"Annales"
Libro XIII, 45
Sabina
Poppea
Quell’anno
ebbe inizio una spudoratezza di grandi sventure per lo Stato non di minor conto.
Si trovava in città Sabina Poppea, figlia di Tito Ollio - ma aveva assunto il
nome del nonno materno, alla memoria illustre di Poppeo Sabino, illustre per
l’onore del consolato e del trionfo; infatti l’amicizia di Elio Seiano mandò
in rovina Ollio, che non aveva ancora ricoperto cariche pubbliche. Questa donna
ebbe ogni altra qualità eccetto che un animo onesto. Infatti sua madre, che
aveva superato in bellezza tutte le donne del suo tempo, le aveva trasmesso il
buon nome ed allo stesso tempo la bellezza; i mezzi equivalevano la rinomanza di
stirpe. Aveva un tono affabile ed un’intelligenza affatto limitata. Ostentava
sobrietà di modi e si prestava a licenziosità. Raramente si mostrava in
pubblico, e dopo essersi per giunta velata una parte del volto, per non saziare
la vista, o perché così le si addiceva. Non si curò mai della sua
reputazione, dal momento che non faceva distinzione fra mariti ed adulteri; e
non sentendosi mai legata al suo o all’altrui affetto, laddove fosse apparsa
un’utilità, là indirizzava la sua passione. Dunque Otone riuscì a sedurla,
benchè vivesse sposata con Rufro Crispino, cavaliere romano dal quale aveva
avuto un figlio, grazie al suo ardore giovanile, allo sfarzo in cui viveva e
poiché era considerato essere amico intimo di Nerone: e non si aspettò di far
seguire il matrimonio all’adulterio.
Libro XIV
Progetti
per uccidere Agrippina
I
>Gaio
Vips[t]ano [C.] Fonteio consulibus diu meditatum scelus non ultra Nero
distulit, vetustate imperii coalita audacia et flagrantior in dies amore
Poppaeae, quae sibi matrimonium et discidium Octaviae incolumi Agrippina
haud sperans crebris criminationibus, aliquando per facetias incusare
principem et pupillum vocare, qui iussis alienis obnoxius non modo imperii,
sed libertatis etiam indigeret. cur enim differri nuptias suas? formam
scilicet displicere et triumphales avos, an fecunditatem et verum animum?
timeri ne uxor saltem iniurias patrum, iram populi adversus superbiam
avaritiamque matris aperiat. quod si nurum Agrippina non nisi filio
infestam ferre posset, redde[re]tur ipsa Othonis coniugio: ituram quoque
terrarum, ubi audiret potius contumelias imperatoris quam viseret
periculis eius immixta. haec atque talia lacrimis et arte adulterae
penetrantia nemo prohibebat, cupientibus cunctis infringi potentiam matris
et credente nullo usque ad caedem eius duratura filii odia.
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Quando
erano consoli Gaio Vipsanio e Caio Fonteio, Nerone non rinviò
ulteriormente quel delitto a lungo meditato, rafforzatosi la sua audacia
grazie all'esperienza di governo, di giorno in giorno sempre più ardente
d'amore per Poppea che, non sperando più ormai per se il matrimonio e per
Ottavia il divorzio finché Agrippina fosse ancora viva, accusava il
principe con dure critiche e talvolta con parole canzonatorie, e a
chiamarlo bamboccio, lui che, sottomesso agli altrui comandi, non solo
mancava dell'autorità imperiale, ma anche della libertà. Perché infatti
rinviare ancora le nozze? Evidentemente non gli piaceva la sua bellezza e
i suoi avi onorati con trionfi, oppure la sua fecondità e un amore
sincero. Si temeva che, come moglie, potesse rivelare le offese subite dai
senatori e l'ira del popolo contro la superbia e l'avidità della madre,
poiché, se Agrippina non poteva sopportare se non una nuora pericolosa
per il figlio, fosse essa stessa restituita al vincolo di Otone., sarebbe
andata in qualsiasi luogo della terra dove avrebbe ascoltato le offese
fatte all'imperatore, piuttosto che vederle di persona, coinvolta nei suoi
pericoli. Nessuno impediva queste simili parole che penetravano nell'animo
di Nerone per le lacrime e l'arte di un'adultera, desiderando tutti che la
potenza della madre fosse infranta, e non credendo nessuno che l'odio del
figlio si sarebbe spinto fino all'uccisione di lei.
