11.12.1991 ©1991 - Patrick Boylan – patrickboylan.it |
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In: G.C. Cecioni & C. Cheselka (Eds.). Proceedings of the Symposium on Language and Technology (Florence, 11-13 December 1991), Firenze: Editrice CUSL, 1995, pp. 92-114.. |
(Italian translation)
COSA SIGNIFICA OGGI
"IMPARARE UNA LINGUA"?
QUALE RUOLO PUO' SVOLGERE LA
TECNOLOGIA OGGI DISPONIBILE?
Patrick
Boylan
Universita' di Roma
Per rilanciare l'uso del computer in aula bisognerebbe
rinunciare per ora alla creazione di programmi che sfruttino tutte le
potenzialità del PC, per concentrarsi su programmi più
semplici, fortemente integrati con la didattica praticata realmente
in aula dagli insegnanti (quelli piu' innovativi). Cioe': (1)
andrebbe incoraggiata la creazione di un "parco computer"
nelle scuole e nelle facoltà per giustificare lo sviluppo
successivo di software più sofisticato; (2) andrebbe spostata
la discussione dal tipo di didattica svolta dal computer, al tipo di
didattica delle lingue svolta dai docenti in aula, il vero nodo da
scogliere.
Quale sarebbe dunque, visto il mutamento dei
bisogni comunicativi in un'epoca di crescente globalizzazione
terziaria, la migliore didattica delle lingue da praticare in aula
nonche' da implementare in un software? L'autore sostiene che si
tratta dell'insegnamento "comunicativo-culturale" delle
lingue vive. Alcune video sequenze (scuola, università)
illustrano il concetto. Il computer facilita le attività di
rehearsal che preparano alle simulazioni ed agli atti
comunicativi reali da svolgere in aula o all'esterno, lavoro
percepito come "non meccanico" e che aiuta
l'interiorizzazione del nuovo sistema linguistico-culturale.
INTRODUZIONE
Le nuove tecnologie educative, sbandierate qualche anno fa
come la soluzione ai problemi dell'insegnamento delle lingue
straniere nelle scuole e all'università, non hanno ancora dato
i frutti sperati. I motivi dell'insuccesso sono da ricercare non
tanto nei limiti delle macchine quanto nelle carenze delle concezioni
didattiche alla base del software finora realizzato, carenze che
rispecchiano inevitabilmente quelle della didattica praticata
mediamente nelle aule scolastiche ed universitarie del paese. Che
delusione scoprire, dopo la nostra lunga attesa messianica, che il
computer, per costoso che sia, non sa insegnare meglio di quanto non
sappiamo insegnare noi!
Forse è il caso di
ripensare a fondo le finalità della nostra didattica, prima di
ipotizzare nuovi utilizzazioni del computer nell'insegnamento delle
lingue? -- ridomandarci, cioè, Cosa significa sapere una
lingua, oggi?
Naturalmente, ad interessarsi
all'informatica in questi anni sono stati ANCHE docenti con
indiscutibili capacità didattiche (e non solo disciplinari):
purtroppo, dopo aver sperimentato qualche idea suggestiva sul
computer, la maggior parte ha preferito dedicarsi ad altre ricerche,
piuttosto che proseguire con la creazione di biblioteche di esercizi
informatizzati da mettere a disposizione degli studenti e da far
circolare, sotto forma di freeware o shareware, nelle
scuole e nelle facoltà. Così abbiamo fatto una seconda
scoperta, in fondo anch'essa abbastanza ovvia: il computer non può
servire agli studenti per fare pratica se a noi docenti interessa
servircene solo per fare teoria.
Forse è il caso di
puntare su programmi per computer meno originali, meno sofisticati?
-- programmi che aiutano gli studenti ad usare meglio i libri ed i
nastri già in commercio (purchè abbiano buoni contenuti
comunicativo-culturali) e già utilizzati in aula dai docenti
piu' innovatori?
Non si vuole disconoscere, con questa
proposta, la specificità che dovrebbe avere un software
didattico ottimale rispetto ai materiali concepiti per
l'apprendimento in aula; ma se il computer non ha ancora inciso
positivamente sull'insegnamento delle lingue nella scuola o
nell'università, ciò non è dovuto
all'aspecificità dei programmi finora realizzati. Il problema
di fondo è più elementare: non ci sono programmi. Un
istituto scolastico o universitario non può permettersi di
informatizzare un'aula o un laboratorio linguistico per far girare
soltanto il piccolo numero di programmi commerciali disponibili, per
di più slegati tra di loro, e una moltitudine di prototipi
sperimentali, spesso incompleti. Soprattutto quando, per tornare al
primo punto, la maggior parte dei programmi finora usciti ripropone
la stessa visione scolastica dell'apprendimento linguistico che si
voleva superare, facendo appello alle tecnologie educative
nuove.
Nella presente relazione vorrei, perciò, da una
parte
(1) rimettere in discussione il concetto stesso di "possedere
una lingua straniera". Oggi, infatti, tale possesso viene
generalmente definito come patrimonio nozionale/funzionale e come
competenza situazionale/pragmatica -- vedi, per esempio, van Ek
(1977) e Higgins (1984:14-17). Ma le attuali definizioni,
sicuramente migliori delle precedenti, fondate su criteri puramente
lessico-grammaticali, si basano pur sempre su universali e quindi
continuano a lasciare nell'ombra ciò che distingue una lingua
da un'altra (il "genio della lingua", come si diceva; v.
Rosiello, 1967). Di riflesso, i libri di testo, con poche eccezioni,
tendono a presentare un determinato uso linguistico come
esemplificazione di una strategia discorsiva universale e non come
la realizzazione di uno scopo — e quindi come la ricerca di
una gratificazione — peculiari alla civiltà presa in
esame.
Invece, nella nostra società imperniata sul
terziario avanzato, "sapere una lingua straniera" dovrebbe
significare saper capire l'originalità culturale che un
nostro interlocutore straniero esprime attraverso il suo linguaggio
e sapergli comunicare la NOSTRA originalità attraverso l'uso
accorto degli stilemi linguistico-culturali a lui familiari.
Possedere pienamente una lingua straniera presuppone, dunque,
l'"interiorizzazione" di un nuovo "microsistema
culturale". Tornerò su questi concetti più
avanti, nella parte tecnica che segue questa introduzione tematica.
