L'obiettivo di questo sito è rendere noto al pubblico il pensiero di Josef
Popper, con la massima attenzione al suo programma sociale per garantire il minimo esistenziale a tutti senza distinzione.
Qui si parla di minimo esistenziale - comprendente l'alimentazione, la casa, l'abbigliamento, la sanità, la scuola - e non di reddito minimo garantito, con cui normalmente si intende erogazione di denaro per acquistare una quantità minima di beni e servizi.
Le differenze sostanziali tra il minimo esistenziale di Popper e il reddito minimo garantito sono:
- l'erogazione in natura dei beni e dei servizi anziché in denaro;
- la risoluzione chiara ed equa del problema di chi paga questi beni e servizi tramite erogazione diretta di lavoro socialmente utile da parte di tutti.
L'erogazione in natura di beni e servizi, potrebbe sembrare rozza, ma è al contrario molto meno rozza del dovere scegliere tra beni e servizi, di diversa natura ma
ugualmente essenziali alla propria esistenza (ad es. scegliere tra mangiare e curarsi una carie) facendo i conti con una limitata quantità di denaro; implica una organizzazione in qualche modo
socialista del soddisfacimento di questi bisogni essenziali.
Ciò implica anche identificare quali siano i bisogni minimi essenziali; Josef Popper parte essenzialmente dai bisogni fisiologici, dunque da quelli che è possibile
scientificamente identificare; trascurando deliberatamente i bisogni socialmente generati o indotti (per bisogni socialmente generati si può intendere la
necessità dell'automobile per raggiungere un ipermercato, o la necessità del telefonino per il vantaggio lavorativo di contattare ed essere rapidamente contattati per risolvere problemi; per bisogni socialmente indotti si può intendere l'uso - anche smodato - degli stessi beni per "stare bene" con se stessi e gli altri: l'automobile nuova e sempre lucida con cui viaggiare e uscire la sera, il telefonino per
chattare).
E' un peccato che proprio i bisogni socialmente indotti siano in genere molto divertenti da soddisfare, ma la ragione del minimo esistenziale non è quella di far stare tutti sempre col sorrisone dipinto sulla faccia, ma un obiettivo molto più modesto: assicurare al contrario che nessuno sia mai disperato al punto di non sapere
come garantire a sé e ai propri cari il soddisfacimento dei bisogni minimi essenziali.
E questo è un obiettivo che uno stato può prefiggersi senza esagerazioni.
E' da notare tuttavia che nell'idea di Josef Popper non si impedisce nei fatti il soddisfacimento dei bisogni socialmente indotti (da lui indicati semplicemente come
superflui), come viceversa in pratica avviene in una società ad economia integralmente pianificata; non per una qualche moralistica cattiveria immanente al socialismo reale, ma perché una pianificazione - ad es. quinquennale - non si concilia troppo bene con una innovazione molto rapida, tipica delle mode, culture e modi di vita contemporanei. Limitare il compito dello stato ad occuparsi in primo luogo del minimo esistenziale, lascerebbe invece libera l'innovazione a soggetti probabilmente più adatti
strutturalmente (la libera imprenditoria privata) senza che
d'altro canto questi possano essere più completamente arbitri della vita reale delle persone.
Il potere di ricatto dell'impresa sulla persona verrebbe ad essere infatti limitato, giacché se anche ciascuno perdesse il lavoro, non perderebbe la sua casa, l'alimentazione, la salute.
Non avrebbe fine lo sfruttamento nel senso marxiano del termine, inteso come drenaggio del plusvalore prodotto dal lavoratore; ma grazie allo
shift della soglia di riproduzione della merce-lavoro (coperta dal minimo sociale esistenziale) si spezzerebbero le catene del potere aziendale (il
sistema), ovunque questo minimo fosse realizzato.
E' qui il grande valore del messaggio di Josef Popper.
Tutto molto bello ed auspicabile, si dirà: ma chi paga?
Il punto di vista di Josef Popper è interessante anche perché (a differenza ad es. di uno psicologo come Erich Fromm che sosteneva il salario minimo garantito) descrive in modo preciso fino alla pignoleria, con l'ausilio dei migliori studi e statistiche disponibili al suo tempo, come fare; propone infatti un servizio civile obbligatorio di durata relativamente lunga, pari però solo a circa un terzo della vita lavorativa media (per gli uomini -
molto meno per le donne, per l'ovvia ragione di consentire una libera maternità).
Questo servizio civile permetterebbe a tutti il soddisfacimento dei bisogni minimi essenziali, e per tutta la vita.
E qui viene fuori inevitabilmente una domanda sul nostro ruolo nella società contemporanea: se
fosse vero che per ottenere il minimo sarebbe sufficiente lavorare molto meno in totale, allora tutti noi lavoriamo veramente
troppo - e, per la maggioranza di noi, senza riuscire ad andare molto al di là del minimo, anche nelle nostre opulente società occidentali.
Perché lavoriamo dunque tanto? Per chi? E per cosa?
Un'ultima annotazione sul reddito minimo garantito.
Il problema a mio avviso è che se io non lavoro e mi viene tuttavia erogata una quantità di denaro, allora secondo me qualcuno sta lavorando al posto mio. E ho il sospetto che questo qualcuno sia
tra gli altri un bambino che incolla scarpe in una fabbrichetta dell'Indonesia; ho il sospetto che i profitti della multinazionale per cui il bambino lavora vengono tassati nel mio paese (se pure il mio paese ci riesce a costo di faticose indagini patrimoniali e durissime battaglie politiche), così che il mio paese possa erogare a me il sospirato reddito minimo garantito.
Non è un ragionare per paradossi; mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse - e mi convincesse soprattutto - che il reddito minimo garantito è possibile in ogni parte del mondo da subito; è evidente che è possibile solo in Europa,
in Giappone e negli Stati Uniti, ovviamente se lo si volesse.
Per questo sono diventato estremamente scettico nei confronti del reddito minimo garantito erogato in denaro; perché non se ne esce, il pericolo è che i cittadini improduttivi diventino dei complici del sistema economico imperialista dominante, esattamente come
quei tanti cittadini romani che avevano diritti e grano, gratis
solo per loro, in realtà pagati dal lavoro degli schiavi e dallo sfruttamento delle risorse
umane e ambientali dell'impero.
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