Agenzia matrimoniale
parte terza
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Dove
due intrepide e caritatevoli autrici si avventurano nell'arduo e periglioso
cimento di un'impresa mai tentata prima: dare una risposta plausibile
all'insoluto enigma dell'eremitaggio di Alain. E, spinte da pietosa misericordia
nel constatare che il Nostro si ritrova alla fine inesorabilmente solo e
sperduto ad onta dell'ipertrofia cardiaca e del metraggio pettorale,
nell'impossibilità tecnica di procedere a un'adozione congiunta, si mettono
d'impegno nella parimenti impossibile missione di trovargli una moglie.
La
vicenda – per evitare sacrileghe profanazioni della storia originale e
conservare un minimo di decenza - è ambientata ai giorni nostri, e si dipana
lungo le pagine di diario vergate simultaneamente dai protagonisti ignari di
quali trame si svolgano alle loro spalle. La responsabilità di quanto contenuto
nel diario di Alain è da addebitare a Elisa, quella del diario della di lui
presunta metà ricade invece in toto su Alessandra.
Venerdì 8 novembre 2002
Mi ha chiamato Manuela e mi ha
detto che sono invitato a cena in mansarda da loro perché oggi pomeriggio,
visto che aveva il turno libero, le è venuto lo sghiribizzo di cucinare e che
quindi ci vuole sbolognare quello che ha prodotto. E poi vuole fare una sorpresa
ad Andrea. Poi mi ha detto anche che ha chiamato pure Nadia e se non mi va bene
mi attacco. E allora io gli ho detto che si deve attaccare lei, perché tanto
Nadia la vedo quasi tutti i giorni, ormai. E allora lei mi fa: amen! E poi
riattacca.
Poi mi chiama Nadia per dirmi che
Manuela l’aveva invitata e se secondo me doveva portare qualcosa. Io gli ho
detto: qualcosa da mangiare, e lei mi ha detto di non essere stronzo. Io gli ho
detto che scherzavo e che poteva portare un digestivo. E lei mi ha detto che
aveva capito e che faceva lei. E io ho fatto in tempo a dirle solo: se porti
delle piante, solo rose bianche! Ma non credo che mi ha sentito perché ha
riattaccato subito.
Poi mi chiama Andrea per sapere
se Manuela gli stava organizzando qualche cosa. In particolare qualcosa di
pericoloso. Io gli ho detto che non sapevo un accidenti di nulla e che se voleva
sapere qualcosa di sua moglie lo doveva chiedere a lei e non a me. E pure lui mi
ha riattaccato in faccia perché qualcuno lo chiamava.
Poi mi richiama Manuela e mi dice
che il menù è a base di mele. E io gli dico: “ah, interessante!” lei mi
dice che non capisco niente e mi riattacca.
Poi mi richiama Nadia e mi chiede
se so quale è il menù e io gli dico: mele. E lei mi fa: come mele? E io gli
dico: mele perché piacciono tanto ad Andrea. E lei dice che non lo sapeva. E io
le dico che non avrò per questo meno stima di lei. Lei si impappina, mi saluta
e mi riattacca. Io la richiamo e le chiedo se è lei a passare a prendere me o
io passo a prendere lei. E lei mi dice che la parità è una bella cosa ma che
la benzina nel serbatoio è ancora più bella, e che quindi passo io da lei.
Ah, tutti mi chiedono tutti mi
vogliono! Mo la voglio proprio vedere la serata a sorpresa per il maritino e
l’entrata trionfale in due, io e Nadia. Che tanto orami se dovevano sparlare
l’avevano fatto. Vabbè, mi vado a preparare!
8 novembre 2002, venerdì. Tardissimo ma tanto
stanotte già lo so che non dormo e allora forse se scrivo mi calmo un po’.
Siamo andati a cena da Andrea e Manuela, stasera.
Dico siamo perché ci avevano invitato separatamente e invece noi ci siamo
presentati insieme. Io sono ancora sottosopra e non lo so proprio se riesco a
finire questo diario, ma ci provo perché sono troppo felice, e strana, e
confusa da quello che è successo, e forse se riesco a scriverlo lo metto in
ordine, organizzo le idee e ci capisco qualcosa, alla fine.
Beh, Nicola è stato stupendo stasera, non lo so…
così perfetto che non credevo quasi che fosse lo stesso uomo che per venti
giorni non si era fatto sentire, e mi pareva anche strano che fosse così
perfetto con me, proprio con me… Io l’ho capito subito da quando mi ha
telefonato per dire che ci andavamo insieme che era una cosa diversa. E poi
quando l’ho visto arrivare, è sceso dalla macchina ed era vestito che stava
meravigliosamente, accurato ma sobrio, molto maschile, insomma, non lo so
spiegare… ed era decisamente di buon umore… ecco, allora mi è cominciato a
vibrare qualcosa dentro, fin da quel momento.
Manuela aveva preparato una cena a sorpresa per
Andrea e si era messa proprio d’impegno, ma non so che anniversario fosse,
credo nessuno in particolare: fatto sta che lei aveva cucinato tutto il giorno,
e abbiamo mangiato bene. C’era tutta una scenografia di mele, perché a quanto
ho capito piacciono tanto a lui, e aveva fatto una cosa spiritosa perché si
andava dal disegno sulla tovaglia, al centrotavola, ai segnaposti fatti sul
computer Apple di Andrea con tanto di disegno della mela vicino ai nomi. Poi
c’erano anche alcune portate in cui c’entravano le mele, che chissà dove
era andata a scovarle Manuela, di sicuro su qualche manuale di cucina esotico.
Comunque erano buone, lei è stata brava. Io avevo portato del vino, per non
sbagliare, ero stata in enoteca e mi ero fatta consigliare una bottiglia proprio
buona, anche se non me ne intendo.
E’ stata una bellissima serata. Andrea quando ha
visto tutto l’allestimento, di ritorno a casa, ha scosso la testa ridendo e
dicendo a lei che era matta: ma si vedeva che era contento. Lui non è uno che
parla molto, ma le vuole bene davvero, a Manuela, davvero. E lei fa tenerezza,
perché si vede che è cambiata tantissimo, per amor suo, che si dà un sacco da
fare anche in cose che prima non faceva…
Insomma, eravamo tranquilli, rilassati. Stavamo
bene. Nicola e io siamo arrivati insieme e per la prima volta non ho avvertito
quella specie di tensione che sentivo sempre, da parte sua. E pensare che quando
ho dovuto scegliere il vestito dall’armadio e stavo per mettermi quella gonna
con lo spacco mozzafiato che ho comprato da poco e che mi sta anche bene…
be’, alla fine ci ho ripensato proprio perché andavamo a casa di Manuela, e
non volevo che vedendomi vestita così loro pensassero che tra noi ci fosse
chissà che, e poi magari a Nicola veniva qualche malumore… non lo so,
comunque mi sono messa un’altra cosa, carina ma non eccessiva, anche se per la
verità stasera me lo sentivo pure io, e avevo proprio voglia di esagerare.
La cena è filata in armonia, così in armonia che
sembrava ci conoscessimo tutti da una vita, me compresa. E io ero così
rilassata, e nello stesso tempo euforica, che ho tirato fuori il lato migliore
di me, quello più brillante, spiritoso. Era tanto tempo che non mi sentivo così
sicura di me stessa vicino a un uomo che mi piace: mentre nelle altre cose,
anche sul lavoro, io sono quasi sempre così. Come se mi sdoppiassi. A un certo
punto, portando via i piatti del secondo con Manuela, sono passata dietro a
Nicola e gli ho poggiato anche una mano sulla spalla, con naturalezza, e lui ha
continuato a sorridere tranquillo e si è girato verso di me e mi ha dato una
specie di buffetto leggero, davanti a tutti, che di sicuro avranno pensato che
lo fa spesso, e invece era la prima volta.
