Oltre il margine del silenzio
(due pagine sulla scomparsa di Petrassi, Chailly, Leydi, Berio)

 

 

in Ultrasuoni/Alias n. 28, il manifesto del 12 luglio 2003


 

Nel giro di pochi mesi sono scomparsi diversi protagonisti della musica contemporanea. Goffredo Petrassi, decano della rinascita italiana, Luciano Chailly, operatore culturale e raffinato compositore, Roberto Leydi, etnomusicologo, cantastorie, ‘archivista’, memoria storica della musica popolare; ed infine Luciano Berio, in un momento particolarmente felice della sua carriera.

Ognuno di questi agitatori culturali è arrivato col suo lavoro al di là dei confini nazionali, lasciando opere, sollecitazioni, input culturali che sono ben al di là dall’essere analizzati ed esauriti.

Divulgatori dell’idea di musica come cultura, lasciano di importante proprio l’acquisizione che l’approccio contemporaneo non possa che essere prospettico, stratificato, rizomatico.

Operando in scuole internazionali, in università prestigiose, sono stati a seconda dei casi veri e propri caposcuola, divulgatori, accattivanti trascinatori in grado di innescare reazioni a catena e provocare ricadute in ogni campo dell’arte.

La scomparsa di questi grandi sollecita ad una riflessione ormai non ulteriormente rinviabile: quella sulla storicizzazione della musica di ricerca, la quale parrebbe aver esaurito un filone, perché giunta all’affinamento delle tecniche strumentali e, con Cage ed Evangelisti, alla crisi dei linguaggi lineari fino a rasentare il margine estremo del silenzio. La nuova ricerca, quella raccolta in parte anche dagli allievi di questi grandi Maestri, pare oggi orientarsi nel perfezionamento di un linguaggio che coniughi memoria, semplicità, tecnologia e raffinatezza, e nello sforzo di raggiungere il grande pubblico attraverso tutti i nuovi media.

 

 

GOFFREDO PETRASSI

 

Fogli pentagrammati

La storia di Petrassi, nato a Zagarolo vicino Roma nel 1904, comincia in un negozio di musica, dove comincia a lavorare a quindici anni, mantenendosi per un circa un decennio agli studi di armonia (con Vincenzo di Donato) , organo e composizione al Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Di lui uno dei più attenti critici musicali, Fedele D’Amico, scrisse: «tra i compositori d’ogni paese nati in questo secolo Petrassi è uno dei due o tre maggiori; è ormai constatazione comune che sarebbe ozioso ripetere». Nel 1932, al termine degli studi di composizione, Petrassi viene subito riconosciuto come autore significativo. L’ imprimatur gli verrà conferito da un altro grande musicista, Alfredo Casella, allievo di Gabriel Fauré, che dirigerà nel giugno del 1932 la Partita per orchestra all’importante festival SIMC di Amsterdam. Nel 1935 Casella porterà la Partita sia a Mosca che a Leningrado facendo conoscere Petrassi al pubblico internazionale.

 

Barocco d’autore

Alfredo Casella, il cui “dubbio tonale” instillato da Arnold Schönberg era stato risolto nell’uso di poliarmonie, aveva già dato un forte contribuito alla rinascita della musica italiana, non senza ammiccamenti al neoclassicismo. Petrassi, avendo assorbito la lezione di Casella, inizialmente produce musica che viene etichettata come neoclassica e neobarocca. La sua attenzione compositiva è per la ricerca timbrica, per gli intrecci contrappuntistici che in taluni casi diventano preziosi madrigalismi. Petrassi produce innumerevoli opere importanti, da Il cordovano a La Follia di Orlando, dal Quarto Concerto commissionato dalla Rai alla Serenata, dal Magnificat al Grand Septuor scritto per Radio France. Una eccezionale longevità anagrafica ed artistica gli consente di radicarsi profondamente nel tessuto musicale italiano, e di essere considerato come uno degli artefici di una “rinascenza” dei linguaggi.

 

Feste di compleanno

In occasione del suo ottantesimo compleanno, nel 1984, le più prestigiose istituzioni musicali italiane gli dedicano concerti monografici, rivisitandone il ricco catalogo.

