11.12.1991   ©1991 - Patrick Boylan – patrickboylan.it

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In: G.C. Cecioni & C. Cheselka (Eds.). Proceedings of the Symposium on Language and Technology (Florence, 11-13 December 1991),

Firenze: Editrice CUSL, 1995, pp. 92-114..



(Italian translation)


COSA SIGNIFICA OGGI "IMPARARE UNA LINGUA"?
QUALE RUOLO PUO' SVOLGERE LA TECNOLOGIA OGGI DISPONIBILE?

Patrick Boylan
Universita' di Roma




Per rilanciare l'uso del computer in aula bisognerebbe rinunciare per ora alla creazione di programmi che sfruttino tutte le potenzialità del PC, per concentrarsi su programmi più semplici, fortemente integrati con la didattica praticata realmente in aula dagli insegnanti (quelli piu' innovativi). Cioe': (1) andrebbe incoraggiata la creazione di un "parco computer" nelle scuole e nelle facoltà per giustificare lo sviluppo successivo di software più sofisticato; (2) andrebbe spostata la discussione dal tipo di didattica svolta dal computer, al tipo di didattica delle lingue svolta dai docenti in aula, il vero nodo da scogliere.

Quale sarebbe dunque, visto il mutamento dei bisogni comunicativi in un'epoca di crescente globalizzazione terziaria, la migliore didattica delle lingue da praticare in aula nonche' da implementare in un software? L'autore sostiene che si tratta dell'insegnamento "comunicativo-culturale" delle lingue vive. Alcune video sequenze (scuola, università) illustrano il concetto. Il computer facilita le attività di rehearsal che preparano alle simulazioni ed agli atti comunicativi reali da svolgere in aula o all'esterno, lavoro percepito come "non meccanico" e che aiuta l'interiorizzazione del nuovo sistema linguistico-culturale.




INTRODUZIONE



Le nuove tecnologie educative, sbandierate qualche anno fa come la soluzione ai problemi dell'insegnamento delle lingue straniere nelle scuole e all'università, non hanno ancora dato i frutti sperati. I motivi dell'insuccesso sono da ricercare non tanto nei limiti delle macchine quanto nelle carenze delle concezioni didattiche alla base del software finora realizzato, carenze che rispecchiano inevitabilmente quelle della didattica praticata mediamente nelle aule scolastiche ed universitarie del paese. Che delusione scoprire, dopo la nostra lunga attesa messianica, che il computer, per costoso che sia, non sa insegnare meglio di quanto non sappiamo insegnare noi!

Forse è il caso di ripensare a fondo le finalità della nostra didattica, prima di ipotizzare nuovi utilizzazioni del computer nell'insegnamento delle lingue? -- ridomandarci, cioè, Cosa significa sapere una lingua, oggi?

Naturalmente, ad interessarsi all'informatica in questi anni sono stati ANCHE docenti con indiscutibili capacità didattiche (e non solo disciplinari): purtroppo, dopo aver sperimentato qualche idea suggestiva sul computer, la maggior parte ha preferito dedicarsi ad altre ricerche, piuttosto che proseguire con la creazione di biblioteche di esercizi informatizzati da mettere a disposizione degli studenti e da far circolare, sotto forma di freeware o shareware, nelle scuole e nelle facoltà. Così abbiamo fatto una seconda scoperta, in fondo anch'essa abbastanza ovvia: il computer non può servire agli studenti per fare pratica se a noi docenti interessa servircene solo per fare teoria.

Forse è il caso di puntare su programmi per computer meno originali, meno sofisticati? -- programmi che aiutano gli studenti ad usare meglio i libri ed i nastri già in commercio (purchè abbiano buoni contenuti comunicativo-culturali) e già utilizzati in aula dai docenti piu' innovatori?

Non si vuole disconoscere, con questa proposta, la specificità che dovrebbe avere un software didattico ottimale rispetto ai materiali concepiti per l'apprendimento in aula; ma se il computer non ha ancora inciso positivamente sull'insegnamento delle lingue nella scuola o nell'università, ciò non è dovuto all'aspecificità dei programmi finora realizzati. Il problema di fondo è più elementare: non ci sono programmi. Un istituto scolastico o universitario non può permettersi di informatizzare un'aula o un laboratorio linguistico per far girare soltanto il piccolo numero di programmi commerciali disponibili, per di più slegati tra di loro, e una moltitudine di prototipi sperimentali, spesso incompleti. Soprattutto quando, per tornare al primo punto, la maggior parte dei programmi finora usciti ripropone la stessa visione scolastica dell'apprendimento linguistico che si voleva superare, facendo appello alle tecnologie educative nuove.

Nella presente relazione vorrei, perciò, da una parte


Posta la prospettiva comunicativo-culturale (etnolinguistica) dello studio delle lingue straniere, vorrei poi


Come corollario al punto 2,


Esaminiamo da più vicino, alla rovescia, le implicazioni di questi tre punti -- partendo, cioè, dal corollario appena enunciato (la proposta di integrare il software didattico con la didattica in aula) e finendo con il primo punto (la proposta di ridefinire le finalità dell'apprendimento linguistico in termini culturali). Si tratta sempre di una overview, di un'introduzione ai temi che verranno sviluppati successivamente in termini più tecnici.