Manuela è un tesoro, è davvero un tesoro. E poi,
quando siamo rimaste sole in cucina, mi ha detto che era così contenta di me e
Nicola, che a lui ci voleva proprio una come me, che si vede che stiamo bene
insieme… Io allora l’ho fermata subito: per carità, ho detto, non c’è
nessun “me e Nicola”, siamo solo venuti qui insieme stasera, ci vediamo solo
ogni tanto, ma non è come pensi, proprio no… Poi sono stata zitta perché mi
dispiaceva che non fosse come pensava, e avrei preferito di gran lunga che fosse
vero quello che aveva detto lei. Lei l’ha capito, non sono riuscita a
nasconderle questo cambio di stato d’animo: ma mi ha preso le mani e mi ha
guardato con dolcezza, davvero. E’ raro che succeda tra donne. E ha detto che
se non era successo ancora sarebbe successo presto, perché lei Nicola lo
conosceva, e non l’aveva mai visto stare così bene con qualcuno. Io l’ho
guardata un po’ timidamente, allora, e ho detto “non lo so”. Solo non lo
so.
Poi la serata è finita, e avevamo anche bevuto un
po’, davanti al caminetto, con la musica a basso volume tutti tranquilli, a
sparare anche qualche cretinata. Persino ci dispiaceva andare via di lì tanto
stavamo bene, anche se andare via significava poi restare da soli, e non era per
niente male come prospettiva, anche se avevo una velata paura che mi venisse
paura poi, restando sola con lui, e di non essere più spontanea com’ero in
quel momento, e rovinare tutto.
Alla fine abbiamo salutato, e siamo usciti. Lui mi
ha aiutato a infilare il soprabito e mi ha offerto il braccio fino alla
macchina. Mi ha persino aperto la portiera, che a me queste cose mi colpiscono
sempre tantissimo, lo so che sono una donnetta dappoco, di quelle che subiscono
il fascino della divisa e della galanteria, ma non ci posso far niente. E non lo
so che cos’aveva Nicola stasera, vedevo solo che stava proprio bene, così
sereno non l’avevo mai visto. E stavo bene anch’io.
Poi abbiamo fatto la strada per casa mia, e più ci
avvicinavamo e più a me mancavano le cose da dire. Siamo arrivati che stavamo
quasi in silenzio, anche se le poche parole erano gentili, dolci… Ma io non ho
cercato discorsi da fare per riempire quel silenzio, come di solito faccio
sempre, che parlo troppo per timidezza e rovino tutto. Anche perché non me la
sentivo, proprio non me la sentivo in quel momento di fare la brillante, non so.
Lui si è fermato e ha spento il motore, mi ha
guardato e mi ha sorriso e non ha detto niente. E io ho abbassato gli occhi e
sono stata in silenzio, e poi, visto che non diceva niente ho detto: “Allora
ciao…” e ho aperto la portiera per uscire. Ma lui mi ha fermato, mi ha
sfiorato un braccio e poi mi ha preso la mano senza dire niente, mi ha guardato
negli occhi ed era così intenso quello sguardo, e io ero così emozionata… Si
è avvicinato e mi ha preso il viso tra le mani con una delicatezza incredibile,
e poi è venuto ancora più vicino mentre io tremavo e mi ha dato un bacio, un
bacio leggerissimo sulle labbra, un bacio tenero e emozionato che non finiva
mai, che non immaginavo potesse esistere un bacio così, proprio non lo sapevo.
Poi non lo so, perché ho chiuso gli occhi e ho capito solo che mi baciava
ancora, stringendomi tra le braccia. E quando si è staccato e mi ha guardato in
silenzio e mi ha sorriso piano mentre io lo fissavo, muta, commossa,
completamente sperduta, e quando mi ha detto: “Buona notte” con quel tono
dolcissimo che ho scoperto stasera, e
allora io sono scesa con le gambe che tremavano ancora e non so come sono
arrivata al portone mentre mi guardava, e non so come sono riuscita a trovare la
chiave giusta, e sono entrata guardando verso di lui e ho salito le scale e ho
aperto la porta di casa e l’ho chiusa alle mie spalle senza accendere la luce
perché mi ero dimenticata che esistesse la luce e c’era la luna fuori che
illuminava tutto, anche me, quando è successo tutto questo e mi sono ritrovata
qui dentro come se ci fossi arrivata in volo o in sogno, non lo so, quel
“buona notte” l’ho sentito echeggiare ancora dentro il cuore come un dono
inaspettato e prezioso, e ho saputo con certezza, in quel preciso momento, che
quella notte sarebbe stata bellissima perché l’avrei passata pensando a lui.
10-11 novembre
Stasera siamo usciti. E lei era bellissima. Davvero davvero bella. Solo che stasera non l’ho baciata. E l’altra sera sì, invece. E mi è anche piaciuto molto. E penso pure a lei. Solo che stasera no. Il perché lo so pure: perché se la baciavo pure stasera non mi fermavo. Questo è quanto. Lei, ci scommetterei sopra, non c’ha raccapezzato niente. E come avrebbe potuto? Per fortuna io mi raccapezzo ancora abbastanza bene. Forse se l’è anche presa. Forse. Non lo so. Di sicuro non sono stato molto galante. Anzi, com’è che si dice... mi sono messo sulla difensiva. Proprio. Però francamente non mi posso stare a fare degli sturbi se se l’è presa: io sicuro non l’ho fatto apposta, di fare il distante, anzi, l’ho fatto per non fare proprio l’opposto. Anzi, forse magari se l’aspettava pure, l’opposto: sai com’è, è la prima volta che uscivamo io e lei da soli fuori... ‘Na cosa quasi seria.
Il fatto è che a me lei piace parecchio. Ma proprio tanto. E stasera m’ha pure sufficientemente smosso gli ormoni, come se già non mi piacesse abbastanza. Tutta tirata, con i capelli tirati su, che a me mi fanno morire le donne con i capelli tirati su, i tacchi, la gonna con lo spacco e la maglietta aderente. E con le lenti a contatto sta da Dio. E allora, visto che mi piace, visto che c’ho ormai 33 anni e mai una storia venuta su per il verso giusto, allora se deve essere una cosa fatta bene ok, sennò no. E se lei c’ha la stessa pazienza e la stessa voglia, allora qualcosa si combina, se no, amici come prima: non mi dispererò certo per questo. Anche perché per stare appresso a me un po’ di pazienza ce la vuole proprio.
E poi che gusto c’era, se no? E sali a casa mia, e beviamo qualcosa, e sediamoci sul divano... E basta! Che palle! Se me ne devo trovare una così faccio prima ad andare una qualunque discoteca e qualcuna me ne rimedio per ‘ste cose: così mi risparmio pure la fatica, le paranoie, e le figuracce con amici e parenti.
Che poi mo’: mia sorella, grazie a Dio, cammina da sola e si risolve da sola, c’ha i suoi problemi come tutti, ma come tutti se li sbroglia; Andrea fa “l’uomo felicemente sposato”, ci manca solo che mette su panza, ma tanto ci pensa quella matta della moglie a tenerlo allenato, a forza di correrle dietro a tirarla fuori dai pasticci (perché penso proprio che il vizio non l’ha perso); la pazza, invece, si è sufficientemente calmata ché gli basta solo il marito per risolvere i suoi casini. Vabbé stavo a dire che ormai si sono sistemati tutti, e che cavolo: c’avrò pure io il diritto di fare una cosa fatta bene. E se lei poi si offende se stasera non c’ho provato e non si fa più sentire, allora non ne vale la pena. E se se la prende, a me mi dispiacerebbe parecchio, perché a lei ci tengo, anche se magari non si vede tanto. E siccome una che mi piace così tanto non l’ho mai incontrata, allora me la voglio godere ‘sta cosa che non mi era mai capitata. Questo è quanto.
Se deve essere una storia da “‘na botta e via” pure questa, allora faccio senza, tanto se è per andare a letto sono buoni tutti.
Anzi, domani cerco di organizzarmi per vederla durante la pausa pranzo, e se non ce la faccio la chiamo domani sera quando c’ho qualche minuto libero. Così sento se se l’è presa.