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III
Igitur
Nero vitare secretos eius congressus, abscedentem in hortos aut Tusculanum
vel Antiatem in agrum laudare, quod otium capesseret. postremo, ubicumque
haberetur, praegravem ratus interficere constituit, hactenus consultans,
veneno an ferro vel qua alia vi. placuitque primo venenum. sed inter
epulas principis si daretur, referri ad casum non poterat tali iam
Britannici exitio; et ministros temptare arduum videbatur mulieris usu
scelerum adversus insidias intentae; atque ipsa praesumendo remedia
munierat corpus. ferrum et caedes quonam modo occultaretur, nemo
reperiebat; et ne quis illi tanto facinori delectus iussa sperneret
metuebat. obtulit ingenium Anicetus libertus, classi apud Misenum
praefectus et pueritiae Neronis educator ac mutuis odiis Agrippinae
invisus. ergo navem posse componi docet, cuius pars ipso in mari per artem
soluta effunderet ignaram: nihil tam capax fortuitorum quam mare; et si
naufragio intercepta sit, quem adeo iniquum, ut sceleri adsignet, quod
venti et fluctus deliquerint? additurum principem defunctae templum et
aras et cetera ostentandae pietati.
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Poi
Nerone evitava di incontrarsi con lei in luoghi appartati, la lodava
quando si ritirava nei suoi giardini o nella ville di campagna al tuscolo
o nelle terre di Antonia, perché si prendeva un po' di riposo. Alla fine,
pensando che ella sarebbe stata insopportabile ovunque si trovasse, decise
di ucciderla, esitando solo su questo punto, e cioè se ucciderla tramite
il veleno, un'arma o qualche mezzo violento. In un primo tempo decise per
il veleno, ma se il veleno fosse stato dato al principe durante un
banchetto non si sarebbe potuto attribuirlo al caso, poiché tale era
stata la mortae di Britannico; e sembrava difficile corrompere i servi
della donna, vigile per l'esperienza che aveva di delitti e, d'altra
parte, assumendo preventivamente deglia ntidoti, proteggeva il corpo.
Nessuno sapeva escogitare in che modo nascondere un delitto a mano
armata,e in più Nerone temeva che colui che fosse stato scelto per un
delitto così grande, si rifiutasse di eseguire gli ordini. Un piano
geniale lo propose il liberto Aniceto, comandante della flotta presso
Miseno, precettore dei figli di Nerone e e con reciproci sentimenti d'odio
verso Agrippina. Dunque spiegò che era possibile allestire una nave, una
parte della quale, staccata ad arte in mare aperto, scaraventasse in acqua
Agrippina senza che se ne accorgesse.: argomentò che non c'e niente tanto
capace di apportare disgrazie quanto il mare; e se fosse stata inghiottita
da un naufragio, chi sarebbe stato tanto malevolo da attribuire ad un
delitto ciò che i venti i flutti avevano causato? Il principe avrebbe poi
innalzato un tempio in onore della defunta per fare bella mostra del suo
affetto filiale.
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IV
Placuit
sollertia, tempore etiam iuta, quando Quinquatruum festos dies apud Baias
frequentabat. illuc matrem elicit, ferendas parentium iracundias et
placandum animum dictitans, quo rumorem reconciliationis efficeret
acciperetque Agrippina, facili feminarum credulitate ad gaudia. venientem
dehinc obvius in litora (nam Antio adventabat) excepit manu et complexu
ducitque Baulos. id villae nomen est, quae promunturium Misenum inter et
Baianum lacum flexo mari adluitur. stabat inter alias navis ornatior,
tamquam id quoque honori matris daretur: quippe sueverat triremi et
classiariorum remigio vehi. ac tum invitata ad epulas erat, ut occultando
facinori nox adhiberetur. satis constitit extitisse proditorem, et
Agrippinam auditis insidiis, an crederet ambiguam, gestamine sellae Baias
pervectam. ibi blandimentum sublevavit metum: comiter excepta superque
ipsum collocata. iam pluribus sermonibus, modo familiaritate iuvenili Nero
et rursus adductus, quasi seria consociaret, tracto in longum convictu,
prosequitur abeuntem, artius oculis et pectori haerens, sive explenda
simulatione, seu pe[ri]turae matris supremus adspectus quamvis ferum
animum retinebat.