Se accetteremo di legare, quindi, le esercitazioni sul computer che realizziamo o compriamo, alla didattica che noi o i nostri colleghi pratichiamo in aula, otterremo tre benefici. Prima, promuoveremo una maggiore omogeneità nell'offerta didattica che offre l'intero sistema educativo di cui facciamo parte. Secondo, promuoveremo una più rapida accettazione dello stesso CALL -- Computer Assisted Language Learning -- da parte delle istituzioni d'istruzione. (Infatti, il successo del CATOW -- Computer Assisted Teaching of Writing -- deriva, secondo Bruce e Peyton 1990, dall'alto grado di coinvolgimento creativo da parte dei docenti che questa nuova tecnologia ha saputo promuovere.) Terzo, chiariremo le responsabilità. Quali responsabilità? Rispondo con un esempio.

Poniamo che nelle nostre lezioni stiamo utilizzando il corso intermedio d'inglese americano Accenti sull'America. Il libro di testo contiene sceneggiati radiofonici illustrati con strisce di disegni praticamente senza testo; appaiono solo le parole nuove per ogni lezione. (Le trascrizioni integrali sono nel libro del professore.) Aiutati dai disegni, gli studenti devono prima immaginare la battuta di un personaggio, poi dirla ad alta voce o scriverla su un foglio di carta. Generalmente indovinano quasi tutto; in ogni caso, il corso non prevede che il docente perda tempo a correggere ogni studente prima di far sentire l'audio-cassetta. In fondo, non importa che uno studente si sia espresso con la sua interlingua, egli sentirà subito il modello autentico per il confronto. L'importante è che egli dica o scriva qualcosa, di getto. Scopo principale dell'esercizio, infatti, è quello di preparare lo studente per il successivo momento di ascolto, sviluppando le sue "attese" lessico-grammaticali e discorsuali.

Abbiamo qui un tipo di esercizio facilmente trasportabile sui computers di una sala informatica o di un laboratorio linguistico informatizzato. Il lavoro di programmazione richiesto è minimo: occorre solo un meccanismo per non far partire l'audio fin quando lo studente non abbia scritto o registrato qualcosa -- una cosa qualsiasi che il programma non si propone affatto di valutare. Si tratta di un uso volutamente minimale del computer, il quale garantisce soltanto che gli studenti non stiano dormendo, ossia che ogni singolo studente stia producendo frasi di continuo, durante tutta la durata dell'esercizio; volendo, il computer può anche stampare le risposte scritte degli studenti, raggruppate per nominativo o per domanda (dipende se il docente vuole dare un voto o fare confronti). Ma proprio perchè è minimale dal punto di vista delle prestazioni informatiche, un software del genere è facilmente realizzabile ed è inoltre perfettamente integrato con quello che il docente fa in aula. In quanto ai meriti didattici del software, non possono essere inferiori a quelli dell'esercizio originale, realizzato su supporto cartaceo. Se l'esercizio è didatticamente valido, allora il software è didatticamente valido. I vantaggi più importanti del CALL (partecipazione attiva e continua di ogni singolo studente, autoregolazione dei ritmi, ecc.) vengono recuperati automaticamente senza alcun ricorso alla creatività di un progettista o di un programmatore.

Immaginiamo ora, solo per ipotesi, che il docente usi un libro di testo imperniato sui dettati, esercizio che ritengo in linea di massima anti-pedagogico -- possiamo discutere la questione se lo credete opportuno. Ebbene, invece di obbligare il docente a far sentire il testo a tutta la classe allo stesso ritmo, il libro potrebbe contenere, insieme all'audio-cassetta con i testi, un disco floppy con il software di corredo. Per realizzarlo, ci vorrebbe poco. E' molto semplice scrivere un programma che impedisca allo studente di digitare sul computer parole che non siano quelle previste per un determinato dettato; farò vedere in seguito un programma del genere scritto addirittura come file BATCH, cioè con i soli comandi DOS. Quali vantaggi offrirà un software del genere? Oltre ad individualizzare il ritmo di dettatura e a dare allo studente un feedback immediato, esso libererà il docente che potrà così seguire i singoli. Quali sono gli svantaggi? Quelli di qualsiasi didattica imperniata sul dettato: gli studenti non impareranno mai a capire la lingua straniera parlata con la velocità e con le inflessioni normali della conversazione e nemmeno a prendere appunti (perchè prendere appunti e trascrivere richiedono addestramenti diversi). Il dettato, anzi, inculcherà in loro delle cattive abitudini d'ascolto: cioè, un ascolto seriale anzichè a ondate; analitico anzichè sintetico (ma Oller, 1978, sostiene il contrario); segmentale con scarsa attenzione alle informazioni sovrasegmentali, tranne per le segnalazioni di punteggiatura. In ogni caso, la responsabilità dell'orientamento dato all'insegnamento, giusto o sbagliato che sia, sarà chiaramente individuabile nella persona del docente. Il computer non avrà imposto la "sua" didattica, come nel caso dei corsi integrali di lingua per computer (vedi, per esempio, il corso d'inglese venduto con il laboratorio linguistico computerizzato Sony), ma avrà semplicemente assecondato quella scelta dal docente nell'utilizzare, durante l'anno, questo o quel libro d'esercizi.

La proposta d'integrare e di subordinare il software didattico alla didattica svolta dai docenti in aula, ha due ricadute importanti. La prima è materiale. Il software appena descritto non sfrutta tutte le potenzialità del computer: prevede solo il display sequenziale delle pagine di un libro di testo e un trattamento minimo delle risposte. E' insieme più semplice e più completo del software che già viene dato con alcuni testi di lingua. Ma queste caratteristiche -- rapida realizzazione, alta utilizzabilità -- potrebbero consentire finalmente una larga diffusione di computers nelle scuole e nelle università. Questa diffusione, a sua volta, creando un mercato, permetterebbe la realizzazione di software didattico originale più sofisticato.