12 novembre, martedì.
Io non lo so cosa vuol dire, so solo che adesso ho paura, perché se
anche con Nicola succede la stessa cosa, allora dipende proprio da me. E se
Nicola lo perdo così, ancora prima di trovarlo, stavolta davvero ho chiuso. Ho
chiuso del tutto.
Domenica siamo usciti, mi ha telefonato e mi ha portato fuori. Era la
prima volta che uscivamo da soli. Ed era un posto carino, abbiamo preso anche le
castagne e il vino, si stava bene senza tanta gente. Io non sapevo che dire al
telefono, dopo che mi aveva baciato, ma lui è stato così naturale, sembrava
così contento di uscire ancora con me. Volevo piacergli, e non so se ho fatto
bene, se è stato questo che ho sbagliato, ma ho messo la gonna con lo spacco e
la maglia aderente. Mi sono pettinata e truccata. Forse ho fatto male, non so,
ma io volevo solo… non lo so cosa volevo, so soltanto che non facevo che
pensare a lui, che quasi non potevo credere che mi avesse baciato così, che non
so da quanto tempo non provavo un’emozione come quella sera, forse non era mai
successo, non in quel modo, no…
E ci sono riuscita a piacergli, sì, io credo proprio di sì… almeno
così sembrava dallo sguardo intenso e quasi stupito, e dal sorriso un po’
strano che ha fatto appena mi ha visto, che gli avevo aperto e lo avevo fatto
salire e accomodare in salotto mentre finivo di prepararmi, e poi
sono uscita dalla stanza e gli ho detto ciao facendo finta di niente
perché ero in preda alla timidezza… Poi gli ho versato un Martini e ne ho
preso uno anch’io e mi sono seduta accanto a lui e lui mi ha preso la mano,
appena mi son seduta, e non ha detto niente, e io cercavo di non tremare.
Siamo andati in questo locale, ed era proprio il tipo di posto che piace
a me, un posto alla mano ma intimo, di quelli che puoi rilassarti ma senza
confusione, senza troppa gente. Parlavamo, ridevamo anche, io stavo bene con lui
e anche lui con me credo… sembrava che stesse bene, sembrava proprio di sì.
Eppure non so, era come se fossimo tornati indietro, come se non fosse
vero che mi aveva baciato e che lo avevo baciato due sere prima, come se… non
lo so… eppure non sembrava pentito, volevo anche chiederglielo, a un certo
punto: “Ti sei pentito?”. Ma poi non l’ho fatto perché poi lo so che
rovino tutto… e allora siamo rimasti tutta la sera così, un po’ distanti,
come un po’ imbarazzati, io non l’ho nemmeno sfiorato perché ero confusa, e
lui non ha cercato di avvicinarsi, di darmi ancora un bacio come l’altra
sera…eppure sembrava che volesse farlo… perché? E’ stato così bello
l’altra sera… Perché?
Sono io, sono io di sicuro, è così. Sono io che rendo strane anche le
persone normali. Gli faccio paura, adesso? Faccio paura a Nicola? O
semplicemente non gli piaccio più come sembrava all’inizio? Sì, è questo,
non gli piaccio più: ha capito che mi piace lui perché proprio non sono
riuscita a nasconderlo e allora adesso non ha più niente da scoprire e gli è
passata la voglia, non gl’interessa più…
Sta succedendo di nuovo, lo sento. Ma perché? Perché? Che cosa sto
sbagliando, che cos’è che sbaglio così ostinatamente da una vita? Non sono
abbastanza bella, abbastanza simpatica, abbastanza naturale, seducente… ma
cosa, che cosa devo fare, come posso capire cosa bisogna fare, qual è la
ricetta per far funzionare tutto, qual è? Li vendono, dei manuali? Delle
istruzioni per l’uso, non so, che uno le compra e ci sono scritte tutte le
operazioni da compiere, una dopo l’altra in ordine, che se le segui alla fine
viene fuori la torta, tu te le studi bene, ti applichi a fondo, fai tutto quello
che c’è scritto nei minimi dettagli senza tralasciare niente e alla fine il
risultato non può mancare, non puoi sbagliare…Tanto ormai l’ho capito che
da sola non lo so fare, l’ho capito…
E invece niente, sono di nuovo qui che me lo chiedo, e come al solito
non si vede da fuori perché non riesco nemmeno a farglielo capire, a lui, che
sono confusa, e perché diavolo ci dovrò tenere così tanto a comportarmi come
una persona civile, maledetto orgoglio imbecille, a fare finta che sono a mio
agio e sono sicura di me se tanto poi non lo sono affatto, e sforzarmi di essere
all’altezza e far di tutto per non metterlo in imbarazzo… Ma tanto anche se
rinunci alla dignità e magari gli fai una scena madre, lo affronti, cerchi di
capire… è inutile: non è che poi viene un risultato migliore. E’ lo
stesso, è esattamente la stessa cosa, non cambia niente.
Continuo a farlo, incasso le delusioni meglio di un pugile i cazzotti:
così bene che non si vede, non si vede proprio… E con Nicola, adesso, lo
faccio ancora di più. Perché con Nicola ho molta più paura. Non so, forse è
perché è arrivato adesso che non sono più forte come prima. Forse perché non
mi ero mai sentita così con nessuno… con nessuno, mai.
Ieri è venuto a prendermi per la pausa pranzo, e abbiamo mangiato
insieme. Oggi pomeriggio mi ha chiamato ed è venuto a casa mia, mi ha proposto
di uscire a fare una passeggiata. Abbiamo passeggiato per il viale del parco da
soli, quasi senza parlare, e sembrava quasi che mi avesse portato lì perché
voleva che ci vedessero insieme, passava gente che lo salutava e lui salutava, a
un certo punto è passata sulla strada pure una pattuglia di suoi colleghi che
ci ha visto. E lui niente, mi ha messo il braccio intorno alle spalle, e
camminava abbracciato con me, così. Poi mi ha fatto fermare e mi ha abbottonato
bene il cappotto perché c’era vento, e a me mi è venuto da piangere ma ho
detto che era per via del vento e lui ci ha creduto.
Siamo tornati a casa e mi ha detto ti chiamo domani, e io volevo proprio
chiederglielo, allora: “Ma tu cosa vuoi esattamente da me, ti dispiace
dirmelo, così almeno mi metto il cuore in pace e non ci penso più?”. Volevo
dirgli spiegami, spiegami bene che cosa vuoi, vuoi che sia tua amica, vuoi
passare un po’ di tempo senza problemi, ti serve qualcuno che ti legga i libri
o da portare ogni tanto a cena fuori per non stare proprio da solo ma senza
troppo impegno? Che cosa vuoi, vuoi venire a letto con me, vuoi una storia solo
di sesso, vuoi che ti adotti, ti serve una che non ti faccia pensare a Manuela
anche se poi non ti frega niente, che cosa, che cosa vuoi da me? Spiegamelo, ti
prego, perché io non le so capire da sola queste cose, non sono mai stata
capace, tu non lo sai ma te lo dico io, non sono capace, e allora fammi un
piacere, dimmelo chiaro, soggetto verbo complemento, che per me ci vuole questo,
sennò non capisco, fammelo come favore personale, dimmelo…
E invece no, ho avuto troppa paura. Ho troppa paura con Nicola perché
non voglio rovinare tutto, non voglio ancora rassegnarmi a perderlo, non ci
credo, io non mi sono mai sentita così, mai, mai, mai sentita così come con
lui adesso.