Posta la prospettiva comunicativo-culturale (etnolinguistica)
dello studio delle lingue straniere, vorrei poi
(2) proporre un nuovo criterio per la creazione di esercizi
da svolgere presso una sala informatica o un laboratorio linguistico
computerizzato, esercizi volutamente modesti dal punto di vista
informatico ma, proprio per questo, altamente realizzabili. Oggi, la
povertà comunicativa e culturale e la meccanicità
gratuita di molti esercizi di lingua, quelli dei libri di testo
tradizionali come quelli che appaiono su un videoschermo, vengono in
parte mascherate
-- in aula, dalla dinamica professore-allievo,
se è positiva, e
-- sul computer, dallo sfoggio di
effetti grafici e d'algoritmi per individualizzare i percorsi;
ma
gli studenti si accorgono della povertà di questi esercizi
non appena viene meno il dinamismo del professore o il fascino del
computer. Invece, se impostiamo il nostro insegnamento in un'ottica
non solo autenticamente comunicativa ma anche autenticamente
culturale, allora gli esercizi che faranno gli studenti nel
laboratorio e nella sala informatica, acquisteranno di colpo un
maggiore valore intrinseco ai loro occhi (sembreranno più
umani e meno meccanici del solito), anche se si basano su algoritimi
molto semplici e quindi più facili da implementare di quelli
usati nel software didattico finora prodotti.
Come corollario al punto 2,
(3) propongo di concentrare i nostri sforzi per ora, non sulla produzione di corsi per l'apprendimento autodidattico integrale, bensì sulla produzione di software didattico complementare all'insegnamento in aula. In pratica, propongo che i progettisti di software didattico rinuncino per ora a creare programmi integrali algoritmicamente sofisticati e che si accontentino di riprodurre sullo schermo del computer, con l'accordo delle case editrici, le esercitazioni che appaiono nei libri di testo aventi maggiori pregi comunicativi e culturali; se i testi sono corredati da audio-cassette, il computer potrà pilotare le cassette tramite un'apposita interfaccia collegato ad un registratore.
Esaminiamo da più vicino, alla rovescia, le
implicazioni di questi tre punti -- partendo, cioè, dal
corollario appena enunciato (la proposta di integrare il software
didattico con la didattica in aula) e finendo con il primo punto (la
proposta di ridefinire le finalità dell'apprendimento
linguistico in termini culturali). Si tratta sempre di una overview,
di un'introduzione ai temi che verranno sviluppati successivamente in
termini più tecnici.
Se accetteremo di legare, quindi,
le esercitazioni sul computer che realizziamo o compriamo, alla
didattica che noi o i nostri colleghi pratichiamo in aula, otterremo
tre benefici. Prima, promuoveremo una maggiore omogeneità
nell'offerta didattica che offre l'intero sistema educativo di cui
facciamo parte. Secondo, promuoveremo una più rapida
accettazione dello stesso CALL -- Computer Assisted Language
Learning -- da parte delle istituzioni d'istruzione. (Infatti, il
successo del CATOW -- Computer Assisted Teaching of Writing --
deriva, secondo Bruce e Peyton 1990, dall'alto grado di
coinvolgimento creativo da parte dei docenti che questa nuova
tecnologia ha saputo promuovere.) Terzo, chiariremo le
responsabilità. Quali responsabilità? Rispondo con un
esempio.
Poniamo che nelle nostre lezioni stiamo utilizzando
il corso intermedio d'inglese americano Accenti sull'America.
Il libro di testo contiene sceneggiati radiofonici illustrati con
strisce di disegni praticamente senza testo; appaiono solo le parole
nuove per ogni lezione. (Le trascrizioni integrali sono nel libro del
professore.) Aiutati dai disegni, gli studenti devono prima
immaginare la battuta di un personaggio, poi dirla ad alta voce o
scriverla su un foglio di carta. Generalmente indovinano quasi tutto;
in ogni caso, il corso non prevede che il docente perda tempo a
correggere ogni studente prima di far sentire l'audio-cassetta. In
fondo, non importa che uno studente si sia espresso con la sua
interlingua, egli sentirà subito il modello autentico per il
confronto. L'importante è che egli dica o scriva qualcosa, di
getto. Scopo principale dell'esercizio, infatti, è quello di
preparare lo studente per il successivo momento di ascolto,
sviluppando le sue "attese" lessico-grammaticali e
discorsuali.
Abbiamo qui un tipo di esercizio facilmente
trasportabile sui computers di una sala informatica o di un
laboratorio linguistico informatizzato. Il lavoro di programmazione
richiesto è minimo: occorre solo un meccanismo per non far
partire l'audio fin quando lo studente non abbia scritto o registrato
qualcosa -- una cosa qualsiasi che il programma non si propone
affatto di valutare. Si tratta di un uso volutamente minimale del
computer, il quale garantisce soltanto che gli studenti non stiano
dormendo, ossia che ogni singolo studente stia producendo frasi di
continuo, durante tutta la durata dell'esercizio; volendo, il
computer può anche stampare le risposte scritte degli
studenti, raggruppate per nominativo o per domanda (dipende se il
docente vuole dare un voto o fare confronti). Ma proprio perchè
è minimale dal punto di vista delle prestazioni informatiche,
un software del genere è facilmente realizzabile ed è
inoltre perfettamente integrato con quello che il docente fa in aula.
In quanto ai meriti didattici del software, non possono essere
inferiori a quelli dell'esercizio originale, realizzato su supporto
cartaceo. Se l'esercizio è didatticamente valido, allora il
software è didatticamente valido. I vantaggi più
importanti del CALL (partecipazione attiva e continua di ogni singolo
studente, autoregolazione dei ritmi, ecc.) vengono recuperati
automaticamente senza alcun ricorso alla creatività di un
progettista o di un programmatore.
