Concerto balocco. Strani passatempi del Novecento

(speciale ultrasuoni su musica e giocattoli) n. 49 del 14 dicembre 2002
 

Quanta musica è stata concepita quasi per gioco? Quali brani mantengono la promessa didascalica di ‘scherzo’ o ‘divertimento’? Il catalogo è ricco, non resta che tuffarci nella produzione del Novecento, un ludus epidermico, talvolta razionalistico, un tracciato che parte dal 1901 e arriva fino al 2002.  

Giochi in società
Erik Satie
, nella raccolta dedicata agli “Sport e divertimenti”, pubblicata nel 1919 ma composta ben cinque anni prima, raccoglie passatempi e giochi di società, avvalendosi delle illustrazioni di Charles Martin (ora reperibili in un volume pubblicato dalla Dover, New York, 1992): “Le Feu d’artifice” (Il gioco... pirotecnico); “La Balancoire” (l’altalena); “Les Quatre-coins” (i quattro cantoni); “Colin-Maillard” (moscacieca); “Le traineau” (lo slittino) e numerosi giochi sportivi, tra cui golf, yachting, tennis... Si tratta di piccoli brani della durata di una sola pagina, con incisi abbastanza ripetitivi nell’inconfondibile stile ironico dell’ispiratore del Gruppo dei Sei. I disegni di Martin, godibilissimi, richiamano nello stile grafico le... avventure del Signor Bonaventura! I testi aggiunti da Satie tra i righi musicali mostrano la passione dei circoli culturali dell’epoca per le poesie Haiku. Ecco quello di “Moscacieca”: «Cerchi bene, signorina / Colui che l’ama non è lontano / Com’è pallido: le labbra gli tremano / Le viene da ridere? / Lui si tiene il cuore con tutte e due le mani / Ma lei passa oltre senza accorgersene». Ed i “I quattro cantoni”: «I quattro topi / Il gatto / I topi stuzzicano il gatto / Il gatto si stira / Si allunga / Il gatto è in posizione». Ognuno di questi testi, qui proposti nella versione di Ornella Volta, viene sottolineato dalla musica, e spesso gli interpreti ne danno lettura nonostante una ironica proibizione dell’autore. 

Giochi di natura
Il medesimo alone sprigionato dal nonsense, un clima etnico, lo si ritrova nei numerosi strumenti a vento usati per evocare spiriti buoni o divulgare ovunque, grazie agli elementi sottili, i propri desideri e le proprie preghiere, come nel caso dei mille stendardi del Tibet. Carillon a vento, dall’emissione di suoni casuali ma armonici, sono tipici dell’oriente; arpe eolie erano già diffuse dal Diciottesimo secolo, corde e casse armoniche dal suono variabile a seconda dell’intensità del soffio; carillon ad acqua con campane di porcellana potevano funzionare nei parchi e nei giardini, mescolandosi al gioco dell’acqua. L’acqua, scodelle rovesciate con lentezza studiata, ha un ruolo primario anche nella musica sufi: Oruc Guvens ha un suo “suonatore d’acqua” che costella di ancestrali risciacqui gli ipnotici Maqam tradizionali (Red Edizioni).
Antesignani del gioco tintinnante dei carillon furono nel Settecento Matthias Van den Gheyen e Pothoff, mentre nel con il “jeu de timbres”, vale a dire con le campane del glockenspiel, si cimentarono insigni compositori, da Haendel  (Saul) a Mozart (Flauto magico), da Meyerbeer (Africaine) a Mahler (Settima sinfonia). Ad Haendel si deve anche l’utilizzo di veri fuochi d’artificio in Fireworks Music, ed al padre di Mozart, Leopold, la celebre Sinfonia dei giocattoli.
Non deve essere stato difficile, giunti ai primi del Novecento, recepire l’influenza dell’Oriente, almeno quanto oggi gli occidentali ne prendono le distanze: Debussy, Satie, Fauré soggiacciono alle effusività e coloriture etniche. Maurice Ravel scrive uno splendido brano, “Jeux d’eau” (1901) che suggerisce il movimento cristallino dell’acqua, disegnando con la mano destra, sugli acuti pianoforte, un elaborato ricamo di suoni cesellati come gocce. “Jeux d’eau” anticipa Debussy, ed è molto più evocativo di tanta musica a programma; il testo riporta una citazione tratta da Henry de Régnier: «Dieu fluvial riant de l’eau qui le chatouille...». 

Giochi di fuochi e carte
Igor Stravinskij
è uno dei musicisti del Novecento che, anche attraverso l’uso della citazione stilistica, rende centrale la tematica del gioco. “Feu d’artifice” (fuochi d’artificio, 1908) scritto nell’ultimo periodo di tirocinio con Rimskij-Korsakov è un gioco pirotecnico che, combinato in un concerto con lo “Scherzo fantastico”,  fu capace di conquistare al russo l’attenzione di  Sergej Diaghilev, e di lanciarlo verso la celebrità dei Balletti russi a Parigi.
Importante è poi “Jeu de cartes” (New York 1937), nel quale l’arte della citazione ironica raggiunge risultati sorprendenti e parossistici, attraverso riferimenti a Mozart, Rossini, Ciaikovski.
Un gioco più concettuale, ma non meno importante ai fini della scommessa teorica che poneva, ed in parte risolveva, fu quello di Paul Hindemith, che nell’epico “Ludus Tonalis” realizza un percorso alternativo a quello di Schoenberg, erigendo una sorta di ‘eterna ghirlanda’ concettuale a mo’ di sbarramento della dilagante moda dodecafonica, con Ernest Ansermet, Dmitri Schostakovic ed Igor Stravinskij. 