La seconda possibile ricaduta è di carattere morale. La proposta avanzata potrebbe spostare la discussione, in convegni come questo, da domande del tipo: "Voi programmatori, cosa fate per risolvere i problemi di noi docenti di lingue?" verso domande molto più pertinenti, del tipo "Voi docenti di lingue, cosa fate che meriti di essere programmato?"

Se facciamo lo sforzo di promuovere la creazione di software di qualità promuovendo un insegnamento di qualità in aula, allora potremo sperare di avere un giorno una "didattica delle lingue straniere assistita dal computer" che dia realmente agli studenti le capacità linguistiche di cui necessitano nel mondo contemporaneo. Ciò presuppone, però -- e qui arriviamo al nostro primo punto -- che abbiamo le idee chiare sulla natura delle capacità linguistiche che i nostri studenti richiedono -- in altre parole, che sappiamo in che cosa consiste oggi "sapere una lingua straniera".

Nella relazione vera e propria, darò una risposta dettagliata a questa domanda. Ora, per concludere questa introduzione tematica, dirò semplicemente che la risposta che molti insegnanti continuano a dare (l'acquisizione delle cosiddette "quattro abilità", cioè, il saper "leggere, scrivere, parlare, ascoltare" in lingua) è diventata del tutto inadeguata. Nell'economia industriale degli anni cinquanta e sessanta, si poteva forse accontentarsi di un profilo così schematico delle competenze richieste al tipico laureato in lingue. Egli doveva innanzi tutto saper commentare in italiano un testo letterario in lingua, scritto da un nativo parlante; non gli veniva richiesta nessuna creatività linguistica in lingua. In quanto alle competenze comunicative spendibili sul mercato del lavoro, egli doveva avere, nella mente dei responsabili degli indirizzi didattici nelle università, soltanto quel bagaglio minimo che consentisse lo scambio meccanico di informazioni grezze referenziali (prezzi d'acquisto, istruzioni per l'uso di un'apparechio, informazioni stradali), scritte e orali -- donde il ricorso ad una tipologia delle competenze basata su una descrizione di canali e modalità (le "quattro abilità") anzichè su una descrizione di scopi e di performance nel raggiungere gli scopi.

Oggi, chiaramente, questa tipologia non basta più. Nè bastano le tipologie comunicative in senso stretto (v. Brumfit & Johnson 1979). La nostra società post-industriale vive dello scambio di valori e questi valori, per essere capiti nella loro alterità, richiedono rappresentazioni che rispettino la sensibilità linguistica e i presupposti culturali del destinatario. Lo scopo della comunicazione è diventato quello di "far valere la propria visione, anche culturale, delle cose sfruttando gli stilemi linguistico-culturali dell'interlocutore". Non basta più saper parlare una lingua straniera correttamente dal punto di vista grammaticale e nemmeno appropriatamente dal punto di vista delle universali pragmatiche (ossia delle "funzioni"). Bisogna saperla parlare autenticamente. Ciò presuppone aver individuato ed introiettato una nuova matrice culturale.

In qualsiasi situazione comunicativa, se vogliamo essere capiti dobbiamo anzitutto capire. Dobbiamo saper afferrare ed usare i punti di riferimento del nostro interlocutore per indicargli dove ci situiamo noi. Nella comunicazione in lingua straniera, ciò significa saper giocare sul sistema di valori linguistico-culturali (e quindi esistenziali) del nostro interlocutore -- di cui egli magari non è nemmeno cosciente -- per creare con lui un'intesa che va al di là del senso generico reso dai fonemi, dai lessemi o dalle funzioni discorsuali. Saper dire le cose nel modo in cui il nostro interlocutore (con le sue abitudini così diverse dalle nostre) le avrebbe forse dette, se avesse visto e provato le cose che noi abbiamo visto e provato crescendo nella nostra cultura: ecco in che cosa consiste "saper parlare una lingua straniera" oggi.

Si tratta di un traguardo troppo impegnativo per un corso scolastico o universitario -- un traguardo utopistico, irreale? Se lo è, lo è molto meno dei traguardi comunemente posti oggi nelle scuole superiori e nelle università. Oggi, per esempio, si pretende che uno studente capisca Chaucer o Villon, poeti del trecento o del quattrocento, dopo pochi anni d'inglese o di francese -- inglese e francese moderno, poi! Non solo, ma lo si pretende in nome dell'umanesimo, mentre gli studi umanistici (quelli veri) richiedevano un rigore filologico ben più serio. Sarebbe meglio, ritengo, che la carrellata storico-letteraria che oggi rappresenta l'ossatura dei programmi di lingue nei licei e nelle università, fosse chiamata per quello che è: un neo-umanesimo nato nelle università durante il diciannovesimo secolo con il declino degli studi del latino e del greco e che, imitando i metodi di studio dei classici, continua a proporre oggi ad una popolazione studentesca di massa lo studio delle lingue vive come se fossero lingue morte. Non che le lingue vive non si possano ANCHE studiare, in quanto lingue vive contemporanee, partendo da una solida formazione filologica (lo dimostra l'opera geniale di un Leo Spitzer!); ma un tale studio richiede una passione particolare e una vocazione da studioso che non si possono pretendere dalla maggior parte degli studenti in un'università di massa. Come si fa a sottoporre la maggioranza degli studenti, desiderosa di studiare le lingue come fenomeno culturale contemporaneo, a quattro anni di sterminati programmi storico-letterari -- cioè ad un pot-pourri difficilmente digeribile in un'intera vita di studio -- e poi pretendere che la cultura acquisita dalla MEDIA di questi studenti sia autenticamente filologica e non semplicemente salottiera? Un traguardo del genere è, a mio parere, assai più utopistico del traguardo linguistico appena presentato, per impegnativo che esso sia. Soprattutto se si tenta di raggiungere il traguardo storico-letterario senza prima garantire un'effettiva interiorizzazione PRODUTTIVA della lingua straniera come microsistema culturale, cioè attraverso attività in cui lo studente deve saper produrre discorsi culturalmente autentici e non solo analizzarli.