Così lui è andato via tranquillo e contento e io sono rimasta sola, e
poco dopo ha suonato Manuela e io ero ancora così, da sola, che combattevo per
non mettermi a piangere, e invece appena l’ho vista e ho cercato un sorriso
decente per salutarla mi è sembrato tutto così inutile, così stupido, così
stupida io, e invece di sorriderle mi son venute le lacrime e sono scoppiata a
piangere così, davanti a lei, davanti alla porta, senza dirle niente, senza
spiegarle niente, e lei mi abbracciava e mi chiedeva che c’è mentre io
piangevo e mi vergognavo di piangere e non riuscivo proprio a dire niente,
neanche una parola di spiegazione, così alla fine mi sa che ha pensato che sono
proprio matta quando se n’è andata senza che le dicessi niente, e mi sa che
ho perso anche la sua amicizia dopo questa scena, così ho perso due persone in
un colpo solo, non solo lui che tanto lo so che l’ho perso, ormai, ma anche
un’amica che avevo appena trovato.
13 novembre h: 2:00 (note su un foglio di carta sfuso e poi inserito nel diario)
Allora, adesso sto a casa di Nadia e per fortuna gliel’ha fatta ad addormentarsi. Io invece, di addormentarmi vicino a lei non me la sento, anche perché, anche se lei c’ha il letto a una piazza e mezza, si sta stretti, visto che io sono grosso. E poi stavo steso sopra le coperte e mi era venuto freddo. E comunque non mi pareva lo stesso il caso di rimanere a dormire vicino a lei, anche se lei stava sotto e io sopra le coperte. Solo che non me ne va neanche di andarmene via da qui e allora mi sono messo a frugare e non c’è voluto tanto tempo a trovare un foglio, anche perché questa è la casa di una maestra. Mi sembro cretino a scrivere il diario ma non c’ho niente di meglio da fare. E poi sono ancora un po’ scombussolato. Già è da quella sera che l’ho baciata che sono un po’ scombussolato. Furia scombussolato. Che poi non è che è passato tanto tempo ma a me mi pare tutto un sacco diverso. Stasera poi... Che io me l’aspettavo che qualcosa stava per succedere: scemo non sono mica, solo che tutto mi aspettavo meno che Nadia mi scoppiava a piangere addosso a Manuela. Qualcosa prima o poi sarebbe dovuto venire fuori: si vedeva lontano tre chilometri. Io però stavo tranquillo, perché, tanto, al dunque ci si arriva, se uno non se la fa addosso prima; e poi io di farmela addosso non c’avevo proprio voglia, anzi. Però non mi aspettavo così.
E’ stato dalla sera che l’ho baciata. E pare chissà quanto tempo fa è stato e invece non è manco una settimana. Che poi quel bacio io gliel’ho dato senza pensare a chissà che. Mi andava di farlo e l’ho fatto. Ho detto: al massimo mi dà una gomitata o un ceffone. Lei invece c’è stata ed è stato tutto molto bello. Poi, dai, ci siamo visti tutti i giorni e io a lei mi ci sono davvero affezionato, subito mi ci sono affezionato. E in effetti me ne ero pure accorto che c’era qualche cosa che non andava. La prima volta ho pensato che se l’era presa perché non l’avevo ribaciata o non c’avevo riprovato. Poi però misà che lei si è incominciata a incasinare di brutto. E’ partita per dei viaggi intercontinentali! Ormai c’ho l’occhio clinico per certe cose. E allora ho lasciato fare: tanto se si fidava di me qualcosa veniva fuori, e se non si fidava, amen, non si può stare simpatici a tutti. Che poi, anche la storia del simpatico... vebbè, lasciamo stare. Davvero, io in questi giorni ho avuto piacere a stare con lei. Ci sto bene con lei. Adesso, poi, chissà come sarà. Mi piace. E lei che pensava chissà che c’avessi in mente, o per chissà che giochetto la chiamavo. Io la chiamavo perché avevo voglia di stare con lei, punto e basta. Non ho mica capito cosa c’era di così strano. Sono convinto che, comunque, non me l’ha raccontata tutta; ma, a quanto pare, ci sarà tempo. Ma dico io se una donna si deve fare delle malattie se uno la chiama e si trova bene con lei, ma non se la vuole portare subito a letto! Che poi: se ci provi subito sei un porco, se non ci provi sei un finocchio. Vai ad indovinare. Cioè, non è che a me mi ha detto finocchio, però il fatto che non le ho rimesso le mani addosso le ha fatto pensare che volevo giocare con lei, che volevo un passatempo, una che mi leggesse i libri, che volevo una che non mi facesse pensare a Manuela... Cose così! Che io quando l’ascoltavo ci sono rimasto un po’ di merda. Cioè, io me l’ero immaginato che c’era qualche cosa che non le andava bene, ma che si fosse messa a pensare tante stramberie proprio non ci sarei mai arrivato da solo. E gliel’ho anche detto. E lei mi ha chiesto che cosa doveva pensare, visto che ero sempre tutto gentile ma niente di più. E io le ho detto che una persona che fa delle gentilezze a qualcun’altra non è questa cosa dell’altro mondo di cui sconvolgersi e incasinarsi, e che non vedevo cosa ci doveva essere di così strano e misterioso nel fatto che io con lei sto bene. Nadia sembra una di quelle persone che dietro una gentilezza ci vedono chissà quali misteriosi significati; forse manco c’è abituata alle gentilezze. E poi l’avevo capito comunque che le piaccio, mica sono cretino per davvero. Al che a un certo punto gliel’ho anche detto: ma credi davvero che se a un uomo piace una donna, l’unico modo che ha per farglielo capire è saltarle addosso? C’è in giro questo falso mito che un po’ è vero e un po’ no. Al che lei m’ha fatto due occhioni da gazzella e mi ha chiesto se mi piaceva. E io le ho detto sì tanto. E lei ha cercato di non piangere ma le è scappato. Allora mi sono alzato, l’ho raggiunta, l’ho pigliata in braccio e mi sono riseduto con lei sulle ginocchia. Che poi non c’avevo mai fatto davvero caso a quanto è piccola e leggera. Ma piccola piccola. Andiamo in giro a fare il gigante e la bambina. E niente, l’ho accarezzata e l’ho abbracciata finché non ha finito di piangere. Che mi sono pure stupito quanto piangere aveva ancora, dopo che aveva già pianto quella sera stessa con Manuela. Per questo penso che non me l’ha raccontata tutta. Poi, quando ha finito le ho detto le cose come stanno per me, visto che sono piombato a casa sua all’improvviso e le ho fatto dire per forza come stavano le cose per lei. Che sono stato un po’ aggressivo, però io non sono il tipo come Andrea che si mette a sedere calmo e fa dire quello che uno ha da dire con le buone. Io sono furia più brusco. Una volta che Manuela aveva passato la misura l’ho pure presa a ceffoni. E ci stavano. Ma questa è storia vecchia. Comunque le ho detto che mi piace, che mi piace parecchio, che a lei ci tengo e che con lei ci sto bene. E che se non mi sono sbilanciato più di tanto era perché volevo fare le cose fatte bene e andare sul sicuro. Questo le ho detto. E le ho detto anche che se doveva essere qualcosa, che fosse qualcosa fatto in grazia di Dio, pigliando le cose tranquillamente come vengono, per combinare meno casini possibili. E le ho anche detto che, con un po’ di calma, facendo una cosa per volta, ci si poteva provare, ma che non si aspettasse sempre rose e fiori perché non sono proprio il tipo; ma che comunque avevo voglia di mettermici d’impegno e sul serio e che quindi se a lei andava bene io ero contento. Al che lei è stata zitta per un po’, m’ha dato un bacino sulle labbra alla cip e ciop, s’è riaccoccolata e ha mugugnato qualcosa che non ho capito perché nascondeva la faccia. E al che non ho capito mica se ha detto si, no o vaffanculo stronzo. Ma credo si. Uno di questi giorni glielo chiedo meglio. Poi a un certo punto si è abbioccata e io l’ho infilata sotto le coperte. Tanto quando sono arrivato era già tutta bardata con pigiamone, vestaglia, ciabattone tutto morbidoso, che se non c’avessi avuto altre cose in mente mi sarebbe venuto da ridere, perché era buffa. E quindi niente, l’ho portata a letto, l’ho infilata sotto e io mi sono messo sopra le coperte. Spero di non averla svegliata.