Giochi automatici
L’invenzione dei primi carillon automatici risale al tredicesimo secolo; funzionavano grazie ad un rullo con cunei fissi o mobili. Il loro nome viene probabilmente dal latino ‘quatrinio’ perché pare avessero un meccanismo a quattro campanelle. Molte volte sono stati usati nella musica, ed una loro evoluzione ha propiziato l’invenzione di veri e propri strumenti musicali, come il pianoforte a rullo. L’altra evoluzione del carillon è stata ludica: furono creati automi, orologi, giocattoli meccanici capaci di suonare. Tra i più famosi automatismi giocherelloni c’è la “pendola del pastore”, costruita nel 1750 da Pierre Jacquet-Droz ed ora conservata al Palacio Nacional di Madrid. E’ uno dei tanti giocattoli usati per sorprendere con la musica. Così la descrive Piero Rattalino: «In alto c’è un pastorello che suona il piffero... sotto il pastore due amorini sull’altalena; in basso, sotto il quadrante, un amorino con un uccello in mano, e una damina in atto di leggere un foglio di musica. Quando finiscono i rintocchi dell’ora, si sente suonare un carillon, mentre la damina si muove, battendo il tempo con la mano e inchinandosi; poi, l’uccello comincia a cantare... si mette quindi a suonare il pastorello, che soffia veramente nello strumento e muove le dita... a conclusione del tutto arriva un formidabile belato del montone».
Oggi Keith Tippett usa il carillon nelle sue improvvisazioni. Lo colloca all’interno della cassa armonica del pianoforte, in modo tale che possa essere ripreso dai microfoni, ed interagire con le corde lasciate libere dagli smorzatori; il risultato è un gioco di armonici nel quale si mescola una melodia meccanica, in genere notissima, con altri suoni acuti, fuori contesto, che inventano improbabili contrappunti, e complicano la lettura verticale delle trame melodiche. Il carillon interagisce anche con la velocità dell’improvvisazione live: quando sta per scaricarsi rallenta inesorabilmente...
Anche John Cage si  è dedicato ai carillon, concependo tra il 1948 ed il 1967 un intero ciclo intitolato “Music for Carillon nn. 1/5”. Cage si è spesso rivolto a stratagemmi giocondi, come nella “Suite per Toj Piano”  (1948), per pianoforte giocattolo, nella scia degli studi per pianoforte preparato, o come in “Empty Mind”, testo per un gioco d’ascolto.
Un vero e proprio ‘mecanium’, concezione molto ardita ed originale, è stato inventato da Pierre Bastien, che utilizzando pezzi del meccano costruisce nuovi strumenti musicali e scrive per essi inediti pezzi. Bastien raggiunge risultati interessanti, una musica che fonde ascendenze africane, il jazz delle origini e la minimal, come avviene nel disco “Musiques machinales” (1993, Saxophon & musique innovatrices, 11, place Jean-Jaurès - F 42000 St. Etienne).
Ultima filiazione della musica-giocattolo è forse quella prodotta su cd-rom. Qui spiccano “Love” e “Digital Tragedy”  (1997) di Michael Nyman, scritte per il video game Enemy Zero, e pubblicate in versione cartacea da Music Sales.
Brian Eno
ha prestato giocattoli al gruppo dei Simian, che ne hanno fatto largo uso in un recentissimo acclamato disco intitolato “We are your friends”. 

Giochi teatrali
Il più interessante teorico della necessità di mantenere un approccio giocoso al suono è il fiorentino Giuseppe Chiari, figura di spicco di Fluxus. Ha scritto  “Il Gioco” (ora in “Musica Et Cetera”, Edizioni dell’Ortica, 1994), considerato un classico del genere, nel quale si legge: «Qual è la forza del gioco? / La sua forza è l’isola. / Il gioco ignora dal momento in cui inizia il mondo intorno. / Per definizione. Per convenzione. / Si gioca.  E basta.». L’uso di giocattoli può realizzarsi, ad esempio, nel brano/happening di Chiari “Teatrino” per pianoforte e oggetti (realizzato da Frederic Rzwski a New York 1963, Firenze 1964,  Koeln 1965, Berlino 1965).
Giocattoli sonori sono usati da Giancarlo Cardini, ne “La festa dei rumori”, un antico esperimento, ed in altre composizioni. Il suo lavoro merita particolare attenzione: pianista extracolto e raffinato, interprete prediletto dai grandi autori dell’avanguardia sperimentalistica,  come compositore si è sempre ritagliato uno spazio originale, fuori dalle mode del momento. I suoi lavori sono delicati e preziosi, come dimostra “La stanza degli incanti” per pianoforte, fiori, luci, oggetti e giocattoli sonori (1987). Nella didascalia del brano si legge: «Stanza degli incanti e dei sogni. Stanza reale e stanza interiore. Spazio intimo, chiuso. Rituali fantastici, teneri e giocosi - con decorativi fogli colorati di carta velina appesi al pianoforte, biglie gettate dentro un bicchiere pieno d’acqua, un mazzo di fiori riflesso in uno specchio, girandole musicali...  Nella musica: non-sviluppo, ripetitività, circolarità. Frammenti iterati senza sosta, quasi come formule magiche, o come il roteare di un caleidoscopio». Più orientato verso il teatro musicale, invece, è il brano “Neo-Haiku Suite” per pianoforte, fiori, luci, oggetti e due esecutori (per inciso i due esecutori storici, con tanto di kimono, sono stati lo stesso Cardini e Sylvano Bussotti). Numerose composizioni ed esecuzioni di Cardini sono pubblicate da Materiali Sonori di Firenze (www.matson.it) 