Il traguardo linguistico appena descritto -- che ora definirò in termini più analitici -- può sembrare proponibile solo a livello universitario e, anche lì, solo nei corsi più avanzati. Non è così, a mio parere, e in ogni caso, ritengo che la questione vada posta in altri termini. Dobbiamo chiederci se lavorare VERSO il "pieno possesso" produttivo di una lingua e cultura straniera sia una scelta non meno valida di quella di lavorare VERSO una "piena comprensione" di Chaucer o di Villon: cioè, se il nuovo traguardo linguistico-culturale debba o non debba finalizzare l'insegnamento delle lingue sin dagli stadi iniziali. Io ritengo di sì. Ritengo cioè che lo studio delle lingue come fenomeno culturale contemporaneo -- fenomeno da osservare ma anche fenomeno con cui interagire -- debba guidare le nostre scelte didattiche sin dai primi esercizi di lingua, in aula o sul computer, nel primo giorno di lezione. E' pertanto in questa prospettiva che propongo le considerazioni didattiche seguenti.


***




FINALITA' DELL'INSEGNAMENTO LINGUISTICO OGGI



Rivediamo analiticamente ora i temi principali illustrati nella parte introduttiva.

L'uso del computer e dei sussidi audio-visivi nell'apprendimento linguistico andrebbe rivisto oggi:

(1) alla luce delle nuove esigenze provenienti dal terziario avanzato, in particolare l'esigenza di assimilare autenticamente le lingue come espressioni di una cultura diversa e di poterle usare come tali nelle varie situazioni espressive -- vedi Lombardi (1990:78) e CENSIS (1990:10 seq.) per alcuni segnali. (Lombardi, responsabile per i problemi scolastici ed universitari della Confindustria, tende purtroppo a dicotomizzare i bisogni di maggiore professionalizzione nel campo delle comunicazioni -- comunicazioni all'interno, comunicazioni con l'estero -- mentre il sistema di scambio di valori -- interno e con l'estero -- è uno solo. Gli sforzi di ammodernamento dell'insegnamento linguistico -- corsi di laurea in lettere, corsi di laurea in lingue -- andrebbero, perciò, coordinati e non compartamentalizzati);

(2) alla luce delle nuove proposte di incentrare l'apprendimento linguistico su macro-attività reali (real-life projects -- v. Allwright 1979) e non esclusivamente su micro-attività (learning tasks o language skills, ) o sulle componenti discorsuali/grammaticali della comunicazione (notional-functional syllabuses, lexical-grammatical syllabuses) -- vedi la discussione sui "procedural syllabuses" in K. Johnson (1982);

(3) infine, alla luce del salutare ridimensionamento dato dalla glottodidattica alle pretese del CALL (Computer Assisted Language Learning) dopo la prima fase di euforia e di corsa agli acquisti -- vedi Higgins (1984:86), Leech (1986:xv). Il computer va tolto dal piedistallo e usato più oculatamente, come sussidio all'"apprendimento in presenza" (face to face learning).

Fermiamoci un istante per chiederci il significato di alcuni termini chiave appena utilizzati: cultura, lingua, apprendimento linguistico, glottodidattica. A seconda di come defineremo questi concetti, saremo portati a dare più o meno importanza agli aspetti logico-interpretativi della comunicazione linguistica e ciò determinerà in gran parte il ruolo che riterremo giusto assegnare al computer nella didattica delle lingue.


Propongo le seguenti definizioni:

1. Cultura: meta-sistema di valori che rende intellegibile il nostro universo, che gli conferisce un Senso. E' un tessuto di rielaborazioni individuali di una macro-elaborazione collettiva -- vedi il concetto di Weltanschauung di Dilthey rivisto da Mannheim (1974, 1a ed. 1952).

2. Lingua: sistema di segni verbali elaborato dai membri di una cultura (quindi sistema di valori esistenziali) per la rappresentazione intenzionale del flusso interiore (preconscio) di pensiero e di sentimento. Fonemi, lessemi, locuzioni, genres discorsivi sono quindi da considerarsi anzitutto contrassegni culturali. Vedi Humboldt (1991 [1836]) e Pagliaro (1969 [1952]:133-136).

Si tratta di una definizione funzionale (segnalata dalla parola "per") che rinchiude nei termini "sistema/segni/verbali" gli attributi semiotici che De Mauro (1980:94) esplicita così: "le lingue storico-naturali (sono) codici semiologici a segni articolati, di numero illimitato, ordinabili in modo infinito, con sinonimia non calcolabile." De Mauro (1988:12-14) sconsiglia di privilegiare una sola dimensione del segno (ad esempio, quella pragmatica) come matrice da cui far derivare le altre dimensioni (semantica, sintattica ed espressiva) o comunque da cui partire per spiegarle. Ma la definizione di "lingua" appena data, in cui viene privilegiata appunto la dimensione pragmatica, corrisponde ad una libera scelta epistemologica: la scelta di ricercare un sapere di tipo immanente -- nella fattispecie, il sapere prodotto dall'interiorizzazione di una lingua quale veicolo di valori esistenziali. I diversi stati o assetti conoscitivi descritti da Aristotele nell'Etica (VI, 3-8) possono costituire (e storicamente hanno costituito) prospettive diverse dalle quali osservare il linguaggio: il sapere epistemico (il linguaggio visto in relazione all'essere o al sapere), il sapere tecnico (il linguaggio visto come attivita' umana e quindi come prodotto storico); il sapere esistenziale (il linguaggio visto in relazione all'intenzionalità umana finalizzata all'attività individuale e sociale). La nostra scelta di quest'ultima prospettiva, e quindi di un "sapere" costituito da una "saggezza", giustifica la nostra definizione puramente funzionale del linguaggio (secondo cui language is as language does). Di riflesso, giustifica tutte le descrizioni linguistiche e pratiche glottodidattiche che subordinano semantica, sintassi e scelte espressive alla pragmatica .