Immaginiamo ora, solo per
ipotesi, che il docente usi un libro di testo imperniato sui dettati,
esercizio che ritengo in linea di massima anti-pedagogico -- possiamo
discutere la questione se lo credete opportuno. Ebbene, invece di
obbligare il docente a far sentire il testo a tutta la classe allo
stesso ritmo, il libro potrebbe contenere, insieme all'audio-cassetta
con i testi, un disco floppy con il software di corredo. Per
realizzarlo, ci vorrebbe poco. E' molto semplice scrivere un
programma che impedisca allo studente di digitare sul computer parole
che non siano quelle previste per un determinato dettato; farò
vedere in seguito un programma del genere scritto addirittura come
file BATCH, cioè con i soli comandi DOS. Quali vantaggi
offrirà un software del genere? Oltre ad individualizzare il
ritmo di dettatura e a dare allo studente un feedback immediato, esso
libererà il docente che potrà così seguire i
singoli. Quali sono gli svantaggi? Quelli di qualsiasi didattica
imperniata sul dettato: gli studenti non impareranno mai a capire la
lingua straniera parlata con la velocità e con le inflessioni
normali della conversazione e nemmeno a prendere appunti (perchè
prendere appunti e trascrivere richiedono addestramenti diversi). Il
dettato, anzi, inculcherà in loro delle cattive abitudini
d'ascolto: cioè, un ascolto seriale anzichè a ondate;
analitico anzichè sintetico (ma Oller, 1978, sostiene il
contrario); segmentale con scarsa attenzione alle informazioni
sovrasegmentali, tranne per le segnalazioni di punteggiatura. In ogni
caso, la responsabilità dell'orientamento dato
all'insegnamento, giusto o sbagliato che sia, sarà chiaramente
individuabile nella persona del docente. Il computer non avrà
imposto la "sua" didattica, come nel caso dei corsi
integrali di lingua per computer (vedi, per esempio, il corso
d'inglese venduto con il laboratorio linguistico computerizzato
Sony), ma avrà semplicemente assecondato quella scelta dal
docente nell'utilizzare, durante l'anno, questo o quel libro
d'esercizi.
La proposta d'integrare e di subordinare il
software didattico alla didattica svolta dai docenti in aula, ha due
ricadute importanti. La prima è materiale. Il software appena
descritto non sfrutta tutte le potenzialità del computer:
prevede solo il display sequenziale delle pagine di un libro di testo
e un trattamento minimo delle risposte. E' insieme più
semplice e più completo del software che già viene dato
con alcuni testi di lingua. Ma queste caratteristiche -- rapida
realizzazione, alta utilizzabilità -- potrebbero consentire
finalmente una larga diffusione di computers nelle scuole e nelle
università. Questa diffusione, a sua volta, creando un
mercato, permetterebbe la realizzazione di software didattico
originale più sofisticato.
La seconda possibile
ricaduta è di carattere morale. La proposta avanzata potrebbe
spostare la discussione, in convegni come questo, da domande del
tipo: "Voi programmatori, cosa fate per risolvere i problemi di
noi docenti di lingue?" verso domande molto più
pertinenti, del tipo "Voi docenti di lingue, cosa fate che
meriti di essere programmato?"
Se facciamo lo sforzo di
promuovere la creazione di software di qualità promuovendo un
insegnamento di qualità in aula, allora potremo sperare di
avere un giorno una "didattica delle lingue straniere assistita
dal computer" che dia realmente agli studenti le capacità
linguistiche di cui necessitano nel mondo contemporaneo. Ciò
presuppone, però -- e qui arriviamo al nostro primo punto --
che abbiamo le idee chiare sulla natura delle capacità
linguistiche che i nostri studenti richiedono -- in altre parole, che
sappiamo in che cosa consiste oggi "sapere una lingua
straniera".
Nella relazione vera e propria, darò
una risposta dettagliata a questa domanda. Ora, per concludere questa
introduzione tematica, dirò semplicemente che la risposta che
molti insegnanti continuano a dare (l'acquisizione delle cosiddette
"quattro abilità", cioè, il saper "leggere,
scrivere, parlare, ascoltare" in lingua) è diventata del
tutto inadeguata. Nell'economia industriale degli anni cinquanta e
sessanta, si poteva forse accontentarsi di un profilo così
schematico delle competenze richieste al tipico laureato in lingue.
Egli doveva innanzi tutto saper commentare in italiano un testo
letterario in lingua, scritto da un nativo parlante; non gli veniva
richiesta nessuna creatività linguistica in lingua. In quanto
alle competenze comunicative spendibili sul mercato del lavoro, egli
doveva avere, nella mente dei responsabili degli indirizzi didattici
nelle università, soltanto quel bagaglio minimo che
consentisse lo scambio meccanico di informazioni grezze referenziali
(prezzi d'acquisto, istruzioni per l'uso di un'apparechio,
informazioni stradali), scritte e orali -- donde il ricorso ad una
tipologia delle competenze basata su una descrizione di canali e
modalità (le "quattro abilità") anzichè
su una descrizione di scopi e di performance nel raggiungere
gli scopi.
Oggi, chiaramente, questa tipologia non basta più.
Nè bastano le tipologie comunicative in senso stretto (v.
Brumfit & Johnson 1979). La nostra società
post-industriale vive dello scambio di valori e questi valori, per
essere capiti nella loro alterità, richiedono rappresentazioni
che rispettino la sensibilità linguistica e i presupposti
culturali del destinatario. Lo scopo della comunicazione è
diventato quello di "far valere la propria visione, anche
culturale, delle cose sfruttando gli stilemi linguistico-culturali
dell'interlocutore". Non basta più saper parlare una
lingua straniera correttamente dal punto di vista grammaticale e
nemmeno appropriatamente dal punto di vista delle universali
pragmatiche (ossia delle "funzioni"). Bisogna saperla
parlare autenticamente. Ciò presuppone aver individuato ed
introiettato una nuova matrice culturale.
In qualsiasi
situazione comunicativa, se vogliamo essere capiti dobbiamo anzitutto
capire. Dobbiamo saper afferrare ed usare i punti di riferimento del
nostro interlocutore per indicargli dove ci situiamo noi. Nella
comunicazione in lingua straniera, ciò significa saper giocare
sul sistema di valori linguistico-culturali (e quindi esistenziali)
del nostro interlocutore -- di cui egli magari non è nemmeno
cosciente -- per creare con lui un'intesa che va al di là del
senso generico reso dai fonemi, dai lessemi o dalle funzioni
discorsuali. Saper dire le cose nel modo in cui il nostro
interlocutore (con le sue abitudini così diverse dalle nostre)
le avrebbe forse dette, se avesse visto e provato le cose che noi
abbiamo visto e provato crescendo nella nostra cultura: ecco in che
cosa consiste "saper parlare una lingua straniera"
oggi.
