste e scuro avvolgerla, mentre poneva termine a
quegli istanti. Se solo André l'avesse fermata. Già, ma poi? Che avrebbe
fatto? Il suo personalissimo copione non le avrebbe forse imposto di andarsene
comunque, rifiutando ogni appiglio? Che situazione… triste… Già, forse
l'unica maniera per definirla era "triste"…
"Oscar…"
cominciò Andrè, mentre udiva già i suoi passi.
Oscar
si girò verso di lui. Era già sulla porta. Si alzò sulla punta dei piedi e
gli baciò una guancia, una mano tra i suoi capelli.
"Ciao",
gli disse piano, mentre lui faceva appena in tempo a prenderle la mano, che gli
sfuggiva.
Oscar
fece le scale quasi di corsa, quasi piangendo, mente André, sulla porta,
restava immobile, in silenzio. Arrivò in fondo. Aprì il portone.
Lo
richiuse in fretta, risalendo le scale di corsa. Lo vide che stava ancora sulla
soglia.
"Posso…" Aveva il fiatone. Le tremava la voce. Le lacrime le velavano gli occhi. Mille pensieri le attraversavano la mente. "Posso restare qui?"
Laura, maggio 2000, aprile 2001
Fine
Mail to laura_chan55@hotmail.com
[1] Ancora una citazione da MIGLIAVACCA, Il romanzo di Lady Oscar, Milano, Fabbri, 1982, p. 144.
[2] Ringrazio, di nuovo, Daniela che, ormai un anno fa, mi diede e condivise con me questa idea del precettore… e un pensiero a Fiammetta… ^_^ Lei sa perché…
[3] Grazie ad Elena, dalla quale prendo la locazione… ^_^;;;
[4] E un pensiero ad Alexandra, che mi ha fatto conoscere le canzoni di Gabriel Yacoub.