Quando nel luglio del 1999 compie novantacinque anni dichiara piccato che quella di “musica classica” è una sorta di “etichetta-patacca culturale” di cui la musica del Novecento non ha alcun bisogno; che la  commistione tra i generi musicali  è una sorta di massificazione dei consumi e che la globalizzazione delle arti e della cultura “potrebbe far danno all’intelligenza”. E tuttavia ancora indica in Stravinskij una fonte di grandi sollecitazioni per la musica del Novecento. Petrassi, pur intuendo la necessità di ripartire da eclettismo e arte della citazione, non coglieva poi fino in fondo la portata del discorso multiculturale e la ricaduta comunitaria della massificazione tecnologica; il dato di fatto che a spinte conservative nell’area della ricerca pura si contrapponevano ormai nuove figure d’autore in grado di raggiungere un pubblico più vasto con il melting pot dei linguaggi.

Dell’uomo si deve  ammirare la capacità di volare alto e parlare chiaro (celebri le sue invettive contro i politici all’italiana). Del compositore apprezzare quelle doti che a posteriori possono definirsi preveggenti rispetto all’attuale “stato dell’arte”:  l’eclettismo, la predilezione per Stravinskij, Hindemith, Bartòk; in generale la capacità di saper giocare con l’abbondanza delle timbriche, ma anche con la sintesi e l’astrazione. Cose che meriterebbero forse una rilettura già ‘storicizzata’ dell’opera, dato che Petrassi ha avuto un singolare merito: trasformarsi ancor vivo in icona, memoria storica, grande patriarca. Quasi un classico tra i contemporanei.

 

 

 

LUCIANO CHAILLY

 

Il mulino e don Gesualdo

Chailly, nato a Ferrara nel 1920, violinista e compositore studiò, fra gli altri, con Paul Hindemit dopo gli studi in Lettere ed i corsi in conservatorio con Carlo Righini e Renzo Bossi. E’ stato tra i più importanti protagonisti della vita culturale e musicale italiana, con incarichi di direzione in RAI, e ricoprendo le cariche direttive del Teatro alla Scala, dell’Angelicum di Milano, dell’Arena di Verona e di altre prestigiose Istituzioni musicali italiane. Contemporaneamente svolgeva una attività di insegnamento della Composizione ai Conservatori di Perugia e Milano, ed all’Istituto universitario di Paleografia musicale di Cremona.

Tra i suoi molteplici interessi, fu commissario della Sezione lirica alla SIAE, e poi Commissario tecnico d’ufficio per i tribunali in importanti cause per plagio. Tra queste quella celebre tra Albano e Michael Jackson. Scrisse tredici opere liriche, balletti (tra cui L’urlo e Anna Frank), molti lavori sinfonici, tra cui le importanti ed eseguitissime Sonate tritematiche, sorta di esplicito omaggio al suo maestro Hindemith. Compose ancora pezzi da camera e composizioni sinfonico-corali, tra cui la Missa Papae Pauli e il Kinder-Requiem. Chailly fu anche apprezzato autore di colonne sonore di sceneggiati tv: sue sono le musiche per Mastro don Gesualdo e Il mulino del Po. Pochi ricordano oggi che il Maestro si dedicò anche a “commenti sonori” su liriche o testi di Dostoiewski, D’Annunzio, Pavese, Wilde, pubblicandole per la mitica etichetta “La voce del Padrone”, per la PDA, per la Decca...

 

Cronache

Chailly fu un eccellente divulgatore di idee musicali, fervente propugnatore della necessità di aperture a tutto tondo: un esempio ne sono le Cronache di vita musicale, il suo Buzzati in musica, il volume Le variazioni della fortuna pubblicato da Camunia nel 1990. Molteplici suoi saggi sono ospitati dalle principali riviste di settore. Nell’ultimo periodo della vita si occupò delle estetiche del plagio, collaborando con l’estensore di questa nota ad un volume monografico pubblicato dell’Editore Liguori di Napoli e che costituisce la sua ultima pubblicazione in vita. Del suo lavoro si sono occupati i più importanti critici e storici della musica italiani, da Massimo Mila a Fedele D’Amico e Lorenzo Arruga. Quando lo contattai nel 1992 in occasione di un libro dedicato ai principali compositori italiani contemporanei, poi pubblicato da Flavio Pagano Editore, mi spedì per la sua “autoanalisi” il breve frammento biografico che segue.

