Satira VI, 114-132 Ma perché darsi pena per i casi di un'Eppia, di una famiglia privata? Volgi lo sguardo ai rivali dei numi, ascolta le disavventure di Claudio. Sua moglie, non appena sentiva che il marito aveva preso sono, spingendo la sua audacia di augusta meretrice sono a preferire una stuoia al talamo palatino e a indossare un cappuccio di notte, lo abbandonava uscendo col seguito di una sola ancella. Con la chioma nera nascosta sotto una bionda parrucca osò varcare la soglia di un lupanare tenuto caldo da un vecchio tendone e di una vuota stanzuccia, a lei riservata; e lì, sotto falso nome di Licisca e con i capezzoli indorati, si offriva ignuda, mostrando il ventre che ti aveva portato o magnanimo Britannico! Accoglieva blanda i clienti, richiedeva la sua mercede. Poi, quando ormai il lenone rimandava a casa le ragazze, esce a malincuore dopo aver ottenuto almeno di chiudere per ultima la sua camera, ancora bruciante del prurito smanioso: e si allontana strapazzata dai maschi ma non ancora sazia. E sordida per il lividume delle guance e bruttata dal fumo di lucerna, apporta al letto imperiale il lezzo del postribolo. |