3. Apprendimento linguistico (lingua materna / lingua straniera)

-- apprendimento della lingua materna: la ricerca di un sistema di segni verbali (usando come materia prima i segni che informano il nostro mondo sin dalla nascita) capace di rappresentare a noi stessi ed agli altri il nostro flusso interiore (preconscio) di pensiero e di sentimento. La ricerca è sempre on-going; ricerchiamo, senza mai ottenere una risposta definitiva, il senso (culturale) da dare al nostro mondo primario (donde gli incessanti "Perchè...?", essenzialmente linguistici, dei bambini). Vedi i riferimenti in Boylan (1981);

-- apprendimento di una lingua straniera: introiezione di un sistema culturale alieno tramite l'assimilazione delle sue modalità rappresentative-espressive, in primo luogo quelle verbali. Quindi, è anzitutto un affective recoding (vedi Stevick, 1976:10) tramite l'adesione ad un nuovo sistema di valori, anche momentaneamente e solo per gioco (recognition, vicarious identity; vedi Boylan op.cit).

In pratica, per assimilare pienamente una nuova lingua e una nuova cultura dobbiamo riuscire a sentire, come nostri, tutta una serie di nuovi valori: nuovi valori musicali, rispecchiati nella nostra nuova sensibilità alle intonazioni tipiche della lingua straniera; nuovi valori sociali, rispecchiati nel nostro uso istintivo degli appellativi (titoli, nomignoli, termini di rispetto tipici); nuovi valori temporali/aspettuali, rispecchiati nel sistema dei verbi/avverbi; nuovi valori estetici, sensoriali, morali; persino una nuova percezione di noi stessi, rispecchiata nella "faccia" che sentiamo di dover mantenere con i nostri discorsi, parlando ai membri dell'altra cultura.

Essenziale all'apprendimento linguistico sono perciò i momenti di rehearsal, ossia di immedesimazione in una nuova persona sociale (Garfinkel, 1967:116-185). L'immedesimazione conferisce la capacità di generare discorsi che sono non solo "corretti" grammaticalmente e "appropriati" pragmaticamente ma anche, e sopratutto, "autentici" culturalmente (Stanislavski, 1961:149).

Infatti, come osserva Frake (1964) parlare sgrammaticato o fuori proposito non è "l'errore" più grave che possa commettere uno studente di lingue; i membri di una comunità linguistica lo fanno continuamente -- per stanchezza, per scherzo, per ignoranza -- senza apparire "alieni" e senza perdere il loro status di membri. Essi devono, però, mostrare in ogni istante, attraverso i loro discorsi, di condividere i presupposti esistenziali della comunità, altrimenti vengono recisamente emarginati. Diverse opere letterarie illustrano questo meccanismo: nel romanzo di Camus, Lo straniero, il protagonista "parla strano" e subisce l'ostracismo; il protagonista americano di Hemingway in Per chi suona la campana riesce solo a metà ad assumere una persona spagnola quando parla; viene tenuto ad una certa distanza, tramite per esempio il soprannome "Inglès", e muore abbandonato.

4. Glottodidattica: scienza sperimentale ed anche tecnica euristica (come la psicologia clinica), che indica i mezzi per favorire, nella situazione artificiale dell'apprendimento non in loco, il processo d'introiezione, da parte dei discenti, di un nuovo sistema linguistico-culturale.


ESEMPI DI MACRO-ATTIVITA' DIDATTICHE BASATE SULLE DEFINIZIONI 1-4


PRIMA TAPPA: DISCORSI SIMULATI TRAMITE L'IMPIEGO DI AUDIO-VISIVI


VIDEO di un seminario sulla SCENEGGIATURA IN INGLESE, svolto alla Facoltà di Magistero di Roma, anno accademico 1990-91. VIDEO di un lavoro analogo svolto in parallelo con il seminario a Magistero, da un'insegnante d'inglese presso la Scuola Media Massimo D'Azeglio di Roma. I lavori illustrano la drammatizzazione, intesa non come "recita di un testo preconfezionato" ma come "espressione di intenzionalità simulate, in un contesto culturale introiettato". (Vedi NOTA in appendice.)

SECONDA TAPPA: MACRO-ATTIVITA' PER GENERARE DISCORSI AUTENTICI


VIDEO e HANDOUTS che illustrano un seminario sul GIORNALISMO IN LINGUA INGLESE (TV, carta stampata) svolto alla Facoltà di Magistero di Roma. L'acquisizione delle tecniche discorsuali usate in paesi anglosassoni per intervistare e per redigere un testo informativo, è stata finalizzata alla realizzazione di testi da pubblicare su giornali americani. Le tecniche d'intervista, a sfondo etnolinguistico, sono poi state riproposte ad una classe della Scuola Media Marco Polo di Ostia, da un'insegnante d'inglese lavorando in parallelo con il seminario a Magistero. Per un resoconto delle interviste dei ragazzi ai turisti anglosassoni, vedi Avvenente (1989). (Vedi NOTA in appendice.)