 

Da Pirandello

 «Sogno (ma forse no)  segnò un momento importante della mia evoluzione, e precisamente l’inizio - se non è troppo presuntuosa la definizione - di una terza maniera. La prima era stata quella neoclassica, posthindemithiana. La seconda era stata di marca dodecafonica. Questa terza, da un punto di vista espressivo, era di ‘allucinazione sonora’ e da un punto di vista tecnico di stemperamento del serialismo su strutture, se non sempre deformate, deformalizzate. Mi trovai, spiritualmente, in una fase di raro appagamento. Un appagamento indipendente dal valore che potesse avere o meno quell’opera, ma causato dalla scoperta in me di forze nuove, fresche, di richiami epifenomenici che mi avevano condotto (e grazie questa volta alla fortuita proposta di Prinzhofer) ad un raffinamento dello stile, del modo di porgere, del modo di “darsi”. E mi facevano molta rabbia (lo confesso) quelle frasette su certi dizionari italiani che con giudizio frettoloso e riduttivo mi consideravano un musicista di puro istinto, senza problemi» (tratto da L. CHAILLY, Le variazioni della fortuna, Milano 1990, Camunia, p. 139).

 

 

 

LUCIANO BERIO

 

Allez-Hop

Uno strano alone circonda il nome di Berio. Un’aura di rispetto e intoccabilità che forse trova una ragione nella sostanziale inattaccabilità del lavoro compositivo, dal credito internazionale che il compositore aveva guadagnato con attenzione, dalle prestigiosissime collaborazioni inanellate durante la sua carriera, forse in parte anche dai modi un po’ burberi degli ultimi anni.Una sorta di ‘vaporosità’ o intangibilità delle strutture costituisce a un tempo sia la base del suo comporre che l’architettura dei lavori divulgativi che a lui si ispirano o che da lui sono stati propiziati.

Dopo aver studiato con il padre, con Giorgio Federico Ghedini a Milano e con Luigi Dallapiccola negli Stati Uniti, insegnò nelle più prestigiose strutture, dalla Julliard School di New York alla Harvard University. Il suo catalogo riempie diverse pagine, dalle Sequenze alle opere elettroacustiche dai Quaderni ai lavori teatrali, da Allez-Hop a Ofanim, dai celebri Folk songs al Coro su testo di Pablo Neruda.

Formidabile agitatore culturale, dotato di una inesauribile curiosità verso ogni campo dell’arte e di una volontà ferrea, ha attinto da qualsiasi fonte musicale, di natura popolare (canti di venditori ambulanti) o acusmatica, ‘leggera’ (Beatles) o seriale,  esplorando le possibilità degli strumenti tradizionali fin quasi all’esaurimento delle loro stesse possibilità.

 

Leydi il cantastorie

I suoi compagni di percorso sono stati Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Italo Calvino, Renzo Piano, Roberto Leydi, la grande Cathy Berberian, solo per citare i più noti. Tra gli Autori che si sono occupati del suo lavoro musicale spiccano Fedele d’Amico, Massimo Mila, Luigi Rognoni, David Osmond-Smith, Philippe Albèra, Thomas Gartmann.