Comunque le cose adesso stanno così. Bisognerà che avverta Manuela di non preoccuparsi, che a Nadia ci penso io; e se mi risponde che allora è il momento di preoccuparsi la spezzo. Comunque adesso le mando un messaggio così domani mattina lo vede. Che è piombata a casa mia incazzata dura ma si vedeva che si era preoccupata: e ti credo! Una, che tra l’altro conosci pure da poco, che ti scoppia a piangere appena ti apre la porta! Che poi, anche Manuela, di una gentilezza... la prima cosa che ha pensato è che fosse colpa mia e mi ha invaso casa riempiendomi di insulti. Bell’amica!
Però, a pensarci, se Manuela non mi veniva a raccontare che Nadia s’era messa a piangere, lo sghiribizzo di piombare a casa sua per sapere quello che c’aveva in testa non mi veniva. Alla fine meglio così. Domani per farla contenta e ringraziarla la chiamerò pure Oscar.
13 novembre 2002, ore 8.30. Mercoledì, che a scuola entro tardi e Nicola è appena andato via.
Mi sono svegliata presto, prestissimo, perché non sentivo più il suo abbraccio. Saranno state le sei, nemmeno. Non mi succede mai di aprire gli occhi a quell’ora senza sveglia.
Mi sono alzata dal letto, e non mi sono ricordata subito. Ero un po’ confusa. Poi ho guardato verso la poltrona e sopra c’era la sua giacca: ieri era così preoccupato, quando è arrivato qui, che nemmeno se l’è tolta, entrando, chiedendomi cos’avevo. Dev’essersela tolta quando mi ha messo a letto.
Non se n’è andato, ieri sera, ha dormito qui. Prima con me, sul mio letto, io sotto lui sopra le coperte, tenendomi stretta finché non ho preso sonno bene. Poi di là, sul divano. Ce l’ho trovato stamattina, che chissà quanto ci aveva messo a trovare una posizione per dormire, su quel divano, che non è tanto grande, non abbastanza per lui.
Mi sono avvicinata in silenzio e gli ho sistemato meglio la coperta sulle spalle: per fortuna ha trovato quella, la tengo sempre in salotto per quando guardo la televisione. Aveva messo sul tavolino le chiavi della macchina e la pistola. Sì, lo so che è un carabiniere, e che i carabinieri girano con la pistola, ma mi ha fatto un effetto, in quel momento, quest’uomo armato dentro casa mia, addormentato sul mio divano come un bambino.
Certo, tra i due la più bambina sono stata io, ieri sera. Non piangevo così da chissà quanto. Forse da troppo. Mi ha preso in braccio e mi ha tenuto stretta finché non mi è passata: anche questa è una cosa che da anni non capitava più. E mai come ieri sera, comunque, che è stata la prima volta nella mia vita che non ho sentito il bisogno di trovare la forza per reggere il peso delle cose, perché il peso in quel momento lo stava reggendo lui. Mentre reggeva anche me.
E’ stato dolce sentire il suo viso accostato al mio, il profumo del suo corpo. Gli ho poggiato la testa proprio sotto il viso, a sfiorargli il collo, e sono rimasta così forse mezz’ora, in silenzio. Lui mi accarezzava, ed era emozionato.
Sono stata proprio infantile. Lo sono stata per mesi. Per anni. Per fortuna che Nicola mi tiene coi piedi per terra, da quando c’è.
Non c’era niente di strano nel suo comportarsi così, me l’ha dovuto spiegare, perché io già avevo dato tutte le mie spiegazioni, invece. E, per la paura di perderlo, forse lo avrei perso davvero. Ero io che mi perdevo da sola, non era lui.
Cosa mi è successo in tutto questo tempo? Cosa mi ha fatto diventare così? Forse lo capirò, uno di questi giorni.
Ma è stato bello, stamattina, perché si è svegliato mentre mi sentiva preparare la colazione in cucina, e quando sono tornata di là, col caffellatte per lui nella tazza col piattino, era seduto sul divano. Gliel’ho dato con un sorriso, senza dire nulla. Ci avevo messo lo stesso zucchero che ci metto io, la stessa quantità mescolata di latte e di caffè. Lui l’ha bevuto in silenzio, e ha detto che era buono, dopo il primo sorso. Io mi ero seduta vicino, sul divano.
Poi ha posato la tazza vuota sul tavolino, accanto alle chiavi e alla pistola, e mi ha abbracciato le spalle ancora, e mi ha tenuto un po’ di tempo così. Mi ha messo il viso nei capelli, la bocca accanto all’orecchio, sospirando. “Che ti hanno fatto?”, ha detto a voce bassa mentre mi stringeva. “Che ti hanno fatto, eh?”
A me allora è venuta una tenerezza per lui, non so spiegare perché, forse perché non l’ho saputo capire e lui non si è aspettato che lo facessi, forse perché quel gesto e quell’abbraccio, e tutti i suoi gesti e tutte le cose che ha fatto e fa sempre, non solo con me, ma anche con gli altri, mi son sembrati all’improvviso i gesti di un uomo che per gli altri è stato più di quanto gli altri sono stati per lui. Anche per me, che ho avuto bisogno che mi venisse a consolare delle mie paure e mi spiegasse che ci teneva, a me, perché da sola non lo avevo capito. Eppure c’ero, quando ci siamo baciati, e l’ho sentito, quel bacio, e l’emozione che aveva.
Così, invece di rispondere, gli ho sfiorato la guancia con le labbra e anch’io gli ho parlato all’orecchio piano. E gli ho chiesto: “E a te che cos’hanno fatto?”, e mentre ascoltava la mia frase ho visto che chiudeva gli occhi un momento.
Stasera
finisce il turno alle dieci. Gli ho detto che lo aspetto, di venire a cena da
me.
mercoledì
13 novembre 2002
Se
Dio vuole il turno sta per finire. Non fosse altro, pure il lavoro oggi è stato
pesante: un paio di chiamate al 112 e quattro ore di pattuglia sulla statale.
Per fortuna quest'ultima ora sto in ufficio perché non ne potevo più. Se
chiama qualcuno io di sicuro non parto: e che cavolo, stacco tra un'ora, dopo
vedo Nadia, figuriamoci se mi metto a fare gli straordinari. No no, non c'ho
voglia. Che poi a quest'ora la caserma di solito è tutta silenziosa perché
nessuno c'ha più voglia di fare niente; quelli che devono fare il turno di
notte non fanno sicuro i salti per aria per ravvivare l'atmosfera.
C'ho
pensato tutto il giorno, a Nadia. Ma soprattutto c'ho pensato a mente fredda.
Che ieri sera, tra Manuela incazzata come una biscia, che in sé non è un bello
spettacolo (o meglio, è un bello spettacolo se non è incazzata con te, perché
se no è terribile ), tra il concepire l'idea di far dire a Nadia quello che
c'aveva, l'ascoltarlo e tutto il resto non ero proprio tranquillo tranquillo.
Oggi però c'ho pensato tutto il giorno. Andrea pure si è preoccupato perché
oggi stavo davvero sulle nuvole. Che tra l'altro mi ha anche chiesto se ero
preoccupato per Diana. Che anche lì, ragazzi... E subito gli ho chiesto se
c'era qualcosa da preoccuparsi. Anche perché, ovviamente, certe cose le viene a
sapere lui e non io: ha le spie in giro per il mondo, quell'uomo; e una moglie
che sa il fatto suo. E comunque mi ha detto che per quel che ne sapeva lui
andava tutto liscio. Io non mi sono manco messo a chiedere cosa filava liscio,
un po' perché me lo immagino ma finché il segreto non viene svelato io devo
fare finta di nulla, ma anche perché se me lo mettevo a chiedere e lui me lo
diceva mi si infilavano le cose una sull'altra e avrei finito per non capirci più
niente. Comincio a perdere colpi. E poi un casino alla volta.