***



USO OTTIMALE DELLA TECNOLOGIA NELLA GLOTTODIDATTICA OGGI



Possiamo ora definire con maggiore precisione, in base a quanto precede, i connotati del CALL, il suo impiego ottimale allo stato attuale della tecnologia hardware/software e, infine, il ruolo del docente in un programma d'insegnamento linguistico assistito dal computer.


5. Computer Assisted Language Learning (CALL): l'impiego di strumenti interattivi (cibernetici) in attività di rehearsal o di comunicazione reale, per favorire l'introiezione di un nuovo sistema culturale tramite l'assimilazione delle sue modalità espressive, anzitutto quelle linguistiche. Esempi del primo tipo di attività: l'addestramento ad interrompere un interlocutore per chiedere chiarimenti su una parola udita; gli "open dialogues". Esempi del secondo tipo di attività: la ricerca socioculturale, per capire il linguaggio di un autore o di un genere paraletterario, usando un data base o un ipertesto; la posta elettronica orale per prenotare l'uso della sala informatica o del laboratorio linguistico "self-service".

Purtroppo, il nome stesso della disciplina in inglese -- "apprendimento delle lingue assistito dal computer" -- tende a dare l'impressione che l'apprendimento avviene (se avviene) grazie al computer, mentre in realtà può avvenire solo attraverso un processo assai articolato basato su interazioni reali "guidate" le quali, a loro volta, giustificano il lavoro ancillare svolto o da svolgere con il computer -- vedi Leech (1986:xiii-xiv).

Comunque, la tecnologia oggi disponibile ci consente di destinare il computer almeno ad una parte dei compiti di rehearsal -- o meglio, in teoria ci dà questa possibilità . In pratica, se esaminiamo il software didattico finora prodotto, dobbiamo concludere -- stando alle definizioni di "lingua" e di "apprendimento linguistico" date nei punti 2 e 3 -- che il lavoro di rehearsal svolto tramite il computer è oggi del tutto insufficiente. Il software finora prodotto è, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, incentrato sulla langue anzichè sulla parole; culturalmente asettico; prevalentemente analitico-normativo; discreto anzichè continuo; troppo ricettivo e non abbastanza produttivo e, infine, separato da un progetto complessivo d'interiorizzazione della lingua. Inoltre, il software tende a concepire la didattica come un attività di spiegazione, come un invito alla riflessione, come un'occasione di addestramento meccanico, ma non come un momento d'introiezione di un nuovo sistema di valori. (Kemmis, citato da Higgins 1984:18, distingue quattro attività didattiche simili a quelle appena elencate: si tratta di attività Revelatory, Conjectural, Instructional e Emancipatory). In sostanza, gran parte dell'attuale software si basa su una didattica degli anni cinquanta, assai lontana da quella comunicativo-culturale praticata oggi dai docenti più aggiornati.

Naturalmente, non si può fare di tutta l'erba un fascio: vedi per esempio i dialoghi programmati, che richiedono conoscenze pragmatiche e non solo grammaticali, in via di realizzazione all'Università Laval (Lelouche, 1991). Inoltre, bisogna riconoscere molte attenuanti ai pionieri del CALL: hanno dovuto lavorare con pochi mezzi, poca collaborazione da parte dei colleghi e poche gratificazioni (di mercato o di carriera). Inoltre, per imperfetti che siano, i loro programmi didattici sono stati effettivamente prodotti, distributi ed utilizzati -- e ciò non è poco. Infatti, gli unici programmi veramente inutili sono quelli "perfetti" -- ossia quelli che sono ancora nella mente di chi si compiace a descriverli ma non a scriverli. Infine, bisogna tener conto che la tecnologia CALL oggi disponibile, malgrado i suoi pregi, ha ancora molti limiti intrinseci -- vedi Pennington (1991).


ILLUSTRAZIONE PRATICA: UNA MINI ATTIVITA' DI REHEARSAL


CONFRONTO FRA FLASHCARDS DI CARTA E FLASHCARDS COMPUTERIZZATE


HANDOUT: listato di un semplice "programma batch" di flashcards, che usa cioè i soli comandi DOS, nonchè un campione di flashcards "vere" fabbricate dagli studenti in aula. Analisi comparativa dei costi (tempo, denaro) e dei benefici (linguistici, psicologici). In entrambi i casi, il valore intrinseco del rehearsal (misurabile nella "motivazione allo studio" creata dalle flashcards e nella "interiorizzazione linguistica" da esse promossa) è dipeso interamente dal taglio "culturale" dato alla macro-attività di cui il lavoro con le flashcards costituisce una componente essenziale. Abbiamo, quindi, una illustrazione del concetto di rinnovo didattico che parte dall'aula e che si estende solo in un secondo tempo alla sala computers, anzichè tentare il processo inverso (che l'esperienza dimostra fallimentare -- vedi Bruce & Peyton, op.cit.). (Vedi NOTA in appendice.)

In quanto all'uso del CALL per svolgere i compiti di rehearsal più qualificanti, cioè le simulazioni in tempo reale, ritengo che la tecnologia debba ancora maturare prima che le real-time simulations si possano realizzare agevolmente sul personal computer. Occorrono soprattutto dei software development tools più facili da usare. In quanto al hardware, la prossima generazione promette simulazioni molto meno artificiose di quelle oggi realizzabili su personal computer. Infatti, oltre all'avvento della "multimedia", resa praticabile grazie alle nuove piattaforme hardware (Intel DVI, CD-ROM, ecc.), il futuro ci promette un hardware fantascientifico per la creazione di "ambienti virtuali" (vedi per esempio Traub, 1991). Possiamo addirittura immaginare che in futuro il computer saprà suscitare negli studenti persino la total physical response auspicata da Asher (1974).