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L'idea
geniale fu accolta, favorita anche dalle circostanze, dal momento che
Nerone celebrava presso Bala le feste quinquatrie. Qui attese Agrippina,
mentre andava ripetendo a tutti che si dovevano tollerare i malumori della
madre, e che gli animi si dovevano rappacificare; da ciò sarebbe sorta la
voce di una riconciliazione, ed Agrippina l'avrebbe accolta con la facile
credulità delle donne per le cose che suscitano piacere. Nerone, poi,
sulla spiaggia, mosse incontro a lei che veniva dalla sua villa di Anzio,
ed avendola presa per mano l'abbracciò e la condusse a Bauli. Questo è
il nome di una villa che è lambita dal mare, nell'arco del lido tra il
promontorio Miseno e l'insenatura di Baia. Era là ancorata, fra le altre
navi una più fastosa, come se anche ciò volesse rappresentare un segno
d'onore alla madre; Agrippina, infatti, era solita viaggiare su una
trireme con rematori della flotta militare. Fu allora invitata a cena,
poiché era necessario attendere la notte per celare un misfatto. È
opinione diffusa che vi sia stato un traditore e che Agrippina, informata
della trama, nell'incertezza se prestare fede all'avvertimento , sia
ritornata a Bala in lettiga. Qui le manifestazioni d'affetto del figlio
cancellarono in lei ogni paura; accolta affabilmente fu fatta collocare al
posto d'onore. Coi più svariati discorsi, ora con tono di vivace
famigliarità, ora con atteggiamento più grave, come se volesse metterla
a parte di più serie faccende, Nerone trasse più a lungo possibile il
banchetto; nell'atto poi di riaccompagnare alla partenza Agrippina, la
strinse al petto, guardandola fisso negli occhi, o perché volesse rendere
più verisimile la sua finzione o perché guardandola per l'ultima volta
il volto della madre che andava a morire sentisse vacillare l'animo suo,
per quanto pieno di ferocia.
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V
Noctem
sideribus inlustrem et placido mari quietam quasi convincendum ad scelus
dii praebuere. nec multum erat progressa navis, duobus e numero
familiarium Agrippinam comitantibus, ex quis Crepereius Gallus haud procul
gubernaculis adstabat, Acerronia super pedes cubitantis reclinis
paenitentiam filii et recuperatam matris gratiam per gaudium memorabat,
cum dato signo ruere tectum loci multo plumbo grave, pressusque Crepereius
et statim exanimatus est: Agrippina et Acerronia eminentibus lecti
parietibus ac forte validioribus, quam ut oneri cederent, protectae sunt.
nec dissolutio navigii sequebatur, turbatis omnibus et quod plerique
ignari etiam conscios impediebant. visum dehinc remigibus unum in latus
inclinare atque ita navem submergere; sed neque ipsis promptus in rem
subitam consensus, et alii contra nitentes dedere facultatem lenioris in
mare iactus. verum Acerronia, imprudentia dum se Agrippinam esse utque
subveniretur matri principis clamitat, contis et remis et quae fors
obtulerat navalibus telis conficitur. Agrippina silens eoque minus agnita
(unum tamen vulnus umero excepit) nando, deinde occursu lenunculorum
Lucrinum in lacum vecta villae suae infertur.
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Quasi
volessero rendere più evidente il delitto, gli dei prepararono una notte
tranquilla piena di stelle ed un placido mare. La nave non aveva percorso
ancora un lungo tratto; accompagnavano Agrippina appena due dei suoi
famigliari, Crepereio Gallo che stava presso il timone e Acerronia, che ai
piedi del letto ove Agrippina era distesa andava rievocando lietamente con
lei il pentimento di Nerone, e il riacquistato favore della madre; quando
all'improvviso ad un dato segnale, rovinò il soffitto gravato da una
massa di piombo e schiacciò Crepereio che subito morì. Agrippina ed
Acerronia furono invece salvate dalle alte spalliere del letto, per caso
tanto resistenti da non cedere al peso. Nel generale scompiglio non si
effettuò neppure l'apertura della nave, anche perché i più, all'oscuro
di tutto, erano di ostacolo alle manovre di coloro che invece erano al
corrente della cosa. Ai rematori parve opportuno allora di inclinare la
nave su di un fianco, in modo da affondarla; ma non essendo possibile ad
essi un così improvviso mutamento di cose, un movimento simultaneo ed
anche perché glia altri che non sapevano facevano sforzi in senso
contrario, ne venne che le due donne caddero in mare più lentamente.
Acerronia, pertanto, con atto imprudente, essendosi messa a gridare che
lei era Agrippina e che venissero perciò a salvare la madre
dell'imperatore, fu invece presa di mira con colpi di pali e di remi e con
ogni genere di proiettile navale. Agrippina, in silenzio, e perciò non
riconosciuta (aveva avuto una sola ferita alla spalla), da prima a nuoto,
e poi con una barca da pesca in cui si era incontrata, trasportata al lago
di Lucrino, rientrò nella sua villa.