Giochi di repertorio
Il verbo ‘jouer’ in francese sta sia per ‘giocare’ che per ‘suonare uno strumento’, come del resto l’equivalente inglese “play”. Molti titoli sono ‘giocati’ sull’ambivalenza delle due azioni ‘suonare/giocare’, carattere ibrido che conferisce alla musica stessa un carattere ludico, e che assume via via i contorni di citazione, scherzo, gioco per gli occhi o ricamo canonico per divertire i bambini.
Tenendo conto di questo doppio significato è possibile tentare una carrellata sulla produzione contemporanea. In area colta, una sequenza di ‘giochi’: “Jeux de la nuit” per ensemble strumentale (Edipan), “Jeux de l’aube” per violoncello e chitarra (edizioni Pcc-Assisi), “Jeux du midi” per clarinetto e quartetto d’archi (Edipan), “Jeux des enfants selon Bruegel” per chitarra, tutti scritti fra il 1985 e il 1987 da Fernando Sulpizi, compositore perugino d’adozione, erede della scuola di Vito Frazzi e autore anche di “Ludus” teatrali, di molta musica per bambini e di un pezzo che gioca con i nomi di note forme musicali, “All’improvviso per divertimento uno scherzo”. Un “Play sax” ha scritto Franco Balliana (Sonzogno); e quattro “Playtime” (alcuni pubblicati da Edipan) per differenti organici sono firmati dal compositore Fernando Mencherini, scomparso nel 1997, allievo di Walter Branchi e propugnatore della necessità di un nuovo rinascimento strumentale.
Un “Girotondo”, per quartetto di chitarre, è di Giuseppe Zanaboni; un secondo “Girotondo” è quello di Bruno Zanolini, questa volta per coro infantile, pubblicato nel ricco catalogo della Suvini Zerboni. Un terzo “Girotondo”, in triplice versione, è l’opera in due atti di Fabio Vacchi, libera elaborazione di Roberto Roversi da Reigen di Schnitzler (Ricordi).
E ancora: la forma del ‘divertimento’ è stata trattata da Ivan Fedele, in “Divertimento” (1981, Suvini Zerboni) e da Massimo Coen, Piera Pistono, Bruno Nicolai, Gianni Luporini, Mauro Bortolotti (“Links, divertimento per archi”) e numerosi altri compositori; “Microdivertimenti” per organico strumentale, di Aurelio Samorì; “Pastorale e divertimento” per pianoforte a quattro mani (1969) di Matilde Capuis (Curci), compositrice di origini napoletane particolarmente nota in Germania: il titolo però allude alla forma del brano più che ad un programma, cosa che accade anche per moltissimi ‘scherzi’, tra cui quello scritto nel 1984 da Giuseppe Manzino per organo a quattro mani. Franco Piva ha prodotto nel 1985 le “Sonatine giocose concertanti” per ensemble strumentale, eseguite tra l’altro alla New York University, e le “Sonatine giocose” che possono essere adattate al pianoforte, al clavicembalo o al fortepiano. Ha poi composto delle “Variazioni giocose concertanti” per quindici strumenti ed una tetralogia giocosa intitolata “Novo Anphiparnaso”. “Tre giochi” op 58 per flauto e chitarra sono del versatile ed acuto Dimitri Nicolau. E ancora: “Puzzle sonore” di Leo Kupper; “Giochi” di Miriam Quaquero; “Players” di Paolo Renosto; “Solo Play” di Frederic Rzewski; “Gioco a cinque” e “Tempus Ludendi” di Giancarlo Schiaffini; “ ‘a pazziella ‘mmano ‘e creature” di Gianni Trovalusci; “Trottola” di Ruggero Laganà; “Carillon de Vòtre Faust” per cinque pianoforti preparati, di Daniele Lombardi; “Organon, ad mensura ludendum et semplicitate” di Roberto Lupi.
Il tracciato si chiude, naturalmente, con “The game is over” di Marco Tutino.

Autore: Girolamo De Simone

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