Rimane in ogni caso da vedere se la tecnologia, per sofisticata che sia in futuro, possa mai eliminare l'insufficienza di fondo imputabile al CALL. Si tratta, del resto, della stessa insufficienza di fondo imputabile all'apprendimento autonomo delle lingue nel laboratorio linguistico: lo studente è troppo conscio di interagire con una macchina, con qualcosa cioè che reagisce in modo prestabilito. Egli ha invece bisogno di occasioni che richiedono la "negoziazione finalizzata ad intendersi"; solo così le forme linguistico-culturali potranno legarsi al flusso interiore di pensiero e di sentimento. Le negoziazioni che offre il computer sono guidate ma non sono credibili e quindi sono inefficaci, mentre i momenti di negoziazione offerti da un soggiorno all'estero sono realmente finalizzati a "farsi capire" ma non sono guidati (danno perciò risultati incerti e a volte controproducenti). Spetta al docente, in un rapporto "faccia a faccia", creare le occasioni propizie per i momenti di saldatura -- momenti che vanno comunque consolidati attraverso, per esempio, un soggiorno prolungato all'estero.

Naturalmente, è possible che la tecnologia riesca un giorno ad eliminare anche questa insufficienza di fondo. Possiamo cioè ipotizzare, in un futuro non proprio immediato però, "ambienti virtuali" computerizzati che, provocando uno stato allucinatorio, diano gli stessi stimoli di quelli provati durante un reale soggiorno all'estero -- un po' come avviene attualmente con i video-giochi che, provocando momentanei stati allucinatori nei giovani utenti, operano efficaci saldature tra riflessi muscolari e campo visivo, riflessi immediatamente trasferibili nel mondo reale (per guidare una moto, ad esempio).


6. Proposta di uso ottimale del CALL a breve-medio termine:
il compito più indicato per il computer, allo stato attuale della tecnologia, è quello del "bibliotecario" all'interno di un laboratorio linguistico dotato di registratori con interfaccia RS232, "bibliotecario" che facilita (e che incoraggia) l'utilizzazione attiva di determinati tipi di materiali cartacei. Si tratta di materiali con buoni contenuti comunicativo-culturali, di solito con audio-cassette, già esistenti sul mercato.

Per quanto riguarda i laboratori linguistici universitari adibiti allo studio autodidatta delle lingue, questi materiali si trovano in molti casi già a disposizione degli studenti all'interno dei laboratori stessi; purtroppo, vengono poco o impropriamente utilizzati in quanto gli studenti non vengono nè "avviati" nè seguiti da un docente di lingue. Il "bibliotecario" potrebbe, quindi, fornire agli studenti autodidatti un'adeguata presentazione (interattiva) dei vari materiali ed inoltre offrire loro una certa assistenza durante l'uso. Per semplificare il lavoro di scrittura dei programmi, l'assistenza dovrebbe limitarsi alle sole macro-funzioni; ma se il laboratorio offrisse periodicamente agli studenti autodidatti, contatti vivi con un docente (elemento cardine in qualsiasi programma di auto-apprendimento -- vedi Granger, 1991:43), allora la sola assistenza offerta dal computer durante le esercitazioni potrebbe bastare in determinati casi. Penso, ad esempio, al caso degli studenti delle facoltà scientifiche che hanno, o che pensano di avere, necessità linguistiche di tipo puramente "strumentale": desiderano di poter leggere solo testi scientifici composti in larga parte di termini tecnici "universali" e di regole discorsuali i cui messaggi culturali non determinano i messaggi principali "universali". Questi studenti desiderano sapersi esprimere attraverso la sola funzione referenziale (non importa se meccanicamente) in occasione di incontri. Chiaramente, se questo è il profilo desiderato, gli studenti non hanno bisogno d'interiorizzare la lingua straniera in quanto microsistema culturale.

Per gli studenti che hanno invece bisogno di acquisire il "pieno possesso" di una lingua straniera -- per poter trattare o convincere in lingua, per poter esprimere o interpretare punti di vista, ecc. -- il laboratorio linguistico informatizzato andrebbe considerato parte integrante di un insegnamento "culturale" delle lingue (illustrato al punto 5) svolto in aula. Il computer, cioè, servirebbe non tanto da "banca di attività interattive autentiche" (Leech, op.cit.) -- la tecnologia non ce lo consente pienamente oggi come oggi -- bensì da "banca" di attività di rehearsal propedeutiche alle simulazioni (da svolgersi in aula). Ciò presuppone uno stretto collegamento tra attività svolte nel laboratorio e attività svolte in aula, nonchè -- punto cruciale -- una rimessa in discussione delle finalità dell'insegnamento praticato in aula qualora esse fossero in contraddizione con la visione dell'apprendimento linguistico presentata ai punti 3-4 e, in fin dei conti, con i concetti di "lingua" e di "cultura" presentati ai punti 1-2.


IMPIANTO MODELLO


HANDOUT: schema di un'impianto minimo da realizzare presso un laboratorio linguistico già predisposto per l'informatica, nonchè un elenco del software minimo (l'authorware esiste già sul mercato) necessario per "guidare" lo studente nelle esercitazioni previste dai materiali cartacei, anch'essi già in commercio.