Tra questi è forse il caso di segnalare il formidabile ricercatore e ‘cantastorie’ Roberto Leydi, scomparso poco prima di Berio. «Roberto l’ho conosciuto da sempre -scriveva il Maestro in ricordo dell’amico-. Con lui ho vissuto la Milano di quegli anni - circa dal 1946 al 1964 - una Milano che ho amato molto e che amo sempre ricordare: la Milano di Giorgio Strehler, di Paolo Grassi, di Bertold Brecht (che incontrammo assieme). Roberto raccoglieva tutto. Il suo archivio io non l’ho mai visto ma credo di poterlo immaginare, nella sua diversificata vastità». Umberto Eco, nella sua “bustina” ricorda di Leydi un corso tenuto all’Università di Bologna: «ci ha fatto rivivere, attraverso brani musicali sempre originali, commoventi e sublimi nel loro gracchiare a settantotto giri, tutta la storia di un’epoca, collegando Kurt Weill alla musica dodecafonica, alle vicende politiche, alla letteratura di un’epoca. Una esperienza indimenticabile. Con leggerezza, gaiezza, sicurezza di giudizio critico, senso del teatro e documentazione eccezionale, ci ha dato l’ultima possibilità di intrattenerci con lui, conversatore dotto e trascinante». Franco Fabbri, uno dei più attenti studiosi di popular music, scrive che «Leydi, oltre a produrre lavoro di ricerca importantissimo sulla musica di tradizione popolare,  ha svolto una funzione preziosa all’Università di Bologna incanalando assieme ad altri colleghi gli interessi di decine, centinaia di studenti che si aspettavano di potersi occupare lì anche di rock, di canzone, e che non ne trovavano traccia negli insegnamenti ufficiali». In una intervista inedita pubblicata da Helmut Failoni su queste pagine, Leydi racconta come John Cage avesse convinto, ai tempi di “Lascia o raddoppia”, Cathy Berberian, compagna di Berio, a tornare a cantare  e dedicarsi alla musica contemporanea. Uno strepitoso feedback dovette prodursi in quegli anni dall’incontro tra queste eccezionali figure creative.

 

Nemici come prima

Singolare incontro-scontro fu invece quello avvenuto fra Luciano Berio ed il critico Fedele d’Amico, da poco disponibile nella sua integrità (Milano 2002, Archinto). Nel leggere le lettere dapprima assai stizzite, poi molto più blande e ‘collaborative’, si desume quanto le posizioni di d’Amico possano oggi essere lette col senno di poi, e risultare più convincenti rispetto ad alcuni rigorismi dello sperimentalismo di quegli anni. Ma quel che più ha rilievo qui è notare quanto grave e aspra fosse la posizione di Berio nei confronti di Luigi Nono: «un individuo come Nono dovrebbe starsene a casa in attesa dell’assegno trimestrale da Los Angeles e non squalificare il movimento dei giovani con la sua presenza infantile», o del geniale Franco Evangelisti: «se l’arbitrario sussiste deve esserci di mezzo un marziano (qualcuno cioè incapace di elaborare connessioni storiche su scala umana) o un Evangelisti»; infine contro Mario Bortolotto, a causa del suoFase Seconda , considerato oggi opera fondamentale per comprendere la musica di quel periodo, evidentemente contrassegnato da turbolenze e passioni oggi sconosciute.

 

L’avventura elettronica

Non è forse un caso che la pubblicazione del lavoro svolto allo Studio di Fonologia di Milano della Rai sia avvenuta pochi mesi prima della scomparsa del Maestro, seguendo di due anni l’uscita di un’altra opera indispensabile, Nuova musica alla radio (Roma 2000, Rai Eri), come se un cerchio dovesse chiudersi. L’avventura dello Studio durò per alcuni anni, e fu la risposta italiana ai già decollati laboratori di Parigi e Colonia. Lì Berio e Maderna misero a punto quella che viene considerata, forse a torto, come la prima opera elettronica italiana: Ritratto di città, su testo di Roberto Leydi letto dagli speakers Nando Gazzolo e Ottavio Fanfani. La voce solista è quella di Cathy Berberian. Ascoltato oggi il radiodramma appare piuttosto invecchiato, molto più delle opere di Pietro Grossi, altro pioniere elettronico. Dopo Ritratto di città Berio creò altre composizioni elettroniche: Mutazioni, Perspectives, Thema (Omaggio a Joice), Momenti, Visage, Chants paralleles. In un suo ritratto-intervista scritto da Leonardo Pinzauti ed estrapolato da C’erano una volta nove oscillatori... (Roma 2002, Rai Eri), storia dello Studio di Fonologia, emerge tutta l’irrisolta complessità di Luciano Berio, e forse anche l’unico punto debole della sua estetica: «Mi interessano i documenti, il contesto che li produce e la generazione di contesti differenti che possono trasformare quei documenti, con tutto il rispetto che è loro dovuto. E poi mi interessano tutte le tecniche vocali autentiche, quelle cioè non influenzate dall’opera devastatrice e cretina delle canzonette della radio e della televisione». Era ancora il 1969.