E
comunque dicevo di Nadia, e ripensavo a quello che è successo da quando la
conosco. Che non è neanche tanto che ci conosciamo, anzi, proprio poco. Però
pensavo una cosa, una cosa specifica, e cioè che lei è come la paglia e fa
subito sia a inzupparsi di pioggia sia a prendere fuoco. Ci mette un attimo per
tutte e due le cose. Sia che è contenta, sia che è triste, lei parte in quarta
e ci si butta a pesce e allora, o cammina sull'acqua o si annega. E il bello è
che gli ci vuole niente per partire: brucia subito come la paglia. Io invece no:
io sono come il ceppo, quei cippi grandi che si bruciano d'inverno: che se
piove, prima che si inzuppano come biscotti nel latte ce ne vuole, e pure a
bruciare ci mettono tempo, però durano tanto. ‘Sta cosa è un modo un po'
stupido per dirlo, però mi pare che è così. E poi anche se è un modo stupido
per dirlo, non lo devo mica dire a nessuno: sta scritto qui e qui non ci
dovrebbe venire a leggere nessuno. Comunque è così che mi pare. Mo’ se è
meglio essere paglia o ceppo di legna non lo so e francamente non me ne frega
neanche, però è così che pensavo. Che ‘sta cosa mi è venuta in mente
ripensando a quello che è successo poi stamattina. Che poi abbiamo fatto
colazione insieme. E io a un certo punto ho pure pensato al coccio con le
rondini e a una battuta che le ho fatto quando l'ho incontrata al supermercato
sul fare la colazione insieme. E quasi quasi gliela volevo fare, la battutina,
ma poi ho pensato che era meglio di no: per quella storia della paglia. E poi
perché pensavo che c'avrei fatto al figura dello stronzo, a fare battute dopo
che la sera prima l'avevo aggredita in quel modo del tipo: "Ma mi dici che
diavolo ti è successo per metterti a piangere come un’ossessa addosso a
Manuela?" oppure " Io non me ne vado di qui finché non mi dici se hai
qualche problema con me, e se sì quale.". Non è che sono cose
gentilissime da dire. Però io so fare solo così: di mettermi lì, dolce e
gentile, a mettere a proprio agio le persone finché non mi spiattellano tutta
la loro vita come una crep alla Nutella non lo so proprio fare. Al massimo
presento il conto come una cambiale scaduta. Poi alla fine si è aggiustato
tutto, ok, perché lei mi ha sparato in faccia tutto quello che pensava, tanto
il nervoso che le avrò fatto venire, che io ho capito quale era il problema e
ci siamo accordati. Anche perché misà che se non la mettevo con le spalle al
muro quella non parlava manco tra un anno e io mi sarei stufato, invece così ha
parlato, io ho capito, finalmente, ed è meglio così. Le donne c’hanno sta
fissa che un uomo le deve capire con la telepatia: però se le cose non le
dicono uno non se le può mica inventare.
Però
volevo dire, lei si vedeva che era presissima da ‘sta cosa, e pure io, perché
la paglia ci si mette apposta sotto al ceppo di legna grande per fargli prendere
fuoco, però...
Boh,
alla fine non lo so cos’è questo però. Come dice la canzone lo scopriremo
solo vivendo.
E
poi c'è un'altra cosa. Che io stamattina le ho chiesto che le hanno fatto.
Perché sono convinto che qualcosa di brutto le è capitato. Che poi forse sono
cattivo, ma penso che, più che qualcosa di brutto sul serio, le è capitato
qualcosa che lei ha fatto più brutto di quello che è. Però non lo so: questo
è solo un pensiero mio senza sapere niente. Facile che mi sbaglio. Comunque le
ho chiesto quello. E invece lei mi ha chiesto che hanno fatto a me. Io non me lo
aspettavo. Non è che parecchia gente me lo sia venuta a chiedere. Forse solo
Andrea. Ma Andrea non chiede mai, forse a lui gliel'ho detto e basta. Manuela lo
sapeva già, un po' per sentito dire un po' perché lo sa e basta, non lo so
come, ma lo sa. Istinto femminile, forse. Ma anche Manuela non mi ha mai chiesto
niente, perché lei non chiede, se serve si spezza in quattro, ma non chiede. E
allora forse sì, Nadia è la prima persona, forse, che mi chiede qualcosa. E a
me mi ha fatto strano. E non le ho risposto. Anche perché non saprei che dire.
Non è che mi sia successo chissà che, anzi, alla fine mi sono successe un
sacco di cose sia belle che brutte che possono succedere a tutti: mica sono
andato a scalare l'Himalaia o 10000 metri sotto i mari. Non lo so che mi è
successo, proprio non lo so. E non ho neanche capito in che senso volesse: che
mi era capitato la sera prima, che mi era capitato 10 anni fa? Non lo so. Forse,
visto che io intendevo che cosa le era capitato di brutto, lei intendeva la
stessa cosa. Però davvero non lo so. Cioè, di cose brutte me ne sono capitate,
però adesso sono passate, e magari torneranno anche, ma diverse. Davvero non lo
so che mi è capitato. Forse ho perso qualche pezzo in giro. Vallo a ritrovare!
Comunque
tra un po' la vedo e sono contento. Anzi, già che siamo un po’ più in
confidenza mi faccio fare qualche bella carezza come me le sa fare lei. Basta
che poi non va a pensare chissà che, la mia paglia infiammabile senza
diavolina.
14 novembre 2002, giovedì.
SMS inviato da Nadia a Manuela,
durante la mattinata:
“Ciao Oscar, scusa per quello
che ho combinato l’altra sera. E grazie per aver capito e trovato il rimedio
giusto. Nadia”.
Risposta di Manuela:
“Eccoti, finalmente. Grazie di
cosa? Il rimedio giusto ce l’avevi scritto negli occhi: spero che abbia svolto
bene il suo ruolo, altrimenti se la vede con me”.
Ri-risposta di Nadia:
“No, ti prego, non dirgli
niente. E’ stato dolcissimo. Ero io che davo i numeri, quel giorno”.
Ri-ri-risposta di Manuela:
“Dolcissimo? Alain? Andiamo
bene… Non sai quanto sono felice di saperlo, ma domani vieni a pranzo con me e
mi racconti tutto”.
Ri-ri-ri-risposta di Nadia
(sorridendo nel premere i tasti):
“Verrei, ma devo pranzare con
lui, domani, scusa… andiamo al mare”.
Ri-ri-ri-ri-risposta di Manuela:
“Di bene in meglio… Allora
non insisto, ma a pranzo ci vieni oggi. E sabato sera, se siete tornati dal
mare, vi voglio a cena da noi. Sempre che non abbiate altri programmi…”
Ri-ri-ri-ri-ri-risposta di Nadia:
“Va bene per oggi e anche per
sabato, grazie. Sei un tesoro. Porto io il dolce”.
Ri-(x 6) risposta di Manuela:
“OK, allora intesi, a più
tardi. P.S. Non farai indigestione, con tutti questi dolci?”
ri-(x7) risposta di Nadia
(sorridendo fino alle orecchie):
“Spero proprio di sì”.
14
novembre 2002, giovedì pomeriggio.
Sono
stata a pranzo con Manuela, e mi ci voleva. Perché, se trovi la frequenza
giusta, con una donna t’intendi meglio che con un uomo. Ora penso che si possa
dire davvero che siamo amiche. Prima no, ma ora sì, dopo quello che le ho detto
e che mi ha detto lei.
Manuela
è una che sembra forte: e lo è, però non nel modo in cui sembra. E’ molto
fragile su certe cose, e questa sua fragilità è facile da scoprire, per me.
Perché io le somiglio, anche se siamo diverse. Perché sembro meno decisa di
lei ma non lo sono. E perché ho imparato prima di lei a convivere con la mia
natura: anche se, ora come ora, lei è quella che si gestisce meglio, tra le
due.