COROLLARIO: Allo stato attuale della tecnologia, ogni tentativo di insegnamento "pieno" delle lingue, svolto esclusivamente o prevalentemente tramite mezzi tecnologici, è destinato a fallire o comunque a dare risultati solo parziali. Il computer esige la presenza di un docente che sia in possesso di un solido bagaglio linguistico-culturale e glottodidattico, capace di svolgere la mediazione scientifica, culturale ed umana dalla quale dipenderà il successo dei programmi CALL:

--un docente capace di avviare i discenti ad un apprendimento consapevole (non meccanico) delle lingue, insegnando loro a gestire autonomamente sia il processo interiore di acquisizione linguistica, sia il processo esteriore (i mezzi CALL e/o audio-visivi); un docente, quindi, competente in linguistica contrastiva (quella dell'italiano e della lingua studiata) nonchè in psicolinguistica e in glottodidattica;

--un docente capace di creare le occasioni di discorsi intenzionali reali, occasioni consone alla fase di apprendimento raggiunto dai discenti, e di spronare questi ad una riflessione sul significato degli errori sociolinguistici commessi, dei segnali culturali non percepiti, della scarsa resa retorica o poetica di un loro scritto, ecc.; un docente, cioè, che sia anche un sociolinguista, un etnolinguista e, secondo le modalità d'espressione scritta scelte, un letterato e uno studioso delle comunicazioni di massa;

--infine, un docente capace di analizzare e di indirizzare le dinamiche individuali e di gruppo che accompagnano il processo di assimilazione linguistico-culturale da parte dei discenti; un docente, cioè, che abbia doti (e non solo conoscenze) pedagogiche e psicologiche.

Sulla insostituibilità dei contatti vivi periodici con un docente per le finalità appena elencate, anche nei corsi a distanza, vedi Lorentsen (1991:126,129). (L'università a distanza danese, spiega Lorentsen, fornisce i contatti tramite colloqui telefonici infrasettimanali ed incontri di fine settimana in sede). Vi accenna anche il Consiglio Universitario Nazionale in un recente parere (1991:46): non basta stanziare fondi per avviare nuovi laboratori linguistici negli atenei, replica il CUN al Ministro Ruberti, bisogna pensare alla figura (docente) responsabile per la corretta utilizazione dei materiali didattici.

Concludo aggiungendo che bisognerbbe pensare anche ai bisogni reali di chi dovrà utilizzare, in prima persona, i materiali, vale a dire gli studenti. E su quest'ultima considerazione, vorrei concludere.

CONSIDERAZIONE FINALE: La ricerca CALL andrebbe agganciata ai bisogni specifici di specifiche categorie di studenti; il courseware realizzato andrebbe sperimentato sulla popolazione studentesca campione, usando criteri istituzionali di successo (Bruce e Peyton, op. cit.).

L'esperienza dimostra, infatti, che la ricerca CALL, se incentrata sulla risoluzione dei bisogni istituzionali di specifiche categorie di studenti, tende a produrre un courseware che, se non è perfetto, è perlomeno perfettibile; incentrata invece sulla sperimentazione delle possibilità tecniche offerte dal computer, tende a produrre vaporware ("software abbozzato ma mai completato", dal verbo inglese to vapor, ossia "perdersi in chiacchere"). Ciò non significa che la ricerca glottodidattica e tecnologica "disinteressata" non vada sostenuta, anzi. Significa semplicemente che un paese non può sperare di rinnovare l'insegnamento delle lingue nelle sue scuole e facoltà se produce solo vaporware.

Purtroppo nei paesi latini, a differenza dei paesi germanici ed anglosassoni, manca storicamente la fascia di specialisti intermedi dediti alla traduzione di scoperte scientifiche in prodotti d'uso pratico -- mancanza denunciata sin dagli anni '20 da Gramsci (1977) e più di recente dalla Confindustria (1988:83,106). Fin quando questa fascia intermedia non esisterà in Italia, le sue funzioni debbono necessariamente essere assolte, io credo, da tutti coloro che hanno accesso agli strumenti di ricerca: per esempio, gli insegnanti che dispongono di un laboratorio linguistico in un liceo linguistico o che fanno parte di una sperimentazione didattica in una scuola media, oppure i docenti universitari che hanno accesso ad una sala informatizzata interfacoltà o che hanno fondi per organizzare convegni di studio. Essi hanno la responsabilità, a mio parere, di dedicare gran parte della loro ricerca e della loro sperimentazione alla realizzazione di prodotti capaci di soddisfare bisogni sociali reali, alla verifica dei risultati ottenuti dai loro prodotti e persino alla diffusione effettiva di questi prodotti presso altre sedi.

Questo impegno richiede, naturalmente, un incoraggiamento. Spetta perciò in primo luogo al Ministro dare il necessario sostegno. Ma in un certo senso, spetta anche a tutti noi -- in quanto membri di un consiglio d'istituto o di un consiglio di facoltà dove le decisioni operative vengono prese -- riconoscere di avere la responsabilità per il tipo di ricerca glottodidattica che viene effettivamente incentivato e sostenuto nel paese. Il mio auspicio è che vorremo incentivare e sostenere anzitutto quel tipo di ricerca glottodidattica i cui frutti si misurano non solo nel numero di pagine stampate prodotte, bensì nel numero di studenti che vengono effettivamente aiutati ad acquisire le capacità linguistico-culturali necessarie per garantire un migliore futuro a loro stessi e al paese.


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NOTA: Alcuni passi del presente scritto — ad esempio i paragrafi che iniziano con le parole VIDEO o HANDOUT — risultano sintatticamente o concettualmente incompleti. Essi costituiscono, infatti, la traccia delle interazioni/discussioni tra il RELATORE ed i PARTECIPANTI o tra i PARTECIPANTI, che l'autore ha promosso durante il suo intervento al Simposio Internazionale "Language and Technology" di Firenze (1991). Dai passi e' tuttavia possibile desumere i contenuti pertinenti al presente lavoro.






Bibliografia