Si tratta di un traguardo troppo impegnativo per un
corso scolastico o universitario -- un traguardo utopistico, irreale?
Se lo è, lo è molto meno dei traguardi comunemente
posti oggi nelle scuole superiori e nelle università. Oggi,
per esempio, si pretende che uno studente capisca Chaucer o Villon,
poeti del trecento o del quattrocento, dopo pochi anni d'inglese o di
francese -- inglese e francese moderno, poi! Non solo, ma lo si
pretende in nome dell'umanesimo, mentre gli studi umanistici (quelli
veri) richiedevano un rigore filologico ben più serio. Sarebbe
meglio, ritengo, che la carrellata storico-letteraria che oggi
rappresenta l'ossatura dei programmi di lingue nei licei e nelle
università, fosse chiamata per quello che è: un
neo-umanesimo nato nelle università durante il diciannovesimo
secolo con il declino degli studi del latino e del greco e che,
imitando i metodi di studio dei classici, continua a proporre oggi ad
una popolazione studentesca di massa lo studio delle lingue vive come
se fossero lingue morte. Non che le lingue vive non si possano ANCHE
studiare, in quanto lingue vive contemporanee, partendo da una solida
formazione filologica (lo dimostra l'opera geniale di un Leo
Spitzer!); ma un tale studio richiede una passione particolare e una
vocazione da studioso che non si possono pretendere dalla maggior
parte degli studenti in un'università di massa. Come si fa a
sottoporre la maggioranza degli studenti, desiderosa di studiare le
lingue come fenomeno culturale contemporaneo, a quattro anni di
sterminati programmi storico-letterari -- cioè ad un
pot-pourri difficilmente digeribile in un'intera vita di
studio -- e poi pretendere che la cultura acquisita dalla MEDIA di
questi studenti sia autenticamente filologica e non semplicemente
salottiera? Un traguardo del genere è, a mio parere, assai più
utopistico del traguardo linguistico appena presentato, per
impegnativo che esso sia. Soprattutto se si tenta di raggiungere il
traguardo storico-letterario senza prima garantire un'effettiva
interiorizzazione PRODUTTIVA della lingua straniera come microsistema
culturale, cioè attraverso attività in cui lo studente
deve saper produrre discorsi culturalmente autentici e non solo
analizzarli.
Il traguardo linguistico appena descritto -- che
ora definirò in termini più analitici -- può
sembrare proponibile solo a livello universitario e, anche lì,
solo nei corsi più avanzati. Non è così, a mio
parere, e in ogni caso, ritengo che la questione vada posta in altri
termini. Dobbiamo chiederci se lavorare VERSO il "pieno
possesso" produttivo di una lingua e cultura straniera
sia una scelta non meno valida di quella di lavorare VERSO una "piena
comprensione" di Chaucer o di Villon: cioè, se il nuovo
traguardo linguistico-culturale debba o non debba finalizzare
l'insegnamento delle lingue sin dagli stadi iniziali. Io ritengo di
sì. Ritengo cioè che lo studio delle lingue come
fenomeno culturale contemporaneo -- fenomeno da osservare ma anche
fenomeno con cui interagire -- debba guidare le nostre scelte
didattiche sin dai primi esercizi di lingua, in aula o sul computer,
nel primo giorno di lezione. E' pertanto in questa prospettiva che
propongo le considerazioni didattiche seguenti.
***
FINALITA' DELL'INSEGNAMENTO LINGUISTICO OGGI
Rivediamo analiticamente ora i temi principali illustrati
nella parte introduttiva.
L'uso del computer e dei sussidi
audio-visivi nell'apprendimento linguistico andrebbe rivisto
oggi:
(1) alla luce delle nuove esigenze provenienti dal
terziario avanzato, in particolare l'esigenza di assimilare
autenticamente le lingue come espressioni di una cultura diversa e di
poterle usare come tali nelle varie situazioni espressive -- vedi
Lombardi (1990:78) e CENSIS (1990:10 seq.) per alcuni segnali.
(Lombardi, responsabile per i problemi scolastici ed universitari
della Confindustria, tende purtroppo a dicotomizzare i bisogni di
maggiore professionalizzione nel campo delle comunicazioni --
comunicazioni all'interno, comunicazioni con l'estero -- mentre il
sistema di scambio di valori -- interno e con l'estero -- è
uno solo. Gli sforzi di ammodernamento dell'insegnamento linguistico
-- corsi di laurea in lettere, corsi di laurea in lingue --
andrebbero, perciò, coordinati e non
compartamentalizzati);
(2) alla luce delle nuove proposte di
incentrare l'apprendimento linguistico su macro-attività reali
(real-life projects -- v. Allwright 1979) e non esclusivamente
su micro-attività (learning tasks o language skills,
) o sulle componenti discorsuali/grammaticali della comunicazione
(notional-functional syllabuses, lexical-grammatical
syllabuses) -- vedi la discussione sui "procedural
syllabuses" in K. Johnson (1982);
(3) infine, alla
luce del salutare ridimensionamento dato dalla glottodidattica alle
pretese del CALL (Computer Assisted Language Learning) dopo la
prima fase di euforia e di corsa agli acquisti -- vedi Higgins
(1984:86), Leech (1986:xv). Il computer va tolto dal piedistallo e
usato più oculatamente, come sussidio all'"apprendimento
in presenza" (face to face learning).
Fermiamoci
un istante per chiederci il significato di alcuni termini chiave
appena utilizzati: cultura, lingua, apprendimento linguistico,
glottodidattica. A seconda di come defineremo questi concetti,
saremo portati a dare più o meno importanza agli aspetti
logico-interpretativi della comunicazione linguistica e ciò
determinerà in gran parte il ruolo che riterremo giusto
assegnare al computer nella didattica delle lingue.
Propongo
le seguenti definizioni:
1. Cultura: meta-sistema di
valori che rende intellegibile il nostro universo, che gli conferisce
un Senso. E' un tessuto di rielaborazioni individuali di una
macro-elaborazione collettiva -- vedi il concetto di Weltanschauung
di Dilthey rivisto da Mannheim (1974, 1a ed. 1952).