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VI
Illic
reputans ideo se fallacibus litteris accitam et honore praecipuo habitam,
quodque litus iuxta, non ventis acta, non saxis impulsa navis summa sui
parte veluti terrestre machinamentum concidisset, observans etiam
Acerroniae necem, simul suum vulnus adspiciens, solum insidiarum remedium
esse [sensit], si non intellegerentur; misitque libertum Agermum, qui
nuntiaret filio benignitate deum et fortuna eius evasisse gravem casum;
orare ut quamvis periculo matris exterritus visendi curam differret; sibi
ad praesens quiete opus. atque interim securitate simulata medicamina
vulneri et fomenta corpori adhibet; testamentum Acerroniae requiri bonaque
obsignari iubet, id tantum non per simulationem.
|
Qui
ripensando alla lettera piena d'inganno colla quale era stata invitata,
agli onori coi quali era stata accolta, alla nave che, vicino alla
spiaggia e non trascinata da venti contro gli scogli, s'era abbattuta
dall'alto come fosse stata una costruzione terreste, considerando anche il
massacro di Acerronia e guardando la sua propria ferita, comprese che il
solo rimedio alle insidie era fingere di non aver capito. Mandò perciò,
il liberto Agermo ad annunciare a suo figlio che per la benevolenza degli
dei e per un caso fortunato , si era salvata dal grave incidente; lo
pregava, tuttavia, che, per quanto emozionato per il grave pericolo corso
dalla madre, non pensasse per ora di venirla a trovare, perché per il
momento lei aveva bisogno di tranquillità. Frattanto, affettando piena
sicurezza, si prese cura di medicare la ferita e di riconfortare il suo
corpo; un solo atto non fu in lei ispirato a simulazione, l'ordine di
recare il testamento di Acerronia e di porre i beni di lei sotto
sequestro.
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VII
At
Neroni nuntios patrati facinoris opperienti adfertur evasisse ictu levi
sauciam et hactenus adito discrimine, [ne] auctor dubitaret[ur]. tum
pavore exanimis et iam iamque adfore obtestans vindictae properam, sive
servitia armaret vel militem accenderet, sive ad senatum et populum
pervaderet, naufragium et vulnus et interfectos amicos obiciendo: quod
contra subsidium sibi, nisi quid Burrus et Seneca? [expurgens] quos statim
acciverat, incertum an et ante ignaros. igitur longum utriusque silentium,
ne inriti dissuaderent, an eo descensum credebant, [ut], nisi
praeveniretur Agrippina, pereundum Neroni esset. post Seneca hactenus
promptius, [ut] respiceret Burrum ac s[c]iscitaretur, an militi imperanda
caedes esset. ille praetorianos toti Caesarum domui obstrictos memoresque
Germanici nihil adversus progeniem eius atrox ausuros respondit:
perpetraret Anicetus promissa. qui nihil cunctatus poscit summam sceleris.
ad eam vocem Nero illo sibi die dari imperium auctoremque tanti muneris
libertum profitetur: iret propere duceretque promptissimos ad iussa. ipse
audito venisse missu Agrippinae nuntium Agermum, scaenam ultro criminis
parat, gladiumque, dum mandata perfert, abicit inter pedes eius, tum quasi
deprehenso vincla inici iubet, ut exit[i]um principis molitam matrem et
pudore deprehensi sceleris sponte mortem sumpsisse confingeret.
|
Nerone,
intanto in attesa della notizia che il delitto era stato consumato,
apprese che invece (Agrippina) aveva corso un pericolo così grande da non
farla dubitare intorno all'autore dell'insidia. Allora Nerone, morto di
paura, cominciò ad agitarsi gridando che da un momento all'altro
Agrippina sarebbe corsa alla vendetta, sia armando gli schiavi, sia
eccitando alla sollevazione i soldati, sia appellandosi al senato ed al
popolo, denunciando il naufragio, la ferita e gli amici suoi uccisi. Quale
aiuto contro di lei egli avrebbe avuto se non ricorrendo a Burro e Seneca?