L’ho
messa in difficoltà, soprattutto a un certo punto. Ma lei ha capito che non lo
facevo per rivalità o gelosia. E, siccome è intelligente, ne è stata pure
contenta, alla fine.
Ha
voluto sapere come è andata con Nicola, come va adesso. Io le ho detto va bene,
perché è vero che va bene, ma che non lo so ancora che succede poi.
Lei
allora ha fatto una faccia un po’ contenta ma anche un po’ dispiaciuta e un
po’ arrabbiata con lui. Ha detto che è il solito orso e scherzando ha
aggiunto che quando lo vede gli dà lei un’inquadrata, così impara a
comportarsi come si deve.
Io
ho scosso la testa e ho sorriso, poi l’ho guardata negli occhi. Ma tranquilla,
non in modo aggressivo, perché davvero ero tranquilla: ero un po’ triste,
forse, ma non arrabbiata. “Ma tu lo sai quanto Nicola ti è legato?”, le ho
detto.
Lei
allora ha fatto una faccia strana, da una parte sconcertata di sentire una cosa
del genere, ma più che altro di sentirla da me in quel modo e in quel momento;
e dall’altra consapevole e imbarazzata, come se lo avesse capito da tempo
senza crederci, ma volesse evitare il discorso, e soprattutto volesse evitarlo
con me.
Io
ho riso e ho scosso la testa, allora: “Non devi restarci male – le ho detto
-, io non ce l’ho con te. Questa è una cosa che ho capito da sola, non me
l’ha detta certo lui. Lo so che Nicola ci tiene a me: è solo che… ha
bisogno di un po’ di tempo. Per tanti motivi. E forse è meglio così, perché
anch’io ho bisogno di tempo, anche se quando siamo insieme mi sembra sempre
che non serva”.
Lei
per un po’ non ha saputo che dire. Poi, siccome è una persona limpida, ha
detto quello che sentiva: “Io non ho mai voluto fargli del male…”. Era
sincera, ma sembrava lo stesso mortificata, come se fosse colpa sua.
Allora
le ho preso la mano per rincuorarla, perché era davvero giù di corda. E non
meritava di sentirsi così, perché anche lei è una che ha sofferto. Si vede,
io lo vedo bene. In modo diverso da me, ma ha sofferto anche lei. A volte le
sofferenze degli altri ci sembrano meno gravi e quasi invidiabili rispetto alle
nostre, ma non è così.
“Non
devi preoccuparti, davvero – le ho detto tenendole la mano -: non è questo il
problema. E’ che Nicola ha voluto bene a tante persone, nella sua vita, ma non
ha mai pensato che qualcuna potesse voler bene a lui. Non nello stesso modo.
E’ come se non si fosse mai fatto troppe illusioni: che stupido, eh? Così
ora, con me, è un po’ spiazzato: il vero problema è questo”. Poi le ho
lasciato la mano e ho sorriso: “Ma chissà, magari è la volta buona che
riusciamo a risolverlo…”
Allora
Manuela mi ha chiesto se io gli volevo bene. Io ho sospirato, prima di
rispondere, guardando in basso. Poi l’ho fissata di nuovo, e ho detto sì. Che
non è facile neanche per me, perché anch’io ho delle cicatrici addosso. E a
volte, quando cambia il tempo, mi fanno male. Che Nicola è arrivato
all’improvviso, quando nemmeno cercavo una cosa così, e all’improvviso mi
ha fatto credere in un sacco di cose come quando avevo quindici anni. E che è
per questo che ho paura.
Lei
mi ha detto che ci tenevo tanto, e che si vedeva. Io ho sorriso, e mi è
scappata una lacrima mentre sorridevo. Poi le ho detto: “Ci sono dentro fino
al collo, ormai, ma se glielo dici ti uccido”.
Allora abbiamo riso.
Poi
mi ha raccontato un po’ di cose lei. Della sua vita, di Andrea, di come è
stato difficile trovare la sua strada e percorrerla partendo da una situazione
come quella. Perché Andrea veniva da una famiglia benestante: e lei, invece, ha
avuto un sacco di casini fin dall’inizio. E fin dall’inizio ha dovuto
lottare per tutto. Anche per questo ci è voluto tanto tempo prima che si
trovassero davvero, anche se si conoscevano da sempre e lui da sempre era
innamorato di lei. “Anch’io lo ero - mi ha detto abbassando gli occhi -, ma
avevo troppi problemi da risolvere, e forse non lo capivo nemmeno”.
Abbiamo
passato due ore in confidenza, è stato bello. E le ho raccontato di ieri sera.
Nicola
è venuto da me dopo il turno, gli ho preparato la cena. Era contento di essere
tornato da me. Ed era così stanco, ieri sera. Abbiamo cenato quasi in silenzio,
e a un certo punto mi ha preso la mano sopra il tavolo e l’ha tenuta nella sua
guardandomi, senza dire niente. Lo so che sembra strano dirlo di lui, ma io non
ho mai incontrato un uomo più dolce, e più sensibile. Allora, visto che
avevamo finito, mi sono alzata e gli sono andata dietro le spalle, gli ho fatto
un massaggio lentissimo con le dita e gli ho chiesto di raccontarmi la sua
giornata. Sono brava a fare i massaggi, mi hanno sempre detto che ho delle mani
sicure, e calde. Lui si è rilassato e ha lasciato andare la testa indietro,
sospirando. Poi mi ha descritto lentamente tutto quello che aveva fatto. Senza
fretta, si godeva quel massaggio che era anche una specie di carezza, e anche il
fatto che mi potesse raccontare le sue cose, e che ci fosse qualcuno a cui
interessava saperle. Io l’ho capito, l’ho capito bene. E a un certo punto si
vedeva che era quasi commosso, più per questo che per il massaggio, forse… ma
anche per il massaggio, sì…
E
mi ha fermato e mi ha fatto sedere sulle sue ginocchia e mi ha sfiorato il viso
con le labbra, e si vedeva che voleva baciarmi e alla fine lo ha quasi fatto, mi
ha baciato appena la bocca, ma sono stata io, allora, che mi sono tirata
indietro, anche se lo desideravo tanto anch’io, perché anch’io ho dei
sentimenti e non mi può baciare così e poi lasciarmi andare, perché se mi
bacia così poi io provo molte più cose di quelle che prova lui e non ha il
diritto di farmi innamorare se non s’innamora anche lui di me.
Non
gliel’ho spiegato, ma credo che abbia capito. Lo so che l’ha capito. E per
un attimo ha avuto quasi paura che non volessi baciarlo più, gliel’ho letto
negli occhi.
Ma
non corre questo rischio, anche se non lo sa, perché ora che mi guardo indietro
e penso alla prima volta che l’ho visto, due mesi fa, quando ancora non lo
conoscevo, penso che se avesse attraversato la strada così com’era e mi fosse
venuto incontro e mi avesse baciato davanti a scuola senza dire niente, io
l’avrei lasciato fare e gli avrei risposto, così com’ero, lui in uniforme
davanti a tutti e io con i libri sotto braccio davanti alla III B.
Domani
ha mezza giornata libera, e andiamo a pranzo al mare.
17
novembre 2002, domenica mattina.
Stanotte
mi ha accompagnato fino al portone e se n’è andato, ma avrei voluto che
salisse, e anche lui. Non lo so cosa stiamo aspettando ancora, ma non è più
come prima, quando ci stavo male perché non sapevo cosa provava per me. Ora sto
bene, e quasi mi piace quest’attesa. Forse è anche per questo che è bello,
perché c’è questa tensione dolce, questa voglia di stare insieme, questo
bisogno di qualcosa di più che è così tenero, e struggente, e travolgente, a
volte… e quasi lo facciamo apposta a rimandare, non so, perché vogliamo
goderci ogni minuto, ogni istante, ogni parola insieme. Se penso che sono pochi
giorni, solo pochi giorni.