2.
Lingua: sistema di segni verbali elaborato dai membri di una
cultura (quindi sistema di valori esistenziali) per la
rappresentazione intenzionale del flusso interiore (preconscio) di
pensiero e di sentimento. Fonemi, lessemi, locuzioni, genres
discorsivi sono quindi da considerarsi anzitutto contrassegni
culturali. Vedi Humboldt (1991 [1836]) e Pagliaro (1969
[1952]:133-136).
Si tratta di una definizione funzionale
(segnalata dalla parola "per") che rinchiude nei termini
"sistema/segni/verbali" gli attributi semiotici che De
Mauro (1980:94) esplicita così: "le lingue
storico-naturali (sono) codici semiologici a segni articolati, di
numero illimitato, ordinabili in modo infinito, con sinonimia non
calcolabile." De Mauro (1988:12-14) sconsiglia di privilegiare
una sola dimensione del segno (ad esempio, quella pragmatica) come
matrice da cui far derivare le altre dimensioni (semantica,
sintattica ed espressiva) o comunque da cui partire per spiegarle. Ma
la definizione di "lingua" appena data, in cui viene
privilegiata appunto la dimensione pragmatica, corrisponde ad una
libera scelta epistemologica: la scelta di ricercare un sapere di
tipo immanente -- nella fattispecie, il sapere prodotto
dall'interiorizzazione di una lingua quale veicolo di valori
esistenziali. I diversi stati o assetti conoscitivi descritti da
Aristotele nell'Etica (VI, 3-8) possono costituire (e storicamente
hanno costituito) prospettive diverse dalle quali osservare il
linguaggio: il sapere epistemico (il linguaggio visto in relazione
all'essere o al sapere), il sapere tecnico (il linguaggio visto come
attivita' umana e quindi come prodotto storico); il sapere
esistenziale (il linguaggio visto in relazione all'intenzionalità
umana finalizzata all'attività individuale e sociale). La
nostra scelta di quest'ultima prospettiva, e quindi di un "sapere"
costituito da una "saggezza", giustifica la nostra
definizione puramente funzionale del linguaggio (secondo cui language
is as language does). Di riflesso, giustifica tutte le
descrizioni linguistiche e pratiche glottodidattiche che subordinano
semantica, sintassi e scelte espressive alla pragmatica .
3.
Apprendimento linguistico (lingua materna / lingua straniera)
--
apprendimento della lingua materna: la ricerca di un sistema
di segni verbali (usando come materia prima i segni che informano il
nostro mondo sin dalla nascita) capace di rappresentare a noi stessi
ed agli altri il nostro flusso interiore (preconscio) di pensiero e
di sentimento. La ricerca è sempre on-going;
ricerchiamo, senza mai ottenere una risposta definitiva, il senso
(culturale) da dare al nostro mondo primario (donde gli incessanti
"Perchè...?", essenzialmente linguistici, dei
bambini). Vedi i riferimenti in Boylan (1981);
--
apprendimento di una lingua straniera: introiezione di un
sistema culturale alieno tramite l'assimilazione delle sue modalità
rappresentative-espressive, in primo luogo quelle verbali. Quindi, è
anzitutto un affective recoding (vedi Stevick, 1976:10)
tramite l'adesione ad un nuovo sistema di valori, anche
momentaneamente e solo per gioco (recognition, vicarious identity;
vedi Boylan op.cit).
In pratica, per assimilare
pienamente una nuova lingua e una nuova cultura dobbiamo riuscire a
sentire, come nostri, tutta una serie di nuovi valori: nuovi valori
musicali, rispecchiati nella nostra nuova sensibilità alle
intonazioni tipiche della lingua straniera; nuovi valori sociali,
rispecchiati nel nostro uso istintivo degli appellativi (titoli,
nomignoli, termini di rispetto tipici); nuovi valori
temporali/aspettuali, rispecchiati nel sistema dei verbi/avverbi;
nuovi valori estetici, sensoriali, morali; persino una nuova
percezione di noi stessi, rispecchiata nella "faccia" che
sentiamo di dover mantenere con i nostri discorsi, parlando ai membri
dell'altra cultura.
Essenziale all'apprendimento linguistico
sono perciò i momenti di rehearsal, ossia di
immedesimazione in una nuova persona sociale (Garfinkel,
1967:116-185). L'immedesimazione conferisce la capacità di
generare discorsi che sono non solo "corretti"
grammaticalmente e "appropriati" pragmaticamente ma anche,
e sopratutto, "autentici" culturalmente (Stanislavski,
1961:149).
Infatti, come osserva Frake (1964) parlare
sgrammaticato o fuori proposito non è "l'errore" più
grave che possa commettere uno studente di lingue; i membri di una
comunità linguistica lo fanno continuamente -- per stanchezza,
per scherzo, per ignoranza -- senza apparire "alieni" e
senza perdere il loro status di membri. Essi devono, però,
mostrare in ogni istante, attraverso i loro discorsi, di condividere
i presupposti esistenziali della comunità, altrimenti vengono
recisamente emarginati. Diverse opere letterarie illustrano questo
meccanismo: nel romanzo di Camus, Lo straniero, il
protagonista "parla strano" e subisce l'ostracismo; il
protagonista americano di Hemingway in Per chi suona la campana
riesce solo a metà ad assumere una persona spagnola
quando parla; viene tenuto ad una certa distanza, tramite per esempio
il soprannome "Inglès", e muore abbandonato.
4.
Glottodidattica: scienza sperimentale ed anche tecnica euristica
(come la psicologia clinica), che indica i mezzi per favorire, nella
situazione artificiale dell'apprendimento non in loco, il
processo d'introiezione, da parte dei discenti, di un nuovo sistema
linguistico-culturale.
ESEMPI DI MACRO-ATTIVITA' DIDATTICHE BASATE SULLE DEFINIZIONI 1-4
PRIMA TAPPA: DISCORSI SIMULATI TRAMITE L'IMPIEGO DI AUDIO-VISIVI
VIDEO di un seminario sulla SCENEGGIATURA IN INGLESE, svolto
alla Facoltà di Magistero di Roma, anno accademico 1990-91.