Perciò fece subito chiamare l'uno e l'altro che forse erano già prima al
corrente della cosa. Stettero a lungo in silenzio per non pronunciare vane
parole di dissuasione o forse perché pensavano che la cosa fosse giunta
ad un punto tale che se non si fosse prima colpita Agrippina, Nerone
avrebbe dovuto fatalmente perire. Dopo qualche momento , Seneca in quanto
soltanto si mostrò molto più deciso, in quanto, guardando Burro, gli
domandò se fosse mai possibile ordinare ai soldati l'assassinio. Burro
rispose che i pretoriani, troppo devoti alla casa dei Cesari e memori di
Germanico non avrebbero osato compiere nessun atto nefando contro la prole
di lui; toccava ad Aniceto di assolvere le promesse. Costui senza alcun
indugio chiese per sé l'incarico di consumare il delitto. A questa
dichiarazione Nerone si affrettò a proclamare che in quel giorno gli era
conferito veramente l'impero e che il suo liberto era colui che gli
offriva dono sì grande: corresse subito via e conducesse con sé i
soldati, deliberati ad eseguire gli ordini. Egli, poi, saputo dell'arrivo
di Agermo messaggero di Agrippina, si preparò ad architettare la scena di
un delitto e nell'atto in cui Agermo gli comunicava il suo messaggio, gettò
tra i piedi di lui una spada e, come se lo avesse colto in flagrante,
comandò subito di gettarlo in carcere, per poter far credere che la madre
avesse tramato l'assassinio del figlio e che, poi, si fosse data la morte
per sottrarsi alla vergogna dell'attentato scoperto.
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VIII
Interim
vulgato Agrippinae periculo, quasi casu evenisset, ut quisque acceperat,
decurrere ad litus. hi molium obiectus, hi proximas scaphas scandere; alii,
quantum corpus sinebat, vadere in mare; quidam manus protendere. questibus
votis clamore diversa rogitantium aut incerta respondentium omnis ora
compleri; adfluere ingens multitudo cum luminibus, atque ubi incolumem
esse pernotuit, ut ad gratandum sese expedire, donec adspectu armati et
minitantis agminis deiecti sunt. Anicetus villam statione circumdat
refractaque ianua obvios servorum abripit, donec ad fores cubiculi veniret;
cui pauci adstabant, ceteris terrore inrumpentium exterritis. cubiculo
modicum lumen inerat et ancillarum una, magis ac magis anxia Agrippina,
quod nemo a filio ac ne Agermus quidem: aliam fore laetae rei faciem; nunc
solitudinem ac repentinos strepitus et extremi mali indicia. abeunte
dehinc ancilla, "tu quoque me deseris?" prolocuta respicit
Anicetum, trierarcho Herculeio et Obarito centurione classiario comitatum:
ac si ad visendum venisset, refotam nuntiaret, sin facinus patraturus,
nihil se de filio credere; non imperatum parricidium. circumsistunt lectum
percussores et prior trierarchus fusti caput eius adflixit. iam [in]
morte[m] centurioni ferrum destringenti protendens uterum "ventrem
feri" exclamavit multisque vulneribus confecta est.
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Frattanto
essendosi sparsa la voce del pericolo corso da Agrippina, come se ciò
fosse avvenuto per caso, man mano si diffondeva la notizia, tutti
accorrevano sulla spiaggia. Gli uni salivano sulle imbarcazioni vicine,
altri scendevano ancora in mare per quanto consentiva la profondità delle
acque. Alcuni protendevano le braccia con lamenti e con voti; tutta la
spiaggia era piene delle grida e delle voci di coloro che facevano domande
e di quelli che rispondevano; un gran moltitudine si affollò sul lido coi
lumi, e come si seppe che Agrippina era incolume, tutti le mossero in
contro per rallegrarsi con le, quando all'improvviso ne furono ricacciati
dalla vista di un drappello di soldati armati e minacciosi. Aniceto
accerchiò la villa con le sentinelle ed abbattuta la porta e fatti
trascinare via gli schiavi che gli venivano incontro, procedette fino alla
soglia della camera da letto di Agrippina, a cui solo pochi servi facevano
la guardia, perché tutti gli altri erano stati terrorizzati
dall'irrompente violenza dei soldati. Nella stanza vi erano un piccolo
lume ed una sola ancella, mentre Agrippina se ne stava in stato di
crescente allarme, perché nessuno arrivava da parte del figlio e neppure
Agermo: ben altro sarebbe stato l'aspetto delle cose intorno se veramente
la sua sorte fosse stata felice; non v'era che quel deserto rotto da urli
improvvisi, indizi di suprema sciagura Quando anche l'ancella si mosse per
andarsene Agrippina nell'atto di rivolgersi a lei per dirle: "anche
tu m'abbandoni?" scorse Aniceto in compagnia del triarca Erculeio, e
del centurione di marina Obarito. Rivoltasi allora a lui gli dichiarò che
se era venuta per vederla annunziasse pure a Nerone che si era riavuta; se
poi fosse lì per compiere un delitto, essa non poteva avere alcun
sospetto sul figlio: non era possibile che egli avesse comandato il
matricidio. I sicari circondarono il letto e primo il triarca la colpì
con un bastone sul capo. Al centurione che brandiva il pugnale per finirla
protendendo il grembo gridò: "colpisci al ventre" e cadde
trafitta da molte ferite.
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