Mi
ha portato al mare, venerdì, e abbiamo pranzato in un ristorante di pesce, dove
eravamo gli unici due clienti. Lo credo, a novembre sul lungomare… C’era un
silenzio surreale, quando siamo andati a passeggiare, e sole che spuntava da
dietro le nuvole, odore di salsedine. Ci siamo seduti a guardare il moto delle
onde, sul relitto di un pedalò. Appoggiata con la schiena contro il suo petto
ho aspettato che mi abbracciasse. Poi mi sono girata e l’ho baciato io. Ci
siamo baciati a lungo, piano, talmente piano.
Dobbiamo
dirci tante cose, ancora. Proprio tante. Alcune gliele ho raccontate, e anche
lui a me. Ma non sono tanto gli eventi che raccontiamo, quanto gli stati
d’animo. Non voglio sapere quante donne ha avuto e non ho voglia di fargli la
cronaca dei miei amori. Nessuno era come lui.
Per
nessuno ho provato mai quello che provo ora, ed è per questo che a volte mi
assale di nuovo la paura. Ma cerco di rimanere coi piedi per terra: stiamo
cercando di meritarcelo, tutti e due, quello che ci accade. Forse un giorno potrò
dirgli che lo amo, potrò dirlo a me stessa. Forse potrei dirglielo già ora.
Forse.
Ieri
sera eravamo a cena da Manuela e Andrea, e non riuscivamo quasi a parlare e
ridere come prima. Eravamo troppo vicini, troppo inquieti. Se ne sono accorti
anche loro, e non hanno detto niente, ma li ho sorpresi a sorridersi, a un certo
punto. Andrea ha preso per le spalle Nicola e lo ha portato a giocare per forza
coi videogiochi, dopo cena, ridendo in silenzio mentre lo spingeva a
destinazione. Io ho scosso la testa e ho finto di non guardarli mentre portavo
via i bicchieri. Ma un po’ soffrivo perché me lo portava via.
E
non ci avevano visto un’ora prima, quando siamo rimasti soli nella mansarda
perché loro erano andati a prendere il vino. Credo che non ci abbiano visto,
almeno, perché io non li ho sentiti entrare, e ci eravamo appena staccati
quando Manuela ci ha raggiunto in terrazza. E’ stato lui a baciarmi per primo,
stavolta, e lo ha fatto in un modo che mi ha fatto dimenticare dove eravamo.
Però,
quando sono arrivati loro, ero quasi io la più padrona di me. Lui era turbato,
e non mi guardava, davanti a loro. Possibile che provi quello che provo io? E’
questo che succede, quando ci s’innamora tutti e due? E’ bellissimo se è
questo, è bellissimo se davvero lo è.
A
me non era mai capitato. Ma nemmeno a lui, credo. E pensare che abbiamo
trent’anni tutti e due. Se passava un altro po’ di tempo ci andavamo in
pensione. Uno di questi giorni glielo dico.
Domenica
sera. Il 17 novembre.
Sono
preoccupato perché Nadia non arriva. Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo
visti quando io finivo di lavorare alla sera e che sarebbe passata lei davanti
alla caserma. Giusto per stare un po’ assieme senza fare un orario improprio:
lei domattina lavora. Strano, perché non mi sembrava una che ritarda. Comunque
adesso sto seduto su una panchina che fa un freddo cane, lei non risponde al
telefono e neanche ai messaggi. Un altro quarto d’ora e poi però me ne vado a
casa: fa troppo freddo. Da quando la conosco ho sfiorato la polmonite almeno un
paio di volte, tra pic nic e passeggiatine notturne. E poi chi mi vede ride: un
Carabiniere grande e grosso seduto su una panchina a scrivere su dei fogli
appoggiandosi al cappello. Devo essere totalmente rimbecillito. Mi sono messo a
fare il romantico: il mare, le notti stellate, i baci all’aria aperta...
Com’è che fa quella canzone? “guarda ‘o mare quant’è bello... spira
tanto sentimento...” Gliela devo cantare a Nadia: per vedere che faccia fa e
se mi piglia per matto. La prossima volta che andiamo al mare gliela canto. Però
andare al mare con lei mi è piaciuto. Non saprei dire di preciso come è stato,
però è stato e tanto basta. Il mare d’inverno è bello. D’estate anche, ma
c’è troppo casino. A me piacciono le spiagge libere, isolate e magari con i
campi attorno come si potevano trovare 50 anni fa, magari. Non ci andavo da
anni: l’ultima volta che ci sono andato era d’estate
ed era con mia sorella e i due che ancora non stavano assieme. Un
inferno. Una quantità impressionante di mosconi vicino a Diana, lei che
sembrava pure compiaciuta e Manuela che ha scassato l’anima al mondo intero
col suo Super Liquidator (*); e Andrea che ha passato tutto il tempo a pancia
sotto a causa del due pezzi con le stringhe lente di Manuela che non si capiva
come facesse a stargli su. E io che gli dicevo: guarda che se vai avanti così
ci fai un buco tanto su quell’asciugamano, un buco neanche adatto allo scopo,
non fai prima ad avvicinarti e scioglierle del tutto quelle stringhe? E mi
prendevo pure del cretino insensibile perché certe cose non si fanno, ma come
ci rimarrebbe lei, e pugnette del genere. Ma vai, vai! E così è tornato a casa
con una scottatura splendida: un po’ d’olio e un po’ di sale, qualche
aroma e era pronto per essere mangiato. E la sua degna compare che ha avuto pure
il coraggio di chiedergli tutta innocente perché non si era girato mai. Svegli
come il cucco tutti e due. Per fortuna mo’ dovrebbero essere rinsaviti, spero.
Comunque andare al mare con Nadia è stato bello. E’ dolce lei. Ed è ancora
in ritardo. Strano. L’aspetto un altro po’.
Comunque
oggi è stata una giornata un po’ del cazzo. Voglio dire: io sarei stato da
tutt’altra parte. Ieri sera mi sono dato dell’imbecille perché non sono
salito a casa sua. C’avrei avuto voglia, tanta voglia. In questi giorni mi ha
scombussolato. Da ieri sera, poi, sono proprio fritto e rosolato, credo. Se
stavamo al mare ieri sera mi toccava pure a me di mettermi a pancia sotto
sull’asciugamano. “Per fortuna” stavamo su in mansarda
e “per fortuna” c’erano altre persone. Non so se sia stata davvero
una fortuna. A me sarebbe piaciuto. Di sicuro se stavamo da qualche altra parte
non so se gliela facevo a contenermi. Non è che poi mi sia contenuto ‘sto
granché. E’ stato bello. Non lo so perché poi non sono salito da lei. Mi ci
sono affezionato. Che poi non è neanche vero, per niente vero. Mi ci sono
affezionato si dice ai cani, non a una donna che... Boh, non lo so. Mi sto
facendo troppe paranoie, questo è sicuro. Però adesso c’ho voglia di
vederla. Tanta. E mi sto pure preoccupando: è un’ora che l’aspetto e non si
ritrova né a casa né al cellulare. Sì, comincio davvero ad essere
preoccupato. Oh, magari c’ha messo solo parecchio tempo a vestirsi o non ha
guardato l’orologio. E in più fa sempre un freddo cane: si gela. Il fatto è
che sto pure appiedato perché oggi mi è passato a prendere Andrea. Merda. Per
tornare a casa mia non è un problema, ma il fatto che Nadia non si ritrovi e
sia pure in ritardo mi fa preoccupare.
Comunque
oggi in caserma solite otto ore di turno. Niente di sconvolgente: tutto
risolvibile secondo manuale e senza sforzo eccessivo. Mi piacerebbe lavorare con
Montalbano. Vabbè che è della polizia e che è pure finto, ma sarebbe gustoso.
Qui invece funziona ancora tutto da manuale.
Forse
quello è il pandino di Nadia. Sì, dal rumore è lui. Spero.
(*) La citazione del Super Liquidator è un affettuoso omaggio a Sonia e a Bei-Watches ep. 6, tormentone estivo dello scorso anno comparso sul sito di Alex La leggenda di Versailles e su questo nella sezione Fun corner
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