VIDEO di un lavoro analogo svolto in parallelo con il seminario a
Magistero, da un'insegnante d'inglese presso la Scuola Media Massimo
D'Azeglio di Roma. I lavori illustrano la drammatizzazione, intesa
non come "recita di un testo preconfezionato" ma come
"espressione di intenzionalità simulate, in un contesto
culturale introiettato". (Vedi NOTA in appendice.)
SECONDA TAPPA: MACRO-ATTIVITA' PER GENERARE DISCORSI AUTENTICI
VIDEO e HANDOUTS che illustrano un seminario sul GIORNALISMO
IN LINGUA INGLESE (TV, carta stampata) svolto alla Facoltà di
Magistero di Roma. L'acquisizione delle tecniche discorsuali usate in
paesi anglosassoni per intervistare e per redigere un testo
informativo, è stata finalizzata alla realizzazione di testi
da pubblicare su giornali americani. Le tecniche d'intervista, a
sfondo etnolinguistico, sono poi state riproposte ad una classe della
Scuola Media Marco Polo di Ostia, da un'insegnante d'inglese
lavorando in parallelo con il seminario a Magistero. Per un resoconto
delle interviste dei ragazzi ai turisti anglosassoni, vedi Avvenente
(1989). (Vedi NOTA in appendice.)
***
USO OTTIMALE DELLA TECNOLOGIA NELLA GLOTTODIDATTICA OGGI
Possiamo ora definire con maggiore precisione, in base a
quanto precede, i connotati del CALL, il suo impiego ottimale allo
stato attuale della tecnologia hardware/software e, infine, il ruolo
del docente in un programma d'insegnamento linguistico assistito dal
computer.
5. Computer Assisted Language Learning
(CALL): l'impiego di strumenti interattivi (cibernetici) in
attività di rehearsal o di comunicazione reale, per
favorire l'introiezione di un nuovo sistema culturale tramite
l'assimilazione delle sue modalità espressive, anzitutto
quelle linguistiche. Esempi del primo tipo di attività:
l'addestramento ad interrompere un interlocutore per chiedere
chiarimenti su una parola udita; gli "open dialogues".
Esempi del secondo tipo di attività: la ricerca
socioculturale, per capire il linguaggio di un autore o di un genere
paraletterario, usando un data base o un ipertesto; la posta
elettronica orale per prenotare l'uso della sala informatica o del
laboratorio linguistico "self-service".
Purtroppo,
il nome stesso della disciplina in inglese -- "apprendimento
delle lingue assistito dal computer" -- tende a dare
l'impressione che l'apprendimento avviene (se avviene) grazie
al computer, mentre in realtà può avvenire solo
attraverso un processo assai articolato basato su interazioni reali
"guidate" le quali, a loro volta, giustificano il lavoro
ancillare svolto o da svolgere con il computer -- vedi Leech
(1986:xiii-xiv).
Comunque, la tecnologia oggi disponibile ci
consente di destinare il computer almeno ad una parte dei compiti di
rehearsal -- o meglio, in teoria ci dà questa
possibilità . In pratica, se esaminiamo il software didattico
finora prodotto, dobbiamo concludere -- stando alle definizioni di
"lingua" e di "apprendimento linguistico" date
nei punti 2 e 3 -- che il lavoro di rehearsal svolto tramite
il computer è oggi del tutto insufficiente. Il software finora
prodotto è, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi,
incentrato sulla langue anzichè sulla parole;
culturalmente asettico; prevalentemente analitico-normativo; discreto
anzichè continuo; troppo ricettivo e non abbastanza produttivo
e, infine, separato da un progetto complessivo d'interiorizzazione
della lingua. Inoltre, il software tende a concepire la didattica
come un attività di spiegazione, come un invito alla
riflessione, come un'occasione di addestramento meccanico, ma non
come un momento d'introiezione di un nuovo sistema di valori.
(Kemmis, citato da Higgins 1984:18, distingue quattro attività
didattiche simili a quelle appena elencate: si tratta di attività
Revelatory, Conjectural, Instructional e
Emancipatory). In sostanza, gran parte dell'attuale software
si basa su una didattica degli anni cinquanta, assai lontana da
quella comunicativo-culturale praticata oggi dai docenti più
aggiornati.
Naturalmente, non si può fare di tutta
l'erba un fascio: vedi per esempio i dialoghi programmati, che
richiedono conoscenze pragmatiche e non solo grammaticali, in via di
realizzazione all'Università Laval (Lelouche, 1991). Inoltre,
bisogna riconoscere molte attenuanti ai pionieri del CALL: hanno
dovuto lavorare con pochi mezzi, poca collaborazione da parte dei
colleghi e poche gratificazioni (di mercato o di carriera). Inoltre,
per imperfetti che siano, i loro programmi didattici sono stati
effettivamente prodotti, distributi ed utilizzati -- e ciò non
è poco. Infatti, gli unici programmi veramente inutili sono
quelli "perfetti" -- ossia quelli che sono ancora nella
mente di chi si compiace a descriverli ma non a scriverli. Infine,
bisogna tener conto che la tecnologia CALL oggi disponibile, malgrado
i suoi pregi, ha ancora molti limiti intrinseci -- vedi Pennington
(1991).
ILLUSTRAZIONE PRATICA: UNA MINI ATTIVITA' DI REHEARSAL
CONFRONTO FRA FLASHCARDS DI CARTA E FLASHCARDS COMPUTERIZZATE
HANDOUT: listato di un semplice "programma batch" di
flashcards, che usa cioè i soli comandi DOS,
nonchè un campione di flashcards "vere"
fabbricate dagli studenti in aula. Analisi comparativa dei costi
(tempo, denaro) e dei benefici (linguistici, psicologici). In
entrambi i casi, il valore intrinseco del rehearsal
(misurabile nella "motivazione allo studio" creata dalle
flashcards e nella "interiorizzazione linguistica"
da esse promossa) è dipeso interamente dal taglio "culturale"
dato alla macro-attività di cui il lavoro con le flashcards
costituisce una componente essenziale. Abbiamo, quindi, una
illustrazione del concetto di rinnovo didattico che parte dall'aula e
che si estende solo in un secondo tempo alla sala computers, anzichè
tentare il processo inverso (che l'esperienza dimostra fallimentare
-- vedi Bruce & Peyton, op.cit.). (Vedi NOTA in
appendice.)