   

(BOX: gli eredi)

Il magistero di Goffredo Petrassi ha lasciato segni profondi in compositori come Cornelius Cardew, Peter Maxwell Davies, Franco Oppo, Aldo Clementi, Ada Gentile, Domenico Guaccero, Ennio Morricone. La sua lezione si è ampiamente propagata anche in Europa, a partire dai prestigiosi corsi tenuti al Mozarteum di Salisburgo. Tra i suoi numerosissimi allievi figurano Mario Bertoncini e Mauro Bortolotti, tra i fondatori di “Nuova Consonanza”, storica associazione romana; Daniele Bertotto;  Marcello Panni; Boris Porena, a sua volta caposcuola importante; l’elettronico Fausto Razzi; Vieri Tosatti; Ivàn Vàndor; Rolv Yttrehus (noto per la direzione dello studio di musica elettronica dell’Università del Wisconsin). Il musicologo Renzo Cresti nota molte vicinanze tra l’apprendistato di Donatoni e il magistero di Petrassi. 

Di Luciano Chailly non possono non essere ricordati i due figli Riccardo e Cecilia, entrambi musicisti di grande spessore, operanti ormai in aree un po’ differenziate. 

Allievi di Berio sono invece Angelo Paccagnini che ha studiato anche con Bruno Maderna; tra gli italiani,  Luca Francesconi ne è collaboratore, e Ludovico Einaudi allievo “divergente”; tra gli americani studiano con Berio Carman Moore, che fu allievo anche di Vincent Persichetti, ispirandosi compositivamente alle proprie origini di nero d’America, e il grande Steve Reich, tra i primi musicisti ad adottare apparecchiature elettroniche in performances dal vivo, onde riprodurre ripetizione e diffrazione temporale anche attraverso l’uso di nastri. 

Nell’ottica della musica attuale, data per già assimilata la lezione di Steve Reich, non resta che da verificare la longevità del neo-semplicismo di Ludovico Einaudi, che talora riesce a coniugare facilità, comunicazione e densità di linguaggio come nel meravigliosoStanze, grazie anche allo splendido apporto dell’arpa della figlia di Luciano Chailly, Cecilia. Altrove Einaudi si rifugia in ballate radiogeniche che non paiono in grado di reggere il confronto con la produzione di altri artisti di frontiera.

 

(BOX: i dischi)

GOFFREDO PETRASSI, Toccata e altre opere pianistiche, in Petrassi/Dallapiccola, “Klavierwerke”, Ruggero Ruocco (Fono Ars) 

LUCIANO CHAILLY - Sonate tritematiche da camera. Vincenzo Balzani, duo Magenda-Guarino, Carfi-Fedrigotti, Lorenzini-Fedrigotti (vinile Rusty-Records) 

LUCIANO CHAILLY, “Musica 71-75”. Quartetto della Scala, Trio di Como, i solisti dell’Angelicum diretti da Riccardo Chailly (vinile Angelicum - STA 9046) 

LUCIANO CHAILLY, Sonata tritematica, cd n. 003 allegato all’ Enciclopedia Italiana dei compositori contemporanei (Flavio Pagano Editore) 

LUCIANO BERIO, 6 Encores per pianoforte. J.L. Fafchamps (Sub Rosa) 

LUCIANO BERIO, Notturno (III Quartetto per quartetto d’archi). Alban Berg Quartett (EMI Classics) 

LUCIANO BERIO, Folk-Songs, in “Novecento”, Jard van Nes mezzosoprano, Riccardo Chailly, direzione (l’Unità Magazine) 

LUCIANO BERIO - BRUNO MADERNA - ROBERTO LEYDI, Ritratto di città, cd allegato al volume Nuova musica alla radio, Roma 200, Rai Eri) 

FRANCO OPPO, Trio II. Per viola, violoncello e contrabbasso, CD più spartito  (Campi Sonori, Edizioni Curci) 

STEVE REICH, Different trains; Electric Counterpoint. Kronos Quartet, Pat Metheny (Elektra Nonesuch) 

LUDOVICO EINAUDI, Stanze. Cecilia Chailly, arpa (Dischi Ricordi)

 

Autore: Girolamo De Simone

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