In quanto all'uso del CALL per svolgere i compiti
di rehearsal più qualificanti, cioè le
simulazioni in tempo reale, ritengo che la tecnologia debba ancora
maturare prima che le real-time simulations si possano
realizzare agevolmente sul personal computer. Occorrono soprattutto
dei software development tools più facili da usare. In
quanto al hardware, la prossima generazione promette simulazioni
molto meno artificiose di quelle oggi realizzabili su personal
computer. Infatti, oltre all'avvento della "multimedia",
resa praticabile grazie alle nuove piattaforme hardware (Intel DVI,
CD-ROM, ecc.), il futuro ci promette un hardware fantascientifico per
la creazione di "ambienti virtuali" (vedi per esempio
Traub, 1991). Possiamo addirittura immaginare che in futuro il
computer saprà suscitare negli studenti persino la total
physical response auspicata da Asher (1974).
Rimane in
ogni caso da vedere se la tecnologia, per sofisticata che sia in
futuro, possa mai eliminare l'insufficienza di fondo imputabile al
CALL. Si tratta, del resto, della stessa insufficienza di fondo
imputabile all'apprendimento autonomo delle lingue nel laboratorio
linguistico: lo studente è troppo conscio di interagire con
una macchina, con qualcosa cioè che reagisce in modo
prestabilito. Egli ha invece bisogno di occasioni che richiedono la
"negoziazione finalizzata ad intendersi"; solo così
le forme linguistico-culturali potranno legarsi al flusso interiore
di pensiero e di sentimento. Le negoziazioni che offre il computer
sono guidate ma non sono credibili e quindi sono inefficaci, mentre i
momenti di negoziazione offerti da un soggiorno all'estero sono
realmente finalizzati a "farsi capire" ma non sono guidati
(danno perciò risultati incerti e a volte controproducenti).
Spetta al docente, in un rapporto "faccia a faccia", creare
le occasioni propizie per i momenti di saldatura -- momenti che vanno
comunque consolidati attraverso, per esempio, un soggiorno prolungato
all'estero.
Naturalmente, è possible che la tecnologia
riesca un giorno ad eliminare anche questa insufficienza di fondo.
Possiamo cioè ipotizzare, in un futuro non proprio immediato
però, "ambienti virtuali" computerizzati che,
provocando uno stato allucinatorio, diano gli stessi stimoli di
quelli provati durante un reale soggiorno all'estero -- un po' come
avviene attualmente con i video-giochi che, provocando momentanei
stati allucinatori nei giovani utenti, operano efficaci saldature tra
riflessi muscolari e campo visivo, riflessi immediatamente
trasferibili nel mondo reale (per guidare una moto, ad esempio).
6.
Proposta di uso ottimale del CALL a breve-medio termine: il
compito più indicato per il computer, allo stato attuale della
tecnologia, è quello del "bibliotecario" all'interno
di un laboratorio linguistico dotato di registratori con interfaccia
RS232, "bibliotecario" che facilita (e che incoraggia)
l'utilizzazione attiva di determinati tipi di materiali cartacei. Si
tratta di materiali con buoni contenuti comunicativo-culturali, di
solito con audio-cassette, già esistenti sul mercato.
Per
quanto riguarda i laboratori linguistici universitari adibiti allo
studio autodidatta delle lingue, questi materiali si trovano in molti
casi già a disposizione degli studenti all'interno dei
laboratori stessi; purtroppo, vengono poco o impropriamente
utilizzati in quanto gli studenti non vengono nè "avviati"
nè seguiti da un docente di lingue. Il "bibliotecario"
potrebbe, quindi, fornire agli studenti autodidatti un'adeguata
presentazione (interattiva) dei vari materiali ed inoltre offrire
loro una certa assistenza durante l'uso. Per semplificare il lavoro
di scrittura dei programmi, l'assistenza dovrebbe limitarsi alle sole
macro-funzioni; ma se il laboratorio offrisse periodicamente agli
studenti autodidatti, contatti vivi con un docente (elemento cardine
in qualsiasi programma di auto-apprendimento -- vedi Granger,
1991:43), allora la sola assistenza offerta dal computer durante le
esercitazioni potrebbe bastare in determinati casi. Penso, ad
esempio, al caso degli studenti delle facoltà scientifiche che
hanno, o che pensano di avere, necessità linguistiche di tipo
puramente "strumentale": desiderano di poter leggere solo
testi scientifici composti in larga parte di termini tecnici
"universali" e di regole discorsuali i cui messaggi
culturali non determinano i messaggi principali "universali".
Questi studenti desiderano sapersi esprimere attraverso la sola
funzione referenziale (non importa se meccanicamente) in occasione di
incontri. Chiaramente, se questo è il profilo desiderato, gli
studenti non hanno bisogno d'interiorizzare la lingua straniera in
quanto microsistema culturale.
Per gli studenti che hanno
invece bisogno di acquisire il "pieno possesso" di una
lingua straniera -- per poter trattare o convincere in lingua, per
poter esprimere o interpretare punti di vista, ecc. -- il laboratorio
linguistico informatizzato andrebbe considerato parte integrante di
un insegnamento "culturale" delle lingue (illustrato al
punto 5) svolto in aula. Il computer, cioè, servirebbe non
tanto da "banca di attività interattive autentiche"
(Leech, op.cit.) -- la tecnologia non ce lo consente
pienamente oggi come oggi -- bensì da "banca" di
attività di rehearsal propedeutiche alle simulazioni
(da svolgersi in aula). Ciò presuppone uno stretto
collegamento tra attività svolte nel laboratorio e attività
svolte in aula, nonchè -- punto cruciale -- una rimessa in
discussione delle finalità dell'insegnamento praticato in aula
qualora esse fossero in contraddizione con la visione
dell'apprendimento linguistico presentata ai punti 3-4 e, in fin dei
conti, con i concetti di "lingua" e di "cultura"
presentati ai punti 1-2.
IMPIANTO MODELLO
HANDOUT: schema di un'impianto minimo da realizzare presso un
laboratorio linguistico già predisposto per l'informatica,
nonchè un elenco del software minimo (l'authorware
esiste già sul mercato) necessario per "guidare" lo
studente nelle esercitazioni previste dai materiali cartacei,
anch'essi già in commercio.
COROLLARIO: Allo
stato attuale della tecnologia, ogni tentativo di insegnamento
"pieno" delle lingue, svolto esclusivamente o
prevalentemente tramite mezzi tecnologici, è destinato a
fallire o comunque a dare risultati solo parziali. Il computer esige
la presenza di un docente che sia in possesso di un solido bagaglio
linguistico-culturale e glottodidattico, capace di svolgere la
mediazione scientifica, culturale ed umana dalla quale dipenderà
il successo dei programmi CALL:
--un docente capace di avviare
i discenti ad un apprendimento consapevole (non meccanico) delle
lingue, insegnando loro a gestire autonomamente sia il processo
interiore di acquisizione linguistica, sia il processo esteriore (i
mezzi CALL e/o audio-visivi); un docente, quindi, competente in
linguistica contrastiva (quella dell'italiano e della lingua
studiata) nonchè in psicolinguistica e in
glottodidattica;
--un docente capace di creare le occasioni di
discorsi intenzionali reali, occasioni consone alla fase di
apprendimento raggiunto dai discenti, e di spronare questi ad una
riflessione sul significato degli errori sociolinguistici commessi,
dei segnali culturali non percepiti, della scarsa resa retorica o
poetica di un loro scritto, ecc.; un docente, cioè, che sia
anche un sociolinguista, un etnolinguista e, secondo le modalità
d'espressione scritta scelte, un letterato e uno studioso delle
comunicazioni di massa;
--infine, un docente capace di
analizzare e di indirizzare le dinamiche individuali e di gruppo che
accompagnano il processo di assimilazione linguistico-culturale da
parte dei discenti; un docente, cioè, che abbia doti (e non
solo conoscenze) pedagogiche e psicologiche.
Sulla
insostituibilità dei contatti vivi periodici con un docente
per le finalità appena elencate, anche nei corsi a
distanza, vedi Lorentsen (1991:126,129). (L'università a
distanza danese, spiega Lorentsen, fornisce i contatti tramite
colloqui telefonici infrasettimanali ed incontri di fine settimana in
sede). Vi accenna anche il Consiglio Universitario Nazionale in un
recente parere (1991:46): non basta stanziare fondi per avviare nuovi
laboratori linguistici negli atenei, replica il CUN al Ministro
Ruberti, bisogna pensare alla figura (docente) responsabile per la
corretta utilizazione dei materiali didattici.
Concludo
aggiungendo che bisognerbbe pensare anche ai bisogni reali di chi
dovrà utilizzare, in prima persona, i materiali, vale a dire
gli studenti. E su quest'ultima considerazione, vorrei
concludere.
CONSIDERAZIONE FINALE: La ricerca CALL
andrebbe agganciata ai bisogni specifici di specifiche categorie di
studenti; il courseware realizzato andrebbe sperimentato sulla
popolazione studentesca campione, usando criteri istituzionali di
successo (Bruce e Peyton, op. cit.).
L'esperienza
dimostra, infatti, che la ricerca CALL, se incentrata sulla
risoluzione dei bisogni istituzionali di specifiche categorie di
studenti, tende a produrre un courseware che, se non è
perfetto, è perlomeno perfettibile; incentrata invece sulla
sperimentazione delle possibilità tecniche offerte dal
computer, tende a produrre vaporware ("software abbozzato
ma mai completato", dal verbo inglese to vapor, ossia
"perdersi in chiacchere"). Ciò non significa che la
ricerca glottodidattica e tecnologica "disinteressata" non
vada sostenuta, anzi. Significa semplicemente che un paese non può
sperare di rinnovare l'insegnamento delle lingue nelle sue scuole e
facoltà se produce solo vaporware.
Purtroppo nei
paesi latini, a differenza dei paesi germanici ed anglosassoni, manca
storicamente la fascia di specialisti intermedi dediti alla
traduzione di scoperte scientifiche in prodotti d'uso pratico --
mancanza denunciata sin dagli anni '20 da Gramsci (1977) e più
di recente dalla Confindustria (1988:83,106). Fin quando questa
fascia intermedia non esisterà in Italia, le sue funzioni
debbono necessariamente essere assolte, io credo, da tutti coloro che
hanno accesso agli strumenti di ricerca: per esempio, gli insegnanti
che dispongono di un laboratorio linguistico in un liceo linguistico
o che fanno parte di una sperimentazione didattica in una scuola
media, oppure i docenti universitari che hanno accesso ad una sala
informatizzata interfacoltà o che hanno fondi per organizzare
convegni di studio. Essi hanno la responsabilità, a mio
parere, di dedicare gran parte della loro ricerca e della loro
sperimentazione alla realizzazione di prodotti capaci di soddisfare
bisogni sociali reali, alla verifica dei risultati ottenuti dai loro
prodotti e persino alla diffusione effettiva di questi prodotti
presso altre sedi.
Questo impegno richiede, naturalmente, un
incoraggiamento. Spetta perciò in primo luogo al Ministro dare
il necessario sostegno. Ma in un certo senso, spetta anche a tutti
noi -- in quanto membri di un consiglio d'istituto o di un consiglio
di facoltà dove le decisioni operative vengono prese --
riconoscere di avere la responsabilità per il tipo di ricerca
glottodidattica che viene effettivamente incentivato e sostenuto nel
paese. Il mio auspicio è che vorremo incentivare e sostenere
anzitutto quel tipo di ricerca glottodidattica i cui frutti si
misurano non solo nel numero di pagine stampate prodotte, bensì
nel numero di studenti che vengono effettivamente aiutati ad
acquisire le capacità linguistico-culturali necessarie per
garantire un migliore futuro a loro stessi e al paese.
__________
NOTA: Alcuni passi del presente scritto
— ad esempio i paragrafi che iniziano con le parole VIDEO o
HANDOUT — risultano sintatticamente o concettualmente
incompleti. Essi costituiscono, infatti, la traccia delle
interazioni/discussioni tra il RELATORE ed i PARTECIPANTI o tra i
PARTECIPANTI, che l'autore ha promosso durante il suo intervento al
Simposio Internazionale "Language and Technology" di
Firenze (1991). Dai passi e' tuttavia possibile desumere i contenuti
pertinenti al presente lavoro.
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